PRO ROGITUM BENEVENTI. Duchi, Marchesi e Cardinali nei documenti degli Archivi

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CONTI, DUCHI E MARCHESI SEMPRE PIU’ POVERI

DA BENEVENTO ALLA MONTAGNA DI MONTEFUSCO

Molti nobili dei paesi della Montagna di Montefusco si erano trasferiti quasi tutti a Napoli per vivere la vita della capitale nominando i fidati agenti per la riscossione dei censi, solitamente da pagarsi entro la Vigilia di Natale e, in altri casi, specie per affitti di masserie o frutteti, o terziaria sul raccolto, durante il mese di luglio. Una pressione fiscale che aumentava sempre di più e, laddove i feudi rendevano poco, i titolari lievitavano indiscriminatamente il valore del bene, come accade oggi agli speculatori in borsa, per effettuarne infinite compravendite.
E’ quello che accadde a Chianche dopo la vendita indiscriminata del feudo passato da Giovanbattista Manso (1593) a Beatrice de Guevara (1607), moglie di Enrico de Loffredo, Marchese di Sant’Agata. Il feudo dell’antica Planca, unito a Bagnara nella prima metà del 1700, appartenne al Duca della Castellina Giovanni Battista Zunica, l’ultimo della famiglia a possederlo.
Ritroviamo proprietario del feudo di Chianca nel 1627, Ottavio Zunica. Con questa famiglia Chianca, sebbene tartassata dalle tasse, ebbe un assestamento restando agli Zunica il feudo per oltre un secolo, passando in successione a Carlo (1634), a Francesco (1644), ad un altro Carlo (1690), a Giovanna nel 1714, ad Orazio nel 1724, a Giovanni Battista Zunica nel 1765.
Planca era un feudo che veniva comprato e venduto con tutti i suoi vassalli da tempo immemore. Zunica vendette il feudo per 40.000 ducati a Domenico Perrelli, conosciuto col nome di Duca di Montis Storacis.
La vendita a Perrelli avvenne il 4 maggio del 1778 per gli atti di Notar Aniello Rajola di Napoli, tenendo presente anche i censui annui da riscuotere dai vassalli. Per la precisione, il Duca Perrelli di Montis Storacis comprò dal duca della Castellina don Giovanni Battista Zunica il feudo di Pianca per ducati 39.480, e grana 6, e fra i corpi nell’acquisto descritti, vi furono compresi dei censi che vennero indicati nel modo seguente:
Li censi che si pagano dai vassalli sopra i fondi di detto feudo, secondo vengono descritti nella relazione d’apprezzo.
Tra Bagnara e Planca, insomma, i contadini, secondo gli antichi strumenti, dovevano pagare o la quarta o la quinta parte, quale censo annuo per il feudatario.
I terreni erano stati affidati sicuramente ai cittadini di Pianca e Bagnara a censo enfiteutico, esigendone, già il Duca della Castellina, gli annui canoni, la quartinia, o la quinquagesima, a seconda dei casi in cui, gli stessi enfiteutici, alienavano i fondi censiti.74
Un tiro mancino di Zunica a Perrelli, il quale, da nuovo proprietario dei feudi della zona, neppure immaginava la difficoltà della riscossione.
Planca fu ufficialmente ceduta il 3 ottobre del 1780, con atto pubblico per mano dello stesso notaio Aniello Rajola di Napoli, nonostante le proteste di tutti gli enfiteuti dei feudi, cioè di Pianca, Bagnara, Pianchetella, Petruro, Toccanisi, e Monterocchetto, che avanzarono la nullità dello strumento del 2 febbraio del 1778, stipulato dal venditore Zunica, col quale aveva confermato le “concessioni enfiteutiche dei stabili formanti la maggior parte di quel territorio, e rilevate d’antica platea come che fatte contro la costituzione del Regno”.
Da qui il pubblico parlamento del 6 dicembre del 1780 contro l’azione del Duca da parte dei cittadini delle università comunali di Pianca e Bagnara che professarono la legittimità del possesso, che ab immemorabili avea goduto, sono parole dei cittadini di Pianca, e Bagnara, di quei piacevoli tenuissimi poderi, che ad essi trovavansi dai loro maggiori tramandati con giustissimo titolo, ed acquisto solenne, e canonico, e per concessione dei predecessori possessori di quel picciolo feudo autentico, e di ogni solennità munita….

Description

NELLA CITTA’ DELLA CHIESTA

SPULCIANDO DOCUMENT INEDITI NEGLI ARCHIVI DI STATO E NEGLI ARCHIVI SEGRETI

L’evasione religiosa sui monti era dettata soprattutto dalla voglia di allontanarsi dalle continue vessazioni a cui erano sottoposte le popolazioni, ecclesiastici compresi. «Requisizioni, spogli, fusione di campane per farne pezzi di artiglieria, violenze private», come ricorda Zazo. L’odio antispagnolo finì col dominare anche Benevento se è vero che il Governatore Traiano Boccalini poté (1597) capeggiare una massa tumultuante per una spedizione di rappresaglia contro un nobile regnicolo possessore di beni ai confini del territorio beneventano.
Col Viceregno spagnuolo dovevano, pertanto, avere inizio i primi gravi dissidi e i primi gravi ostacoli all’attività commerciale della città pontificia. Da tempo immemorabile, afferma il Borgia nelle sue Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, Napoli ritraeva da quest’ultima notevoli vantaggi, «poiché i grani comprati in Puglia e altrove, si riducevano in farina in Benevento dove, per la copia dei mulini posti sulle sue acque perenni dei fiumi Sabato e Calore, venivano con ogni presenza macinati». Ma i Viceré mossi sovente da ragioni politiche, accusavano i mercanti beneventani di monopolizzare il grano delle più fertili contrade del Regno e specialmente della Puglia e del Valfortore e di dominare in tal modo il mercato di Napoli. Controversia che negli anni di scarso raccolto o di carestia, dava origine a drastici bandi che colpivano ogni attività che colpivano ogni attività economica della Città, alla quale non solo era vietato di incettare e commerciare il grano, ma di ricevere materie prime dal Regno, con conseguenze facili a prevedersi, senza contare il danno che veniva causato alla Dogana pontificia. Si giunse perfino non solo a trarre in arresto, ma sottoporre a tortura i pertinati trafficanti di Benevento.
Il governo pontificio si difendeva comminando aspre censure che solennemente venivano lette e affisse in piazza S. Pietro e in piazza Campo dei fiori in Roma e ad Valvas seu Portas Cathedralis Beneventi. Poi intervenivano il Nunzio Apostolico in Napoli, gli approcci diplomatici, le deferenti giustificazioni formali del Viceré e, infine, l’assoluzione dalle censure inflitte non al Viceré, ma ai malcapitati funzionari che, avendo eseguiti i suoi ordini, erano costretti a recarsi a Roma ad pedes……

A partire dalla seconda metà del 1500 per svariati motivi alcune delle Chiese del Regno vennero soppresse alimentando proprio l’isolamento. Il problema principale era la corruzione ad ogni livello. Preti che si sposavano, monaci che si spogliavano, clerici che praticavano atti sessuali, potenti che disconoscevano figli. L’unica ad incrementarsi sembrava la ruota degli esposti e il lungo elenco dei bimbi nati senza cognome che andavano ad allungare il cospicuo elenco degli orfanelli che finivano alle dipendenze della Casa dell’Ospedale dell’Ave Grazia Plena, cioè dell’Annunziata di Napoli, che mandava i ragazzi senza padre a coltivare le terre amministrate in nome di una religiosità ormai spuria.
La corruzione da una parte e l’inquisizione dall’altra portarono al fenomeno della soppressione di ordini religiosi e alla fuga di sant’uomini dal clero che sceglievano la strada dell’isolamento sui monti. Fenomeno quest’ultimo che fu sposato, come per una moda, da nobili famiglie feudali del calibro dei Carafa, che finanziavano gli eremiti per costituire nei propri territori nuovi patrimoni fondiari intorno a piccole ma famose abbazie, sperando nella salvezza dell’anima e nel contenimento del patrimonio in caso di invasioni o di confisca dei beni.
Sebbene non ne conosciamo i motivi, fra le corporazioni religiose soppresse appartenute alla mensa vescovile di Benevento, si annota la Chiesa Madre di Apice, così come risulta da alcuni documenti d’archivio a far data dal 1547, quando si dice retta dall’abate Capobianco, quindi da ritenersi, almeno fino a quell’anno, abbazia suffraganea della diocesi beneventana.
In quell’anno fu stilato un inventario dei beni “fatto in tempo dell’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Don Giovanni della Casa, Arcivescovo di Benevento; abbate della Chiesa Maggiore suddetta Don Camillo Capobianco di Benevento”. In tale tomo vengono citati i possedimenti della Chiesa suddividendoli in case, oliveti e terre, taverne e poteche, vigne et ortora.9

Nell’Inventarium Bonorius maioris Ecclesie Oppidi Apicij de anno 1547 le case possedute dalla Chiesa Madre se le dividono sulla carta la Parrocchi di Santo Nicola e la Parrocchia di Santa Maria Solariata, evidentemente posta in un luogo isolato…

indice

premessa

L’ABBAZIA DI APICE AI TEMPI
DELL’ENCLAVE DI PAPA ORSINI

— La Chiesa di Benevento nel vortice spagnolo
— Eremi privati come risposta alla corruzione: l’Incoronata
— Soppressione dell’antica Abbazia dell’Oppido di Apice
— Le parrocchie di S.Nicola e S.Maria di un abate in loco
— Le donazioni alla nuova Parrocchiale di S.Maria Solariata
— Urbano VIII riconferma i beni all’abate e a S.Eligio
— Il rinnovamento inebria i preti missionari
— Le confraternite a 4 potentati della nobiltà napoletana
— Chiese ricche d’argenti andati al papa “padrone”
— Galluccio vende Apice a De Ponte, ma a favore dei Tocco
— Le suppliche di D.Leonardo per la qualità della vita
— Le galline dell’erario da versare al razionale Capobianco

capitolo primo

DAL PARTENIO ALLA VALLE BENEVENTANA
DAL NOTAIO PER REGISTRARE LE NOZZE

— La gonnella fra Mercogliano, Pietrastornina e Apice
— A uso della Montagna: panni ad anni tre
— La revisione dell’atto di matrimonio Piatti-Capobianco
— L’eredita’ del magazzino-fondaco dei Massa
— Il testamento di Giuseppe De Vito

capitolo secondo

NEI FEUDI DEL MARCHESE
DA TORRIONI FINO A CASALBORE

— Nei paesi intorno alla Montagna di Montefusco
— Testamento di Mastro Costantino d’Agostino di Tufo
— Lenzuola in seta di Bari per il nobile beneventano
— Al Principe di Pietrelcina i beni di Ischia
— I beni della Dogana di Foggia in dote di Donna Carlino
— Suor Vincenza Bonito monaca a S.Giorgio

capitolo terzo

GLI SPOSALIZI DEI NOBILI NAPOLETANI
MARCHESI DI AMALFI, CAVALIERI DI MALTA

— Il Marchese Paulillo di Amalfi e Petruro
— Duchi Perrelli di Toccanisi, Chianche, Bagnara
— Il mulino sul Sabato del Duca di Monestarace
— Il Monte del Cardinale e la cartiera-gualchiera
— Lepretese del Duchino e Cavaliere di S.Caterina
— Il matrimonio del Duca fatto Cavaliere a Malta
— Perrelli e Zaza perdono i feudi della Montagna
— Codicillo sul feudo di Cervarulo di Mercogliano

capitolo quarto

ARRESTI ECCELLENTI SOTTO I FRANCESI
MANETTE AL NOTAIO E SUA MORTE

— Arresto di Centrella e ritorno: l’occupazione francese
— La lite col sindaco: l’ultimo atto rimasto sotto chiave

note bibliografiche
postilla

FONTI

ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO.
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI.
ARCHIVIO DI STATO DI BENEVENTO.
ARCHIVIO DI MONTEVERGINE.
CODICE DIPLOMATICO VERGINIANO di PLACIDO TROPEANO.
REGESTO PERGAMENE DI MONTEVERGINE di G.Mongelli
SAMNIUM, n. 3-4, luglio-agosto 1971.
Quaderni irpini, n. 2-3, 1970.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Note documentarie

1. Alfredo Zazo, Benevento e la sua Provincia, da: “Studio per la valorizzazione agricola, lo sviluppo industriale e turistico della provincia di Benevento” a cura del Comune, Provincia, Camera Commercio e Ente per il Turismo di Benevento – Istituto di Rilevazioni Statistiche e di ricerca economica del Prof. Fausto Pitignani – Roma. ABETE – Roma, 1968. Capitolo Benevento Pontificia.
2. A.Tranfaglia, II beato Giulio. Avellino, Tipografia Pergola, 1922. Pag.8.
3. Ivi.
4. La statuetta che raffigura la Madonna Incoronata viene attribuita allo scultore Giovanni da Nola, detto il Merliano (1478-1558).
5. L.Ispano: Romualdina seu eremitica Montis Coronae Camaldulensis Ordinis historia, in quinque libros partita. In Eremo Ruhensis, in agro Patavino, 1587. F.171 e segg.
6. A.Matrullo: Chronologia virorum illustrium et rerum exmiarum Congregationis Montis Virginis Ordinis Sancti Benedicti. Napoli, 1656.
7. Annali Camaldolesi, in Tranfaglia, cit., pag.10.
8. A.Tranfaglia: II beato Giulio. Avelline, tip. Pergola, 1922. Pag.11. Cfr.Mongelli, pagg. 70-71. V. Abbazia di Loreto, Registri dei capitoli generali di Montevergine, I, 201. Cfr. G.Mongelli, II beato Giulio da Nardò. 1981., pag. 64. V. Atto capitolare del 10 luglio 1593, in Lugano, nota 2, pagg. 276 e segg. Cfr. Mittarelli – Costadoni, Tomo VIII. Cfr.G.Zigarelli, Viaggio storico artistico al Reale Santuario di Montevergine, Napoli 1860, pag. 338.
La fama della vita di Giulio Nardinensis poteva indurre i superiori a investirlo d’uffici eminenti nella nuova famiglia monastica, come, in realtà, avvenne per il compagno, ma egli preferì ritrarsi, quello stesso 1577, da un luogo dove, ormai, era troppo noto. Anche le conclusioni del Tranfaglia sembrano affrettate quando scrive che “lo ritroviamo, che picchia alla porta d’un altro chiostro, d’un santuario, a Montevergine, dove sconosciuto a tutti, ottiene la carità d’esservi ospitato. Dopo alquanti giorni, si sentì fortemente chiamato ad abbracciar quella regola e chiese di vestir l’abito di San Guglielmo”.
Lo stesso Mongelli, afferma che “quando Giulio lascia l’eremo dell’Incoronata, era ben noto negli ambienti di Montevergine”.
Tutto ciò denota una certa approssimazione intorno alla figura del monaco. Del resto, la decisione esecutiva di permutare il priorato verginiano di San Giacomo in Sant’Angelo a Scala con il monastero di San Paolo in Avellino (appartenente ai possedimenti dell’Incoronata), fa emergere l’interesse dei verginiani per i beni dell’Incoronata.
Infatti, la famiglia Carafa di S.Angelo, benefattrice del monastero, era venuta in possesso di numerosi beni terrieri anche nelle vicinanze di Montevergine. Aveva interesse a far crescere solo l’Incoronata che continuava ad aumentare di prestigio grazie anche a donazioni provenienti dal nolano e dai paesi dell’intera fascia del Partenio (Sant’Angelo, Pietrastornina, Pannarano, Altavilla) consistenti in boschi e terreni, ospedali e monasteri, eredità ed ex voto. Non va dimenticato che poco dopo quello stesso 1587 Diomede Carafa verrà scomunicato proprio per i diritti che vantava su San Giacomo, entrando in vivo contrasto con i verginiani.
La verità è che del Giulio fondatore dell’eremo non si ebbero più notizie dal momento in cui lasciò l’Incoronata fino al 1593 quando verrà nominato in un capitolo generale della congregazione camaldolese. Durante questo periodo il suo nome non figura negli elenchi ufficiali delle famiglie monastiche, nè verginiane, nè camaldolesi. “La vita di un santo eremita è come un mare sconfinato: a vederlo superficialmente non dice altro che una immensa distesa di acque; a guardarlo attentamente e profondamente, rivela una sorgente inesauribile di osservazioni e di scoperte”.
Forse Giulio lasciò l’Incoronata per ritirarsi in un luogo isolato, non eccessivamente distante dal “suo” eremo, ma quanto bastasse a stare lontano dalla notorietà, legato alla sola fede eremitica in cui realmente credeva. Non è da escludere che costruì una dimora sulle stesse pendici del Partenio, ove ancora oggi esistono i resti di tanti piccoli eremi sconosciuti, e ivi rimase per circa quindici anni, in piena solitudine, sperando di essere presto dimenticato. E’ però probabile che intorno al 1593 fu lo stesso Giulio ad ammalarsi per cui i camaldolesi decidevano che “volendo f. Giulio di Nardò eremita, ritirarsi al nostro loco dell’Incoronata, se li dia il vitto et vestito, sua vita durante mentre in detto loco starà, et che se lasci nell’habito suo, et questo per havere riguardo alle fatiche che ha fatto a detto loco dell’Incoronata”.
Il Giulio che vuole scegliere il ritiro spirituale all’Incoronata ha un abito diverso e non lo si intende affatto fondatore, quanto monaco di altro ordine che ha lavorato per l’Incoronata. Di sicuro ritroviamo un certo fra Giulio dedito alla costruzione del monastero verginiano di Montefalcione. Se il Giulio dell’Incoronata fosse lo stesso che compare a Montevergine, aveva già l’abito verginiano, ma non per entrare, quanto per uscire e ritirarsi all’Incoronata. Del resto, contrariamente alla regola, non esiste nessun documento ufficiale a tal riguardo. In tutti questi anni, grazie alla fervorosa opera monastica dei coronesi, l’Incoronata si era arricchita di suppellettili, ornamenti ecclesiastici, oggetti sacri. Lo stesso Cardinale della famiglia Carafa di S.Angelo, nipote di Paolo IV, per incentivare la missione, aveva donato una rendita annua di 100 tomoli di frumento. In più, Donna Laura, aveva lasciato in eredità 30.000 scudi e il suo palazzo napoletano convertito in ospizio per gli eremiti.
L’Incoranata si era trasformata in un grande monastero. “Chiuso era da mura, e due porte vi davano ingresso: l’interno per istituzione mostravasi sparso di celle con domestici oratorii provveduti di piccoli giardini, ed in distanza dilargavansi i vari uffici del romitorio: quivi la sala delle radunanze, una buona biblioteca, la foresteria, la infermeria, e le analoghe dipendenze fra le quali vasti granai e cantine, ed altre fabbriche di comodità, il tutto secondo i loro statuti e costituzioni eremitiche regolari. Era esso luogo di noviziato per quei del Regno, e vi risiedevano circa trentacinque eremiti. Larga era la sua ospitalità, copiosa l’elemosina, pingui le rendite. La chiesa poi adorna era di quadri pregiatissimi… e tra i più notabili di non piccola dimensione, malgrado alterati dall’umido, sono quelli esprimenti S.Benedetto e S.Romualdo in adorazione, i SS.Magi, il Calvario, e la Pietà, che rappresenta Cristo schiodato e disposto sulle ginocchie dell’Addolarata; quest’ultimo quadro supera gli altri per magistero, vivezza di colorito e nobiltà di espressione, perlocché ha richiamato l’attenzione degli artisti”.
9. ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, Inventarium Bonorius maioris Ecclesie Oppidi Apicij de anno 1547, pag.36 e segg.
10. ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, Inventarium Bonorius maioris Ecclesie Oppidi Apicij de anno 1547, pag.36 e segg.
11. ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, Inventarius Bonorium Stabilius Altar Maioris Parrocchialis et Collegiata in divis Ecclesie Sancte Marie Terre Apicii, pag.36 e segg.
12. ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, Inventarius Bonorium Stabilius Altar Maioris Parrocchialis et Collegiata in divis Ecclesie Sancte Marie Terre Apicii, pag.36 e segg.
13. ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, lettera ai preti di S.Maria di Grazia Di Giorgio, 20.4.1614, Inventarius Bonorium Stabilius Altar Maioris Parrocchialis et Collegiata in divis Ecclesie Sancte Marie Terre Apicii, pag.36 e segg.
14.ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, Inventarius Bonorium Stabilius Altar Maioris Parrocchialis et Collegiata in divis Ecclesie Sancte Marie Terre Apicii, pag.57.
15. ASNA, Fondo Benevento-Corporazioni religiose soppresse, Apice-Chiesa Maggiore, Vol.1, Inventarius Bonorium Stabilius Altar Maioris Parrocchialis et Collegiata in divis Ecclesie Sancte Marie Terre Apicii, pag.36 e segg.
16. Lo scrive Domenico D’Andrea parlando del Convento di San Pietro a Cesarano di Mugnano in Terra di Lavoro (oggi del Cardinale). Così Domenico D’Andrea nel suo libello su San Pietro a Cesarano: Le due principali fonti storiche che parlano del Trabucco sono la Vita che gli dedicò nel 1697, il Padre Paolo D’Ippolito, che apparteneva per l’appunto alla congregazione dei Preti Missionari di San Pietro a Cesarano, e Gianstefano Remondini, nel vol. III (pp.426-429) della sua opera Della nolana ecclesiastica storia (Napoli, 1757)… Padre Michele Trabucco era nato a Napoli il 18 ottobre 1603… La regola dettata dal Trabucco prevedeva, tra l’altro, l’assistenza morale e religiosa alle popolazioni locali,le quali erano state ridotte ad uno stato di povertà e di quasi abbrutimento, in quel triste periodo che per l’Italia Meridionale fu il Vicereame spagnolo. Ma a questa assistenza si univa poi la carità verso gli infermi e soprattutto agli appestati. Per questi ultimi l’assistenza andava “fino all’ultimo respiro” e nella epidemia del 1656, due discepoli del Trabucco, il padre Antonio Canonico e il diacono Giambattista Bianco, furono vittime del morbo. L’abito di questi Padri era quasi l’esatta replica di quello dei Pii Operai di Napoli: una veste talare, dalla quale usciva, intorno al collo, un colletto aperto di raso bianco, colletto che rassomigliava a quello di una comune camicia. Padre Michele Trabucco morì a Mugnano il 15 gennaio 1677. Solenni onoranze funebri gli furono tributate nella chiesetta di San Pietro a Cesarano. Poi le sue spoglie mortali furono composte nella sepoltura del convento.
17. Così Orsini nelle Visite: il parroco procuri di scrivere huomini e donne alla Confraternità di Altavilla, canonicamenente eretta, acciò che possano godere dell’Indulgenze Massime che si recita qui il Santo Rosario quasi cotidianamente. Il giorno 11 Settembre del 1702, scrive Paolo di Caterina nel libro sulla Cappella di Torrioni, durante una santa Visita, l’arcivescovo di Benevento, cardinale Vincenzo Maria Orsini, ispezionando la parrocchia di S. Michele Arcangelo, rileva che a Torriuni non esiste una Confraternità dedita alle orazioni del SS. Rosario, ed emana un decreto a favore della sua costituzione; nelle more, impone che, comunque, il parroco procuri di scrivere huomini e donne alla Confraternità di Altavilla, canonicamenente eretta, acciò che possano godere dell’Indulgenze Massime che si recita qui il Santo Rosario quasi cotidianamente. I torrionesi non lasciano cadere l’invito dell’arcivescovo, anzi, solo pochi anni più tardi, nel 1706, ventisei aspiranti confratelli del SS. Rosario, radunatisi in “Cappella”, sotto la guida spirituale del parroco, già muniti di abiti (sacchi cappucci e cordoni), rappresentano al cardinale Orsini, durante la sua santa Visita a Torrioni, del 24 Luglio, il loro desiderio di vedere istituita, nel paese, una propria Confraternita. Purtroppo, per la vicinanza à Petruro, non potendosi ottenere dal Priore Reverendissimo Eccellente la communicazione delle indulgenze, il Cardinale non ritiene ancora convenevole di eriggere in Confraternità questa Cappella: onde il reverendo Parroco farà i detti fratelli, e le sorelle scrivere al libro della medesima Confraternità in Petruro, acciocché tutti guadagnino le sagre Indulgenze recitando il Santissimo Rosario e frequentando i santissimi esercizij.
E ancora: Nel 1736 quest’Oratorio è ancora in costruzione: i lavori, per la difficoltà nel reperire i fondi tra la popolazione, piuttosto povera, procedevano assai lentamente; infatti, l’allora arcivescovo, cardinale Serafino Cinci, durante la santa Visita al “novo Oratorio ssmi Rosarij”, del Maggio di quell’anno, se loda “ il zelo” del Rettore, “che colla sua direzzione hà fatto ridurre in buon termine quest’oratorio”, al contempo, lo esorta “a non desistere da una si bell’opera, affinché presto si p(er)fezioni”. E così fu; due anni più tardi, nel 1738, il nuovo Oratorio del SS. Rosario è ultimato ed è lo stesso cardinale Cinci ad inaugurarlo e a consacrarne l’altare maggiore, con queste parole: “Lodi al Signore poiché si è degnato (…) di far ridurre a perfez.ne quest’oratorio (…) preghiamo il medesimo per lo mantenim(en)to di esso”. Il nome del Mastro che progettò e diresse i lavori dell’Oratorio non ci è pervenuto dai documenti, ma da un esame dell’impianto plano-altimetrico, che appare tipologicamente semplice ma si rivela poi formalmente complesso, ché fondato sulla geometria del quadrato e delle sue partizioni auree (cfr. disegni), si può avvertire la presenza di un artefice colto che conosce bene, ed usa con gran disinvoltura, le regole classiche del fare architettura… Nel Luglio del 1742, infatti, il cardinale Francesco Landi, rilevando lo stato di degrado in cui già si trovava l’Oratorio, a soli quattro anni dalla sua consacrazione, ordina: che “si faccia la pittura al nicchietto”, che “si serrino li buchi (le lesioni) ne’ pareti”, che “si pongano i vetri mancanti alle vetrate”, che “si ricarcisca il riccio (l’intonaco) esteriore et interiore ne’ pareti”, che “si dia di bianco”, che “si tenghi salariato un Mastro Muratore per li tetti”. Per i confratelli, però, questi imprevisti lavori di manutenzione straordinaria sono davvero irrealizzabili; esausti per i gravosi impegni economici di cui essi si erano fatti carico per l’edificazione dell’Oratorio, non disponevano più, oramai, di nessuna risorsa economica. Permanendo, per molti anni, questo stato di indigenza, l’Oratorio, sempre più umido, freddo e malandato, diventa assolutamente impraticabile; i confratelli sono costretti a disertare le riunioni per gli esercizi spirituali, e continuano ad utilizzare la struttura solo come cimitero. Infatti, non ostante tutto, il numero degli iscritti alla Confraternita cresce continuamente: dalle iniziali 83 unità passa a 107 nel 1744.
18. La manifestazione continuerà anche a metà 1700, quando nel Catasto di Acerra compare il nome dell’Eccellentissimo Signor Don Ferdinando de’ Cardines, cittadino e cavaliere Napoletano [di Napoli], Illustre Signore Conte di questa Città, il quale possedeva territori e massarie a Parmiano, Giardino, Lupara, S.Maria della Selva, Pietra dello Gallo, Molino Vecchio. Erano suoi i comprensori di case a Il Parmolito, La Piazza, il Vescovado, S.Agostino, La Conciaria. Ma molte altre erano le rendite. Pensate che il suo reddito superava le 4000 once. V.Aa.Vv., Acerra nel 1754, Abedizioni.
19. R.Raimondi, Dalle orgini ad oggi, la festa dei quattro altari. Da: La Torre, n.13 del 23.09.1974, Torre del Greco. Scriveva Raffaele Raimondi di Torre del Greco nel secolo scorso che “non sappiamo con precisione quando ebbe luogo, a Napoli, per la prima volta la festa dei Quattro Altari, però tutto ci induce a credere che ciò avvenne proprio al tempo di Don Antonio Alvarez di Toledo duca d’Alba che fu viceré dal 14 dicembre 1622 al 16 agosto 1629. La festa si svolgeva al Largo del Castello (‘o llario ‘o Castello), oggi Piazza Municipio. I Quattro Altari erano serviti da Quattro Ordini religiosi, e cioè dai padri dell’oratorio (in realtà si trattava di congregazione non di ordine), dai domenicani, dai teatini e dai carmelitani… Lo stendardo apparteneva alle Quattro primarie famiglie spagnole, che avevano l’esclusivo diritto di portarlo ed erano le seguenti: Avalosos del Marchese del Vasto; Cardines del Conte della Cerra; Cavanillos; e, Guevara del Duca di Bovino. Notizie circa la festa dei Quattro Altari ce le da’ anche il canonico Carlo Celano (1617-1693): «nella Piazza del Castello vi è un famoso Oratorio, o vogliam dire Congregazione del Santissimo Sacramento, dove stanno scritti e vi si congregano moltissimi divoti nobili nazionali (i nazionali erano gli spagnoli) e nel giovedì che chiude l’ottava del Corpus, fanno una solennissima processione per le strade intorno la chiesa, che veramente è degna d’esser veduta, perché in ogni capo strada vi si fa con bizzarro e nobile teatro un altare ricco di tesori di argenti; e questi sono al numero di quattro; si può dire che questa sia una delle belle feste che si faccia nella nostra città» (C.Celano, Notizie del Bello, dell’Antico e del Curioso della Città di Napoli, Napoli 1692). Finita l’epoca del viceregno (1734), come abbiamo detto per la festa del Corpus Domini, anche sotto i Borboni le tradizioni vennero mantenute. La festa dei Quattro Altari è descritta anche da Sthendhal, al secolo Enrico Beyle (1783-1824), nel suo romanzo Il Rosso e il Nero.”
20. Così Ferdinando Galiani nel De Moneta.
21.Alcuni hanno asserito che Innocento XII fosse nato a Regina, in Calabria, altri a Spinazzola. Un atto del registro parrocchiale di Regina (Cs) così recita: 1626 die Januarii. Ottavio Francesco Giuseppe Antonio Pignatelli, figlio degli illustrissimi Signori Mario e di Maria Faustina Caracciolo, coniugi e Signori di questa terra di Regina, è stato battezzato da me Don Orazio Siciliano, Arciprete e Rettore. Compare fu l’illustrissimo Signor Ottavio Pignatelli juniore insigne congiunto del Signor Mario, e figlio di Ottavio Pignatelli seniore. A margine di questo atto di battesimo, un altro sacerdote annotò, interpretando male il documento: Fu Pontefice con il nome di Innocenzo XII nel 1691. Il Napolillo ha dimostrato che Antonio Pignatelli, nato a Spinazzola (Ba), il 13 marzo 1615, diventò papa con il titolo di Innocenzo XII. Infatti, quando egli era Arcivescovo (card.) di Napoli, fece incidere sul Mausoleo (ipogeo) del Duomo di Napoli, il nome dei suoi genitori, Francesco Pignatelli, marchese di Spinazzola, e Porzia Carafa, principessa di Minervino. In altri termini, il luogo di nascita di Innocenzo XII non fu Regina, né i suoi genitori furono Mario e Maria Faustina Caracciolo.
22. Alfredo Zazo, Benevento e la sua Provincia, da: “Studio per la valorizzazione agricola, lo sviluppo industriale e turistico della provincia di Benevento” a cura del Comune, Provincia, Camera Commercio e Ente per il Turismo di Benevento – Istituto di Rilevazioni Statistiche e di ricerca economica del Prof. Fausto Pitignani – Roma. ABETE – Roma, 1968. Capitolo Benevento Pontificia.
23. ASNA, Archivio dei Tocco, Scritture diverse, Vol.14, Busta 37, Carte di Tocco di Montemiletto, Diversorum, f.10, Memoria d’alcuni fogli del Volumi per de creditori dell’Illustre Marchese d’Apice.
24.ASNA, Scritture diverse, Vol.14, Busta 37, Carte di Tocco di Montemiletto, Scritture diverse, pag.1.
25. ASNA, Scritture diverse, Busta 54, Carte di Tocco di Montemiletto, Diversorum, F.10, fascicoli 1-473, Nota dei beni mobili lasciati nell’heredità del quondam Prencipe d’Acaja D.Antonio Tocco, pag.21.
26.ASNA, Scritture diverse, Vol.8, Busta 31, Carte di Tocco di Montemiletto, Riassunto delle Gratie Supplicate a S.E., pag.41.
27.ASNA, Scritture diverse, Vol.8, Busta 31, Carte di Tocco di Montemiletto, Nota dell?intrata Baronale della Terra d’Apice, pag.41
28. ASNA, Scritture diverse, Vol.8, Busta 31, Carte di Tocco di Montemiletto, Rendite, pag.104 e segg.
29. ASNA, Scritture diverse, Vol.8, Busta 31, Carte di Tocco di Montemiletto, Rendite, pag.186.
30. ASNA, Scritture diverse, Vol.8, Busta 31, Carte di Tocco di Montemiletto, Rendite, pagg.220-222.
31. ASNA, Scritture diverse, Vol.8, Busta 31, Carte di Tocco di Montemiletto, Rendite, pagg.221.
32. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3226, Regio Notaio Antonio Zigarelli del Casale di Valle, anno 1790.
33. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3177, Notaio Salvatore di Leo, anno 1746.
34. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3225, Regio Notaio Antonio Zigarelli del Casale di Valle, anno 1801.
35. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Apice, anno 1742.
36. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Apice, anno 1742. Per la dote di Altavilla Irpina v. ASAV, Notai di Avellino, Altavilla, Busta 7718, fascicolo anno 1576. Per l’esempio col feudatario di Casalbore, v. notaio Busta 4999, fascicolo 16388, f.146, datato 23 marzo, alla 15esima indizione, nel 1587, in Napoli. Per il matrimonio di Benevento, v.Busta 4999, fascio 16388, f.184, anno 1587.
37. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3226, Regio Notaio Antonio Zigarelli del Casale di Valle, anno 1789.
38. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3218, Notaio Rossi di Mercogliano, anno 1780.
39. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Pietrastornina, Notaio Ragucci, Busta 5200, pag.298. Ivi, Busta 5201, pag.42. Ivi, Busta 5204, pag.8. Ivi, Busta 5204, pag.253. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3219, Notaio Rossi di Mercogliano, anno 1785.ASAV, Notai di Avellino, Busta 3218, Notaio Salvatore Jacenna di Mercogliano, anno 1807. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenna di Mercogliano, anno 1786/87.
40. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
41. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
42. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
43. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
44. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
45. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, f.22, anno 1794.
46. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794.
47. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7372, fascio 6679, Notaio Pasquale Leo di Torrioni, anno 1798.
48. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, f.22, anno 1794.
49. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794.
50. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1796.
51. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Busta 4069, Anno 1829. Atti del Notaio Pasquale Leo di Torrioni, atto n.54.
52. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 3562, anno 1841, il matrimonio è al f.22.
53. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 1842, anno 1842.
54. ASAV, Notai di Avellino, notaio Carlo Ciampi di Santa Paolina, anno 1740, riguardante l’impegno di matrimonio. Per l’atto sui territori v.ASAV, Notai di Avellino, Notaio Carlo Ciampi di Santa Paolina, B.5972, fascio relativo all’anno 1739, inserto al f.216.
55. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797.
56. Per il feudatario di Pagliara v. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, vol.7374, anno 1806, fol.64; per l’atto della Marchesa v. vol.7379, Busta 4050. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.63, 1831.
57. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Busta 4050, f.64. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1831.
58. Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794.
59. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7360, Busta 7829, Anno 1757. Atti del Notaio Domenico Leo di Torrioni. Per l’albero genealogico della famiglia di Vito e di altre famiglie di Torrioni si rimanda al testo A.Bascetta, Torrioni nel Regno di Napoli, ABEdizioni, Avellino.
60. Ibidem. Busta 7371, fascicolo 7873, anno 1795.
61. Ibidem. Busta 7371, fascicolo 7873, anno 1795.
62. Ibidem. Busta …., fascicolo 1842, anno 1842, atto n.42.
63. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 1842, anno 1842, atto n.42.
64. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1796.
65. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 3562, anno 1841, il matrimonio è al f.22.
66. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, Notai di Prata, anno 1760, pag.38. Questo è l’unico atto del notaio di Prata collegabile a Torrioni. Nei suoi rogiti si trovano soprattutto documenti riguardanti il bosco di San Martino feodo A.G.P. (pag.22), della contrada di San Giovanni a Morcopio, jurisditione Pheudi A.G.P.; et proprie in Aure Francesco Soricelli dicti Feudi A.G.P. (pag.43), o materiale di notevole interesse sulla Chiesa Arcipretale di S.Agnesa e Margherita della Terra di S.Agnesa e Calvi con riferimento anche ad antichi Istrumenti di Montevergine, nonchè sul Casale di San Giacomo detto A.G.P. (pag.83).
67. ASNA, Catasti Onciari, Toccanisi, Abitanti forestieri [oppure detti] possessori e’stri, Vol.4779. Si fà fede per me sotto croce signato Sabbato Ferraro Sindaco del Castello di Toccanisi qual.te essendosi pratticate tutte le diligenze necessarie a rispetto de’ Fuochi assenti di questa Uni.[versi]tà di Toccanisi, quali ne hanno padri, fratelli, e figli che ne sostenessero qui il peso, facciamo fede come in questo pred.[ett]o Castello si ve ne siano niun modo, ma ben’ sì facciamo fede che le persone forastiere [tali abitanti forestieri sono anche detti possessori e’stri] che possedono beni nel tenimento di d.[ett]o Castello di Toccanisi e sua Giurisdizione sono li seguenti…
68. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, Volume 7361, Notaio Donato Leo, pag.3.
69. ASAV, Protocolli notarili mdi Avellino, B.223, fasc.7993; in seguito cfr.B.227-228, anni 1706/1714, notai di Apice, notaio Onofrio Pappone.
70. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797, f.105.
71. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7351, fascicolo 7894.
72. ASAV, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1821, f.63 et altri. L’atto del Duca Sambiasi e arciprete Majatico è il n.30 al f.14.
73. ASAV, B.3562, notaio Pasquale Leo in Petruro, 3 giugno 1841, atto n.41 del suo protocollo annuale.
74.ASAV, Sentenza Tribunale di P.U., n.1314, Intendenza, busta 384.
75.ASAV, Sentenza Tribunale di P.U., n.1314, Intendenza, busta 384.
76. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7366, fascicolo anno 1780, inserto al f.69.
77. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7366, fascicolo anno 1782, inserto al f.30.
78. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7873, anno 1795.
79. Ibidem. Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797.
80. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, Anno 1797, 6 gennaio 1797. ASAV, Sentenza Tribunale di P.U., n.1314, Intendenza, busta 384. ASAV, Sentenza Tribunale di P.U., n.1314, Intendenza, busta 384, f.2. ASAV, Sentenza Tribunale di P.U., n.1314, Intendenza, busta 384, f. 3. V. A.Bascetta, Torrioni nel 1742. Catasto Onciario, Abedizioni 2001. ASA, Lettera, 26.08.1859 e Lettera del ministro Pietro d’Urso. Ivi, lettera del 03.03.1841. Ivi, lettera del sindaco di Chianca Angelo Pizzella all’intendente il 03.03.1841.
81. Ivi, lettera del 10 settembre 1853.
82. Ivi, lettera del 1857.
83. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794. Cfr. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, Notai di Prata, anno 1760, pag.38. Nei suoi rogiti si trovano soprattutto documenti riguardanti il bosco di San Martino feodo A.G.P. (f.22), della contrada di San Giovanni a Morcopio, jurisditione Pheudi A.G.P.; et proprie in Aure Francesco Soricelli dicti Feudi A.G.P. (f.43), o materiale di notevole interesse sulla Chiesa Arcipretale di S.Agnesa e Margherita della Terra di S.Agnesa e Calvi con riferimento anche ad antichi Istrumenti di Montevergine, nonchè sul Casale di San Giacomo detto A.G.P. (f.83). Cfr. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, Volume 7361, Notaio Donato Leo, pag.3. Cfr. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, B.223, fasc.7993; in seguito cfr.B.227-228, anni 1706/1714, notai di Apice, notaio Onofrio Pappone. Cfr. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797, f.105; ivi, Busta 7351, fascicolo 7894; ivi, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1821, f.63 et altri. L’atto del Duca Sambiasi e arciprete Majatico è il n.30 al f.14. Cfr. ASAV, Notai Avellino, notaio Girolamo Pappone di Apice, Busta 227, anni 1750-52; Ivi, busta 1761, Notai di Pietrelcina, f.51v.
84. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Busta 4034, Anno 1830. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.32.
85. ASAV, Intendenza, Vol.981, Busta 3822, Anno 1832. Atti del Notaio Gaetano Leo di Torrioni.
86. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.981, Busta 3819, Anno 1837. Atti del Notaio Gaetano Leo di Torrioni.
87. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Anno 1848. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.32, 10.02.1848. Torrioni, casa dell’estinto notaio Don Pasquale de Leo.
88. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7712, fascio 170, f.16, il 6 febbraio 1802.
89. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7715, fascio 6736, anno 1793, il 30 gennaio 1793.
90. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7712, fanno 1802, f.17, data 6 febbraio 1802.
91. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol. 7712, anno 1802, f.18, data 6 ottobre 1802.

Postilla

Notaio Donato Leo (1717-post 1752). Probabilmente originari da una antica famiglia di notai di Ostuni, ivi presenti dopo il 1583 col capostipite notaio Donato Antonio Leo, il quale redige un atto del 1608 conservato all’Archivio di Brindisi, i Leo compaiono a Torrioni (Av), sempre con un Donato, ma alla fine del secolo.
I Leo sono infatti presenti nella Provincia di Principato Ultra, e per la precisione nell’abitazione di Sotto La Chiesa in Torrioni, con il primo ceppo settecentesco del magnifico notare Donato Leo di 25 anni il quale abita in casa propria di più stanze a Piedicasale con orto contiguo e confina coi beni della Chiesa.
Donato vive con la madre Orsola Iomminelli (1698), vedova del padre, di cui non conosciamo il nome, dai quali nacque, nel 1717, e, divenuto notaio, si unì poi in matrimonio con Agata Cinnamo, generando il notaio Pasquale nel 1751.
Famiglia che ritorna nel Provvisorio. Non sembra vi sia però un legame diretto con i forestieri di ugual cognome che abitano a Chianca e Toccanisi, di estrazione sociale meno evidente. Infatti, nel Catasto Provvisorio, compaiono: Anna abitante in Chianca con un territorio da 1.05 e Giulio abitante in Toccanisi con un incolto da 0.10.
In verità scompare anche il nome dello stesso figlio del notaio, il notaio Pasquale (1751-1847) forse trasferitosi, ricomparendo il figlio solo dopo la sua morte, quando scrive fra i battezzati Maria Concetta.
Donato, nato nel 1717, studiò quindi e divenne notaio.
Nell’Archivio di Stato di Avellino abbiamo rinvenuto un documento scritto in Torrioni, sebbene riguardi la campana dell’antica chiesa di Santa Maria dell’originaria Venticano, allora luogo dell’Università Comunale di Pietra de Fusi, ex feudo verginiano commissariato dalla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli (AGP), redatto da Donato Leo, esercitante la professione in Torrioni nell’anno 1758. Stiamo parlando del quarantunenne notaio, ancora prima che tramandasse la professione al figlio che all’epoca aveva solo 7 anni.2 Il Ricca lo ricordava ancora operante nel 1752, quando Domenico Giordano divenne Barone di Toccanisi e del casale di Torrioni ed ebbe l’autorizzazione di rinnovare la platea delle rendite di questi feudi con provvisione della Regia Camera della Sommaria del 18 aprile del 1750 che ne ravvisò l’ufficio del capoluogo Montefusco. “Questo Tribunale destinò all’uopo per esperti un notaio del luogo ed il Governatore di Toccanisi, i quali, formato l’inventario di tutti i beni sia feudali che burgensatici, nel 22 ottobre del 1752 ne fecero dal notaio Donato Leo di Castel Torrione stipulare l’istrumento, che fu altresì sottoscritto da esso Barone Domenico Giordano, dal Sindaco e da molti di Toccanisi”.
Notaio Pasquale Leo (1751-1847). Sappiamo che il notaio Donato Leo, sposata Agata Cinnamo, ebbe per figlio un altro notaio, Pasquale (1751), il quale, stando al Catasto Provvisorio, continuò ad abitare in Torrioni, dove possedeva una casetta palazziata di cinque stanze soprane e cinque sottani, oltre a tre terreni. Dalla prima moglie, Colomba Sciarrillo, ebbe Agata (1797-1848) e Domenico (1782-1854); e in seconde nozze sposò Maria Saveria Dente ed ebbe Rachele (1804-1856) e Lucia (1813-1847).
Domenico Leo (1782-1854). Domenico sposò Maria Antonia Petrillo ed ebbe Giuseppe (1830-1860), Filppo Giacomo (1845-62) e Pasquale Filippo (1836).
Pasquale II Filippo (1836-x). Pasqualefilippo II sposò Vincenza Donnarumma e generò Giuseppe nel 1864.
Gaetano Leo (1836-x). Gaetano Leo, di cui non si conosce paternità, sposò Agata Ciampo ed ebbe Emiddio (1822-1849), Feliciana e Donato II.
Notaio Donato II Leo. Donato II, figlio di Gaetano, sposa Maddalena de Guglielmo, dalla quale avrà Maria Concetta (1856), e in seconde nozze (1862) Maria Carmela Donnarumma, dalla quale avrà Filippo Giacomo (1863), il quale dovrebbe essere morto subito, seguito da Giacomo Filippo (1864).
Per la dedica sull’eruzione a pag.1 della prima parte di questi volumi v. ASAV, Fondo Notai di Avellino, Busta 3131 detta del notaio Giovanvincenzo Troisi di Mercogliano, pag.1-20, 4 maggio 1735, il documento riportato, chiamato IML Principium Praticae, è però del notaio Angelus de Guidone Terre Submontis locus e segni §.

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Editorial Review

 

STORIE DI MATRIMONI E PERSONAGGI FRA GLI AVI CON COGNOMI BENEVENTANI

 

Donna Teresa, sposando il Blanchi, non avendo avuto alcun corredo, ne nacquero dei litigi, e di fatti se ne trovano fabricati molti atti su tal assunto nella Regia Dogana di Foggia, ed in Regia Camera.
Pertanto Don Giuseppe, come avendo considerato i parti delle liti, che altri non sogliono produrre che odii, inimicizie, dispendii e non esser ufficio di chi vuol costantemente vivere, il proseguir le cennate liti, tanto più che suddetti congionti, perciò dichiando così, nulli, e di viva rigore gl’atti suddetti, per ovviare non solo a queste già intraprese, ma anco l’altre, che forse in avvenire, et post mortem dello stesso, fra suoij insorger potessero, hà deliberato, stabilito, e conchiuso di lasciar una perpetua pace, e quiete fra esse Donna Vittoria sua figlia, e Donna Teresa sua nipote.
Pertanto si decide di assegnare alla nipote 1250 ducati: 1000 in beni stabili, e poi altri 250 sempre in beni stabili, ma dopo la morte di Don Giuseppe, quale eredità, da considerarsi parte come dote che le doveva spettare e parte come donazione di Rosa Mancini, sua moglie, fatta al figlio morto, padre della ragazza, considerato che non le dovessero spettare se non 600 ducati, giacché il rimanente dovrebbe per legnatico, che spetta a Donna Vittoria sua figlia, ed altri ducati duecento inclusi, che spettar dovrebbero a detto Don Giuseppe per la successione del suo nipote Don Nicola, fu fratello di essa Donna Teresa.
I mille ducati furono intesi in una masseria di fabbrica nel luogo detto Dietro Scarpuzza con suoi territori, oltre quelli di Palude, Gorgoscuro, Ambriaturo, Lavoratorio in tenimento di Casalbore a Costa Cardito, Piano delle Forche, Fontana delle Berdaleje, Serro Pellegrino, Pontillo. Da questi beni se ne deducono i pesi fiscali dovuti alle chiese di Casalbore e Buonalbergo.
Detto ciò, decide che, post mortem, debbano andare, come di vantaggio si è convenuto fra esse parti, che per la divisione de’ mobilii facienda ora, o in qualunque tempo, a comodo di essi costituiti, si debba dare a Donna Teresa, e Don Domenico li seguenti mobili, cioè cinque lenzuola, due matarazze, uno buono, ed un altro più debole, una coltre bianca la migliore, un’altra imbottita, la coltre, e coltrino di seta, il caccavo, una pietra da tener oglio, un scanno di ferro, due forcine, ed un cocchiajo d’argento, due bauli, due boffette, un boffettino, la scanzia, con i libri, che vi sono di legge, cioé Riccio, de Franchij, ed altri se mai ve ne sono anco di Legge, una tina la più grande, una botte cerchiata di ferro, un bottazzo, e un carrato, e tutti l’altri mobili utilizzabili di cucina, di cantina, quadri, sedie, ed altro restano, e vadino a beneficio di essa Donna Vittoria, e Don Michelangelo, essendosi da essi Don Domenico, e Donna Teresa rilasciati, e per compenso della lcoazione, che detto Don Giuseppe hà ceduta a detto Signor de Blanchi, come da istrumento per mano mia.
Torres e Blanchi dovranno poi dividersi il capitale di 505 ducati dopo la morte. Anche perché c’erano da corrispondere gli interessi per prestiti al Duca Coscia al 4,5 % per ducati 700, al Clero per 750 più 100 ducati al 3,5%; altri prestiti ancora dalla Cappella di S.Antonio per il territorio a Canneto e vari ancora, nonché la rata del censo di Fiorino di 0 carlini annui e grani sette; a Don Girolamo Capozzi di S.Croce, a Don Alessandro di Rosa di Benevento, a Don Fennaro Feleppa, ad Antonio Bava o Barra. Si ricordano gli atti sottoscritti dal notaio de Julij di Buonalbergo e di altri che non ricorda a beneficio del pupillo Vincenzo Porcelli, figlio di Don Benedetto, genero di esso Don Michelangelo...