Description
LOMBROSO E IL CRIMINE
Perchè scrivere un altro libro, l’ennesimo, su Cesare Lombroso? Che cosa dire ancora, di nuovo o almeno non banale, visto che del medico veronese si è già detto di tutto, nell’esaltarlo – come padre della criminologia, etichetta che io stesso, ventenne, sentivo ribadire dalle parole appassionate del mitico professor Portigliatti Barbos, a Giurisprudenza – o nel demonizzarlo senza tregua, come temibile seminatore di idee di razzismo, inferiorità, eugenetica, antimeridionalismo?
La cosa che mi colpì di più, devo ammetterlo, fu ciò che successe a Torino, dal 2009 in poi. Ricordo che dirigevo il master di scienze criminologiche e vittimologiche, organizzato da Comune, Osservatorio sulle vittime di violenza, Università e Ordine degli Avvocati. Avevo a fianco tre Maestri: Guglielmo Gulotta, Luigi Berzano, Sergio Vinciguerra.
Di Lombroso e di Scuola Positiva ne avevo già parlato, en passant, in un libro, dopo una ricerca svolta a Torino nel 1998, “Delinquente si nasce o si diventa?” con l’insuperato Ferrando Mantovani e Pier Luigi Baima Bollone. Un pomeriggio del 2010, al master, dovetti affrontare il tema Lombroso: la Scuola Positiva, Garofalo e Niceforo, Ferri e Carrara.
Un’alunna, assistente sociale politicamente impegnata, mi apostrofò secca: “Ma quale scienziato! Lombroso era un pazzo razzista, odiava noi meridionali, e ha ispirato anche il nazismo”. Le chiesi di indicarmi qualche precisa fonte storiografica in subiecta materia, di confrontarci, come faccio sempre. Si ritrasse inviperita e notai in lei un odio sincero, sanguigno e refrattario ad ogni dibattimento verso il medico di Verona: cosa che in ogni caso mi turbò, e non poco. Passò qualche settimana. Ero per caso in Piazza Castello. Mi ritrovai in mezzo ad un alveare colorato di bandiere e cori, circondato da decine di neoborbonici con cartelli: “Chiudete il Museo dell’Orrore”, “Lombroso razzista” “Via dai libri di testo”, “Cancellate Via Lombroso”, “Vogliono portare i bambini a scuola di razzismo”, “L’Università finanzia il Museo razzista”, e così via. L’apertura di trecento metri di area museale in Via Pietro Giuria, aveva fatto convergere a Torino la crème degli antilombrosiani d’Italia, ora un po’debellata, bisogna dirlo, dai libri di Laterza e dai bei video di Alessandro Barbero: antiunitari, neoborbonici, scrittori con l’idiosincrasia per i Savoia ed il Piemonte colonialista, restaurazionisti d’Aragona, intellettuali raffinati con il pallino del Risorgimento come sequenza di infamie, eccetera. Un bel mondo vivace, ma un po’ lamentevole, ciarliero e vittimista, non privo di qualche docente preparato, unito nel segno del simbolo-nero, l’esaminatore esecrabile di crani, da cancellare e rimuovere ab aeterno dalla memoria collettiva. Allora, sempre più inesorabilmente, mi venne l’idea di approfondire sul serio il pensiero del criticato Cesare su questi temi. Ma come, pensavo. Fior di Maestri, giuristi autorevoli, sociologi, criminologi, mi avevano riempito il cervello per vent’anni di idiozie beatificatrici del padre della criminologia, scienziato in buona fede, con qualche errore ma dal segno indelebile nella nostra storia? Oppure l’antimeridionalismo, il razzismo, l’eugenetica erano fraintendimenti ed esagerazioni frutto di ignoranza, pregiudizi culturali, progetti politici anacronistici?
Mi misi a studiare, mesi e mesi di fila, i libri di Lombroso. Una ventina. E poi quelli su Lombroso, un’ altra ventina. Con ripetute visite al Museo. Di cui il direttore, Montaldo, mi parve persona straordinaria, disponibile, appassionata, rigorosa. E cominciai a scrivere qualcosa. Per una ragione o per l’altra, il materiale lo tenni lì, per qualche anno. Adesso, e questa è stata forse la spinta decisiva, pochi mesi fa la richiesta inaspettata di scrivere un libro su Lombroso mi arrivava, potenza del destino, da un editore campano. Senza che lui sapesse nulla delle mie ricerche passate. Un editore che è un meridionale al quadrato. Un meridionale che più meridionale non si può. E che ne ha tutte le virtù. Uno storico illuminato, dall’intelligenza vivace, allegra e costruttiva, ma che passa giornate in archivio, preciso, a compulsare dati, manoscritti, documenti. E chiedeva proprio a me, a un piemontese autore di testi di criminologia, uno sforzo di analisi che partisse dalle osservazioni di Lombroso sulle organizzazioni criminali, ma che affrontasse anche il tema dell’antimeridionalismo, in modo aderente a fonti precise, solo a quelle, e senza riserve mentali o apriorismi. E che confluisse in un testo agile, sulle duecento pagine, adatto ad una divulgazione ampia anche tra i non esperti nelle discipline criminologiche (circostanza che mi ha imposto di non appesantire il testo con un poderoso apparato di note, come mi sarebbe piaciuto, cercando di offrire, però, nella vasta bibliografia sufficienti fonti – per chi lo desiderasse – di approfondimento). Spero, nel presentare questo lavoro, di esserci riuscito.
Due i contributi interni, di giovani e validi collaboratori. La parte sulla mafia è stata realizzata da Valentina Ciappina, che dopo la laurea in legge si è appassionata al tema della criminologia e dei reati finanziari e valutari ed ha fondato a Torino, tra l’altro, il “Crime Festival”, di valore oramai internazionale. La parte sui gerghi criminali è stata curata da Lorenzo Ciravegna, torinese, presidente del CESIC, attivo nel campo dell’educazione alla legalità ed alla tutela ambientale, impegnato sui temi della criminalità e della qualità della vita urbana ed autore di importanti campagne civiche di prevenzione di truffe e reati contro anziani e fasce deboli. Ringrazio di cuore anche il mio maestro Luigi Berzano, sociologo tra i più noti in tutto il mondo, per la bella prefazione e due amici sinceri, che hanno realizzato interventi introduttivi che è quasi da querela – per diffamazione o ingratitudine – definire solo “inviti alla lettura”.
Quello di Enzo Maolucci poi, introduce una quantità di contenuti scientifici equivalente, se non superiore, ad una attuale laurea breve post – riforma. Peraltro Luigi Berzano, Furio Gubetti ed Enzo Maolucci, tre giganti della cultura e della saggistica contemporanea, rispecchiano, senza averlo programmato – lo giuro – le tre angolazioni cromatiche prevalenti del caleidoscopio lombrosiano: sociogiuridica, medico-psichiatrica, antropologica. Confido di essere riuscito a fornire un quadro sufficientemente rigoroso e neutro del pensiero di Lombroso, con qualche considerazione personale anche sul tema della spiritualità e delle curiosità del medico veronese per l’occulto, il medianico e la religione, scoperte come spesso accade in articulo mortis. Spero, soprattutto, che questo testo agile che ho voluto, a dispetto del titolo della collana, tenere scevro da accademismi, incuriosisca anche il lettore ad approfondire vita e libri del veronese. Che commise, oggettivamente, molti errori, tali da ingenerare l’idea, da lui stesso in parte rettificata, che l’inferiorità di intere genti e comunità potesse essere riconducibile, in qualche misura, a fattori congeniti, biologici, organicistici, ereditari. Generalizzazione rivelatasi, come era ovvio, semplificatrice e irragionevole: se inferiorità vi era, essa dipendeva, oltre a fattori storici, da cause economiche e sociali. Che peraltro il medico mise bene in luce ma, immerso com’era in quel contesto europeo pervaso di determinismo, affiancò a stimmate innate in gran parte fantasiose. Pensiamo, però, per un attimo se una personalità come la sua avesse avuto a disposizione un decimo, un centesimo delle tecnologie e degli strumenti di osservazione moderni e contemporanei, o della genetica. Probabilmente, non sarebbe mai incorso in certe sviste marchiane o in deduzioni audaci ma fragili. Che l’hanno esposto, qualche volta con ragione, a fraintendimenti ed accuse sproporzionate di teorico del razzismo, con campagne spesso aggravate da decontestualizzazioni, preconcetti storici e strumentalizzazioni. Tuttavia, l’importanza di questa figura non può essere seriamente ignorata, pretermessa o sottovalutata nella storia e nella cultura italiana. Perchè di Lombroso e di alcune sue intuizioni, dei sentieri che ha aperto e delle idee che ha suscitato, anche nell’era delle neuroscienze e degli studi sul cervello sul piano neurofisiologico, psicobiologico e genetico, nell’ottica dell’analisi dei condizionamenti extravolontari del comportamento umano, si sentirà, a mio parere, ancora parlare. Per un bel po’ di anni. Forse anche di secoli. Hanno provato, e possono ancora provarci, a sbarazzarci di lui. Ma la vedo proprio dura.
MASSIMO GIUSIO
Sociologo, scrittore, docente e saggista torinese. Dopo gli studi storici e giuridici e l’abilitazione alla professione forense, si è appassionato alla ricerca nei campi del diritto ecclesiastico, della sociologia delle religioni, della storia del Cristianesimo, dell’antropologia religiosa e di altri ambiti storico-giuridici nel campo dei diritti umani e della libertà religiosa nell’ordinamento italiano e comparato. Ha pubblicato “Delinquente si nasce o si diventa?” (Torino, 1997), “Il corpo e l’arte” (Bologna, 1999), “Elementi di criminologia” (Torino, 2006), “Compendio di vittimologia e victim – support” (Napoli, 2013), “Manifesto per una buona sanità (con L. Berzano e G. Moretti, Firenze, 2014), la voce su Tommaso Campanella in “Le Città del Sole” (Torino, 2015) e “La libertà religiosa in Italia” (Roma, 2018).
Recensioni
Non ci sono ancora recensioni.
Only logged in customers who have purchased this product may leave a review.