Edizione cartonata NAPOLI VINTAGE: Case e Chiese di San Carlo all’Arena n.1 (EDIZIONE LUSSO CARTONATA)

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Copertina posteriore

il regno francese diviso con gli spagnoli

Intrecci che focalizzano l’attenzione post-rinascimentale fra Napoli e Firenze e giustificano il tentativo di progresso, spesso goffo e ignorante, dei nobili locali, arenatosi fra vezzi e civetterie provinciali. E’ il caso del Principe Sanseverino di Salerno, il quale — persa la guerra contro gli Spagnoli quando stava dalla parte dei Francesi e, avuta la peggio contro i Francesi, quando stava dalla parte degli Spagnoli —, si dette all’alchimia producento l’Accademia dei Segreti. Ma fu così poco segreta, l’esistenza di questa società, spuntata in combutta col Ruscelli, che la sua fondazione venne a conoscenza da tutti. In realtà l’unico mistero che regge a tutt’oggi è sull’ubicazione della sede.
In fondo, quella che si chiude, è anche l’era di un rinnovato spirito letterario di nobili che si atteggiano a intellettuali e che, nella sostanza, nascondono l’amore per il corpo o per il fanatismo dell’animo (e non solo religioso). Così Vittoria Colonna, che rivelerà il suo interesse per l’adulterio femminile; così Luigi Tanzillo, che rinnegherà la guerra di religione, tutto preso a cantare le lodi del Vicerè di turno, imbarcandosi sulle galere spedite contro i Turchi, pur di restare a corte. Sambra salvarsi Roberto Maranta, il quale, disquisendo su leggi e casi criminali, mostra il vero volto della mancata rivoluzione sociale.
E’ lo specchio del fallimento della politica di Filippo II Re di Spagna, canzonato nel Don Chisciotte e sconfitto, ancora una volta, dal protestantesimo della Regina d’Inghilterra e dall’idea di reintrodurre la Santa Inquisizione. Anche il Principe fratellastro, Don Giovanni d’Austria, animato da giovanil furore nella Battaglia di Lepanto, alla fine preferì il potere di un governo alla “fatica” di continuare nella deposizione dei Vicerè.
Nè i primordiali tentativi di Re Morcone e Tommaso Campanella potranno minare l’autorità del più grande amministratore statale del tempo, il cardinale Granvelle — conoscitore di sette lingue e mille sotterfugi —, sebbene una vera rivolta, per la finta carestia della farina, convinse gli Spagnoli che a Napoli, la miccia della sommossa, è sempre accesa.
Al soffocamento del Rinascimento aragonese, che impedì alle popolazioni del Regno di progredire, si unì la politica della Chiesa che ritardò i progressi del secolo delle scoperte, costringendo gli intellettuali a diventare paggi e i ricercatori a guardar le stelle. Un ulteriore impoverimento del corpo e dello spirito che, toccato il fondo, portò naturaliter alla rivolta della parola e all’invenzione del cannocchiale.

La Redazione

Description

presentazione

DISSERTAZIONI SU NAPOLI RETRO’

Presentare un testo storico editato da ABE è sempre una emozione. Colpisce innanzitutto la ricerca certosina delle fonti, le più svariate e miracolosamente rinvenute dalla pazienza infinita. Si sa. La storia è ricerca, continua e costante. E quella di Cuttrera è una vera e propria indagine, attenta e scrupolosa, dei fatti e degli avvenimenti storici, analizzati in modo diligente, esaminati con quella curiosità che è la base per conseguire risultati fecondi e fruttuosi.
Tale tipo di ricerca, affrontata con grande cura e impegno, è caratteristica precipua del Nostro. Il suo è un vero e proprio scandaglio tra le numerosissime fonti esistenti nei luoghi più impensati che la sua sagacia riesce a scoprire, perchè guidato da un fiuto storico invidiabile e che sbircia nei cunicoli degli archivi e delle biblioteche delle varie città d’Italia e dell’Europa, testimonianze spesso sfuggite anche a storici di professione.
Cuttrera, in tutti i suoi scritti storici, è il primo ad assaporare la vera cognizione della storia per trarne un nuovo sapore e trasmetterlo in tutta la sua intensità ai lettori. Le azioni, i fatti, gli eventi sono dei veri ritratti che evidenziano una visione della storia precisa e attuale. Tratta il tutto senza alcuna pietà. Senza alcun falso moralismo. La sua storia è come una ventata di aria fresca, aperta, quasi violenta. Attira e sconvolge.
Tutto ciò si coglie in questo brillante volumetto dall’emblematico titolo. Un caleidoscopio di persone e fatti, non facilmente rinvenibili in storie di “spessore”. Troviamo innanzitutto notizie precise e documentatate, insieme a quelle sull’intero Mezzogiorno d’Italia e di Napoli in particolare, su luoghi, vicissitudini e fatti.
Il libro pone in rilievo, con onestà intellettuale e scavo delle fonti, interrogate sui loro più terribili segreti, tirando fuori fatti e personaggi da altri abbandonati all’incuria del tempo, all’oscurità, se non proprio alla morta gora, la palude dell’Inferno. Fatti, avvenimenti, personaggi trattati in modo chiaro e, a volte, con linguaggio aulico, derivante direttamente dall’opera originale consultata, sia nei loro pregi che nei loro difetti, sia nelle loro ragioni che nei loro torti, sia negli atti di valore che in quelli meschini.
Sfilano dinanzi ai nostri occhi vicerè, conti, baroni, marchesi, nobili cardinali che fanno il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei sudditi, dei più deboli e miseri della società. E nello stesso tempo ribellioni eroiche del popolo oppresso dalle angherie, dalle ingiustizie e dallo sfruttamento feroce che riducevano la gente alla miseria e alla fame.
Assistiamo sbalorditi alla furia popolare, finire in immensa tragedia, di contro all’ottusità di chi è al potere.
Cuttrera stigmatizza con forza la crassa ignoranza e l’incultura dei nobili che, oltre ad essere analfabeti, sapevano poco dei grandissimi intellettuali contemporanei. Molte sono le osservazioni acute e criticamente apprezzabili (da far proprie senza alcuno indugio), sulle cause dei drammi nelle nostre zone del tanto tormentato Seicento, da parte di un risoluto Sabato Cuttrera – al quale va un incondizionato plauso – come pure è da sposare il giudizio, a volte severo, su uomini, avvenimenti e fatti di tal secolo.
E’ un altro spaccato, senza alcuna pretesa, della miscellanea su Napoli verso cui intendiamo lavorare per qualche anno, con un affiatato gruppo di studio, dal preside Virgilio Iandiorio al professore Pellegrino Caruso. L’idea è quella di accrescere lo studio, inserendovi il maggior numero di traduzioni inedite.
Questo volume, dedicato alle chiese napoletane fra Seicento e Settecento, più corposo e completo rispetto a quelli delle epoche precedenti, chiude le porte al secolo del Rinascimento e preannuncia l’edizione di questa nuova collana maggiormente curata. Con essa abbiamo voluto ricordare personaggi “minori” di nuova e vecchia conoscenza: i Gonzaga di Mantova, giunti nel Sud per scalzare i Sanseverino, e i de Guevara, attenti a salvare le Terre con capitolazioni feudali “moderne”, benchè lontane dal concetto di statuto comunale. Non mancheranno al lettore figure aristocratiche, come la Gran Duchessa di Toscana, Eleonora Alvarez di Toledo, figlia del Vicerè di Napoli e sposa di Cosimo I de’ Medici, la quale preferì acquistare Palazzo Pitti, piuttosto che vivere altrove.

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

 

 

TUTTO PARTE dai VERGINI DI CASAMARE

«Tra la Riviera di Chiaja e Toledo s'alza rivale la bella strada di Foria. Fate che se ne compia in tutto la decorazione, abbattendo qualche casetta, spianando il solajo, ed attendendo alle botteghe, a'fanali, a'marciapiedi; e forse se non prima, sarà seconda fra le più belle contrade della città. Certamente in nessun'altra si trova tanto spazio ed aria, e tanta commodità da aprir mercati, far feste ed esercizi militari, e cento altre cose. È necessario solo, voglio replicare, che qui si volga ed operi alquanto l'amministrazione del Comune.
Questa strada, la più larga di tutte, dall'angolo del r. Museo sino al termine dell'Albergo de'poveri è lunga un miglio e un settimo, dove si lega all'amenissima via del Campo.
Se non che non corre sempre in linea diritta, come quello che si contorce con leggier senso verso Porta s.Gennaro, e Porta Costantinopoli, da un lato; e dall'altro, da s.Carlo all'arena sino all'imboccatura dei Vergini. Con pochi maestrevoli tagli, a destra e a manca, sarebbe tutto rettificato, e discreto il dispendio.
La varietà de'nomi che nella sua lunghezza assume deriva dalle fabbriche che in vari tempi vi si son fatte: solamente da'pini annosi che ingombravano ab antico lo spazio fuori porta s.Gennaro, e che furono segati nel 1730, il luogo si chiamava e si chiama il largo delle Pigne.
Da porta Costantinopoli in su la strada si dice de'regi Studi; giù da porta s.Gennaro sino all'angolo di Pontenuovo, si appella di s.Carlo all'Arena; quindi di Foria; e da ultimo di s. Antonio Abbate e di s.Giovanniello; e ne intendete bene il perchè. Foria è una corruzione di Forino, titolo principesco del feudo di casa Caracciolo, la quale nel XVII secolo edificò in questa contrada un palagio con bellissimi giardini, dei quali ne avanza un solo, dove la maestranza napolitana suole ancora le feste pigliar diletto del giuoco delle palle.
Tutta la strada, come di leggieri potete ravvisare, era una volta l'antico pomerio oltre il muro settentrionale, dopo l'ampliazione aragonese e spagnuola. Ma non pensate che da qui a' colli fosse stato deserto: vi dico invece che i subborghi di questa regione hanno origine più remota di tutti gli altri; e gli Eumelidi che dettero nome al prossimo vallo della Sanità fanno argomentare che il luogo fosse abitato sin da' tempi che la nostra città si chiamava Palepoli. Ciò pure dimostra la dimora che presso i Vergini avean preso gli Eunostidi; i quali erano una fratria, una congregazione di uomini del paganesimo. La qual dimora, divinata dal gravissimo Martorelli in quell'opera stupenda della Theca calamaria, fu certificata dal fatto che di quella gente si trovarono le case per un cavamento operato presso la parrocchia de'Vergini nell'anno 1787.
...........................A tal ritrovamento sa............................a nostra memoria col nome di villa dei pezzenti, come la chiamò per derisione l'illustre e dovizioso volgo che abitava Chiaja e Toledo.
A tempi nostri abbiamo veduto condurre la strada a questo stato di decoro, e non guari andrà che vedremo adeguate al suolo le porte di s. Gennaro e di Costantinopoli con tutte le casucce che sonvi addossate; e ciò quantunque con infinita amarezza di chi coi monumenti della sua terra natale vede sparire man mano la storia parlante della sua civiltà.
Che n'è dell'unico a fresco che avanzava di quelli figuranti la maggior pestilenza del secento, lavorati su tutte le porte di Napoli dal cavalier Calabrese, per isconto della pena di morte, alla qual fu condannato per un omicidio che fece rientrando da Roma in regno?
Offeso non meno dal tempo, che dalla negligenza di qua – lunque cura è presso a perire su la porta di s. Gennaro, come son periti quelli su tutte le altre porte, dove si è lasciato a possidenti delle casipole attigue, che allargando alcuna terrazza ci facessero intonachi e biancheggiamenti. Perchè l'ingegnere ha diroccato i merli delle torri di Ferrante I, al termine della murazione aragonese?
E che male a lui facevano?
E perchè non a quella uniformava la sua architettura, che sarebbe stata opera lodatissima da tutte le genti, e durevole nella lode per purità e bellezza di stile?
E dove sta più un pezzo, un frammento del parete che Carlo V addossava al muro ferrantino, per protrarlo a circuire i nuovi limiti della città?
Sembra che il torrente che scende dalle colline nelle grosse piogge degli equinozi, e che allaga in tutta la sua larghezza questa amplissima strada, precipitandosipel vallo di Pontescuro nel letto dell'arenaccia, con tutto che avesse in molti tempi guasta e dirotta la contrada, scavando pure talvolta i fondamenti delle case; sembra che avesse voluto rispettare i monumenti della nostra storia, che la mano di certi professori e maestri d'arte non sapendo altrimenti conservare, bestialmente distrugge».64
Una succinta giornata su via Foria la trascorse sicuramente il Galante, il quale, contrariamente agli altri viaggiatori, descrive i luoghi della strada partendo da Porta S.Gennaro.
«Porta S. Gennaro fino al sec. XVI fu presso la chiesa del Gesù delle Monache e quindi a poca distanza dal vicolo Limoncello ove è la chiesuola di S.Gennaro Spogliamorti, siccome accennammo altrove. Presso questo tempietto era l'altro detto S. Maria de Vergini, del quale nel 1607 demolita la vôlta, si formò la sagrestia ed il vestibolo colle camere superiori della chiesuola suddetta di S. Gennaro. Or tutto quello spazio che è da fuori Porta S. Gennaro fino all'Arena della Sanità prese nome dalla detta chiesuola di S.Maria de' Vergini, e la borgata che di mano in mano ne nacque si disse de' Vergini, e la nuova chiesa , oggi parrocchia, prese il titolo da quell'antica cappella distrutta.
Questa nostra congettura ci pare più probabile delle tante erudite opinioni de' nostri sul nome de Vergini.
La strada poi di Foria prese questo nome, perchè restava fuori le mura della città.
Su S. Maria della Misericordia, detta Misericordiella egli aggiunge che «la sua origine è incerta, vi è memoria però che vi fosse dappresso un cenobietto di suore benedettine, che ne aveano cura. Nel 1533 S. Gaetano Tiene col B. Giovanni Marinoni ed altri Teatini furono da Gianpietro Carafa spediti in Napoli per fondarvi una casa del loro Ordine, e la si ebbero in dono in questo luogo da Giovannantonio Caracciolo, S. Gaetano ne fu eletto Preposto, e i complateari cedettero ai Padri questa contigua chiesa; ma la lasciarono nel seguente anno 1534 per recarsi ad abitare nella casa data loro da Maria Longo presso gl'Incurabili, ora le Trentatrè. Il Tiene vi avea istituita una congrega di nobili sotto il titolo della Vergine della Misericordia, i quali nel 1585 vi fondarono dappresso un ospedale pe'sacerdoti, che vi è tuttora, e vi si ricevono pure per tre giorni i sacerdoti pellegrini. Ma l'antica edicola fu sepolta da un' alluvione, e poi rifatta per modo che la stanza ove abitava S. Gaetano, che era sulla chiesa antica, oggi fa da sagrestia alla nuova; la quale nel 1806 pel famoso tremuoto di Santa Anna fu notabilmente guasta, e venne tosto restaurata dalla congrega. Nella navata si osservano i quadri di S. Anna, la sacra Famiglia, S. Gaetano, il Natale, S. Antonio e un Crocefisso d'ignoti autori; ai pilastri presso il presbiterio sono le tombe di Gennaro Mascabruni (1711), e Domenico de Liguori (1752). Nella tribuna ai laterali la sacra Famiglia, e il Battesimo di Cristo d'ignoti; sull'altare poi è un bellissimo quadro, antica pittura che sembra stile del Roderigo; dinota nell'alto Cristo che tra Maria e il Battista vuole irato scagliar fulmini, ma è rattenuto a riflesso del suo corpo eucaristico adorato dagli angioli in mezzo del quadro, e in giù sono i santi dottori. Nel Rituale del nostro arcivescovo Giovanni Orsini (che sedè dal 1328-1359) questa via de Vergini dicesi via di S.Antonio, ciò fa presupporre l'esistenza di questa chiesa al secolo XIV, primamente dedicata a S.Antonio di Padova, ora S.Maria succurre miseris. Eravi anticamente una ricca grancia de’ monaci di Casamari, poscia divenne Commenda; abbandonata e cadente fu ripristinata col titolo di S. Maria Succurre Miseris nel 1613 dalle nobili dame la principessa di Stigliano, la marchesa di Brancigliano, Maria Caracciolo, e Dorotea del Tufo, che comprata altresì la contigua casa Marzano vi fondarono un Ritiro di pentite nel 1616 sotto l'abito francescano, poscia vi si racchiusero oneste donzelle. La chiesa fu'rifatta al secolo scorso dal Sanfelice a spese di Vincenzo Magnati, vi sono tre ottimi quadri, l'Epifania, S. Gennaro, e la Purità co' Ss. Gaetano e Andrea Avellino».
Nel 1326 i Napoletani del rione di Porta San Gennaro eressero in questo luogo un ospedale con chiesa sotto il titolo di S. Maria del Borgo dei Vergini, che nel 1334 fu ceduto per monastero ai frati Crociferi di S.Cleto (diversi da Pp. Ministri degli Infermi) che in Napoli diceansi i Turchini dall'abito cilestre. Soppresso quest'ordine da Papa Alessandro VII per lo scarso numero di componenti, lo stesso pontefice nel 1653, su richiesta del cardinale Filomarino, trasferì in questa chiesa la cura parrocchiale dalla contigua chiesa della Misericordiella, cosicché il monastero e ogni suo censo furono del seminario arcive................................be pensiero di fondare un monastero di donne civili, e all'uopo delegò per testamento la pinguissima sua eredità di scudi cinquecentomila. Gli esecutori testamentari comprarono questo luogo dalla Camera Apostolica per scudi 18000 (col quale denaro fu rifatto il palazzo della Nunziatura), e nel 1662 fu principiata la fabbrica di questo monastero che si compì nel 1675, con disegno e direzione di Francesco Picchiatti, e la chiesa prese il titolo di S.Maria della Provvidenza; ne fu prima abatessa Maria Agnese Caracciolo sorella del card. Innico, già, monaca della Trinità, e fu adottata la regola fracescana. Espulse le monache nel decennio francese, fu traslocata da Aversa in questo locale una Casa d'Educazione feminea detta Casa Carolina, di cui nel 1829 assunse la direzione la regina Isabella Borbone, da cui l'Educandato ha preso il nome. Osserviamo la chiesa. I freschi nel vestibolo son forse del Benasca e dinotano nella vôlta S. Francesco che riceve le stimate, S. Chiara e S. Agnese da Montepulciano, ai lati della porta i Ss. Antonio e Bonaventura, alle pareti laterali i martiri francescani Gorgomiesi e Giapponesi. In chiesa poi son tutte pitture di Andrea Malinconico, meno due, che noteremo: la Vergine col Bambino , la morte di lei, gli Apostoli intorno al vuoto sepolcro e la sua assunzione nella vôlta; i Ss. Pietro e Paolo presso la porta; gli Evangelisti e i Dottori presso gli organi; nella prima cappella a dritta entrando la tela dell'Immacolata co' Ss. Gennaro, Nicola e i due Giovanni, ai laterali i Ss. Gaetano Tiene ed Elisabetta d'Ungheria, e i Ss. Benedetto, Brunone e Antonio di Padova, e sull'ingresso la Giustizia e la Spe. ranza; nella seconda la tela de' Ss. Antonio, Bonaventura, Ludovico, Domenico e Gaetano, a' laterali i Ss. Francesco e Chiara, e S. Giovanni da Capistrano, sull'ingresso le Ss. Marie Maddalena ed Egiziaca; nella prima a manca la tela delle Stimate di S. Francesco, ai laterali i Ss. Francesco di Paola e Giovanni della Croce, e S. Anna, sull'ingresso la Fede e la Chiesa; nella seconda è l'antica imagine di S. Maria de Miracoli, a’laterali la Nunziata e la Pietà. Cappellone a manca, la tela dell'Immacolata colle Ss. Caterina, Chiara, Agnese ed Elisabetta d'Ungheria del Giordano, in su l'Eterno Padre, ai laterali le Ss. Apollonia e Margherita , alle pareti il Rosario le Ss. Anastasia e Agnese da Montepulciano, sul coretto la Presentazione. Cappellone a dritta, la tela di S. Michele, e in su la Vergine, a’ laterali le Ss. Lucia ed Agata, alle pareti le Ss. Orsola e Cecilia, sul coretto lo Sposalizio. Presbilerio: la tela della Trinità colla Vergine e S. Giuseppe e giù alcune suore francescane e le anime purganti è d'Andrea Vaccaro, a’laterali Abramo che adora i tre angioli e il sacrifizio d'Isacco. Il disegno dell'altare maggiore, de' cappelloni e delle pile deli’acqua benedetta è di Domenico Vinaccia, eseguito da’ fratelli Ghetti, gli organi d’Andrea Basso. In sagrestia son tre buoni quadri, la Vergine co’Ss. Domenico e Alessio, il profeta Eliseo, e S. Carlo».
Della chiesa dedicata ai Ss. Giuseppe e Teresa dice che «è un conservatorio sul principio della via che conduce alla Specola. Era una casa di convalescenza dell'ospedale Incurabili, da cui la comprò il pio e dotto canonico Sparano, destinandola a monastero di suore Teresiane , e vi eresse il tempietto sacro a S. Giuseppe e S. Teresa; dismesse le quali nel Decennio, il zelante P. Matteo Capano verso il 1822 vi fondò con elemosine raccolte da' Napolitani il presente conservatorio sotto gli auspici di Maria Addolorata».
Infine dice che «sulla strada Arena della Sanità e sue adiacenze notiamo S. Maria Antesecula, monastero di suore Teresiane. Abbiamo già narrato come Pier Leone Sicola gran protonotario di Carlo I avesse fondata nella regione, che da lui si disse a S. Pietro ovvero ai Caserta, l'edicola col conservatorio di S. Maria a Sicola; or nel 1722 le suore per l'aria di quel quartiere poco salubre passarono a fondare un nuovo monastero in questo luogo con la chiesa sacra alla Vergine, mutando il nome gentilizio di Sicola in quello di Antesecula , alludendo alla Vergine a cui la chiesa applica quel dell'Ecclesiastico: Ab initio et ante saecula creata sum. Dicemmo pure come Carlo 1 avesse assegnato per rendita all'antico conservatorio l'introito sulla gabella della neve, ma questo inancato, il primiero orfanotrofio si mutò in monastero di Teresiane. In chiesa il quadro della Vergine co’Ss. Aspreno postro primo vescovo e Agnello Abate è di Nicola Loket (1655). 2° Il Crocefisso. Ritiro di suore francescane con la chiesa eretta nel 1849 da Francesco Volpicella, con disegno dell'architetto Dura. Vi sono due pregevoli tele di S. Francesco d'Assisi e S. Gregorio Taumaturgo d'ignoto pennello antico. 3° La Maddalena. È un Ritiro di pentite fondato da Ferdinando II; la tela della Santa Titolare è di Michele di Napoli. 4° L'Addolorata e Sacra Famiglia. È un altro Ritiro d'orfane popolari fondato nel 1812 da Domenico Coppola e dal Parroco Stellati sotto le regole di S. Filippo Benizi: vi si contano una ventina di suore, e un trenta giovanette. 5° Anche un altro Ritiro di S. Maria del Paradiso e S. Antonio di Padova, fondato nel 1810 dal Padre Antonio Jannone sotto la regola del terzo ordine di S. Francesco. Queste suore hanno cura d'ammaestrare le orfane ivi racchiuse , le quali ascendono oltre a quaranta. 6° All'angolo del vicolo Lammatari è una velustissima edicola, che fu fondata nel secolo V dal nostro vescovo S. Vittore e dedicata a S. Eufemia Vergine e Martire: in essa fu sepolto il suddetto S. Vittore, e forse tutora giace quivi il suo corpo incognito; ma dell'antico niente afatto più resta. Allo scorcio del secolo XVI Giulio de Angrisanis la risece e dotò, e ne ebbe il patronato da Gregorio XIII; poscia ne è passato il dritto».
Il viaggio a scendere, da Capodimonte, Montagnola, S.Maria degli Angeli e S.Antonio, nel 1644, lo fece Ottavio Beltrano.
«E ritornando al nostro raggionamento,dico, che dopo la Conocchia fegue Capo di monte, oue sono bellissime possessioni, e giardini de Napolitani.
Appresso Capo di monte, segue la Montagnola, ov'è posta la Chiesa di Santa Maria degli Angeli de' Frati Zoccolanti. Et indi poco lungi si scorge la Chiesa di Sant'Antonio Abbate, nella qual'è un bel giardino con un palazzo, ove anco è un'hospedale per quelli che patiscono di male di fuoco.
Quivi è una strada detta anticamente la Cupa di Sant'Antonio, la quale prima era molto difficile, e guasta,e quasi ricetto di malandrini: dopo fu per ordine di Don Pietro Girone all'hora Vicerè del Regno rifarcita, e mutato 'l nome, non più Cupa, ma la strada Cueva, Girona s'addirnanda, come tutto ciò nota l'Epitaffio in marmo; qual si fcorge nella strada predetta».
Lo stesso Beltrano, nel continuare il percorso, volta per sant'Eusebio, detto communemente Sant'Eufemio, e per S.Maria delli monti, Capo de Chio e San Giuliano.
«Dall'altra parte di detta Montagnola in un luogo alquanto baffo è posta l'antica Chiesa dedicata à Santo Eufemio, uno de' Padroni della Città di Napoli, ove vi stanno i Frati Franciscani Capuccini. Non molto distante dal detto luogo de' Padri Capuccini, se ritrova un'altra divota Chiesa dedicata alla Madre di Dio, la quale per star situata fra i monti, Santa Maria de' Monti è chiamata, edificata dal P. Don Carlo Carrafa, ov'è una divota Congregatione de' Preti.99
Appresso è Capo di Chio, oue la prima erta del monte comincia, in questo luogo è l'antica Chiesa di S.Giuliano».
Essa divenne beneficio parrocchiale col titolo di S.Angelo a Segno in S.Giuliano, sito alla calata Capodichino, detto anche soltanto prebenda di S.Angelo a Segno, finita inglobata nell’area di una fabbrica dismessa.
Il viaggio di Beltrano ci ragguaglia, in quella prima metà del 1600, anche un monticello che a distanza di oltre 100 anni portava ancora il nome di Odett de Lautrec, generale francese del mezzo regno scippato agli Aragonesi e diviso a tavolino con gli Spagnoli nel 1500, chiamato Lautrecco dai Napoletani, che l’autore cita con la sottostante Grotta delli Sportiglioni.
Dal lato opposto a Capodichino «verso mezzodì è l'ameno, e delitioso Monte di Lautrecco, oue sono bellissime vigne, e giardini, con commode habitationi di diversi cittadini. Questo luogo prese il nome da monsieur Lautrecco, Capitano Generale dell'esercito francese, il quale, mentre tenne assediata la città di Napoli, mesi quattro, ivi stava accampato con tutto il suo esercito, e particolarmente sotto il detto monte, ov'è un gran cavamento, il quale fin'ad hoggi si vede, detto dal volgo la Grotta delli Sportiglioni, benché parte fabricata per li maleficij, che vi si commetteuano» all’acquedotto cittadino, nel regno dei pipistrelli, dove le sorgenti divennero l’ultima speranza degli appestati francesi.68
Stefania Orlando sintetizza e scrive che il nome dato alla Grotta degli Sportiglioni, sita tra Poggioreale e Capodichino, «deriva dal fatto che si trattava di un antro di tufo nel cui interno si nascondevano stormi di pipistrelli (dal latino vespertilia, poi vespertilione e infine sportiglione)». L’avvallamento è grande al punto tale da poter inghiottire un intero reggimento di cavalleria, al sicuro e rinfrescato dai «canali dell’acquedotto della Bolla che partivano da Capodichino», fin dai tempi di Belisario, come vuole la leggenda, associata al racconto di Procopio di Cesarea, presente al saccheggio. Certo è che nel 1442, Diomede Carafa, capitano di Alfonso I d’Aragona, «convocò due pozzari» che «condussero gli uomini delle truppe per i cunicoli sotterranei portandoli alla facile presa di Napoli. Nel 1656, invece, la Grotta degli Sportiglioni divenne un luogo funesto: fu la destinazione dei morti a causa della peste. Migliaia di cadaveri riempirono letteralmente il varco tanto da diventare una sorta di muro e per accentuare ancor di più la scabrosità degli eventi successi, le cavità, a causa dei morti seppelliti nelle sue gole, divennero luogo prediletto di pratiche negromantiche. L’oscura Grotta degli Sportiglioni divenne, tuttavia, palcoscenico teatrale: Francesco De Petris vi ambientò tre atti da mettere in scena al teatro San Carlino di Napoli» il 16 ottobre 1825.
Nulla di più dicono gli storici, se non che Lautrec, partito da Poggioreale, avess assediato la capitale e, purtroppo per tutti, «dal 15 luglio al 5 agosto dilatò tanto la peste e cominciò con tanta mortalità nel campo che si vedevano gittate giù l’armi, giacer distesi nei padiglioni i soldati e nelle erbe senza colore», costringendo tutti i baroni a ritirarsi nei propri feudi di campagna e i militari francesi a fuggire all’impazzata. Lo stesso Maresciallo Lautrec morì il 15 agosto, allorquando le sue truppe si erano già disperse fra i paesi del Napoletano.
Il viaggio di Beltrano si conlude a Poggio Reale e Dogliolo, extra quartiere di San Carlo Arena.
«Dalla parte che risguarda detto Monte di Lautrecco: fono le fontane del vago, e amenissimo Poggio Reale, le quali sono molte, e abbondantissime d'acque, e benché il luogo non sia publico, ma del Re di Napoli e nondimeno, con licenza dei fuoi guardiani si gode felicemente e facilmente da ogni uno però dalla parte di dieetro, e nel publico v'è l'Acquedotto con molte fontane fatte per uso di ciascheduno, come diremo.55
Questo luogo dunque è un miglio distante dalla Città di Napoli, nella via dell'Acerra, per innanzi chiamato il Dogliolo, tanto celebrato dai Poeti, e massimamente dal Pontano: Alfonso figlio di Re Ferrante Primo, vi fé bellissimi edificij con commode stanze, nelle quali fè dipingere la congiura, e guerra delli Baroni del Regno contro lo stesso Re con altri degni successi che fin'ai tempi nostri si veggono; con delitiosi giardini, fontane, e giuochi d'acque incredibili, adornate di marmi, e statue. Scrive Giorgio Vasari nella seconda parte delle Vite de' più eccellenti Pittori, Scoltori, & Architteti, che Giuliano di Marano scoltore, & architetto famoso fece à Poggio Reale in Napoli ad instanza del Rè Alfonso all'hora Duca di Calabria, l'architettura di quel magnifico Palaggio, fecelo tutto dipingere da Pietro del Donzello, e da Polito suo fratello. Quivi soleuano alle volte per diporto transferirsi nel tempo dell'estade i Rè passati per godere quell'amenità,e quelle chiare, e fresche acque, che vi sono per ricercar gli animi loro, quasi dalle fortune del mare, in porto lieto, e sicuro.
Oltre le molte fontane, che vi sono dentro il Palaggio, e giardino,ve fin'anco nella strada publica molto vaghe, e diletteuoli, ornate di marmi,e conchiglie marine,le quali tutte scaturiscono acqua in abbondanza, e copia grande, fatte fare per comodità, e ricreatione de' Cittadini, da Don Giovanni Alfonfo Pimentello all'hora Vicerè del Regno, come si vede in una di esse fontane l'inscrittione».

1. Giuseppe Maria Galanti, Napoli e contorni, a cura di Luigi Galanti, Presso Borel e Comp., Napoli 1829.
2. Enrico Bacco, Nuova, e perfettissima descrittione del regno di Napoli, diviso in dodici province, Scoriggio, Napoli 1629.
3. Giuseppe Maria Galanti, cit.
4. Bacco, cit.
5. Gaetano Nobile, Un mese a Napoli: descrizione della città di Napoli e delle sue vicinanze divisa in XXX giornate, a cura di, Vol.2, Stabilimento tipografico del Cav. Gaetano Nobile, Napoli 1863. Giornata Settima, San Carlo all’Arena.
6. Ivi.
7. Domenico Antonio Parrino, Moderna distintissima descrizione di Napoli: citt`a nobilissima, antica, Napoli 1703.
8. Galanti, cit.
9. Nobile, cit.
10. Galanti, cit.
11. Nobile, cit.
12. Perrino, cit.
13. Bacco, cit.
14. Perrino, cit.
15. Nobile, cit. «Impallidirono i detrattori dell'autore della theca calamaria; il quale ne avrebbe avuto gioja grandissima: ma egli era già morto».
16. Ivi.
17. Ivi.
18. Ivi.
19.Domenico Antonio Parrino, Moderna, cit. Cfr. Guide Parrino, da: http://www.memofonte.it/home/files/pdf/guide_parrino_1.pdf.
20. Nobile, cit.
21. Ivi.
22. Parrino, cit. Cfr. Guide Parrino, da: http://www.memofonte.it/home/files/pdf/guide_parrino_1.pdf.
23. Nobile, cit.
24. Cfr. «Napoli com’era».
25. Nobile, cit.
26. Ivi.
27. Bacco, cit.
28. Ivi.
29. Ivi.
30. Bacco, cit.
31. Domenico Antonio Parrino, Moderna distintissima descrizione di Napoli: citt`a nobilissima, antica, Napoli 1703.
32. Bacco, cit.
33. Nobile, cit. Confondendo il toponimo Serenum con Serino (Av), «il Lettieri ne trovò il principio a Serino, nel luogo detto Acquaro, dove le acque si radunavano in un recinto ben formato, e quindi per un ponte passavano ad un villaggio detto la Contrada. Dopo d'aver traversata la montagna forata di Mortellito, oggi detta grotta di Virgilio, l'acqua si dirigeva per il piano di Forino, per Montuori, dove scorreva per un canale scavato nel vivo sasso, per Sanseverino, per Sarno, nella qual contrada vedesi ancora sopra la città vecchia un enorme sasso forato».
34. Luigi Vittorio Bertarelli, Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Itália meridionale: v. Nápoli e dintorni, II, 1973, I ed., anno V, Milano 1925 Egli aggiunge che all’interno c’è «una nav. rettangolare, con capp. aggiunte. Dall'ingr. (A), si faccia il giro da d. Fra 3a e 4a capp., alt. dei Recco (B), con decoraz. dovuta in parte a Tom. Malvito (1504-05; non suo il Cristo nel paliotto), e Mad. col Bamb. e i Ss. Bartol. e Matteo, tavola datata 1556 e siglata con una T, di scolaro di And. da Salerno. 4 capp. (C), sepolcro del celebre giurecons. Gaet. Argento (m. 1730, patrono della capp. dal 1716), di Fr. Pagano su dis. di Ferd. Sanfelice. Vi sono sepolti anche medico e letterato Nic. Cirillo e il poeta Nic. Capasso (m. 1745). All'alt., S. Orsola e le compagne, di Giov. Vinc. Forlí. - Dietro l'alt. magg., dis. di Ferd. Sanfelice (1746), è il mon. di re Ladislao (m. 1414), elevato dalla sorella Giovanna I (D). È opera grandiosa, alta quasi quanto la capp. magg., ma mediocre, ancora a cuspidi ed archi trilobi gotici, già volgente al Rinascim., dovuta ad And. da Firenze che la compì nel 1428: il dis. è suo, ma di sua mano sono quasi soltanto le sculture della parte super.; il resto è di aiuti, rozzi marmorari napoletani e seguaci dei lapicidi di Piperno. Il mon. è sostenuto da 4 colossali statue di Virtù; sotto un'arcata a tutto sesto, le rozze statue di Ladislao e di Giovanna seduti in trono; ai lati, sotto trilobi, 2 virtù pure sedute, poi due edicole a risvolto che incorniciano le figure dei Ss. Ag. e Batt., di Leon. da BeSozzo (1428); più in alto, la cella sepolcrale col sarcofago e la figura del re giacente (morto scomunicato), benedetto da un vesc. con 2 diaconi; al sommo, la statua equestre di Ladislao. Una folla di statuine completa l'insieme. - Per una porticina tra le cariatidi del monumento si entra nella circolare CAPP. CARACCIOLO DEL SOLE (E), con belliss. pavimento a matto nelle maiolicate, del '400, di stile toscano. Alle pareti, nella zona infer., vita degli Eremiti, affr. di Perrinetto da Benevento (XV sec.); nella super., affr. di Leon. da Besozzo (XV sec.), l'unica sua opera integra: sopra l'ingr., P. Eterno, Gesù e Maria, Angeli, Santi e devoti; a sin., Natività di Maria e Annunciaz.; a d., Presentaz. al Tempio e Transito di Maria (negli ultimi due e specialm. nel 2o v'è la collaboraz. di un aiuto, che potrebbe essere Perrinetto); nel fondo, gentiluomini (pitture interess. come riproduz. di scene e di costumi). Dietro l'altare, il sepolcro grandioso ma incompiuto di Ser Gianni Caracciolo gran siniscalco e amante di Giovanna II, da lei stessa fatto pugnalare in Castel Capuano nel 1432. Tre rozze figure di guerrieri addossati a pilastrini reggono il sarcofago sul quale è la statua in piedi del defunto, con pugnale nella d. Il mon., eretto dal figlio Troiano (1433), è in parte nelle forme Rinascim. L'iscriz. è di Lor. Valla. - A sin. della magg., la *CAPP. CARACCIOLO DI VICO (F), a pianta circolare, bella per euritmia ed eleganza nel rivestimento architettonico marmoreo di ordine dorico (1516-57). Le sculture dell'alt., Epifania e Pietà, sono di Diego e Bartol. Ordoñez; le 2 statuette laterali, di Girol. Santacroce; le statue delle nicchie sono degli Ordoñez (eccetto il S. Pietro, di Giovanni da Nola) e, degli stessi, il sepolcro di Galeazzo Caracciolo a sin., compiuto da Giov. Dom. D'Auria, il quale, sul modello di esso, scolpì il sepolcro del figlio Nicolantonio a d. Dalla nav., per un andito (G), si entra nell'antica Sagrestia (H), patronato dei CARACCIOLO DI S. ERAMO, alle cui pareti, 18 tavole di Giorgio Vasari, scene del V. e del N. Testamento, Evangelisti, Dottori (1546). Poi dalla nav. si entra nella capp. Ricco (I), in cui statue dei Ss. Battista e Agostino, di Ann. Caccavello, e avanzi di un presepio con figure lignee, di Pietro e Giovanni Alemanno (1470). Dal muro seguente della nav. sporge il ricchiss. *MON. DEI MIROBALLO (L), simile ad una capp. (dedic. al Batt.), del princ. '500; vi sono molte statue: Dottori; Mad. col Bamb. e Troiano Miroballo, fondatore della capp., con la moglie, presentati dai 2 Ss. Giov., ecc.; in alto, S. Mich. - Nel muro opposto alla capp. magg., entro nicchia marmorea, bella Mad. col Bamb. (M, di Michel. Naccherino (1601) e, sopra, framm. di una cimasa con P. Eterno, di Tom. Malvito. Si entra per un arco marmoreo nella CAPP. DI SOMMA (N), attuale Sagrestia, addossata alla primitiva facciata ed eretta su dis. di Giov. Dom. D'Auria e Ann. Caccavello (1553-66); al 1° si deve l'alt. con rilievo dell'Assunta, al 2° il sepolcro di Scipione Di Somma. Nella vòlta e pareti, Profeti e vita di Gesù, affr. di ignoto napoletano 2a metà '500. Segue, nella nav., un alt. (O), con Purificaz., di Ann. Caccavello (sotto l'alt., sepolcro di Biagio Marsicano). A sin. dell'ingr. (P), Batt. e Gabr. (l'Annunciata, distrutta), affr. di Leon. da Besozzo.
Uscendo, prendendo a d., la CAPP. SERIPANDO, con sepolcro di Ant. Seripando (1539) e, all'alt., Crocifiss., del Vasari.
35. Cariteo, versi 50-70, in Erasmo Percopo, Le rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892. V. A.Bascetta, Carlo V e i notai di Napoli, ABE Napoli 2023.
36. Giambatista Ajello, Napoli e luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845.
37. Nobile, cit.
38. Domenico Antonio Parrino, Moderna distintissima descrizione di Napoli: citt`a nobilissima, antica, Napoli 1703.
39. Di Costanzo, tomo 2. In: G.B. De Cristoforis, Sergianni Caracciolo. Dramma storico, Tipografia Vignozzi, Livorno 1830.
40. V. Maria Rosaria Formentin. Dal 1923 il manoscritto è conservato alla Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli. Nel Codex ex Vindobonensis Graecus è inserito il Dioscurides Neapolitanus, un prezioso codice che testimonia l’opera di Pedanio Dioscoride (I sec. d.C.), il quale scrisse in cinque libri il trattato Perì üles iatrichès, il più importante manuale medico-farmaceutico del mondo greco-romano, conosciuto anche dagli arabi. Bernard de Montfaucon lo vide a Napoli alla fine del 1600, ma era appartenuto al letterato napoletano Antonio Seripando, fratello del Cardinale Girolamo, generale degli agostiniani, conosciuto per il Concilio di Trento, che l’ebbe in dono da Girolamo Carbone, l’umanista che sedette alla Corte d’Aragona, a sua volta avutolo dal filologo Aulo Giano Parrasio, di ritorno da Milano, ereditatolo dal suocero Demetrio Calcondila. Fu Girolamo a farlo pervenire al convento agostiniano di S.Giovanni a Carbonara, da dove fu portato in Austria per voler di Carlo VI, nel 1718, insieme ad altri codici e restituito nel 1923.
Scrive Franco Celentano su napoliontheroad, al sito internet www.napoliontheroad.it, Dicembre 2005, Webmagazine di Cultura Napoletana e Campana edito dall’Associazione Culturale “Kairòs”, Direttore Responsabile Mario Pagano.
40bis. Luigi Parascandolo, Memorie storiche-critiche-diplomatiche della chiesa di Napoli, Volume 3, Tipografia Tizzano, Napoli 1849. A dire dello storico «osservandosi nella prima pagina di quel ms. la effigie di lui in abito pontificale e col Capo raggiante: monumento incontrastabile della opinione di santità, in cui a quel tempo era tenuto pubblicamente in Napoli. Non meno evidenti pruove di questo sacro culto si hanno per riguardo a Viterbo, giacchè nel secolo decorso scriveva il signor Riccioli patrizio di quella città al nostro ch. Mazocchi.Nella regia Sala del nostro Palazzo Conservatoriale da buona mano dipinta verso la fine del XV secolo, si vede sopra l'effigie dell' Imp. Michele Paleologo in un medaglione ovato il ritratto del B. Giacomo colla seguente iscrizione: Beatus Jacobus Viterbiensis Ordinis Augustiniani Archiepiscopus Neapolitanus. E nella Cappella del detto Palazzo sopra la porta dalla parte interiore in un gran medaglione, ove delineati si scorgono i Santi e Beati di questa Città, vicino all' effigie della nostra gloriosa concittadina S. Rosa, si rimira quella del B.Giacopo adorna delle vesti pontificali coll' iscrizione: Beatus Jacobus Viterbiensis Archiepiscopus Neapolitanus.
Egli aggiunge che «si conserva la memoria di un tanto nostro concittadino presso di noi con di lui ritratti, che ritrovansi in molte case di questa Città; ed io ne ho una antica immagine con sotto: Beatus Jacobus Viterbiensis Archiep. Neapolitanus. Eguali monumenti del culto, con cui veneravasi in Benevento questo Beato Arcivescovo, furono mentovati dal dottissimo P. AgostinoAntonio Giorgi dell' Ordine Agostiniano in una sua lettera al sullodato nostro Canonico Mazocchi: Scriveva Errera nelle opere stampate l'anno 1644, che s'incontrano assai frequenti l' imagini di Giacomo di Viterbo, colli splendori e cogli altri indizj di Beato. Gl' istorici Viterbesi, e quelli dell' Ordine_lo chiamano comunemente Beato. La S.memoria di Benedetto XH nel nostro Chiostro Benevento lo fece dipingere da Beato, e gli fe porre il titolo e l'iscrizione di Beato. Nella Sala del Palazzo Arcivescovile di Benevento sotto l'arma gentilizia si legge la seguente iscrizione LXXIII. Archiepiscopus XXH. B. Jacobus Capocius Viterbiensis Ord. Erem. S. Aug. Theologus et concionator celeberrimus, Archiepiscopus XXII, electus die III Sept. Ann. Domini MCCCII consecratus a Theodorico S. R. E. Cardinali Episcopo Praenestino, sedit annum I mens. III, dies IX. Translatus ad Neapolitanam Sedem fuit anno Dom. MCCCIII. die XII Decemb. Sotto il ritratto nella stessa Sala parimente si legge : B. Jacobus Ord. Erem. S. Aug. Archiep. Beneventanus; Dissert. de Cultu Ss. Neap. Eccl. Episc. tom. I, part. II cap. V. Ed al detto in riguardo alla fama di santità, in cui è questo nostro Arcivescovo nell' Ordine Eremitano di S. Agostino credo aggiungere quanto di lui scrisse il Chioccarelli pag. 197: Connumeratur autem Jacobus hic noster Archiepiscopus inter Beatos, quod nedum ejus Religionis traditio certo nobis affirmat. . . . . . testantur quoque immagines Sanctorum ac Beatorum ejus Ordinis jam diu excusae, in quibus inter Beatorum ordinem Is aureola piclus cernitur. In tabula quoque praegrandi ac concinna optimi artificis manu in aere incisa, quae ex novem magnis foliis paginae imperialis expansae constat, in qua viri sanclitate ac dignitatibus illustres Eremitanae Religionis S. Augustini delineati et sculpti sunt . . . . . . ( quae inscribitur : Mysticae Augustinensis Eremi sacrum gloriae decorisque Theatrum, opera et studio RR. Patrum, Fratrum MarciAntonii Vianii Bononiensis et Pauli Vadovitae Poloni Romae recognita, ac habita a superioribus licentia excusa est anno 1614), conspicitur effigies ac icon Jacobi hujus Viterbiensis, pontificalibus vestibus induti, ac cum aureola in capite, atque sic scriptum legitur: Beatus Jacobus Viterbiensis Archiepiscopus Neapolitanus, Obiit Anno MCCCVII.
41. Luigi Vittorio Bertarelli, Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Itália meridionale: v. Nápoli e dintorni, II, 1973, I ed., anno V, Milano 1925. Egli così scrive sull’interno della Pietatella: «Sopra gli archi delle capp., tele di Fr. Solimena (1697). 1a capp. d., all'alt. e alle pareti, quadri della vita di S. Nic., di Nic. Malinconico; 2a capp. d., alle pareti, storie di S. Ivone (patrono degli avvocati cui appartenne la capp.), tele di Paolo De Matteis, e tomba di Vinc. Ippolito, di Gius. Sammartino (1748); 4a capp. d., decorata da Giul. Finelli (1652), coi curiosi sepolcri barocchi di Fabr. Antinori, arciv. di Matera, e di Flaminio Antinori, signore di Brindisi di Montagna Nella cupola, Paradiso, di G. B. Benasco (1680); nei pennacchi, Evangelisti, del Lanfranco, del quale sono anche gli affr. della vòlta della crociera e quelli ai lati dei finestroni: Martirii dei Ss. Pietro e Paolo al d.; Martirii die Ss. Giac. e And. al sin. Alle pareti, Natività di Maria, Natività di Gesù, Presentaz. al Tempio, Sogno di S. Gius., teledi Luca Giordano (1690) Nel braccio d. della crociera, all'alt. (imitaz. di quello del braccio sin., v. sotto, ma in feriore nell'esecuz.), coro di Angeli, di Matteo Bottiglieri; 4 virtù cardinali su rame, attorno all'imagine dell'Immacolata, di Fr. Solimena; S. Gaet. e S. And. Avellino, in 2 medaglioni di bronzo dorato, di Bartol. Granucci. Nel presbiterio, 2 candelabri fusi da Giov. Ant. Bertolino da Firenze frate teatino, su modelli di Giul. Finelli. Nella vòlta dell'abside, Martirii dei Ss. Fil. e Giac.; nella parete di fondo, Cristo indica la Croce per norma dei Teatini; ai lati, S. And. Avellino, S. Sotero prostrato a Maria e a S. Genn., Il B. Giov. Marinoni contempla Gesù nell'orto, Immacolata e S. Gaet., tutte pitture del Lanfranco. Per una porta nell'angolo sin. si entra in SAGRESTIA, con affreschi, e nel cui vestibolo, busto di Genn. Filomarino vesc. di Calvi, di Giul. Finelli (1650). - Nel braccio sin. della crociera, l'ALT. FILOMARINO, di marmo bianco, fatto lavorare dal card. Ascanio Filomarino in Roma (c. 1638), su dis. di Fr. Borromini (unica sua opera in Napoli): il bel bassoril. dei putti è di Fr. Duquesnoy; le decoraz. sono di And. Dolgi, tranne le colonne scanalate, di Fr. Mozzetta; i 2 leoni sotto la mensa e il Sacrificio d'Abramo nel paliotto, di Giuliano Finelli; i musaici dell'Annunciaz. e delle 4 virtù sono copie di G. B. Calandra da Vercelli da quadri originali di Guido Reni; pure in musaico, dello stesso, ritr. del card. Asc. Filom. (da Pietro da Cortona) e di Scipione Filom. (da Mosè Valentino). L'alt. fu messo in opera nel 1642-47 e compiuto con la balaustra, del Finelli e di Giov. Ant. Mozzetta. - 4 capp. sin., Mad. e i Ss. Pietro e Paolo e S. Mich. tra le anime purganti, di Marco Pino; 3a capp. sin., all'alt., S. Gaet. e, alle pareti, affreschi (in uno, peste del 1656), di Giac. Farelli; 2a capp. sin., all'alt., Ss. Greg. e Giov. Ev., di Carlo Rosa, alle pareti, storie di S. Greg., di Giac. Del Po; 1a capp. sin., all'alt., I Beati Paolo d'Arezzo e Giov. Marinoni, cui una signora della fam. D'Arezzo (patrona della capp.) offre un figlio, di Fr. De Mura. Dalle porte laterali della facciata si scende nella CRIPTA, larga quanto la chiesa e divisa in 5 nav., di cui la mediana e le estreme servivano da ambulatorio, le intermedie da cimitero. Nella nav. mediana, accanto a un alt., la tomba di G. B. Marini (qui, le ossa)».
42. Giambatista Ajello, Napoli e il luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845. Cfr. Nobile, cit.
43. Galanti, cit.
44. Ottavio Beltrano, Breue descrittione del regno di Napoli diuiso in dodeci prouincie, Napoli 1644, pag.40 e segg.
45. T. P. Boyer, Sacre et théocratie, cit, p. 30. Cfr:Mario Gaglione, Profili di Sovrani Angioini, da Carlo I a Renato (1266-1442), Lampi di stampa, Milano 2009. Formato elettronico di internet: www.lampidistampa.it. Cfr. De Rosa, Cronache dei tempi miei, traduzione a cura di V.Iandiorio, ABE Napoli 2022.
46. S. Mazzella, Le Vite dei re di Napoli. Con le loro effigie dal naturale, 1594, pagg.137-138. A proposito di Carlo Senzaterra aggiunge che «in diversi tempi hebbe tre mogli la prima fu Maria sorella di Filippo V Alois fratello del Re di Francia, della quale hebbe tre figli, cioè un maschio, e due femmine, il maschio morì in fasce e hebbe nome Carlo Martello, le femine furono Giovanna e Maria. La seconda sua donna fu la bella donzella Anatilde di Lusemburg figliuola del Conte di San Paolo, che li partorì una figliuola che morì in fasce, e fu detta Maria. L’ultima moglie fu Caterina d’Austria donna già dell’Imperador Arrigo VII figliuola d’Alberto Imperador né di essa hebbe figliuoli, e morì a 15 di gennaio 1323».
47. Ivi.
48. Bacco, cit.
49. Dario Busolini, Dizionario Biografico degli Italiani, 2004. Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/tag/ottine.
50. Gaspare de Caro, Dizionario Biografico degli Italiani, 2004. Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/tag/ottine.
51.Francesco Imperato, Priuilegi, Capituli, e Gratie concesse al fedelissimo populo napolitano, Roncagliolo, Napoli 1624.
52. Nobile, cit.
53. Da: http://www.memofonte.it/home/files/pdf/guide_parrino_1.pdf. Cfr. Nobile, cit.
54. Da: https://www.nartea.com/guida-on-line/san-pietro-martire/
55. Bacco, cit.
56. Nobile, cit.
57. Bacco, cit.
58. Galanti, cit.
59. Nobile, cit.
60. Galanti, cit.
61. Nobile, cit.
62. Bacco, cit.
63. Ivi.
64. Nobile, cit.
65. Gennaro Aspreno Galante, Guida sacra della città di Napoli, GIORNATA XIV, Si visita il Borgo de' Vergini fino alle Catacombe, stamperia del Fibreno, Napoli 1872. Cfr. V. Parascandolo, Memorie della Chiesa di Napoli. I, 79.
66. Ottavio Beltrano, Breve descrittione del regno di Napoli diuiso in dodeci prouincie, Napoli 1644, pag.40 e segg.
67. Ivi.
68. Ivi.
69. Stefania Orlando, Storia di Napoli:la grotta degli sportiglioni. Da: Senzalinea n. 57 del 11/11/2015, Direttore Responsabile Enrico Pentonieri, da: https://www.senzalinea.it/giornale/storia-di-napolila-grotta-degli-sportiglioni/
70. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170.
71. Ottavio Beltrano, Breve descrittione del regno di Napoli diuiso in dodeci prouincie, Napoli 1644, pag.40 e segg.