SALERNO CITTA’ DEL PAPA (offerta lancio 39 – spedizione gratuita)

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L’URBE DEI PRESAGI ESCE DAL REGNO

presentazione dell’autore di gianni race †

premessa
la cospirazione del 1485
ordita dai salernitani

— Il Principe di Salerno rapisce Re Federico
— I ribelli acclamano Federico al posto del padre
— Papa e Re veri traditori dei baroni: l’accordo
— Don Pietro de Guevara muore: c’è la pace
— La Congiura termina con la vendetta aragonese
note bibliografiche premessa

capitolo i
via l’ultimo principe di salerno
i borgia spodestano sanseverino

— La città si ribella agli Aragonesi
— Il Principe si prende gioco di Re Federico
— Il Re assedia Antonello dentro Agropoli
— S.Giorgio e S.Severino consegnano le chiavi
— Salerno s’arrende nel 1497: nuovi statuti
— Principe assediato a Teggiano e poi esiliato
— Il Re torna a Napoli, il Principe a Senigallia
— Papa Borgia lancia Valentino, poi Lucrezia
— Le Terre confiscate affidate a Consalvo

capitolo ii
lega di papa borgia e re federico
donna lucrezia sposa l’impotente

— Muore il Re di Francia, Salerno si rassegna
— Nozze di Alfonso Aragona e Lucrezia Borgia
— Papa, Aragonesi e Turchi battuti dai Francesi
— Il Principe muore, il titolo al Duca di Bisceglie
— Il Papa tradisce: Lucrezia fugge a Spoleto
— Alfonso da Lucrezia: Rodrigo è battezzato
— Cesare uccide cardinali e cognato Cervillon
— Il Principe di Salerno ferito dal Valentino
— Venezia e Firenze contro Napoli e Milano
— Addio alla corte di Castelnuovo Terracena

capitolo iii

fine del vicariato di salerno
ma il titolo e’ di don rodrigo

— La città nelle mani di Papa Borgia
— L’abolizione dell’ex Dogana dei viceré
— Francesi e Spagnoli cacciano gli Aragonesi
— Accordo franco-spagnolo senza Calabrie
— Province mutate: Salerno ex Regno di Puglia
— Via il Re, Capitanata e Principato ai Francesi
— Sanseverino con gli Spagnoli, poi in Francia
— Francesi in Capitanata: tentano l’invasione
— Dalla Battaglia di Canosa a Gaeta: la resa
— Salerno conquistata da Davalos di Spagna
— Fieramosca arretra la Francia: guerra finita
— Un prorex delle Spagne a Napoli (1504)
— Ferdinando Il Cattolico si prende il Regno
— Il Re restituisce Salerno a Sanseverino
— Lucrezia sulla via di Piombino e Ferrara
— Rodrigo ultimo aragonese di Calabria

note bibliografiche i parte

II parte

capitolo iv

ferrante principe orfanello
cresciuto col conte di capaccio

— La vedova di Sanseverino si risposa a Piombino
— Senza madre: il Conte di Capaccio a tutore
— Il piccolo principe sposa la figlia del padrino
— Ferrante è domino; Fieramosca, governatore
— Padrone di mezza provincia fin da piccolo
— Nasce la Giudecca di Salerno a Torre S.Lucia
— Salerno ha Donna Sabella e il Regno è del Reuccio
— Tenui contrasti fra Guelfi e Ghibellini

capitolo v

I FRANCESI PRENDONO LE COSTE
E RIANIMANO PAPA E SALERNITANI

— Cade Pozzuoli sotto Doria, Salerno trema
— L’assedio della Costiera Amalfitana
— La flotta “Andrea D’Oria” getta l’ancora a Cetara
— La Battaglia del 28 maggio a Capo d’Orso
— L’amato Imperatore si avvicina a Napoli
— Il Viceré d’Orange perseguita i ribelli
— Le Terre dei ribelli date ai Gonzaga: i Ducati
— Il Parlamento invia Ferrante all’incoronazione
— Governatore del Principe e poeta: il Tasso
— Un nemico in casa: il Viceré Don Pedro da Toledo

capitolo vi

CONQUISTE DEL PRINCIPE IN AFRICA,
«CONQUISTE» DI CARLO V A NAPOLI

— Parlamento Napoletano del Viceré spagnolo
— I contrasti con Toledo, padre-padrone antisemita
— Saccheggi dei Barbari da Cetraro a Sperlonga
— Sanseverino a Tunisi, col Conte di Sarno
— L’Imperatore torna dall’Africa ospite di S.Severino
— Carlo V ospite e corteggiatore della Principessa

note bibliografiche ii parte

appendice documentaria

SALERNO CAPITALE DELLA RIVOLTA DaL 1485
NELLE CRONACHE DI NOTARGIACOMO
(ANNI 1485 – 1487)

a cura di sabato cuttrera

Il tentato golpe dei salernitani col sequestro del principe
Il finto perdono del re per i signori salernitani
Decapitati segretario e conte di policastro: pace col papa
Altre vendette per chi non si presentava a napoli
L’arresto di roberto figlio del principe antonello

Description

PRESENTAZIONE DI GIANNI RACE +

Osservarlo ed ascoltarlo, già la prima volta, fu un tutt’uno e conseguenza del fatto rivelatorio.
Un fluire incandescente di pensieri, sillabe, frasi e parole il manifestarsi del logos; come immaginavo avvenisse sotto i portici dell’Accademia di Atene, tra allievi frenetici e solenni cattedratici maestri. Come avveniva per le frequentazioni nel foro, da parte d’indomabili giureconsulti o di stupefacenti curiosi, arrivando ad rostra, estasiati davanti ad epigoni di un Cicerone o di un Ortensio e anche di Antonio Oratore. Fiammeggiare di perifrasi e splendore di metafore, con metonimie d’anguille viscide, similitudini lunghe come di treni, carichi di alabastri. Il divenire dei metri sui piedi della poesia, mutata in musica da miti viventi di arpe d’avorio o tube celestiali: scrivere per ogni artista della penna d’oca o di computer è un disco verde verso infiniti azzurri, spalancati da occhi viperini. La dolcezza di una chitarra, in mano a Garcia Lorca, un calendario sfogliato da Leopardi.
Per Arturo Bascetta è dare ascolto alla voce di dentro, alla tarantola che gli rode le visceri. Un ineludibile comandamento dello spirito. Non so dove gli derivi, ma certamente Arturo ha la scorza dello storico.
Presumo ambiziosamente la vocazione l’abbia colto, in qualche stellata pausa serale del suo soggiorno nei campi Flegrei, dove Virgilio è di casa, ma anche Omero è un fantasma di sogni ellenici.
A sentire Croce, però, lo storico locale non ha bisogno d’ispirazione, nè di modelli. E’. Come Iddio e come la Musa Clio.
Arturo dell’amore per i suoi paesi di montagne innevate o aspre rocce, di monconi e moncherini d’alberi, di capre lanose e di lupi accesi nel buio profondo delle notti ululanti, ne ha fatto una religione. Incanta con le sue argomentazioni, Arturo. Non solo bravo giornalista, testardo nel servire la sua devozione di pennaiolo che butta sudore e stenti per realizzarsi, ma anche storico e scrittore brillante.
Non era nato a fare lo storico, vi dirà. Invece, sa di spacciare bugie.
Egli è uno storico, da mandare in brodo di giuggiole anche il più asettico lettore, il meno influenzabile editore. Storico locale, urliamolo con Croce.
Cioè vero storico.
Gli altri ci guarderanno e ci commiseranno? Non lo credo. Perché il grande Frodoto incominciò con i logoi, che recitava, tutto compito e partecipe, ad Atene, finì con il diventare il massimo degli storici, insieme a Tucidide. Quest’ultimo più scrittore o narratore, meno storico/geografo/militare come l’autore delle lunghe battaglie di popoli di Ellade e di Asia, e dell’invasione persiana.
Io, qualcosa, vorrei dirla per contrastare Arturo; «che ce lo troviamo dappertutto?» Per quanto riguarda però l’età moderna, ad andare a spulciare registri e documenti, Arturo Bascetta è capace di strabiliare, è veramente un folletto imprendibile.

Gianni Race †

Dettagli

EAN

9788872970782

ISBN

8872970784

Pagine

144

Autore

Bascetta

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Editorial Review

1. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm.La promettente adolescenza. «Oggi fra i codici conservati a Milano alla Biblioteca Trivulziana, composta nel 1454 e che alla fine reca l’iscrizione: «Baldus Martorellus Piceni has regulas composuit pro illustri Comite Galeaz et inclita domina Hippolita sorore ejus qui non recusat ut quantum de hoc libello tantum de sui parvi nominis fama detrahatur».
2.Michela Pugliese, Messer Cicco milanese eccellentissimo.
3. Da Wikipedia
4. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
5. Francesco Senatore, Cerimonie regie e cerimonie civiche a Capua (secoli xv-xvi). V. nota. Lettera di Maletta, ivi, p.279. E’ riferito al matrimonio Aragona-Sforza (ottobre 1455).
6. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg. V. giorno 15 dicembre...
7. Raffaele Colapietra, in: Il ‘400 in Abruzzo e in Molise, Vol. VI, Storia del Mezzogiorno, pagg. 55-56.
8. Muratori, Annali d’Italia,voll.31,pp.514-15, Venezia 1790. Nel tomo XXI (anni 1421-1480) così riporta: “Nel dì 5 di dicembre (1456), e in altri susseguenti giorni un sì terribil tremuoto scosse la terra nel Regno di Napoli, che fu creduto di non essersi da più secoli indietro provato un somigliante eccidio in quelle contrade...Le persone morte sotto le rovine chi le fece ascendere sino a centomila, con esserne perite nella sola città di Napoli, per attestato d’alcuni, venti, o trentamila”.
9. Antinori, Annali degli Abruzzi, nel XV volume. V. anno 1456.
10.Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 170 e segg.
11. Balla Enrico, Pereto, storia, tradizioni, ambiente, statuti, Roma 1986, pag. 98-99. In: http://www.pereto.info/terremoto_5dicembre1456.htm. Cfr.De Blasiis G. 1885Il terremoto del 1456Archivio storico prov. napoletano, anno X , Napoli. Cfr. GNGTS – Atti del 22° Convegno Nazionale / 05.04 / U. Fracassi, G. Valensise, E. Guidoboni e G. Ferrari dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma e dello SGA, Storia Geofisica Ambiente srl, Bologna. LA SORGENTE DEL TERREMOTO DEL 1456: NUOVE IPOTESI DAL RIESAME CONGIUNTO DI DATI STORICI E STRUTTURALI. Così scrivono: “Nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal MIUR l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e la SGA hanno intrapreso un riesame della catastrofica sequenza sismica iniziata il 5 dicembre 1456. Per l’estensione della zona colpita e la severità dei danni questo terremoto è ancora oggi ritenuto il più forte terremoto della storia italiana. La ricerca si avvale di un’ampia reinterpretazione delle fonti storiche, di una nuova visone d’insieme dell’assetto profondo del settore crostale interessato dall’evento e di analogie con le caratteristiche di sorgente dei terremoti molisani del 31 ottobre-1 novembre 2002".
12.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
13.Così nel Diario: - A dì 5 Decembre die Dominico ad hore 11 venne pe tutto lo Reame no tremolizzo grande, che nullo se ricorda averene nteso simile. Rovinao tutta terra de Abbruzzo, s’aprìo in paricchi lochi la terra alla Campagna di Napoli, de Benivento, Esernia, Adice, et Ascoli; parecchi Cittati, et terre se rovinaro adfatto. In Provincia de Terra d’Otranto facio grande damno ad Brindesi, Oria, Alessano, Castro, Mandurio, Nerito, et Lezze. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
14. Francesco Senatore, Cerimonie regie e cerimonie civiche a Capua (secoli xv-xvi), nota, “Da una lettera di A. da Trezzo a F. Sforza, Giugliano 13.VI.1458, ivi, vol. I, p. 651; lettera degli ambasciatori sforzeschi a F.Sforza, Capua 31.VII.1458, ivi, vol. II, p.73. Sulla pergamena di Altavilla del febbraio del ‘58 v. P. Tropeano, CDV, cit.
15. Francesco Senatore, Cerimonie regie e cerimonie civiche a Capua (secoli xv-xvi), nota, “Da una lettera di A. da Trezzo a F. Sforza, Giugliano 13.VI.1458, ivi, vol. I, p. 651; lettera degli ambasciatori sforzeschi a F.Sforza, Capua 31.VII.1458, ivi, vol. II, p.73
16. Tristano Caracciolo, Genealogia Caroli Primi regis Neapoli. Tristani Caraccioli. Opuscola historica, pag.145.
17. Roberto delle Donne, Regis servitium nostra mercatura. Culture e linguagi della fislalità nella Napoli aragonese, In: Linguaggi e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, a cura di Giovanna Petti Balbi e Giovanni Vitolo. Centro interuniversitario per la storia delle città campane nel medioevo. Quaderni (4).Laveglia editore, Salerno 2007, dal sito internet: www.fedoa.unina.it/1125. Nota 28.
18.G.Battista Aiello, Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845, vol1. Nella tribuna saranno collocati i “sepolcri di Isabella di Chiaromonte moglie di Ferrante I d’Aragona e di Pietro d’Aragona fratello di re Alfonso, morto nell’assedio di Napoli del 1459 e qui poi trasportato da Castel nuovo e tumulato nel 1444. L’iscrizione è la seguente: OSSIBVS ET MEMORI AE ISABELLAE CLARIMONTIAE / NEAP. REGINAE FERDINANDI PRIMI CONIVGIS / ET PETRI ARAGONEI PRINCIPIS STRENVI / REGIS ALFONSI SENIORIS FRATER / QVI NI MORS EI ILLVSTREM V1TAE CVRSVM INTERRVPISSET / FRATERNAM GLORIAM FACILE ADAEQVASSET / OH FATVM! QVOT BONA PARVVLO SAXOCONDVNTVR. Quivi anche riposa la spoglia di Cristoforo di Costanzo gran siniscalco di Giovanna I, morto nel 1367; e qui Beatrice figliuola di Ferrante I e d’Isabella, rimasa vedova di Mattia re d’Ungheria, leggendovisi l’epigrafe: BEATRIX ARAGONEA PANNONIAE REGINA / FERDINANDI PRIMI NEAP. REGIS FILIA / DE SACRO HOC COLLEGIO OPT. MERITA / HIC SITA EST / HAEC RELIGIONE ET MVNIFICENTIA SE IPSAM VICIT.
19. S. Degli Arienti, op.cit.
20. S. Degli Arienti, op.cit.
21.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
22. Da: https://www.nartea.com/guida-on-line/san-pietro-martire/
«Ritornati sul corso Umberto I lo si percorre verso piazza Bovio incontrando a sinistra nella piazza Ruggero Bonghi la facciata della chiesa di San Pietro Martire. Carlo II d’Angiò, volendo donare ai frati Predicatori domenicani, a cui già nel 1231 era stata affidata l’antica chiesa di San Michele a Morfisa, una nuova “basilica”, diede incarico di far costruire la Chiesa ed il Convento dedicati a San Pietro Martire, i cui lavori ebbero inizio nel 1294....».
23. S. Degli Arienti, op.cit.
24. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm.La promettente adolescenza.
25. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm.La promettente adolescenza.
26. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
27. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. Matrimonio ed eclissi.
28. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
29. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
30. Veronica Mele, Dietro la politica delle potenze: la ventennale collaborazione tra Ippolita Sforza e Lorenzo de’ Medici, in: «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo», 115 (Giugno 2013), pp. 375-423. V. Cronaca delle cerimoniedi accoglienza per Ippolita e Federico d’Aragona da parte della Repubblica di Firenze,Firenze, Archivio di Stato (d'ora in poi ASF).Cfr. Carolina Mautone, I Medici 3: Chi era Ippolita Sforza, la donna che salvò Lorenzo Il Magnifico. Da: https://www.comingsoon.it/serietv/news.
31. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141.
32. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
33. Da: AsMi, Fondo Visconteo Sforzesco; Potenze estere (Napoli); A Autografi (Ippolita Sforza)].
34. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. In famiglia Ippolita diventa per tutti la Principessa.
35. Dal sito internet: www.culturasalentina.wordpress.com. Articolo di Fernando Guida, Isabella di Clermont, regina di Napoli.Per la lettera di cordoglio di Sforza v. BNF, Italien, 1590, 338, Francesco Sforza ad Antonio da Trezzo, Milano 10 agosto 1464.
36. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii.., op.cit.
37. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii.., op.cit.
38. A.Bascetta - S.Cuttrera, La duchesca e il testamento di Alfonso II
39. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141.
40. Veronica Mele, Dietro la politica delle potenze, cit.
41. Carolina Mautone, I Medici 3: Chi era Ippolita Sforza, la donna che salvò Lorenzo Il Magnifico. Da: https://www.comingsoon.it/serietv/news.
42. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
43. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
44. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
45. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
46. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170.
47. Il 20 agosto 1482 Re Ferdinando nominò Niccolò Allegro a rettore di Benevento, città rimasta in Regno dal 1463, anno in cui, appoggiando le rivolte popolari, fu strappata alla Chiesa insieme a Salerno. Nell’atto compaiono molti civium e habitatorem beneventanorum che chiesero ed ottennero gli statuti comunali ad capitulandum. Valerio dalla Vipera, notajo e sindaco beneventano, fece pubblicare il privilegio. Ma quello fu l’ultimo anno di sovranità del Re, in quanto, il 21 agosto, vi fu la celebre vittoria dei papalini sul Duca Alfonso d’Aragona “presso S.Pieto in Formis, che perciò fu detto Campomorto, dalle genti inviategli contro del Papa, comandate da Girolamo Riario, e da Roberto Malatesta”. I beneventani e gli abitanti di Terracina furono assolti dal delitto di ribellione con bolla papale del 7 gennaio 1483. Il 25 gennaio il pontefice ne dichiarò governatore e castellano Corrado Marcellino, cittadino romano già vescovo di Terracina. Sotto Papa Eugenio Benevento chiederà la separazione del potere politico dalle mani dei Rettori papalini e questi separar separatim facere castellanum a Rettore, seu vicerettore. 21. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769.
48. Civitate Tocco sede vescovile non va confusa con l’Oppido, cioè il Castrum Tocco dipendente direttamente dal papa di Avignone come Castrum Tocci, mentre la precedente Civitate distrutta dal terremoto del 1348 viene dichiarata suffraganea di Benevento. Già papa Stefano X l’avrebbe indicata come dipendenza di Montecassino nel 1058. E’ poi annoverata fra le città suffraganee dal Vipera (Chror. sub Uldarico, pag.90). E qui sarebe l’inghippo perché la vecchia Tocco descritta nel documento non è collocata nella Valle di Vitulano, nella Varvense che non è lo Stretto di Barba (la Varva nel 1800 risulta essere casale di Ceppaloni, ma già nel 1700 era frazione di Chianchetelle, ai piedi di Torrioni, sul finire del vallone San Martino di Terranova Fossaceca all’incontro col fiume Sabato e di fronte Pietrastornina).
Leggendo l’opera “Descrizione dei viaggi compiuti dal Santorino stesso fra 1485 e il 1487, in qualità di cancellarius et scriba del Patriarca di Aquileia (che era arcivescovo di Benevento) nei territori facenti parte dei suoi possedimenti” si capisce che qualcosa non quadra. Infatti, lo scrittore ecclesiastico Paolo Santonino, nel suo viaggio del 1456 descritto nel libro Itinerari dice: quae dicitur Tocco in Valle Varvense, malamente tradotta in Valle Vitulana, ad solum usque deducta defunctorum descriptum non recepi. Vitulano diviene Terra con tre parrocchiali, una delle quali è arcipretura, benchè l’arciprete risieda in Tacciano e dicesi arciprete di tutta la Valle di Vitulano che consta di 36 casali (stranezza del numero uguale ai 36 casali che la memoria popolare diceva possedere sicuramente Pietrastornina, antico feudo delle due torri, che è sita a monte dello Stretto di Barba). Anche Meomartini disse Tocco in Valle di Vitulano.
49. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
50. Giovanni di Fiore, Della Calabria illustrata, vol.3, cit.
51. Monte, cit. Cfr. A.Bascetta, Quattrocento Napoletano, ABE, Napoli 2011.
52. Antonello Coniger, cit.
53. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.152.
54. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.
55. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.
56. Ivi.
57. Cap.II, cit., pag.225.
58. Antonello Coniger, cit.
59. Angelo Tafuri, Opere, cit.
60. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.153 e segg.
61. Giuseppe Coniglio, I vicere spagnoli di Napoli, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1967, pagg.11-16.
62. Giuseppe Coniglio, I vicere spagnoli di Napoli, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1967, pagg.11-16.
63. Bascetta, Juana, cit.
64. Bascetta, Juana, cit.
65.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
66. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “La Biblioteca del Principe di Tarsia è superba: la sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, prova che l’intenzione del signore non era quella d’onorare le Muse. La Biblioteca del Principe di Tarsia era non solo ricca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. Una sala fornita di molti strumenti matematici, un’altra di ritratti d’uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, in caratteri d’oro, si leggeva il seguente distico di G. B. Vico: Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva / Digna Jove in terris aurea tecta colit. La Regina ha raccolto, da qualche anno a questa parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo uso; Fuger, pittore di Vienna, l’ha dipinta con molto gusto. Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisonomia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, salvo, s’intende, quelle differenze proprie delle provincie cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feudatario, del cattivo amministratore, e della maggiore minore lontananza dalla Capitale, ove era accentrato il potere il quale, per mancanza di sollecite comunicazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere un’azione rapida e concorde in tutte le membra del Reame”).
67. R.Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Napoli, 1977, vol. II, p.73; Francesco Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale, Volume 2, 1998.
68. Notargiacomo; cfr. Scandone.
69. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141, Mélanges de la Casa de Velázquez, 45-2, 2015. Cfr. Antonio Cicinello a Francesco Sforza, Napoli 19.II.1465, ASM, Sforzesco, Napoli, 214, cc. 204-206. In: Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
70. Da: Il Quotidiano di Salerno. Articolo: Isabella Villamarina, la Principessa del Rinascimento, di Giovanni Lovito.
71. «L’indiscrezione era stata raccolta da Giovanbattista Bentivoglio e riferita da Zaccaria Barbaro al governo di Venezia, Napoli 17.I.1472, Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli, ed. Corazzol, pp. 137-138».In: Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
72. Faragalia, Codice diplomatico sulmonese. In: Scandone, cit., pag.122 e segg.
73. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, cit.
74. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141, Mélanges de la Casa de Velázquez, 45-2, 2015.
75. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. Una “sotterranea” attività diplomatica?
76. Notargiacomo; cfr. Summonte. Cfr. Passaro, cit.
77. Archivio virtuale del monastero dei SS. Pietro e Sebastiano ASPS, 117. 1480 Il 29 ottobre 1481, Nicola de Petrutiis, reggente della Magna Curia Vicarii, incarica il capitano di Acerra di costringere Angelillo de Pistasa cittadino di Acerra a restituire, pena quattro once d'oro, entro due giorni una botte di vino sottratta da una casa sita nel casale di San Nicandro di proprietà dei SS. Pietro e Sebastiano.
78. Pergamente di Atella. Diffida del reggente della Magna Curia Vicarii a non violare una terra ed una masseria in Melito (Il monastero femminile domenicano dei SS. Pietro e Sebastiano di Napoli, doc. 526).
79. Arturo Bascetta, Avellino. L’altro volto del Rinascimento, ABE Napoli, Avellino 2016.
80. Tratto da Joanni Maurello, poeta dialettale calabrese, che narrò l’episodio nel Lamento per la morte di Don Enrico d’Aragona, epicedio di 296 versi diviso in quattro parti stampato a Cosenza nel 1478, il più antico documento in dialetto della Calabria Citeriore in cui l’autore mostra il dolore per la morte del suo signore. Il testo fu rinvenuto fra i rogiti della biblioteca vaticana dallo studioro Erasmo Percopo nel 1888 che lo considerò come scritto da un uomo di cultura “non del tutto volgare e popolano, o cantambanco o improvvisatore che dir si voglia”.
81. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769.
82. A.Bascetta, L’Irpinia dei Gonzaga, I, ABE Napoli 2016.
83. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
84. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
85. A. Mazzarella da Cerreto, in: Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, Volume 3, Nicola Gervasi, 1846.
86. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
87. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977. Cfr. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Versi in oggetto 225-240.
88. AA.VV., Apice nella Congiura dei Baroni, ABE, Avellino 2011.
89. AA.VV., Apice nella Congiura dei Baroni, ABE, Avellino 2011.
90. AA.VV., Apice nella Congiura dei Baroni, ABE, Avellino 2011.
91. Camillo Porzio, cit
92. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
93. Pacientia, cit. E ancora: - La matre primamente ebbe figliata n’altra figliola e po’ fece Isabella; e po’ in quella medesma giornata [210] ne fe’ un mascul, con gran duol de quella. Questo el fe’ morto: la prima fo allevata, campando certi giorni, e morì ancor ella, restando de li tre questa divina, dal ciel serbata ad esser Regina. [215] De iugno, a’ vintiquattro, in San Ioanne, de sebato questa figliola nacque ne’ mille quattrocento sessanta anni cinque, de Cristo nel presepio iacque; [220] nata questei, per aver affanni sì longo tempo como che a Dio piacque; per reposarse po’ in tranquilla pace, Regina incoronata, alma e verace. Pierre del Balzo detto Pirro, spesso italianizzato in Pietro, era Principe di Squillace, divenuto IV Duca di Andria alla morte del padre Francesco III Duca de Andri (primogenito ereditario del II Duca Guglielmo), quando si divise i beni col fratello Angilberto. Era nato poco dopo il matrimonio del 7 dicembre del 1443 da Francesco e dalla Duchessa Sancia (del fu cavalier Tristano dei Chiaromonte di Lecce), sorella della bellissima Isabella Regina di Napoli. Pirro divenne un uomo valoroso, che ben si distinse nelle armi, sempre al fianco del Re, lo zio acquisito Ferrante I d’Aragona. Aveva appena una quindicina d’anni quando questi salì al trono, vivendo il suo dolore nel 1465, alla morte della zia materna, la Regina Isabella, quando non aveva ancora venti anni. Doppio dolore perché Pirro, a sedici anni, aveva sposato (1459) la cugina della madre e della Regina, Maria Donata Orsini del Balzo (m.1487 ca.), figlia dello zio materno della sovrana.
La moglie Maria era infatti divenuta Duchessa ereditiera di Venosa e delle contee di Montescaglioso e di Caserta, alla morte del padre Gabriele (1453), rimasto senza eredi maschi (era fratello di Caterina, madre di Isabella dei Chiaromonte di Lecce). Subito dopo il matrimonio Pirro si trasferì nella città della moglie, mettendo mano al castello di Venosa e costruendo la nuova cattedrale, affidando l’amministrazione del feudo di Montescaglioso ad un suo procuratore, un certo De Cappellanio, patrizio venusino.
94. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
95. Porzio, cit.
96. Cariteo, versi 50-70, in Erasmo Percopo, Le rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892.
97. Cariteo, versi 50-70, in Erasmo Percopo, Le rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892.
98. Cariteo, cit., V. Sannazzaro, versi 66-67
99.Cariteo, cit., versi 66-67
100. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra Regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso Re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la Duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del Re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo...”. Cfr. Raffaele Castagna, Isola d’Ischia - tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando Duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo Duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000). Cfr. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
101. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
102. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto.
103. Angelo Tafuri, Opere, cit.
104. Croce, cit.
105. Sabadino degli Arienti, cit.
106. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni, cit.
107. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
108. Ivi. Sulla lapide v. De Stefano, cit., pag.249. Così l’originale: Alfonsus Ferd. Regis. fil. Aragonius Dux Calabr. Genio domum hanc cum fonte, & balneo dicauit Hippodromum constituit; gestationes hortis adiecit; quas Myrtis Citriorumq. nemoribus exornatas, Saluti sospitæ, ac Voluptati perpet. consecr.
109. Ivi.
110. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg. Cfr. Scandone, cit.
111. Ivi.
112. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: cit.
113. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
114. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
115. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
116. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
117. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. Una “sotterranea” attività diplomatica? «Ciononostante, la figura di Ippolita Sforza rimane in ombra dal punto di vista storiografico: a tutt’oggi non esiste né una biografia a lei dedicata espressamente né studi approfonditi attorno alla sua figura».
118. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “La Biblioteca del Principe di Tarsia è superba: la sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, prova che l’intenzione del signore non era quella d’onorare le Muse. La Biblioteca del Principe di Tarsia era non solo ricca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. Una sala fornita di molti strumenti matematici, un’altra di ritratti d’uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, in caratteri d’oro, si leggeva il seguente distico di G. B. Vico: Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva / Digna Jove in terris aurea tecta colit. La Regina ha raccolto, da qualche anno a questa parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo uso; Fuger, pittore di Vienna, l’ha dipinta con molto gusto. Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisonomia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, salvo, s’intende, quelle differenze proprie delle provincie cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feudatario, del cattivo amministratore, e della maggiore minore lontananza dalla Capitale, ove era accentrato il potere il quale, per mancanza di sollecite comunicazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere un’azione rapida e concorde in tutte le membra del Reame”. Cfr. R.Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Napoli, 1977, vol. II, 1998, ISBN 88-7989-429-3; p.38 e segg.
Sui giardini cit. lettera a Pietro di Borbone del 14 marzo 1495, tutto in: scuola secondaria di i grado “guido dorso”, Orti di Corte, Pacello da Mercogliano: i Giardini Reali e le Erbe del Partenio.M.Lena (docente), M.A.Carbone-A.Criscitiello (tutors), M. Goretti Oliviero (dirigente), Mercogliano 2010; Cfr. Luigi D’Aragona, Diario di viaggio del Cardinale Luigi D’Aragona, Napoli 1517. Cfr. Voce “Catello Mazzarotta”. Da Wikipedia, sito internet. Cfr. G.Mongelli, Storia di Mercogliano: dalle origini ai nostri giorni.
E’ citato nella nota per un’ordinanza regia già nel 1 gennaio 1497 riferita alle loro retribuzioni in lire «secondo la moda italiana»: a Dom Passello, jardinier, pour semblable cause L.375. Il nome è storpiato dagli scrittori ottocenteschi: De Montaiglon lo chiama Dom passollo Jardinier, Bosseboef scrisse che a dom Passello, jardinier, pour semblable cause, 375, aggiungendo che al maestro di casa, Jerosme Passerot, m° ouvrier de maçonnerie appunto, andarono 240 lire, premesso che anche il Pacchiariti, diventa Passerotto, Pacherot ou Passerot était un italien amené en France. Senza dire che Pacero e Pacello sono molto simili fra loro, a cui si aggiunsero Andrea Squazella e Andrea Solario.V. Anatole de Montaiglon, État des gages, des ouvriers italiens employés par Charles VIII, J.-B. Dumoulin, Paris 1852; cfr. Bosseboeuf, Louis Augustin, Palustre, Léon, La Tauraine, Amboise. Su Pacerot, v. Inventaire analytique des Archives communales d’Amboise, 1421-1789, Georget, Tours 1874.
119. Masuccio Salernitano, Il Novellino di Masuccio Salernitano.
120. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
121. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
122. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
123. Luigi Settembrini (a cura di), Il Novellino di Masuccio Salernitano, Napoli 1874, pag.1 e segg.
124. Luigi Settembrini (a cura di), Il Novellino di Masuccio Salernitano, Napoli 1874, pag.1 e segg.
125. Luigi Settembrini (a cura di), Il Novellino di Masuccio Salernitano, Napoli 1874, pag.1 e segg.
126. Ivi, cit.
127. Ivi, cit.
128. E.Percopo, Rime del Cariteo, II, 213.
129. Arienti, cit.
130. Arienti, cit.
131. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
132.Ivi.
133. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo...”.
134.Raffaele Castagna, Isola d’Ischia - tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000).
135. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
136. Masuccio Salernitano, cit.
137. Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, Vol.3, Gervasi, Napoli 1816
138.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
139.Francesco Ceva Grimaldi, cit.
140. Ibidem.
141. Arienti, cit.
142. Arienti, cit.
143. Arienti, cit.
144. Arienti, cit.
145. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.165-167.
146. Leostello, Effemeridi.
147. Passero, cit., pag.51. Cfr. E.Percopo, Rime del Cariteo, II, 213.
148. Notargiacomo.
149. Leocastello, cit.
150. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli.
151. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 785 al 805, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
152. Passero, cit., pag.51.
153. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.171 e segg.
154. Racconti di storia napoletana, ASP, 33. Cfr. Barone, cedole, ASP, X, 22.
155. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
156. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.224. Cfr. G. Coniglio, I Viceré spagnoli di Napoli, Napoli 1967, pp. 7-16. Cfr. De Bartholomaeis, Lettere inedite di regine aragonesi, in Bollettino Lud., A.Antinori, Napoli 1889, fasc.I e II.
157.Cantalicio, in Raccolta, Le Istorie di Monsignor Cantalicio, Libro I, pagg.10-11.
158. Gallo, Diurnali, Il testamento di Alfonso II, pagg.31-35. Cfr. Il testamento di Alfonso II, pagg.31-35.28/29 febbraio 1497. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-225.
159. IL TESTAMENTO DI ALFONSO II. Alfonso si ricordò della Regina Giovanna anche nel testamento, la cui ultima versione fu terminata poco prima di abdicare in favore di Ferrante II, al quale raccomandava assoluto riguardo verso la sovrana degna di ogni rispetto familiare.
Ferrandino avrebbe fatto bene a non partisi dalli sani et amorevoli ricordi et consigli di quella, com’esso... sempre ave fatto... a detta Signora Reina sia mantenuto lo stato e tutte l’altre cose li foro promesse in tempo del suo maritaggio... et le siano confermate tutte donationi de gioie et altri mobili per la bona memoria del signor Re suo padre.
Le ultime volontà: — Ordina e commanda detto signor Re che lo predetto suo primogenito debba portare alla serenissima Signora Reina, madre colendissima di sua Maestà, reverentia et obedientia, come sua madre, et communicarle tutte l’occorrenze del regno et del stato.
Raccomandazioni valide anche per Giovannella IV con la sua dote di 400.000 ducati come la bona memoria del Re suo padre mostrò contentarsi di darele [notargiacomo]. Il Testamento, ordinatione, et ultima voluntà del serenissimo signore re Alfonso secondo Re di Sicilia, et di Jerusalem, parlava chiaro. Il Regno sarebbe rimasto a Ferrandino, oppure sarebbe andato a Federico solo in caso di morte senza eredi. Alfonso, ratificando la renuntia, e donatione del detto suo Regno fatta per sua Mestà all’Illustrissimo Don Ferrante Duca di Calabria suo figlio primogenito, et Vicario generale, lascia, ordina, et instituire lo detto suo primogenito herede, et successore.
Così l’atto: — Detto signor Re ordina, e dispone, che venendo à morte, quod absit, da questa vita detto Illustrissimo signor Don Ferrante suo primogenito senza figli, ò descendenti mascoli legittimi, et naturali, lo detto Regno ritorni all’Illustrissimo signor Federico Prencipe d’Altamura frate secondogenito legitimo, et naturale di sua maestà, et à suoi figli, e descendenti mascoli legitimi, et naturali, li quali mancando detto Regno de Sicilia, et Jerusalem ritorni, et rimanga alla Corona della serenissima casa d’Aragona, dalla quale sua maestà, et sua casa have havuto principio, et consecuto lo beneficio della successione del detto Regno, escluse in tal caso tutte le femine della casa di sua maestà tanto figliuole, quanto sorelle, et altre di qualsivoglia grado gionte, et esclusi li mascoli descendenti da quelle, quantunque secondo lo tenore dela investitura dette femine potessero, et dovessero in detto Regno succedere; acciò che detto Regno si conserve per ogni tempo in la famiglia, et Casa d’aragona, et non si venghi à trasferire in altra casa; et la presente ordinatione s’intenda per forma, che non si derroghi all’authorità della sede apostolica, né si produca alcuno pregiuditio alle ragioni del etto suo primogenito in detto regno, immo’, che detta esclusione di femine, et translatione del Regno alla Casa d’Aragona in li casi predetti si faccia interveniente lo consenso della prefata sede apostolica, dalla quale detto Regno se tiene in feudum. Declarando, che in tal caso à quella femina, la quale pretendesse successione in lo Regno, siano dati 200.000 docati per supplemento d’ogni paragio, oltra la dote, che havesse havuto, ò li competesse d’havere, se si trovasse non maritata, et similiter altre donne della Casa, quale si trovasse non maritata, ciascuna habbia la dote consueta in questo Regno, et li predetti 200.000 docati à quella, che li competesse successione al regno siano pagati con questo, che habbia a renunciare.
Il testamento prosegue con gli adempimenti religiosi.
Così le volontà di Alfonso II: — Detto signor Re ordina, et ricorda al prefato suo primogenito, che habbia sempre nanti l’occhi lo timore de Dio sopra tutte le cose del mondo, con lo quale la casa di sua maestà sempre hà prosperato, et così lo timore della gloriosa Vergine Maria, et di San Michele Arcangelo: Deindé iuxtà lo laudabile stilo, et consuetudine di sua maestà, et di tutta sua serenissima casa detto suo primogenito con somma cura, et diligentia attenda all’administratione della giustitia egualmente ad ogni persona, senza riguardo, ò eccettione alcuna, mescolando sempre la giustizia con la clementia, et equitate quanto l’honestà ricerca,e comporta. Et acciò che con maggior senecerità, et più rettamente la giustizia se possi administrare, voglia, et debbia esso personalmente quanto li serà possibile intendere, et essaminare le querele delli popoli, et delli sudditi, et non rimetterli ad altri; et sopra tutto se ricordi fare spesso visitare, et riconoscere li carcerati, et intendere le cause, et le determinationi de ciascuno, et facci, che non li manchi la giustitia iuxta con la clementia, come è detto.
Item ordina, et commanda detto signor Ré, che lo predetto suo primogenito in ogni tempo debbia exhibire, et portare la debita reverenza alla Santa Romana Ecclesia, et alla Sede Apostolica, et essere obsequioso, et obediente figliuolo alli Sommi Pontefici, praesentim al Santissimo in Christo padre Alessandro Sesto, et in tutte occurrenze comparere sempre, et assistere in favore, e defensione di quella fede, della quale è pervenuta, et è per pervenire la sua exaltatione, et vittoria, et habbia sempre in speciale protettione li nepoti di detto N.S. lo Papa collocati in questo Regno, maxime l’Illustre Principe de Squillace genero, et come figlio di sua Maestà, alli quali debbia mantenere lo stato, et trattarli come propri frati.
Alfonso passa poi al rispetto da tenersi nei confronti dei parenti stretti: Regina Giovanna III, Federico e Beatrice, vedova d’Ungheria.
Ecco: — Detto Signor Re ordina, et commanda detto signor re, che lo predetto suo primogenito debbia portare alla serenissima signora Reina madre colendissima di sua maestà reverentia, et obedientia, come sua madre, et communicarli tutte l’occurrenze del Regno, et del stato, et non partirse dalli savii, et amorevoli ricordi, et consigli di quella; come esso signor Re sempre have fatto; immò debbia compiacerli di tutte le cose di questo Regno, che li saranno possibile, recercando così la virtù di detta signora reina, et lo maternal amore, quale hà mostrato di continuo, et mostra ad essi signore Re, et Duca, et questo sua maestà comanda al detto suo figlio per quanto hà cara la sua benedittione; Et simelmente à detta signora Reina sia mantenuto lo stato, et tutte l’altre cose li foro promesse in tempo del suo maritaggio, et dopoi, secondo lo tenore delle sue cautele, et li siano confirmate tutte donationi li foro fatte de gioie, et altri mobili per la bona memoria del signor Re suo padre, et per sua maestà, le quali tutte li siano inviolabilmente osservate.
Item detto signor Re ordina, et commanda al predetto suo primogenito, che si voglia ben portare con l’Illustrissimo Principe d’Altamura (Federico) suo zio, e tenerlo come à padre, et mantenerli lo stato, dignitate, officii, preminentie, quale la bona memoria del signor Re loro padre, et sua maestà l’hanno dato, et concesso, et così debbia ascoltare li suoi ricordi come di padre, perché sua maestà sape, che detto prencipe lo ama come proprio figlio, et per questo esso voglia tenerlo ben contento, et compiacerli in ogni cosa possibile.
Item detto signor Re ordina, et ricorda al predetto suo primogenito, che habbia per recomandate le cose della serenissima signora Regina d’Ungheria (Beatrice vedova del primo re Mattia Corvino e maritata al secondo Ladislao dal quale fu ripudiata), et quella debbia aiutare, et favorire quanto si stenderà la sua possibilitate; Et in caso, che detta Reina bisognasse ritornare in le parte di quà, esso la debbia accogliere, et mantenere in questo Regno, et di quello, che ci sarà, faceli alcuna parte, con la quale possa honoratamente vivere, perché essa Reina s’è portata, et porta virtuosamente, et de maniera, che merita ogni buona dimostratione.154
Alfonso pretese rispetto dopo la sua morte tanto per Giovannella IV, quanto per il figlio naturale Don Alfonso, che verrebbe per fratellastro a Ferrandino, ordinando che lo prefato suo primogenito sia tenuto dare in dote all’Illustrissima Infanta Donna Joanna sorella di sua maestà docati 400.000, come la bona memoria del Re suo padre mostrò contentarsi di darcele, et che si travagli per ogni via possibile collocare detta Infanta à tutta sodisfattione della signora Reina sua madre, et debbia in ogni cosa trattarela come propria sorella.
Il testamento: — Lo predetto signor Ré ordina, et ricorda al detto suo primogenito, che attento lo caso dove si trova l’Illistrissima Duchessa de Milano (Isabella sposa di Giovangaleazzo Sforza Duca di Milano) figlia di sua Maestà, esso, come à buon frate, voglia aiutarla in quello che potrà senza scandali, attento lo loco, dove ella se trova, e continuando ella in li affanni, in li quali oggi se ritrova, et possendo ridurla in le parti de quà li debba dare da vivere con lo megliore, et più onorato modo che poterà, secondo à bona sore la se conviene.
Item ordina, et commanda detto signor Re, che all’Illustre don Alfonso (figlio naturale di Alfonso II e Trussia Gazzetla, fratello di Sancia principessa di Squillace) figlio di sua Maestà se debbia dare per lo predetto suo primogenito alcuno stato condecente in questo Regno, come si costuma dare alli suoi pari; acciò che possa convenientemente vivere, et habbia detto figliolo di continuo racomandato in sua protettione, et similmente habbia per recomandati l’altri del sangue, come l’Illustre, et Reverentissimo Cardinale d’Aragona (Luigi figlio primogenito di Errico marchese di Giraci figlio naturale di Ferrante I) et suo fratello (Carlo Marchese di Geraci per cessione del fratello Luigi), et Don Cesare (figlio naturale di Ferrante I), et lo figlio del signor Don Francesco frate di sua maestà (figlio di Ferrante I e Isabella Chiaromonte morto nel 1486 prima del matrimonio), alli quali debbia provedere come meglio parerà, secondo la conditione de ciascuno; et così ancora habbia in speciale commendatione l’illustre Donna Sancia Principessa de Squillace, figlia di sua maestà.155
Alfonso ordinò che si dovessero fare i processi per i ribelli, anche se Ferrandino li aveva appena liberati tutti, a patto di mantenere tutte le gratie, privilegii, stati, e donationi fatte, e concesse per lo detto quondam signor Ré suo padre, et per sua maestà; et à quello, che lo tempo non è bastato remunerarli, voglia esso riconoscerli, secondo la conditione, et servitii de ciascuno.
Così le ultime volontà: — Item vole, et ricorda detto signor ré, che delli presuni detenuti in Castellonovo, et del’Ovo, et di Gaeta, et in la Torre di San Vincenzo si debbiano riconoscere, et eseguire li processi di loro demeriti, et à ciascuno d’essi si debba ministrare giustitia, iustà la clementia, come di sopra è detto, non devenendo però à morte de nesciuno, salvo se trova causa se l’havesse meritata; et di quelli, quali se trovassero presi non per propria colpa, ma per interesse dello stato, ò per altra causa; cum primum le cose del Regno seranno in termine, che si possano senza timore di scandolo liberare, detto suo primogenito le debbia liberare, secondo la conditione del tempo comporterà; et de tutti detti presoni, sua maestà se rimette ad una lista sottoscritta di sua propria mano.
Item vole, ordina, et commanda detto signor Re, che à tutto le mogliere, figliuole, et altre Donne delli presoni, detto suo primogenito come li tempi lo comporteranno, et esso serà in facultà debbia provedere à ciascuna di quelle d’alimenti honoratamente, secondo la conditione de ciaschuna ricercarà, et usarli ogni humanità, et clementia convenientemente; et se alcuna di quelle fusse in necessità di dote, la debbia dotare convenientemente; aventi nanti all’occhi l’esemplo della bona memoria del signor Re padre di sua maestà, lo quale con tanta clemenza, et benignità fece collocare, et dotare tutte le figliuole del quondam Prencipe di Rossano tanto honoratamente, come se fussero state proprie figliole di sua maestà.
Le ultime volontà di Alfonso riguardarono i debiti e il rapporto da tenere vivo con le chiese fedeli.
Il testamento: — Lo predetto signor Re dice havere alcuni debiti particulari peculiari di sua maestà, delli quali vole se faccia quello, che se contiene in una lista, che resta in potere de Leonardo Cuomo, suo scrivano de ratione sottoscritta di mano de sua maestà, et sigillata del sigillo secreto; in la quale lista sua maestà have annotati tutti li debiti, che li sono ricordati, et non crede haverné altri. Pure quando alcuno mostrasse sufficiente cautela d’altro debito contratto per sua maestà in tempo, ch’era Duca, detto suo primogenito sia tenuto satisfare, et così vole, et commanda sua maestà. Dell’altri debiti, quali restano in la morte delli serenissimi Re suo padre, et suo avo de felice memoria contratti per bisogno del Regno, et dello stato, sua maestà ordina, et vole, che lo prefato suo primogenito lò più presto, che potrà, senza mancare alla necessitate dello stato debbia per lo miglior modo possibile satisfare ai creditori, secondo sua maestà haveva intentione, e aveva principato di fare.
Item detto signor Re ordina, et impone à detto suo primogenito, che habbia in singulare racomandatione li lochi, e Monasterii de Religiosi Osservanti di questo Regno, et in spetie quelli de Monte Oliveto, et di San Domenico de la Congregatione di Lombardia, li quali sua maestà l’havi fatti havere in detto Regno; alli quali tutti ordina, et vole siano mantenuti li lochi, quali sua maestà l’have fatti havere con sua intercessione.
Item vole, et commanda detto signor re, che lo prefato suo primogenito debbia osservare alli monaci, e monasterio di San Severino di Napoli dell’ordine di San Benedetto, la gratia à lor concessa per sua Maestà, per la costruttione, et edificatione dell’Ecclesia, cioè, ducati 16.000 hoc modo, videlicet, ducati 2000 per anno consignati 1000 sopra le tratte de Puglia, et 1000 altri sopra la gabella del scannaggio de Napoli, dedutto prima dalla rendita del detto scannaggio ducati 2000 per anno donati per prius per sua maestà alli farti de Monte Oliveto per subsidio, et substentatione del loco di Mola finché dura la pensione promessa al Cardinale de Santo Pietro ad vincula (Giuliano della Rovere futuro papa Giullio II), et quando detti renditi del scannaggio al modo predetto non bastasse alli predetti 1000 docati per anno di dare al detto monasterio di san Severino, se supplisca della rendità di detto scannaggio dell’anni, e tempi seguenti, finché venghi à conseguire tutta la summa della consignatione predetta.
Item vole, et commanda detto signor re, che alle monache della Madalena, che prima se diceva Santa Caterina di Formello, per maiore satisfattione della mente di sua maestà, licet non si senta di questo la conscientia gravata, lo predetto suo primogenite debbia pagare ducati 2000 convertendi in la reparatione, e fabrica di quello loco, ò in beni stabili, lo qual pagamento si debbia fare infrà anni doi, poiché le cose del regno saranno quietate.
Item lo detto signor re racorda al prefato suo primogenito, et li dona special carrico, che con lo tempo voglia fare alcuna condecente provisione in questo Regno à rafrenare l’infrascritti vitii nefandi, quali sono in detto regno moltiplicati, videlicet sopra li mali christiani declinanti in qualsivoglia specie de Iudaismo, à heresia, ò defetti contra la fede cattolica, sopra la blasfemia de Dio, e delli Santi, sopra le dodomie, et l’usare con monache, acciò che N.S. Dio s’inclini ad aiutare esso Duca, questo Regno, e tutta la Casa.
Item detto signor Re ricorda simelmente al predetto suo primogenito, che habbia bona avertenza al conferire delli beneficii, li quali debbia conferire con riguardo à persone degne, et de scientia, et che le meritano, et sopra tutto se conferiscano senza corrutione, ò denari.
Item vole, et commanda detto signor Re, che le confirmationi, quali s’haveranno da pigliare, et impetrare dal detto suo primogenito in questa sua nova successione, et assuntione al Regno, delli stati, feudi, et altri officii di questo Regno, debbiano spedirse gratis, et senza alcuna natura di pagamento.
160. Da: Nicola Ratti (abate romano), Memorie su la vita di quattro donne illustri della casa Sforza e di Monsignor D.Virginio Cesarini, presso Antonio Fulgoni, pagg.30-45, Roma 1785.
161. Ivi, cap. «Memorie su’ la vita d’Ippolita Sforza».
162. Iacomo Beldando, Lo specchio de le bellissime donne napoletane.
163. Da: Il Quotidiano di Salerno. Articolo: Isabella Villamarina, la Principessa del Rinascimento, di Giovanni Lovito. Cfr. Iacomo Beldando, Lo specchio de le bellissime donne napoletane.

 

1. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
2. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
3. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
4. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123.
5. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
6. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
7. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130
8. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.123 e segg.
9. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Cfr. i versi dal 1 al 980, cap.VI, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. 36. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Versi 250-350.
10. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg: “Se intese etiam Bernardo Contarini steva meglio, et cussì el Conte Philippo di Rossi et Francesco Crasso Capitano di provisionati. In ditto zorno, vene lettere dil Capitano zeneral da mar, date a dì penultimo lujo apresso Bolana, come monsignor di Obignì vicere in Calabria, sentendo la venuta dil capitano preditto ivi, fece ogni cossa per impegnar Montelion per ducati 4000, et non potendo, si partì e abandonò ditta Terra. Unde, esso Capitano nostro scrisse al Cardinal di Ragona che dovesse ivi andar con le zente a tuor et haver custodia di ditta Terra”.
11. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
12. Pacienza, Lo Balzino..., cit. Libro, Versi 0-300.
13. Ibidem.
14. Ibidem.
15. Ibidem.
16. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130.
17. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.871
18. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
19. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
20. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
21. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit., v.878 e segg.
22. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. I versi dal 880 al 1140, cap.VIII.
23. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. I versi dal 880 al 1140, cap.VIII.
24. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 1050 al 1150, cap.VII-VIII, di Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.,
25. Ibidem.
26. Ibidem.
27. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.137.
28. O.Mastrojanni, Sommario degli atti della Cancelleria di Carlo VIII a Napoli. In: Archivio Storico per le Province Napoletane, Vol. XX, anno 1895. A proposito dell’Isola Farnese. Morto però nell’agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Boria, l’Isola naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorché Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano in ducato”. Sarebbe riconducibile all’Isola Farnese poi detta antico Vejo quella con la chiesa dedicata a s.Pancrazio nel 1559 detta della Beata Vergine Coronata o s.Maria Castellana che si suppose presso gli antichi ruderi di Veia, non lontano da Vaccareccia, contenente un vaso dell’acqua benedetta con la scritta Ordo Vejentum, che per la sua grandezza non poteva essere stato trastortato da un luogo lontano e che si identificò con l’antica città etrusca a 21 miglia da Roma. Diversa da Velia in Principato Citeriore, a 17 miglia da Salerno. In tal modo si potrebbe dire che Velletri rappresentò l’antica provincia di Marittima lungo il litorale e Frosinone quella interna della Campagna di Roma divisa da essa dai Monti Lepini. V. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
29.Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
30. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg. Morto però nell’agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Borgia, l’Isola naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorché Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano in ducato”. Sarebbe riconducibile all’Isola Farnese poi detta antico Vejo quella con la chiesa dedicata a s.Pancrazio nel 1559 detta della Beata Vergine Coronata o s.Maria Castellana che si suppose presso gli antichi ruderi di Veia, non lontano da Vaccareccia, contenente un vaso dell’acqua benedetta con la scritta Ordo Vejentum, che per la sua grandezza non poteva essere stato trastortato da un luogo lontano e che si identificò con l’antica città etrusca a 21 miglia da Roma. Diversa da Velia in Principato Citeriore, a 17 miglia da Salerno. In tal modo si potrebbe dire che Velletri rappresentò l’antica provincia di Marittima lungo il litorale e Frosinone quella interna della Campagna di Roma divisa da essa dai Monti Lepini.
31. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
32. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
33 Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
34. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
35. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.204.
36. Geneviève Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Milano, Mondadori, 1996p. 123.
37. Dal sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia.
38. Melotti, cit., pagg. 67-69.
39. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, Milano 2003, pag. 117.
40. Dizionario di erudizione, cit., pagg.28 e segg.
41. Dal sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia.
42. Bellonci, cit., pagg.122-123.
43. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.119.
44. Il 14 febbrarii venne in Lecce il corpo de lo fratello de lo gran Turco, nemico di Re Federico, giunto a s.Cataldo a prelevarne le spoglie, due mesi prima che muovesse guerra ai Veneziani occupando Lepanto. In quei mesi morì il principe di Salerno a Senigallia (26 febbraio) e Re Luigi di Francia, per disperazione del Vaticano, lasciò la moglie dalla quale non poteva avere figli: lei si fece monaca e lui si risposò con la duchessa di Bertagha, vedova di Carlo VIII, raggiunto dal figlio del Papa che renunciato lo cappiello avanti el re de Francia, pilliao molliere Fracesca. Il 5 aprile l’Università comunale di Lecce donò 2000 ducati a Re Federico per essere sceso in Puglia & alla sua coronaccione le donau Lecce ducati 600, mentre giunse la notizia che Re Luigi di Francia, avanzando pretese sul Ducato di Milano, aveva occupato la città, ricevendo la sottomissione di Genova, Firenze, Ferrara e Mantova. Vi lasciò al governo Giacomo de Trivulcii con 45 francesi (finchè il Duca non li cacciò il 4 febbraio del 1500, facendoli prigionieri in Asti). Il 10 aprile Ludovico sebbene avesse già ripreso tutto lo Stato di Milano, fu fatto prigioniero dagli Svizzeri a Novara e affidato al Re di Francia insieme a diversi altri signori, fra chi finì ai ceppi e chi vittima di grandi vendette. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
45. Ivan Cloulas, I Borgia, Salerno Editrice, Roma 1989, pagg. 221-222.
46. Bradford, cit., p. 77.
47. Ivan Cloulas, I Borgia, Salerno Editrice, Roma 1989, pagg. 223-224. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia
48.Al servizio del Papa ritroviamo Giovanni Cervillon al fine di sedare le discordie fra i Baglioni e combattere i Colonna, finché non fu catturato e presto liberato, forse a patto di far ritorno subito nel Regno di Napoli, in quel suo ruolo di paciere fra Borgia ed Aragonesi, fra Papa e re, in nome di Alessandro VI alla corte di Re Federico, allo scopo di far tornare a casa il Duca di Bisceglie fatto principe di Salerno, riuscendovi a settembre, quando Alfonso d’Aragona fu graziato e poté riabbracciare la sua Lucrezia Borgia. Cfr. www.capitanidiventura.it. A novembre del 1499 ebbe ancora una volta il comando della guardia palatina a Roma, ma non mancò al battesimo del pargolo degli sposini, una volta ottenuto il placet regio.
49. Cfr. sito internet: www.capitanidiventura.it
50. A.Bascetta-A.Maietta, Isabelle de Baucio. Isabella del Balzo Regina di Napoli, ABE, Avellino 2012. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. In realtà, Giovanni Carillo da Cervillon, alias Cerviglione, barone di Apice e signore di Fragneto Monforte, secondo i più, morì nel dicembre del 1499, dopo una cena a cui parteciparono altri commensali fatti uccidere dal Duca Valentino Borgia. Stessa sorte per il cardinale Giovanni Borgia (1470-1500), morto il 17 gennaio (si sentì male ad Urbino dopo una insolita cena romana), mentre tornava verso Roma, a Fossombrone, non mancandosi di accusare, anche per questo lutto, “quella terribile trinità, Alessandro, Cesare e Lucrezia”, come sostiene Dumas; cfr. Burchard, cit; cfr. Ricca, cit.; cfr. www.capitanidiventura.it. A dicembre, Lucrezia Borgia confida a Don Giovanni Carillo da Cerviglione “le pene che deve sopportare per i delitti del fratello Cesare. Dopo pochi giorni viene assassinato per strada a Roma, a colpi di pugnale e di spada, da due sicari dopo avere cenato con l’amico Teseo Pignatelli. E’ fatto uccidere dal Pontefice” perché voleva ritornare al servizio del Re di Napoli. Per altre fonti il mandante fu Cesare Borgia, “perché Carillo si oppone alle sue voglie su una gentildonna, sua protetta. Viene sepolto in tutta fretta nella chiesa di s.Maria in Transpontina, al Borgo Nuovo”. Alessandro, Cesare e Lucrezia Borgia erano considerati una “terribile trinità” per i tanti delitti di cui furono sospettati. Si diceva che durante il breve soggiorno fatto a Roma, Cesare Borgia si era assicurato un appuntamento amoroso con la stessa Borgia moglie Cerviglione, il quale, nell’incontrare - si disse - un di lei consanguineo fu ucciso, ma sempre per volere di Cesare Borgia Duca Valentino, o del Papa padre, il quale fece giungere Michele Rabadas di Corella, italianizzato in Coreglia da Forlì, originario di Valenza, per assassinare anche il genitore, così come fece con quasi tutti i commensali che avevano partecipato al banchetto di Don Eliseo Pignatelli. Così finì la vita di Cervillon, il quale, nel 1498 aveva avuto il posto d’onore (1498) nella funzione. Questo prima della vendita dei suoi beni, essendo morto senza eredi, ad Antonio de Guevara conte di Potenza il 25 luglio del 1500.
51. AA.VV., Apice nella riconquista aragonese, ABE, Avellino 2011; Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863.
52. Alessandro Dumas, XXX, in ‘L’indipendente’, A.III, n° 202 Giovedì 10 settembre, 1863, Uffici della Strada di Chiaia 197, Napoli 1863. Anzi, si precisò che l’assassinio avvenne “ritornando di una cena presso Don Eliseo Pigliatelli, cavaliere di San Giovanni, assalito da alcuni sicari, di cui l’uno gli domandò il nome, e mentre lo diceva, vedendo che non s’ingannava, gli trapassò il petto con un pugnale: un altro intanto con la spada gli troncava la testa, che cadde ai piedi del corpo prima che il corpo fosse caduto”. Amche il Governatore di Roma si lamentò di questo assassinio col Papa, “ma avendo veduto, dal modo con cui Sua Santità ricevè l’avviso, che meglio sarebbe stato per lui di non parlarne, sospese le ricerche già cominciate, di maniera che nessuuo degli uccisori fu arrestato”. Ma per tutta Roma s’era però già sparsa voce “che durante il breve soggiorno che avea fatto a Roma, Cesare avea ottenuto un convegno dalla moglie di Cerviglione, la quale era una Borgia, e che il marito avendo saputo quest’infrazione ai suoi doveri, s’era lasciato trasportare dall’ira tanto da minacciare lei ed il suo amante; le sue parole erano state riferite a Cesare, che, servendosi del braccio di Michelotto, avea da Forlì ferito Cerviglione in mezzo a Roma. Un altro omicidio inaspettato che ne seguì, “che fu attribuito se non alla stessa causa, almeno alla stessa fonte”, fu quello di Monsignore Agnelli da Mantova, arcivescovo di Cosenza, chierico di camera e vice-legato di Viterbo, “essendo caduto, senza che si sapesse perchè, in disgrazia di Sua Santità, fu avvelenato alla propria tavola, ove passato avea una parte della notte a conversare allegramente con tre o quattro convitati, mentri la morte filtrava già sordamente nelle sue vene; tantoché, coricatosi in ottima salute, fu trovato il domani morto nei letto”.
La morte di Ludovico Agnelli è acclarata il 3 novembre 1499, quando fu sostituito da monsignor Francesco Borgia, presente al battesimo di novembre, che confermerebbe la morte di Carillo fra il mese di dicembre del 1499 e quello di gennaio del 1500.
53. ASAV, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.
54. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.
55. Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, Milano 2003, pag. 154.
56. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.;
57. Bradford, cit., pag. 85). Cfr. sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia; Cloulas, cit., pag. 241.
58. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.273 e segg.
59. Bradford, cit., pag. 88; Bellonci, cit., pag. 159. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_Borgia
60. Tomaso Tomasi, Cesare Borgia detto poi Il Duca Valentino, appresso GioBattista Vero, Monte Chiaro 1671, pag.275 e segg.
61. Re Carlo scriveva al suo vicario del Principato essendo vacante la cappellania a lui spettante sulla chiesa di San Salvatore. Seguì Matteo Platamone, autore di un commento sul Carme di Pietro da Eboli, reggente di scuola medica salernitana in Napoli nel 1300.
62. Nel 1567 è detto Santo Salvatore della Doana vecchia, quando si ordina al beneficiato Giulio Villano di ripararlo in quanto gia sta in atto de andare tutta a ruina et da vicini ne è stata fatta istanza che se ripari, per il pericolo che vi è di cascare et cascando rovinare gli edifici contigui. Nel 1616 il vescovo ordina di non celebrare più messa e di profanare la Cappella di San Salvatore de Dogana, nel territorio Parrocchiale dei Santi Dodici Apostoli, semplice beneficio di patronato Regio. Quello dei 12 S.Apostoli e di altre alla Marina, ex Commenda maltese di Capua, era uno dei quartieri più antichi di Salerno. Era raggruppato intorno alla Chiesa parrocchiale detta dei Dodici Santi Apostoli oppure, più semplicemente, come viene accennata nel Catasto settecentesco, solo Chiesa dei Santi Apostoli, quando la stessa parrocchia aveva perso vigore, contando solo due case di benestanti proprio fuori la chiesa.
63. I piani erano quasi chiari: Consalvo sarebbe passato col governo delle genti in Sicilia e, andando contro i Turchi a Cefalonia, si sarebbe congiunto con l’armata in Puglia visto che il fratello Don Alfonso, era già a Zante, mentre s’apparecchiavano le armi per l’autunno contro il Sultano e la sua armata turchesca.
64. E ancora in Grecia Consalvo si distinse durante la carestia, quando ordinò alle donne, le quali “non sapevano” come separare la farina dalla crusca, di levarsi i veli sottili dal capo e fabbricò “picciol forni nella riva per cuocere il pane; mentre che gli altri cocevano ne’ paiuoli il fromento pesto col lardo benchè nimico a’ corpi”.
Assoldati gli Svizzeri a Milano e una grossa armata a Genova i Francesi aspettavano solo la primavera per muovere guerra, mentre Consalvo tornava carico di doni veneziani, fra “vasi d’oro e d’argento intagliati, panni paonazzi di lana, e cremisi di seta, e molti broccali d’oro” (oltre a 10.000 ducati d’oro e dieci cavalli turchi), accolto a Messina come un re dagli ambasciatori giunti da tutta l’isola. Ancora più contento fu Re Federico, il quale, sperando in un aiuto, gli spedì spesso ambasciate.
L’apprestarsi dei Francesi, legatisi a Veneziani e Fiorentini, per la congiura del Papa e di suo figlio, poteva ritorcersi anche sulla Sicilia con un imminente assalto, ignorando la congiura del cugino con Luigi XII.
65. Consalvo era consapevole, ma avrebbe ubbidito solo alla Corona di Castiglia, affinchè “non paresse che egli mancasse di fede al Re suo Signore, il cui animo per certe offese alienato Federigo s’haveva concitato contra”, convinto che Ferdinando Il Cattolico, nella sua vita, aveva trattato con Re Luigi la pace solo in cambio dell’annuo tributo, avendo difeso con le ricchezze della Sicilia il Regno di Napoli conquistato a suo tempo dallo zio Alfonso. Dalle quattro ex province angioine erano nate le due sottoprovince di Basilicata e di Terre di Bari), rette dalle Cortes provinciali dei Vicerè Catalani d’Aragona e non più dagli originari Mastri Portulani. In passato si erano cioè avuti un Vicerè per l’Abruzzo (vedi Bartolomeo III di Capua), un Vicerè in Terra di Lavoro e Molise, un Vicerè in Terra d’Otranto, un Vicerè per le Calabrie esistente da tempo immemore. Si racconta che Re Alfonso d’Aragona avesse scippato il Regno agli Angioini proprio ad un capitano, Antonio Ventimiglia Conte e Centeglia “creato suo Vicerè nelle Calabrie” per aver condotto all’obbedienza la città di Cosenza, i Casali e Grimaldo.
66. A.Della Monica, Memoria istorica..., cit., pag.605 e segg. “Fatto questo secreto concerto, il Francese fù il primo ad entrar nel Regno con esercito di mille lancie, diece mila cavalli, e con buon numero d’artigliarie, come dice il Guicciardino. La prima città, che combatterono fù Capua, della quale impadronendosene à forza d’armi con grandissima crudeltà la sacchegiorono, usando mille dishonestà, e violenze, il che diede tanto spavento alle Terre convicine, che quasi tutte alzaro le bandiere di Francia. Il misero Rè Federico riscorse per agiuto, come diansi haveva fatto, all’istesso Rè Cattolico suo parente, il quale dissimulando, mandò di nuovo Consalvo di Cordova chiamato il gran Capitano, ma con l’intento contrario, che se la prima volta andò per discacciare dal Regno i Francesi in favor degli Aragonesi, questa seconda volta vi mandò à discacciar gl’Aragonesi in favor de’ Francesi”.
67. Gli aiuti di Consalvo a Gaeta non arrivavano mai, sebbene il Re continuasse a donargli i castelli calabresi che chiedeva in cambio, nella speranza di poter presto avere un forte esercito per respingere i Francesi ed evitare l’assedio accaduto al nipote ai tempi di Carlo. Federico si fermò quindi a San Germano, attendendo inutilmente i fratelli Colonna, mentre Spagnoli e Francesi mettevano le mani sul trono di Napoli sbarcando sulle coste e celando, gli uni agli altri, la volontà di volersi appropriare delle conquiste altrui. Fu così che Luigi XII si impossessò della “sua” metà del Regno di Napoli (1501-1503) senza neppure dichiarare guerra ai Catalani Aragonesi, quanto ai baroni più testardi. Consalvo, dal canto suo, si era portato da Messina a Reggio per prendere la Calabria e aveva mandato a dire a Federico che rompeva i patti di sudditanza, rinunciando all’Abruzzo e Monte S.Angelo che gli aveva donato. Federico, ancora più signorilmente, rispose che gli rinnovava l’atto. Questo significava che i Francesi avrebbero dovuto togliere l’Abruzzo a Consalvo, il quale, restituiva ai Sanseverino e a Bernardino Principe di Bisignano i loro castelli. I Francesi attaccarono dal Garigliano con 15.000 uomini al comando di Robert Stuart signore d’Aubigny, affiancato dall’allora Cardinale e Legato Pontificio Cesare Borgia e Galeazzo Sanseverino Conte di Caiazzo, sempre con Napoli, la Terra di Lavoro, il Ducato di Benevento e l’Abruzzo sulla carta; mappa che invece assegnava al Cattolico la Calabria, la Basilicata, la Puglia e Terra d’Otranto. Per giungere su Capua, nell’estate del 1501, occuparono il Castello di Calvi, ma si ritrovarono proprio il figlio del fu Conte di Mignano, ch’essi avevano ucciso nel precedente assedio, a difendere la città. Fu infatti Ettore Ferramosca, posto a difesa del castello, a mostrare il suo valore, mettendo in fuga il nemico, sebbene ciò non servì a salvare la città. Infatti, caduta la difesa di Capua, e uccisi i Conti di Palena e di Marciano, vennero catturati sia il comandante Fabrizio Colonna e Ugo Cardona, che Guido ed Ettore Ferramosca, capitano di ventura piccolo di corpo, ma di animo grande e forza meravigliosa, tipico esempio di coraggio personale e di valoroso soldato, fu tradito da Cesare Borgia. Con i loro soldi, per la gioia di Consalvo, l’intera famiglia dei Colonnesi era dalla sua parte, quando seppe che, pagato il riscatto per la prigione, Fabrizio e Prospero si erano allineati alle idee del fratello Cardinale Giovanni, già da tempo in Sicilia, vittima anch’egli della cacciata da Roma operata da Borgia. Ora erano tutti nemici dichiarati del Papa.
68. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
69. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
70. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
71. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Questo accadde perchè quando entrarono gli eserciti in Puglia si prospettò la nuova difficoltà solo sul campo fra baroni che alzavano bandiera francese e altri che inneggiavano agli spagnoli sostenendo, gli uni e gli altri, di appartenere alla medesima provincia. Pertanto, non avendo copia dell’accordo deciso fra i due Re, per non pregiudicare nessuna delle parti, decisero di seguire un ordine, che fu quello di far alzare bandiera spagnola anche a quei castelli che avevano pensato di alzare bandiera francese, senza avanzare pretese da nessuna delle parti. Questo sebbene, secondo gli Spagnoli, ricadessero fra le loro quattro province e che quindi dovessero abbassarla. Fu quindi creata una specie di zona franca nella zona di confine, chiamata provincia di Capitanata, i cui i castelli avrebbero alzato ambedue le bandiere, nonostante che il luogotenente generale di Francia, Luigi Palau, cercò di dimostrare che per diverse ragioni la Capitanata era la verdadera Puglia. Ad ogni modo pretese che si considerasse provincia separata e che era meglio accordarsi affinché le cose di quello stato provinciale si sarebbero governate da commissari di ambedue i Re, dividendo in parti uguali le rendite. Il problema è che i Francesi mostravano interessi economici per ragione di riscossione della Dogana dei ganado, volgarmente detta delle Pecore, che si faceva in Capitanata. Per questo motivo si decise di dare al Re di Francia (per mano di un di lui commissario), allo scadere del primo anno, la metà delle entrate dell’annualità detta Dogana delle Pecore spettante al Re Cattolico (per mano di un proprio commissario) che si sarebbe riscossa nella Capitanata che a questo punto andava staccata dalla Puglia lasciandovi solo Otranto e Bari. A questo punto Luigi Palau se ne andò dopo aver accettato e deciso per la nomina di due commisari in comune che facessero alzare le bandiere di entrambi i Re in quelle quattro province, sebbene l’intenzione dei francesi era comunque quella di occuparle tutte.
72.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220. Cioé quella que se estiende desde el rio Fertoro, hasta el rio Aufido e che si chiamò Capitanata, desde el tiempo de los Griegos, y Normandos: y lo que antiguamente integrava la Calabria. Quindi Calabria restò tutta quella regione che includeva la marina di Baroli, Trana, Molfetta, Iuvenazo, y Monopoli, que era de la antigua, y verdadera Calabria, che poi fece capo al quella ciudad que llamaron Bario che ancora allora si chiamava Bari, il cui territorio dal mare continuava fino ai luoghi montagnosi che in origine furono abitati da Lucani, Apuli e mantenuti dai governatori del Imperio Griego Basilicata. In essa si includevano perfino Taranto e Brindisi, nell’area che poi prese nome de Hydrunto, che era il luogo principale della Terra di Otranto. L’antica Calabria stava quindi ben distinta, separata e lontano dall’attuale Calabria che per la maggior parte della sua estensione era abitata dai Bruzi. Quindi la Capitanata integrava la Calabria di Bari e la Calabria si chiamava Bruzio di Cosenza. Nella ripartizione che fecero i due Re non si tennero in considerazione i nomi antichi delle regioni (in parte ancora esistenti sotto gli angioini fino al terremoto del 1348), ma ci si riferì all’ultima divisione politica delle province sotto Federico I.
73. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220.
74. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.218-220
75. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552. Per la cronologia storica sono stati altresì utilizzati elementi provenienti da fonti francesi e napoletane, come da note.
76. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
77. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.16v e pagg.26-29.
78. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
79. AA.VV, Capitani di Ventura 1458-1503, ABE, Avellino 2006.Cfr. Paolo Giovio, La vita di Consalvo Ferrando di Cordova, Torrentino, Firenze 1552.
80.Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.253-254.
81. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
82. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v.
83. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. D’improvviso comincia a parlare anche di Semiramis uxor Nini fuit prima inventrix braca rum, cioé di Semiramide moglie di Nino, I Re di Babilonia al tempo di Abramo, che fu la prima inventrice dei pantaloni. Poi insiste con Sam fuit filius Noé qui postanam eccepit sacerdotium mutavit nome et dictus est Melchisedech, quel Sem sul Nilo, figlio di Noé, che divenne sacerdote Melchisede. Ed ancora si rifà alle imprecazioni: - Emendamus inutilius quo ingnorantia peccavimus si subito preoccupati dum mortis queramus spatium penitentie et invenire non possum.Poi lascia la penna di filosofo latino e abbraccia quella del poeta volgare e patriottico, quasi scimmiottando il Petrarca, anzi a lui assomigliando in questo sonetto inedito proveniente dal medesimo rogito dell’Archivio di Stato di Avellino. Al foglio 294v, siamo nel solito rogito arianese, in ultima pagina, il notaio Tartaro stavolta si diverte a riportare un sonetto che stavolta cita chiaramente, essendo tratto dal Salutario Francisci Petrarce de studio, ma, guarda caso, è ancora una invocazione patriottica, il Redrentus ad Laudem Italie, che è il sonetto trecentesco conosciuto come Ad Italiam. In altra pagina trascrive proprio un sonetto del Petrarca. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. E’ totalmente in latino: Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve / tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, / tellus nobilibus multum generosior oris, / fertilior cuntis, terra formosior omni, / cincta mari gemino, famoso splendida monte, / armorum legumque eadem veneranda sacrarum... lui…paratis / Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, / cuius ad eximios ars et natura favores / incubuere simul mundoque dedere magistram. / Ad te nunc cupide post tempora longa revertor / incola perpetuus: tu diversoria vite / grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem / membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto / Italiam video frondentis colle Gebenne. / Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus / spiritus et blandis assurgens motibus aer / excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: / Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve.
84. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., frontespizio. V. passo: “L’illustrissimo pranzò e partì da Rohano in lectica accompagnato da Massimiliano Sforza detto il Moro già duca di Milano”. In: Itinerario di monsignor reverendissimo et illustrissimo il cardinale de Aragona mio signor incominciato da la cita de Ferrara nel anno del Salvatore MDXVII del mese di maggio et descritto per me donno Antonio de Beatis canonico Melfictano con ogni possibile diligentia et fede. Maggio 1517.
Il sonetto è di grande importanza perché mostra come sia avvertita ad Ariano, ex dipendenza salernitana, la voglia di libertà, essendo il popolo ormai stanco delle continue guerre in cui era stato coinvolto, ma con la solita voglia di riscatto. Il sonetto però non pare inneggiare alla sola libertà del Regno, quanto a quella dell’intera Italia, proprio come nel Trecento e nel Qauttrocento. Da qui l’ipotesi avanzata che non fosse farina del suo sacco. Ad ogni modo è onorevole che questa trascrizione, autografa o copiata, si ritrovi comunque ad essere inedita e trascritta dal notaio di Ariano. Nella sostanza si sprona il Moro Duca di Milano ad abbracciare le armi per difendere l’Italia dall’invasore spagnolo, per farlo ravvedere rispetto all’idea di esiliare a suo tempo Re Alfonso d’Aragona sostenuto dagli Sforza, giudicando indegno Re Ludovico di Francia, sostenendo che presto si sarebbero pentiti tutti. Marco, il Re di Spagna, l’Imperatore: si non si avede ognun essir fallito perché in Italia è intrato un firo basilisco. Da qui l’esortazione ad aprire le porte per far entrare chi nuovamente è partito per liberare l’Italia (l’ex Duca di Milano Massimiliano Sforza, nel 1517 era detto Il Moro).
85. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
86. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, f.235 e segg.
87.Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, cit.
88. G. Coniglio, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli, Fiorentino 1967.
89. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.270-271.
90. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
91. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Don Innico Davalos di Castiglia (figlio di Don Ferrando Davala e ultimo della casata di Don Rodrigo) aveva seguito Re Alfonso d’Aragona nella campagna che lo condusse a Napoli, che nella “battaglia navale all’isola di Ponzo fu preso dai Genovesi col Re istesso, & nella medesima nave. Costui fra gli altri paggi era il più caro c’havesse Alfonso per l’aspettation sua gratissima, & per lo concorso di tutte le virtù. Ne molto dapoi quando Filippo Visconte con honorata liberalità d’animo grande, liberò Alfonso, & datogli doni grandi lo lasciò andare ad acquistarsi il Regno di Napoli, ottenne dal Re, che Ignico fosse lasciato appresso di se in Milano; perciocché questo giovanotto co’ suoi singolar costumi, & con la bellezza di volto dilettava talmente, & havea preso l’animo del Duca Filippo; che fu de’ carissimi ch’egli avesse. Morto che fu Filippo ritornò agli Aragonesi”. Ottimo nelle lettere e nella disciplina militare, caro a tutti, Don Innico meritò di avere una d’Aquino come nobile e ricca moglie discendente da San Tommaso e, con la dote della moglie e la sua eredità di molti castelli, fu onorato da Re Ferrando del titolo di Gran Camerlengo “e di una grandissima casa nella quale si essercita il giudicio fettemuirale” e visse una vita reale, divenendo già vecchio quando fu compagno di guerra contro i Turchi al fianco di Alfonso II, lasciando eredi i figli giovinetti della sostanza materna e della virtù paterna: Alfonso, Rodrigo II e Innico II.
92. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557. Si chiamò così “da Aterno terra della Puglia, & dal fiume chiaro per la morte del Grande Sforza, il quale oggi si chiama Pescara, fu padre di questo Ferrando”, cioé Ferrando Davalos era soprannominato dal padre Il Pescara, al quale sarebbe toccato “risollevare il nome della famiglia ormai scomparso per la perdita di tutti i capitani”, noto per aver anche sposato Vittoria Colonna.
Questo Marchese Alfonso Davalos, giovane di lettere e di guerre di famiglia seguace degli Aragonesi, volle misurare il suo valore nella guerra contro i Francesi che si tenne in Romagna, ma anche nella resistenza di Napoli, allorquando i Francesi al comando del loro “capitano Monsignor d’Alegri della rocca uscirono nel porto; e riempierono ogni cosa d’uccisioni, e di spavento”. Il Marchese Alfonso Davalos, “solo innanzi a tutti con incredibil virtù coperto con uno scudo da piedi, fermata la fuga de’ suoi, per le scale di dentro corte nel molo; e sprezzando ogni pericolo dell’artiglierie tributò talmente i Francesi, che ammazzarono molti, o nel fuggire precipitati in mare, e riavuta poi la Torre del Faro, il popolo napoletano in quel giorno lo chiamò Conservator della patria”.
93. Paolo Giovio-Ludovico Domenichi, La vita del signor Don Ferrando Davalo Marchese di Pescara, Giovanni de’ Rossi, Venezia 1557.
94. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
95. P. Giovio-L.Domenichi, cit.
96. Il 28 aprile 1503, dopo aver alloggiato in Barletta per molti mesi, Cordova fu cacciato da 3000 alemanni e assaltato dal vicerè francese, virando verso Napoli che prese e vi entrò con grandi onori: a maggio aveva preso la Cettadella e il Castelnuovo, facendo bottino a napoletani e francesi da 20.000 ducati e traendo prigionieri 2.000 uomini. Inutile fu l’intervento navale delle galee che dovettero tornare a Gaeta. Michele Riccio scrisse che il Re aveva lasciato suo legato Ludovicus Nemosii dux Armigniaci comitum Gentilis, qui legatum regis personam, vicemque sustinebat. Hispani secundis rebus elati non ita multo post Urbe Neap. Arceque quam vulgo Novam, Lucullianamque, quam a forma vocant Ovi expugnatis, Regno potiuntur. A meno di Conversano, continua Coniger, il gran Capitano nel 1503 prese tutto il regno. V. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255. Dalla metà del 1503 Apice e Ariano, già provincia di Principato Ultra e Capitanata, ora sono in territorio del Re di Spagna per la prima volta, cioé al 1° anno, come compare dagli atti notarili locali. Lo sono perché compare il Re Cattolico di Spagna, nello stesso protocollo (f.239), quando si specifica Regni Sicilie Ultra Faro sub Dominio optary Captholitum rex regis Urregna Ispania. E’ proprio l’anno 1503, Regnante Serenissimo et humilisimo et cattholicissimo domino nostro domini Ferdinando et Helisabet dei grazia rege e regina Ispania Sicilia Citra et Ultra Faro Hungaria in regno vero eus immj regni primo (Ibidem, f.239). Ma quando avvenne esattamente tutto ciò? La data esatta della conquista spagnola, avvenuta a macchia di leopardo, ci viene fornita dal notaio Mastelloni di Montefusco. E’ il 15 maggio 1503 quando il nome del Gran Capitano Ferdinando di Cordova compare sulla Montagna di Montefusco. Così l’atto: - Die quintodecimo, mensis maj, 6 indizione, in Terra Montis Fuscoli, Ferdinando di Corduba, Ducis Terre Novi e S.Angeli.
Il 15 maggio 1503, quindi, la Terra di Montefusco, che è anche chiamata Oppidum Montefuscoli, è nel possesso del Dux Ferdinando di Cordova, in nome del Re Cattolico, che però non pare possedere Napoli, perché l’intestazione proviene dal fatto che è Dux in Regno di Sicilia Citra Faro di Messina, col Re solo nel titolo di Re di Sicilia Citra, giungendo in quel momento l’esercito nel Principato Ultra, quindi al 1° anno del reame spagnolo.
Così: - Regnum Sicilie citra farum sub dominio et potestte Captholicorum Maiestatum regi et regina Ispaniae.
Anno a nativitate eiusdem Millesimo Quingentesimo Tertio regnantibus Serenisimis et iustissimis et captholicis dominis nostris dominus Ferdinando et Helizabete Dei gratia rege ac regina Ispaniea Siciliae Citra et ultra farum Ierusalemque regnorum vero huino regni anno primo feliciter amen. Ma cosa era successo quel 15 maggio? Il Dux Capitano Consalvo ufficializzava Montefusco sotto la maestà del Re Cattolico visto che in quel giorno, il Duca Luigi, viceré di Ludovico Re di Francia, andò via da Cerignola e il capitano revocò l’omaggio al Re di Francia in quel di Acerra, assoggettando i popoli della Campania. Il documento è quasi illegibile, abbiamo provato a trascriverlo. Così: - Die quintodecimo mensis maij sextae indictionis in Terra Montisfusculi exercitus ejusdem praefatarum Captholicarum Maiestatum Ferdinandi regis et Helisabettae reginae Hispaniae Siciliae Citra et Ultra farum ceterorumque regnorum sub ducte et auspicio Illustrissimi domini Don Ferdinandi De Cordova Ducis TerraNove et sancti Angeli ex magna potestate Catholicam Maiestatem oppidi Cerignole Illustrissimum Dominum Ludovicum ducem ut migravantibjt? atque Vice regem exercitusque ductorem in bellico certamine cum magna potestate exercitus cristianissimi Ludovici Regis Galliarum interemit reliquos orti infrigari poterit et eorum castra adquantum? ne havim? ? ?taur dirrupuit. Olim sub anno domini Millesimo uingentesimo Tertio ipso illustrissimo et cristianissimo Rege Ludovico regnante ex dierum? un....qbque? Neapoli et predictae sextae indictionis. Idem predictus Rey tertio? reddigit mox vero cum ad quindecim die maij ad Acerras pervenisset Capitani et omnes fere populi Campanie etiam si..ej? revocato homagio regi Francia cum dicto magnifico Capitano regni composuerunt (Ibidem, frammento).
Nel mentre anche il notaio arianese ha finito di scrivere il tomo degli atti notarili. Dopo qualche spazio, sempre nell’ultima pagina, segue un’epigrafe latina: PRAEMIA . SI . HERITIS . DONANT . CONDIGNA . SDPERNI / HIC . MERUIT . SUPERUM . POST . SUA . FATA . LOCUM. / DUM . VIXERIT . VIRTOTE . MICANS . BONUS . ATQUE . MODESTUS / SECRETUS . REGIS . CONSILIATOR . ERAT . / PUBBLICA . SEMPER . AMANS . ANTON1US . ISTE . VOCATUS / DE . PENNA . DICTUS . QUEM . TEGIT . ISTE . LAPIS. V. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v, ultimo foglio. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24]. Ma è sempre al notaio Angelo Tartaro di Ariano, a far data dal 1503, Regnantibus Cattolico Magnatibus Ferdinando et Helisabett re et regina Yspanie et totus Hindie, duis oppure hujus Cicilie regni anno primo. Amen. V. ASAV, Busta 78 notai di Ariano, Tartaro Angelo, f.84, anno 1503 (dopo il 10 giugno e prima del 20 luglio). Idem negli atti a seguire, nel 1504, con la medesima intestazione che loda i Regnanti Cattolici Magistati Ferdinando dei grazia regi aragona, asturie, Sicilie. V. ASAV, Anno 1504, f.139v dopo dicembre e prima del 7 febbraio 1505.
97. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., Vincenzo Valgrisio, cit.
98. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor P.Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, L.Torrentino, Fiorenza 1552.
99. Alfonso Ulloa, Vita dell’invittissimo, e sacratissimo imperator Carlo V, III ed., V.Valgrisio, Venetia 1566 (anni 1500-1560), pag.38.
100. Arturo Bascetta, Giovanna La Pazza, cit.
101. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
102. Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città, e Regno di Napoli, Vol.IV, Antonio Bulifon, Napoli 1675, pag.5 e segg.
103. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Venido el rey, mostraron gran descontentamiento: señaladamente el príncipe de Bisiñano por el Condado de Melito: y el príncipe de Salerno, por no se le haber restituido el oficio de Almirante, que pretendía ser de su casa: y no le haber otorgado el perdón de la rebelión que el príncipe Antonelo su padre, y él cometieron contra el rey don Fadrique. Que el rey de Portugal fue requerido, que se entremetiese en la gobernación de los reinos de Castilla.
104. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol.3, pag.471. Agostino Nifo di Sessa mori circa il 1538 che già era stato a Salerno sotto Roberto prima di andare a Napoli, Roma e Pisa nel 1519.
105. In questo caso sarebbe una sorella di Don Alfonso d’Aragona duca di Villahermosa e sorellastra del Re. Geronymo Curita, Historia del Rey Don Fernando el Catòlico: de las empresas y ligas de Italia, Vol.I, Officina de Domingo de Portonariis, Saragoza 1580. Così nel Libro VIII del I Volume: Mediado el mes de diciembre, Roberto de Sanseverino Príncipe de Salerno: y dejó un hijo muy niño, que hubo en la Princesa Doña Marina de Aragón su mujer: hermana de don Alonso de Aragón duque de Villahermosa, que se llamó don Hernando.
106. Jacopo Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol.1.
107. Jacopo Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol.1.Cfr. Wikipedia, voce: Lucrezia Borgia.
108. AA.VV. a cura di Angelo Cillo, Capitani di Ventura. Il Regno di Napoli in più Epoche. 1458-1503, ABE Napoli 2006. Cfr. Wikipedia, voce: Rodrigo d’Aragona.