LOMBROSO E IL CRIMINE (sconto)

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UN LIBRO RICCO DI ANEDDOTI
E VOCABOLI DELL’EPOCA: IL GERGO CRIMINALE

Si definisce, secondo le ipotesi esplicative prevalenti, il gergo criminale come una forma di linguaggio criptico della malavita, un insieme di termini e di espressioni tipiche, utilizzato quale codice utile alle comunicazioni interne e noto soltanto, o essenzialmente, agli appartenenti al gruppo o all’organizzazione delinquenziale. L’uso di codici gergali, in qualche misura già presente nella Roma antica, si diffonde nel Medioevo e nel Rinascimento, e si consolida a partire dal XVII secolo. Alcuni termini gergali tra i più celebri e diffusi in Italia, anche nel XX secolo, sono rimasti i seguenti:
A fag un deflettàur: dal bolognese mi faccio un deflettore, vado a rubare un’auto
Albero che non secca mai: la ‘ndrangheta
Ammacchiato: persona ricercata che si nasconde
Ammazzaciuchi: il medico carcerario
Andare a prendere la benedizione: procacciarsi amori mercenari
Asciucàri: prosciugare le vene del sangue altrui, uccidere
Astutàri: spegnere una candela, ammazzare
Azzuppari ‘u cani: prendere un male venereo
Barbottore: l’avvocato
Bella cartata di reschi: reschi, come lische di pesce, gruppo di individui senza importanza
Buiacca: zuppa di scadente qualità
Cappottu di lignu: cassa da morto
Fari ‘a munta: borseggiare
Madama, madame: polizia, poliziotti
Mantice: portafoglio
Minnulàru: dal siciliano il seno femminile paragonato ad un mandorleto
Ommini ci sunnu e si pò arraggiunari: siamo tutti “uomini” e ci possiamo accordare
Pituchera: orologio (nel gergo storico della mala piemontese)
Province babbe: i luoghi dove la mafia siciliana è più debole
Sbianchimento: colpo non riuscito per un imprevisto
Stoppagliero: mafioso incaricato all’iniziazione dei mafiosi
Stuppagghiu: turacciolo, silenzio.
Una recente sintesi in ordine alfabetico è stata poi realizzata, in annni recenti, dall’associazione “ristretti.it”. Essa è particolarmente significativa e stimolante, poichè comprende i principali termini specifici del mondo carcerario, molti dei quali nati nel XIX secolo ma ancor oggi usati di frequente nelle prigioni italiane, frutto talora di dialettismi e di calchi del gergo criminale francese (il c.d. argot) o gitano:
Accavallato
Affascinarsi
Antenna
Aquila Nera
Argomento
Bacaiare
Baiaffa, berta, cannone, canterina, ferro, (da tiro o da stiro) pezzo, rabbiosa, ravatto, tamburo
Balordo
Batteria
Batti
Bedy
Bella
Bevuto
Biciclette

Buiosa
Bovolo o battente
Braccialetti
Bravo ragazzo

Bricca
Bulgaro
Calamascare
Camuffo o fasullo
Carape
Casanza

11. VALORI E OGGETTI PREZIOSI
— Papel, moneta di rame
— Occhio ‘e pecoriello, un soldo
— Occhio ‘e vove, doppio soldo
— Strunzo ‘e cane, rotoletto di soldi
— Sfoglie, biglietti di banca
— Scirum, oro
— Scorze ‘e Portugal, monete d’oro in copia
— Passante, anello
— Streuze, anello d’ottone
— Passa la vacca, non ho denari
— Viaggiatore, portafoglio
— Sfoglino, portafoglio a mo’ di libriccino
— Ritino, portamonete testa ‘e pulciniella, fazzoletto con denari annodati in un capo.

12. TRIBUNALI E PERSONE DI GIUSTIZIA.
— Giustissimo, tribunale
— Runzo, guardia di questura in divisa
— Cornacchia, carabiniere
— Scarrafone (scarafaggio), guardia municipale.

13. ARMI, RISSE, OMICIDI
— Chiangarella, sciabola
— Ricllo, fucile
— Osso di presciutt’, arma da fuoco portatile
— Sfranzum, coltello fare una
— Spellicciata, fare a cazzotti
— Sfranzummate, fare una rissa a coltellate
— Papariello, gettar uno in un precipizio
— Papugno, schiaffo
— Tozzola, scappellotto
— Arrosto, grassazione
— Piroccola, bastone.

14. Giuoco
— Fronne, carte da giuoco.
— Far polles, non voler pagare un debito di gioco.

15. CANTARE
— Accrastare, cantare.

16. Cose SACRE.
Fetta ‘e rape, ostia santuosella, corona, l’osario – fur falla bianca, suora di carità
— Picuozzo, sagrestano.

17. COSE DIVERSE
— Portuso, bottega
— Sproccolo, sedia
— Fuosso, caldaia di rame
— Don Peppo, cantero
— Testa ‘c cardinale, orinale
— Correnta, carrozza
— Parum, ombrello.

18. ANIMALI, INSETTI E PARASSITI
— Pulito, maiale
— ‘E pro’, aino in cattivo arnese
— Camardulesi, pidocchi
— Spissatiempo, piattola
— Reprubbicani, pulci
— Puzzafiate, cimici
— Prete con la tunica imperniciata (inverniciata), scarafaggio
— Quanti (guanti), rogna
— Ciaccio, tigna.

19. EscREATI, ESCREMENTI
— Natta, escreato mucoso ed anche moccio
— Pane rotondo, sterco di bue
— Osse d’ulive, sterco di pecora
— Castagne, sterco d’asino e di cavallo
— Fumare, scorreggiare
— Scaricare, evacuare.

20. GALANTERIE
— Scrocco, bacio
— Bella scorzicella! (pezzo di tigna), bella ragazza!
— A rumpes proprio o tacco!, la sverginerei !
— Far alzare il tambur, ingravidare
— Le facesse fa nu bello ranuziello, le farei fare un bel bambino.

INDICE

Premessa dell’autore

Prefazione – Prof. Luigi Berzano

Inviti alla lettura
– di Furio Gubetti
– di Enzo Maolucci

Cap. I
cesare Lombroso:
chiaroscuri di un genio eclettico

Gli ultimi anni:
un positivista nel mondo degli spiriti

Cap. II
studi e ricerche
sulle organizzazioni criminali

Il Brigantaggio
Il Brigante Musolino
La Camorra
La Mafia (di V.Ciappina)
Il gergo criminale: profili storici (di L.Ciravegna)

Cap. III
Cesare l’antimeridionalista?

I. FONTI E DOCUMENTI
(Testi di riferimento di Cesare Lombroso)

1.
«brigantaggio, camorra e mafia»
“Le società del malaffare”
“Sesso, età, professione”
“Camorra”
“Mafia”

2.
«FAMIGLIE DI DELINQUENTI NATI»
“I Tozzi di Monterotondo”
“Il Brigante Giuseppe Musolino”
“Brigantaggio e agricoltura calabrese”

3.
«LE REGOLE DELLA CAMORRA»
“La camorra nel 1875”
“Da rivelazioni di un Capo camorrista”
“Processi”
“L’ammissione nella società: i carcerati della Sicilia”
“Un canto camorristico”

II. FONTI E DOCUMENTI
(Testo di riferimento di D. De Paoli)

4.
«VOCABOLARIO DEL CAMORRISTA»
“Il gergo dei detenuti”

Description

LOMBROSO E IL CRIMINE

Perchè scrivere un altro libro, l’ennesimo, su Cesare Lombroso? Che cosa dire ancora, di nuovo o almeno non banale, visto che del medico veronese si è già detto di tutto, nell’esaltarlo – come padre della criminologia, etichetta che io stesso, ventenne, sentivo ribadire dalle parole appassionate del mitico professor Portigliatti Barbos, a Giurisprudenza – o nel demonizzarlo senza tregua, come temibile seminatore di idee di razzismo, inferiorità, eugenetica, antimeridionalismo?
La cosa che mi colpì di più, devo ammetterlo, fu ciò che successe a Torino, dal 2009 in poi. Ricordo che dirigevo il master di scienze criminologiche e vittimologiche, organizzato da Comune, Osservatorio sulle vittime di violenza, Università e Ordine degli Avvocati. Avevo a fianco tre Maestri: Guglielmo Gulotta, Luigi Berzano, Sergio Vinciguerra.
Di Lombroso e di Scuola Positiva ne avevo già parlato, en passant, in un libro, dopo una ricerca svolta a Torino nel 1998, “Delinquente si nasce o si diventa?” con l’insuperato Ferrando Mantovani e Pier Luigi Baima Bollone. Un pomeriggio del 2010, al master, dovetti affrontare il tema Lombroso: la Scuola Positiva, Garofalo e Niceforo, Ferri e Carrara.
Un’alunna, assistente sociale politicamente impegnata, mi apostrofò secca: “Ma quale scienziato! Lombroso era un pazzo razzista, odiava noi meridionali, e ha ispirato anche il nazismo”. Le chiesi di indicarmi qualche precisa fonte storiografica in subiecta materia, di confrontarci, come faccio sempre. Si ritrasse inviperita e notai in lei un odio sincero, sanguigno e refrattario ad ogni dibattimento verso il medico di Verona: cosa che in ogni caso mi turbò, e non poco. Passò qualche settimana. Ero per caso in Piazza Castello. Mi ritrovai in mezzo ad un alveare colorato di bandiere e cori, circondato da decine di neoborbonici con cartelli: “Chiudete il Museo dell’Orrore”, “Lombroso razzista” “Via dai libri di testo”, “Cancellate Via Lombroso”, “Vogliono portare i bambini a scuola di razzismo”, “L’Università finanzia il Museo razzista”, e così via. L’apertura di trecento metri di area museale in Via Pietro Giuria, aveva fatto convergere a Torino la crème degli antilombrosiani d’Italia, ora un po’debellata, bisogna dirlo, dai libri di Laterza e dai bei video di Alessandro Barbero: antiunitari, neoborbonici, scrittori con l’idiosincrasia per i Savoia ed il Piemonte colonialista, restaurazionisti d’Aragona, intellettuali raffinati con il pallino del Risorgimento come sequenza di infamie, eccetera. Un bel mondo vivace, ma un po’ lamentevole, ciarliero e vittimista, non privo di qualche docente preparato, unito nel segno del simbolo-nero, l’esaminatore esecrabile di crani, da cancellare e rimuovere ab aeterno dalla memoria collettiva. Allora, sempre più inesorabilmente, mi venne l’idea di approfondire sul serio il pensiero del criticato Cesare su questi temi. Ma come, pensavo. Fior di Maestri, giuristi autorevoli, sociologi, criminologi, mi avevano riempito il cervello per vent’anni di idiozie beatificatrici del padre della criminologia, scienziato in buona fede, con qualche errore ma dal segno indelebile nella nostra storia? Oppure l’antimeridionalismo, il razzismo, l’eugenetica erano fraintendimenti ed esagerazioni frutto di ignoranza, pregiudizi culturali, progetti politici anacronistici?
Mi misi a studiare, mesi e mesi di fila, i libri di Lombroso. Una ventina. E poi quelli su Lombroso, un’ altra ventina. Con ripetute visite al Museo. Di cui il direttore, Montaldo, mi parve persona straordinaria, disponibile, appassionata, rigorosa. E cominciai a scrivere qualcosa. Per una ragione o per l’altra, il materiale lo tenni lì, per qualche anno. Adesso, e questa è stata forse la spinta decisiva, pochi mesi fa la richiesta inaspettata di scrivere un libro su Lombroso mi arrivava, potenza del destino, da un editore campano. Senza che lui sapesse nulla delle mie ricerche passate. Un editore che è un meridionale al quadrato. Un meridionale che più meridionale non si può. E che ne ha tutte le virtù. Uno storico illuminato, dall’intelligenza vivace, allegra e costruttiva, ma che passa giornate in archivio, preciso, a compulsare dati, manoscritti, documenti. E chiedeva proprio a me, a un piemontese autore di testi di criminologia, uno sforzo di analisi che partisse dalle osservazioni di Lombroso sulle organizzazioni criminali, ma che affrontasse anche il tema dell’antimeridionalismo, in modo aderente a fonti precise, solo a quelle, e senza riserve mentali o apriorismi. E che confluisse in un testo agile, sulle duecento pagine, adatto ad una divulgazione ampia anche tra i non esperti nelle discipline criminologiche (circostanza che mi ha imposto di non appesantire il testo con un poderoso apparato di note, come mi sarebbe piaciuto, cercando di offrire, però, nella vasta bibliografia sufficienti fonti – per chi lo desiderasse – di approfondimento). Spero, nel presentare questo lavoro, di esserci riuscito.
Due i contributi interni, di giovani e validi collaboratori. La parte sulla mafia è stata realizzata da Valentina Ciappina, che dopo la laurea in legge si è appassionata al tema della criminologia e dei reati finanziari e valutari ed ha fondato a Torino, tra l’altro, il “Crime Festival”, di valore oramai internazionale. La parte sui gerghi criminali è stata curata da Lorenzo Ciravegna, torinese, presidente del CESIC, attivo nel campo dell’educazione alla legalità ed alla tutela ambientale, impegnato sui temi della criminalità e della qualità della vita urbana ed autore di importanti campagne civiche di prevenzione di truffe e reati contro anziani e fasce deboli. Ringrazio di cuore anche il mio maestro Luigi Berzano, sociologo tra i più noti in tutto il mondo, per la bella prefazione e due amici sinceri, che hanno realizzato interventi introduttivi che è quasi da querela – per diffamazione o ingratitudine – definire solo “inviti alla lettura”.
Quello di Enzo Maolucci poi, introduce una quantità di contenuti scientifici equivalente, se non superiore, ad una attuale laurea breve post – riforma. Peraltro Luigi Berzano, Furio Gubetti ed Enzo Maolucci, tre giganti della cultura e della saggistica contemporanea, rispecchiano, senza averlo programmato – lo giuro – le tre angolazioni cromatiche prevalenti del caleidoscopio lombrosiano: sociogiuridica, medico-psichiatrica, antropologica. Confido di essere riuscito a fornire un quadro sufficientemente rigoroso e neutro del pensiero di Lombroso, con qualche considerazione personale anche sul tema della spiritualità e delle curiosità del medico veronese per l’occulto, il medianico e la religione, scoperte come spesso accade in articulo mortis. Spero, soprattutto, che questo testo agile che ho voluto, a dispetto del titolo della collana, tenere scevro da accademismi, incuriosisca anche il lettore ad approfondire vita e libri del veronese. Che commise, oggettivamente, molti errori, tali da ingenerare l’idea, da lui stesso in parte rettificata, che l’inferiorità di intere genti e comunità potesse essere riconducibile, in qualche misura, a fattori congeniti, biologici, organicistici, ereditari. Generalizzazione rivelatasi, come era ovvio, semplificatrice e irragionevole: se inferiorità vi era, essa dipendeva, oltre a fattori storici, da cause economiche e sociali. Che peraltro il medico mise bene in luce ma, immerso com’era in quel contesto europeo pervaso di determinismo, affiancò a stimmate innate in gran parte fantasiose. Pensiamo, però, per un attimo se una personalità come la sua avesse avuto a disposizione un decimo, un centesimo delle tecnologie e degli strumenti di osservazione moderni e contemporanei, o della genetica. Probabilmente, non sarebbe mai incorso in certe sviste marchiane o in deduzioni audaci ma fragili. Che l’hanno esposto, qualche volta con ragione, a fraintendimenti ed accuse sproporzionate di teorico del razzismo, con campagne spesso aggravate da decontestualizzazioni, preconcetti storici e strumentalizzazioni. Tuttavia, l’importanza di questa figura non può essere seriamente ignorata, pretermessa o sottovalutata nella storia e nella cultura italiana. Perchè di Lombroso e di alcune sue intuizioni, dei sentieri che ha aperto e delle idee che ha suscitato, anche nell’era delle neuroscienze e degli studi sul cervello sul piano neurofisiologico, psicobiologico e genetico, nell’ottica dell’analisi dei condizionamenti extravolontari del comportamento umano, si sentirà, a mio parere, ancora parlare. Per un bel po’ di anni. Forse anche di secoli. Hanno provato, e possono ancora provarci, a sbarazzarci di lui. Ma la vedo proprio dura.

MASSIMO GIUSIO

Sociologo, scrittore, docente e saggista torinese. Dopo gli studi storici e giuridici e l’abilitazione alla professione forense, si è appassionato alla ricerca nei campi del diritto ecclesiastico, della sociologia delle religioni, della storia del Cristianesimo, dell’antropologia religiosa e di altri ambiti storico-giuridici nel campo dei diritti umani e della libertà religiosa nell’ordinamento italiano e comparato. Ha pubblicato “Delinquente si nasce o si diventa?” (Torino, 1997), “Il corpo e l’arte” (Bologna, 1999), “Elementi di criminologia” (Torino, 2006), “Compendio di vittimologia e victim – support” (Napoli, 2013), “Manifesto per una buona sanità (con L. Berzano e G. Moretti, Firenze, 2014), la voce su Tommaso Campanella in “Le Città del Sole” (Torino, 2015) e “La libertà religiosa in Italia” (Roma, 2018).

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Editorial Review

LOMBROSO UOMO MISTICO 

L’antropologia criminale, sotto il fascismo, fu progressivamente isolata anche sul piano accademico, marginalizzata sul piano culturale, giuridico e penalistico, confinata in una nicchia medico-legale e psichiatrica. Nel 1936, il regime fascista (delle cui idee sarebbe, per qualcuno, almeno parzialmente ispiratore Lombroso), con uno speciale decreto del Ministero dell’Educazione Nazionale ordinò addirittura l’abolizione dell’insegnamento dell’antropologia criminale in tutti gli atenei d’Italia. Bando poi rimosso qualche anno dopo, per assecondare imponenti voci internazionali ed il Congresso che si svolse in Italia a tal fine. Particolare rilievo ebbero, nel corso degli anni Trenta, le riflessioni di B. Di Tullio, grande nemico anch’egli dell’eugentica qualitativa, apertamente fiducioso nella correggibilità del delinquente, che propose, rigettando l’atavismo ma recuperando le notazioni lombrosiane del 1903, le sue idee umanitario-rieducative: «non crediamo affatto alla opportunità ed alla stessa utilità di quei mezzi di terapia violenta, che vanno sino alla sterilizzazione, e che dovrebbero tendere a rendere organicamente inoffensivo il delinquente, come se veramente si trattasse, secondo quanto da alcuni si continua ingiustamente a credere, di un individuo preistorico, avente affinità a volte coi rosicanti, a volte coi carnivori, ecc. Trattandosi invece di una personalità solamente difettosa ed incompleta (…) è naturale che anche per tale tipo di delinquente debbano avere efficacia più o meno decisiva quegli stessi mezzi curativi e rieducativi, che valgono per tutte le altre categorie di individui deboli, gracili, difettosi ed anormali in genere».
Non vi è quindi stata, secondo la storiografia più avanzata, alcuna reale derivazione – diretta o indiretta – fra il pensiero di Cesare Lombroso e l’eugenetica razzista; semmai le sue idee sulla “degenerazione utile” ed i suoi prograMmi di rieducazione e cura ne hanno temperato gli sviluppi. Ben altre sono state le radici culturali remote del razzismo eugenico, ricostruibili soprattutto in autori tedeschi, inglesi e svedesi.
Due allievi diretti, i più vicini, di Lombroso, Mario Carrara e Guglielmo Ferrero, mariti delle sue due figlie Paola e Gina, furono ferventi ed attivi antifascisti. Carrara fu uno dei pochissimi in Italia (dodici!) docenti che rifiutarono nel 1931 il giuramento di fedeltà al regime. Scrisse al Ministro: “non ho sentito di potermi impegnare a dare intonazione, orientamento, finalità politiche alla mia attività didattica, la quale in tanto reputo più efficace ed alta, in quanto più pura di finalità pratiche e contingenti (...) se noi dobbiamo formare nei giovani una conoscenza “scientifica”, dobbiamo guardarci dal turbarne la spontanea formazione con apriorismi dottrinari e preconcetti finalistici”. Credo che il suocero sarebbe stato fiero ed orgoglioso di questa riflessione.
Una conclusiva notazione, a margine di quanto già detto, va posta al tema di un influsso politico e culturale nefasto, di tipo antimeridionalista, delle posizioni lombrosiane negli anni e nei decenni successivi, sulla vita e sulla scienza nazionali. A parte gli innumerevoli giudizi positivi che il medico offre del popolo calabrese, lucano, campano e siciliano, indicando virtù e caratteri lodevoli e non solo tendenze temperamentali o dati statistici che possono sembrare discriminanti, Lombroso contò decine di grati allievi provenienti da quelle regioni, che spesso assursero a carriere prestigiose, cattedre autorevoli, incarichi istituzionali direttivi, fama e gloria internazionali. Ci fu discriminazione, ispirata da Lombroso, nelle politiche sociali ed economiche verso il Mezzogiorno? Basta osservare le statistiche della provenienza dei Parlamentari nel Regno d’Italia. Garibaldi era stato eletto senatore a Napoli, con consensi straripanti. Ferdinando Palasciano, di Capua, fu uno dei parlamentari più attivi nel campo delle riforme sanitarie e fu molto apprezzato dai Savoia, e ciò nonostante il suo passato borbonico. Il ruolo di deputati e senatori provenienti dal Sud fu importante, culturalmente significativo ed in tanti casi prezioso ed apprezzato. La tesi di Bachelet di un “certo atteggiamento colonizzatore assunto dsall’amministrazione unitaria” specie in alcune regioni, come in Campania, è stata fortemente contestata: perchè, in tutto il resto dei territori annessi d’Italia, non si registrarono mai tali “atteggiamenti colonizzatori”? Neppure nelle regioni centrali, spesso dense di mentalità clericale e lontanissime dal tessuto culturale sabaudo. La storiografia meridionalista classica, quella moderna e quella c.d. “deterministica” contengono, tutte e tre, elementi condivisibili e dati opinabili, ma l’idea di una influenza delle idee di Lombroso, cosi come viene posta per esempio da gruppi neoborbonici, sembra davvero infondata e pasticciata. Del resto, al referendum del 1946, ci fu un occasione storica. Un popolo davvero discriminato, perseguitato, maltrattato dai Savoia avrebbe potuto offrire un segnale significativo, una punizione esemplare. La monarchia, invece, fu stravotata: intorno al settanta per cento, con punte verso l’90 per cento a Napoli. Per non parlare della costiera amalfitana. A Positano votarono per i Savoia il 94 per cento, a Tramonti il 92, ad Amalfi il 79,5. La circoscrizione del Mezzogiorno italiano dove i Savoia presero meno voti fu Catanzaro: 514 mila, ma pur sempre il 61 per cento, e ciò contro la temuta e criticata dinastia piemontese sfruttatrice?
Nostalgismo, o autolesionismo, quindi? O innata tendenza di favore per l’essere guidati da regimi monarchici? Se la continuità sabauda fosse stata così odiata, persecutoria e razzista, ispirata da teorie antimeridionaliste e melevole, protagonista di settant’anni di colonialismo, disparità, malcontenti e pregiudizio, un consenso così plateale sarebbe davvero un bell’enigma. Da spiegare in modo convincente, e non con luoghi comuni o stereotipi.
La verità è che Lombroso fu uno scienziato con idee innovative, ma immerso nel suo tempo, nel suo contesto scientifico, nel suo desiderio di esplicare puntigliosamente, giustificare empiricamente ed eziologicamente, fideisticamente, in una stima straripante, tipica della fase del determinismo positivista, nelle leggi causali, nel potere della scienza e del metodo sperimentale e statistico. Un bilancio complessivo è impossibile, tra idee ingenue e balzane, assurdità e paradossi, deduzioni strampalate, ma che ha visto e vede anche l’emergere di qualche merito vero ed incancellabile. Il lascito giuridico e politico della Scuola Positiva, ed i suoi sviluppi nella sociologia criminale di Ferri, lo studio dell’esistenza di fattori extravolontari nella scelta criminale, lo studio delle controspinte inibitorie al delitto, formularono ragionamenti e principi che incisero profondamente sulla critica all’impostazione sanzionatoria tradizionale, sulla neutralizzazione delle pericolosità potenziali, sull’umanizzazione del trattamento penale, del sistema carcerario, dell’attenzione all’uomo ed ai suoi fattori psicologici e sociali, educativi, scolastici, sul rafforzamento delle controspinte criminorepellenti di tipo etico e formativo. Con l’ormai irreversibile eredità positiva di nuovi indirizzi nell’esecuzione della pena carceraria, non più ritenuta di per sé idonea al recupero del reo ma da integrare con interventi tecnici (medici, psicologici, educativi, pedagogici), tendendo a percorsi di risocializzazione e cura, più che alla pura sofferenza espiativa o all’afflittività retributiva della pena. Il codice penale del 1931 accolse il sistema del “doppio binario”, sostanzialmente ancora in vigore: pene e misure di sicurezza, osservazione trattamentale, prospettiva del reinserimento in società, principi e regole rimasti immutati nel codice ed armonizzati dall’evolversi della giurisprudenza costituzionale. Gli ospedali psichiatrici giudiziari, frutto delle intuizioni e delle idee ed impostazioni lombrosiane, sono stati chiusi solo nel 2016.
Felici neologismi, coniati un secolo e mezzo fa dal medico veronese, informano codici e processi e sopravvivono inalterati sino ai nostri giorni. Numerose ricerche, soprattutto americane, da mezzo secolo ripropongono l’idea di un corredo e di un substrato genetico di propensioni, tendenze, inclinazioni vincibili, superabili, che non escludono certo la libertà di scelta e la responsabilità ma propongono risultati interessanti rilevabili nell’ambito delle neuroscienze, ed in particolare della diffusa espansione della neurocriminologia. Nel cervello umano si anniderebbero, in modi e forme ancora poco note, forme di alterazione gravide di possibili ripercussioni sul comportamento: sono ormai celebri le ricerche sul rapporto, unito ovviamente ad altri fattori concausali nella criminogenesi (ambiente, scelta razionale, teorie della “routine”, responsabilità sociali, ecc.) tra tipologie di relazioni sociali e anomalie nel corretto funzionamento del sistema neuroendocrino, con alterazioni del DNA e che impattano sugli assi ipotalamo-ipofisi-tiroide (HPT), ipotalamo-ipofisi-surrene e somatotropo nel quale è coinvolto l’ormone della crescita (GH).
Nuovi determinismi, quindi? O qualcosa che gli somiglia molto? Le critiche a queste ricerche non mancano, anche oggi. Molto preferibile sarebbe in ogni caso parlare di fattori concomitanti, favorenti, che da soli spiegano poco o nulla, e di necessità inopinabile, nell’analisi dei fattori criminogeni, di metodi e approcci multifattoriali, policausali ed interdisciplinari. Ma l’attenzione a ricercare nella morfologia del cervello - come fece Lombroso sbagliando e soffermandosi soltanto, privo dei mezzi tecnoscientifici attuali, sulla sfera fisica osservabile - relazioni dirette o indirette con inclinazioni, aggressività e comportamenti umani, come si vede, un secolo e mezzo dopo la nascita dell’Antropologia criminale non si è spenta, ma si è sviluppata con crescente interesse e risultati significativi persino in prestigiose università americane, inglesi, francesi.
In un secolo e mezzo, di Cesare Lombroso, quindi, si è detto tutto, ed il contrario di tutto. Mentre era in vita è diventato un gigante internazionale, i suoi libri facevano il giro del globo, collezionavano traduzioni e commenti autorevoli. Lo si invitava ovunque a convegni e dibattiti, proprio come una celebrità. Una stella mondiale, un italiano innovativo, dalle idee sconcertanti ma fascinose. Dopo la morte, gli si è scagliato addosso ogni tipo di vituperio: servo venduto alla borghesia, ateo senza cuore ed anticristiano, ispiratore di follie razziste, sciocco ciarlatano, credulone e visionario, prototipo di un antiscienziato senza metodo e coscienza. In ultimo, raccoglitore abusivo di resti, figuro macabro privo di umanità, di pietas e di sentimento per i defunti. Contestualizzare Lombroso, liberarlo da accuse altrettanto ingenue e dal crucifige di lobbies e pseudorevisionismi storici o localistici, è stato difficile, ed è stato reso ancor più complicato dalla creazione della “leggenda nera”, dai colori neoborbonici sbandierati fintamente a difesa delle genti meridionali, che invece non ne hanno alcun bisogno e sanno valorizzarsi con onore e qualità senza ridicole ed antistoriche crociate antiunitarie. “Contestualizzazione”, credo sia la parola chiave. Se c’è, forse una colpa vera, di Lombroso, non sta certamente nel considerarlo progenitore di ideologie nefaste, di razzismi o di follie eugenetiche cui era estraneo per natura e per formazione e che trovarono radici e sviluppi altrove. Il limite autentico, di cui però così poco si è parlato sinora, sta, a mio parere, nella visione del rapporto tra Natura e Storia, che in Lombroso diventa ineluttabilmente la relazione tra Materia e Spirito. Non è casuale, l’ateismo conclamato di Lombroso nonostante l’estrazione ebraica, con una famiglia molto rigida ed osservante, ed una reviviscenza di interesse spirituale e per l’Aldilà negli ultimi due o tre anni. Se tutto si spiega naturalisticamente, materialisticamente, se le leggi eziologiche si pongono in via preponderante nell’immanente, nell’osservabile, nel “visibile scientificamente”, si finisce per oscurare quella componente spiritualistica della specie umana, che ne è invece il tratto distintivo, da cui derivano libertà di scelta, responsabilità, libero arbitrio. Se le condotte, le virtù ed i vizi, dipendono dalla morfologia e dall’anatomia e dai loro risvolti meccanicistici, resta poco spazio per Dio. Per il problema eterno del Male, e del primato ontologico, finale, del Bene. E per la spiritualità dell’Uomo.
Va ammesso però che il valore imperituro e l’importanza di Lombroso, nella scena internazionale, restano ancora ai nostri giorni indiscutibili e ben riconoscibili, a dispetto di decontestualizzazioni e facili semplificazionismi. Fu un figlio e un testimone vorace del suo tempo, curiosissimo, impaziente ed avido di spiegazioni empirico-descrittive, con una fiducia, probabilmente eccessiva, nelle rilevazioni statistiche. Onnivoro, eclettico, ma non razzista. Nè armato da pregiudizi eugenici. Fu audace nelle conclusioni, facile a revisioni e ritrattazioni. Ma non antimeridionalista. Almeno nel senso che i suoi avversari gli attribuiscono. Gli studi degli ultimi trenta, quarant’anni, lo hanno in qualche modo riabilitato con pienezza. Come la critica storica più avveduta, ed in ultimo, persino la Corte di Cassazione.
Non fu nè un mostro, nè uno sciocco, nè un ciarlatano. Fu, senza ombra di dubbio, un testimone autorevole, estroso, poliedrico ed ingegnoso del suo tempo.Mi sono impegnato, con questo modesto lavoro, a cercare di dimostrarlo...