MEMORIE DAL SANNIO

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II. L’Anfiteatro dimenticato

Tacito narra che Nerone, dopo un’esibizione canora in un teatro di Napoli, nel 64 d.C. si recò a Benevento per assistere ai munera gladiatoria organizzati dal suo favorito Vatinio, descritto con toni solamente negativi in un epigramma di Marziale (XV, 96) e in una satira di Giovenale (V, 46). Nel 1985 è stato individuato, in via Munazio Planco, un anfiteatro non lontano dal Ponte Leproso sul quale l’Appia superava il navigabile fiume Sabato per entrare nella città “dove l’avventura di quei «giochi» durò a lungo… Per chi arrivava a Benevento dalla via Appia, l’anfiteatro si vedeva da lontano per i suoi 25 metri di altezza, 160 di lunghezza, 130 di larghezza, con la cavea su arcate a tre ordini per una capienza di 30.000 spettatori.” (cfr. E. Galasso, Amori e gladiatori a Benevento, culturaeculture.it, 7/7/2013)
Nel corso dello scavo iniziale, sono emersi nel tratto di fondazione due contrafforti rettangolari e setti radiali con pilastri di cui si conserva l’impronta sul muro perimetrale. La tecnica è il cosiddetto opus mixtum a filari di blocchetti calcarei (reticulatum) e filari di tegole fratte. “In particolare, la caratteristica dell’ammorsature ad alae, che trova confronti con il teatro piccolo di Pompei e il teatro di Cassino, suggerisce una datazione alla fine del I sec. a. C. e gli inizi del secolo successivo.” (cfr. D. Giampaola, in La romanisation du Samnium, Centre J. Bérard, Napoli, 1991)
Riferita all’Anfiteatro è una epigrafe del secondo secolo d.C., la quale ricorda un sontuoso spettacolo (exornato munere) durato quattro giorni a spese di M Rutilius Macedo, con 4 ferae, 16 ursi, cetera herbaria e 4 esecuzioni capitali (IIII noxei), spettacolo di damnati ad gladium e ad bestias. (cfr. G. Tosi, Gli edifici per spettacoli nell’Italia romana, vol. I, ed. Quasar, Roma, 2003). L’area, colpita ripetutamente da terremoti e inondazioni, fu occupata da nuclei sparsi di sepolture, dopo una radicale spoliazione. “L’abbandono di Cellarulo e dell’anfiteatro appare speculare all’avvio, nel IV-V secolo, di quell’ampio processo di ristrutturazione del centro che si concretò nel dimezzamento circa della superficie urbana e nell’arroccamento collinare a scopo difensivo.” (cfr. Marc. Rotili, Benevento nella tarda antichità, Arte Tipografica ed., Napoli, 2006, p. 63)
Dopo un lungo oblio, i ritrovamenti casuali del 1985 e, poi, del 1995 (muri radiali della cavea e uno degli anulari) furono finalmente accompagnati da scavi sistematici, iniziati nel 1998 e poi abbandonati, di fronte alla penuria di finanziamenti e all’ostacolo rappresentato dalla costruzione sul monumento di immobili e di un tratto ferroviario.
Non hanno prodotto risultati i periodici appelli alle sorde istituzioni da parte di numerose associazioni e cittadini, per salvare dal degrado un anfiteatro promosso tra i luoghi del cuore del Fai e messo in paragone con quello di Capua dal docente universitario Gino Iannace, che ne ha prodotto una ricostruzione virtuale.
A rendere vive le molteplici rappresentazioni nell’anfiteatro di Benevento è il volume “I gladiatori dal Sannio nel Mondo” (edito nel 2004 da Il Sannio quotidiano, con affiancata traduzione in inglese e francese) scritto da Mario Collarile e illustrato da Pompeo Vorrasi: “Anno 64 dopo Cristo. L’anfiteatro è un immenso catino ovale, inondato dalle acque fatte affluire dal fiume Sabato. Le bianche gradinate sono gremite da oltre 30.000 spettatori. Nella tribuna imperiale, tappezzata di velluto rosso e presidiata dai pretoriani, siede sul trono d’avorio il divino imperatore: Nerone. È venuto a Benevento per inaugurare il mausoleo dei gladiatori in onore della scuola gladiatoria tra le più famose del mondo conosciuto, alla quale da ogni dove vengono gladiatori per perfezionarsi… Nerone è interessato al combattimento all’ultimo sangue che dovrà sostenere Filemazione, un gladiatore germanico di Colonia, di trent’anni, appartenente al Ludus Magnus Caesaris, la scuola gladiatoria imperiale… Nell’arena allagata vi sono due navi brulicanti di gladiatori che tra poco daranno vita ad una battaglia navale.” Il biondo gladiatore Filemazio, ucciso nell’anfiteatro beneventano nel corso del suo quindicesimo combattimento, condivide col collega Purpurio l’epigrafe esposta al Museo del Sannio, in cui la moglie Aura Afrodite lo ricorda come marito dolcissimo (E. Galasso). Un altro reperto legato all’Anfiteatro, ancora oggi confuso con il Teatro romano, è una moneta di Tiberio datata 23 d.C., conservata dalla Soprintendenza.
La riscoperta dell’anfiteatro di Benevento è collegata alla restituzione alla città del Parco archeologico di Cellarulo, chiuso poco dopo la sua apertura per carente sistemazione idrogeologica…

Description

indice

I. L’Obelisco conteso
II. L’Anfiteatro dimenticato
III. L’Arcus Traiani di Bartoli
IV. Antichi orologi
V. Un mandala in un pluteo
VI. Historia di Paolo
VII. Il Campanile e la statua del Re
VIII. Scoperto il proprietario di Santa Sofia
IX. Una battaglia da scavare e il Verde ritrovato
X. I fiumi d’Isabella

XI. Guardie svizzere alla Rocca
XII. Le fontane di Città
XIII.Tra le edicole votive
XIV. Pioggia di polvere dal Vesuvio
XV. Cecchetella masaniello beneventano
XVI. Le corde armoniche
XVII. Il Manoscritto di Potocki
XVIII. Vanvitelli e un sindaco birbante
XIX. Vita difficile degli Alberi della Libertà
XX. Divieti in tempo di notte

XXI. Il governatore Louis de Beer
XXII. Un sonetto di Shelley e il triregno sottratto
XXIII. La rivoluzione gentile del 1855
XXIV. Navigazione aerea nel Sannio
XXV. Un passato che viaggia verso il presente
XXVI. Silvia Pisacane e la Banda del Matese
XXVII. Ermete Novelli al Teatro Comunale
XXVIII. Il Benevento già esisteva nel 1927
XXIX. L’esilio di Frediano Frediani
XXX. Il Re di Svezia nella Città delle battaglie
XXXI. Luigi Malerba e i due San Gerardo
XXXII. Donne e clero al Parlamento
XXXIII. Tour del brivido in 10 tappe

 

PREFAZIONE

Benevento ha avuto numerosi cultori di storia patria, i quali, a vario livello, hanno avviato ricerche e dato alle stampe numerose pubblicazioni storiografiche. In questo panorama, abbastanza variegato, Rito Martignetti occupa un posto singolare. In quella dicotomia, per molti versi non più attuale, tra ricercatori e divulgatori, il nostro si colloca decisamente altrove. Per lui bisognerebbe inventare la categoria del lettore erudito che sa trasformare in saggistica critica la gran messe di materiale che la storia ci consegna attraverso documentazioni sia edite sia inedite. In una storia, quella beneventana, per larga parte più che nota, l’autore, con il suo metodo, riesce a illuminare soprattutto angoli spesso rimasti in ombra e che, al contrario, nella giusta valorizzazione, possono fornire più di uno spunto non solo di conoscenza storica ma anche di pratica operatività culturale.
C’è da dire che occuparsi di storia beneventana non è mai lavoro facile. Gran parte della storiografia beneventana è stata costruita tra XVI e XVII secolo, quando l’iperbole narrativa metteva a dura prova la credibilità dei fatti. Fonti utilizzate con estrema disinvoltura, mitologie storiografiche tese ad esaltare troppi primati, hanno creato un numero esagerato di falsi miti che, soprattutto a livello popolare, continuano ad aver presa sugli appassionati di storia locale. Purtroppo è poi mancata una storiografia posteriore, complice anche la scomparsa di troppi archivi, all’altezza del compito di emendare il disegno storiografico beneventano dalle molte incrostazioni leggendarie. Così, da San Gennaro alle streghe, passando per cinghiali, tori e altri animali, per arrivare a improbabili costrutti socio-economici quali il primato della nobiltà locale e il disinvolto uso dell’usura, la storia locale si aggira ancora tra le nebbie di orizzonti senza bussola.
La scelta di Martignetti, di privilegiare l’aneddoto o la singolarità, può condurre a riproporre una visione parziale della storia beneventana, ed è un rischio concreto. Un rischio che l’autore supera con la precisione delle citazioni, ma anche con la critica analisi delle stesse. Ne scaturiscono saggi brevi e concentrati, ma di notevole affidabilità e di facile lettura.
Anche questo libro, il terzo della serie, dopo “Arie da baule” e “Ritratti beneventani”, è quindi una raccolta di argomenti vari. Una raccolta che ci consegna un libro che si legge senza sforzo, data la sapiente sinteticità dell’esposizione e la varietà degli argomenti trattati. In genere i temi affrontati sono molto puntuali, e circoscritti, ma spalmati su tutto l’arco temporale della storia beneventana. L’autore non si dà limiti temporali, quasi sempre prerogativa degli storici “di professione”, ma solo territoriali. Tutto ciò che rientra nel perimetro beneventano (perimetro non solo geografico ma esteso al concetto culturale più ampio) diviene oggetto di lettura critica e di analisi storiografica.
Già a scorrere l’indice si può avere un’idea della varietà cospicua degli argomenti trattati. In alcuni casi si tratta di precisare un dato errato della storiografia “ufficiale”, ma, il più delle volte, i saggi sono concrete proposte di sfruttare la storia per creare valori aggiunti alla dimensione culturale, ma anche turistica ed economica, della città.
In questo Rito Martignetti rimane insuperabile. Si direbbe che il suo vero talento sia di trarre dalla storia locale inediti progetti di valorizzazione del territorio. Progetti di cui non si finisce di avvertire la necessità. Basta chiedersi come mai una città, con un tale passato come Benevento, sia sempre sul confine dell’ignoto. Evidentemente, tranne qualche eccezione, nessuno ha saputo finora valorizzare il nostro maggior tesoro: la storia. Per questo il consiglio è sì di leggere tutta la trilogia di Rito Martignetti per il piacere di sapere cose nuove, ma di valutarla soprattutto come un grande atlante progettuale sulle potenzialità future della città.

Francesco Morante

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Editorial Review

 

XXXIII. Tour del brivido in 10 tappe Guida semiseria ai fantasmi nostrani

Andando a caccia di streghe, sul periodico SETTE n. 31 del 4 agosto 1994, Gianna Schelotto proponeva un week end d’Autore a Benevento: “una città di grandi bellezze ma di fama sinistra e non solo per le streghe. Tutti a scuola hanno studiato che si chiamava originariamente Maleventum; il nome, che ai romani suonava malaugurante, fu cambiato in Beneventum dopo la vittoria su Pirro. E qui veniva adorata Iside, la misteriosa dea egizia”. Non solo streghe, dunque, nella città del Noce magico, ma anche fantasmi, per esempio! Quelli sorpresi e raccontati “sotto altra veste” dallo storico Alfredo Zazo allo scrittore Guido Piovene, che negli anni Cinquanta dello scorso secolo li annotava nel suo famoso “Viaggio in Italia”.
Nel 2007, per la collana Nero Pironti la giornalista Annamaria Ghedina ha pubblicato un “Dizionario (internazionale) dei Fantasmi, dalla A alla Z” che, alla voce di pagina 83 “Monaco del Museo: Benevento”, conferma gli spettri citati da Piovene. Sul MESSAGGIO d’oggi n. 26 del 10/17 luglio 2014, Lorenzo Vessichelli accompagnò i lettori in un approfondito viaggio tra i fantasmi, non solo cittadini. Quello che qui si vuole proporre è un articolato Tour del brivido per le strade di Benevento, ad uso di guide e turisti coraggiosi....