L’italiano che inventò il Soccorso Umanitario: Ferdinando Palasciano e la Croce Rossa

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IL PENSIERO

 

«Bisognerebbe che tutte le Potenze belligeranti, nella Dichiarazione di guerra, riconoscessero reciprocamente il principio di neutralità dei combattenti feriti per tutto il tempo della loro cura e che adottassero rispettivamente quello dell’aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo della guerra»
In queste poche righe è condensata l’essenza del pensiero di Ferdinando Palasciano. Le vicende biografiche del chirurgo di Capua, le sue opere scientifiche, la misura del suo coinvolgimento prima nell’esperienza di ufficiale medico borbonico, poi nei moti risorgimentali e nell’ attività politica, specie in quella del Senato, consentono di ricostruire, seppure in una forma sintetica quale è quella insita nel presente lavoro, le caratteristiche fondamentali del suo campo di interesse, delle sue riflessioni, della sua filosofia medica, del suo impegno umanistico.
La relativa carenza di documentazioni rispetto alla sua carriera, fino al 1849 – 50, è però superabile, almeno in parte, attraverso una serie di testimonianze esterne,  di fonti qualificate, ampiamente consultabili presso vari Archivi, che consentono di ricostruire con precisione il suo pensiero. Non ci soffermeremo, avendo già sviluppato questi temi nelle note biografiche, sugli aspetti scientifici e medico-chirurgici che caratterizzarono la produzione di Palasciano facendone uno dei protagonisti più innovativi  del panorama medico della metà del XIX secolo. Ci limiteremo a ricordare ancora, per esempio, gli importanti lavori in materia ortopedica, quelli sulle tecniche chirurgiche nel caso di ferite e lesioni d’arma, gli studi inediti sulla   sifilide, gli  scritti  davvero  innovativi,  e  quasi   sempre controcorente, in materia di igiene pubblica e di corretta distribuzione degli spazi ospedalieri, per la profilassi infettiva e per l’umanizzazione delle cure e dei trattameti sanitari degli ospiti.
Ma cominciano dal 1848 le prime ed importanti prospettazioni di Palasciano in materia di filosofia medica. Come abbiamo descritto nella parte biografica, la città di Messina aveva aderito all’insurrezione di Palermo per contrastare il dominio borbonico e Re Ferdinando II di Borbone aveva ordinato il bombardamento affidandolo a Filangieri, che entrò vittorioso in città il 7 settembre 1848 e per umiliare i ribelli e per la scarsità dei mezzi di soccorso, diede un preciso ordine ai medici militari: non bisognava per nessun motivo soccorrere e curare i feriti di guerra nemici.Nemmeno quelli gravi: Praticamente, bisognava lasciarli morire. Palasciano aveva scritto, tre anni prima, un libro molto singolare ed interessante,  Misericordia per la vita degli infermi, in cui sosteneva, ovviamente, la tesi contraria. Coerentemente iniziò, senza curarsi delle conseguenze, a curare anche i feriti della parte avversa.
Per l’insubordinazione, si prevedeva la fucilazione. Convocato dal generale, la questione finì con un rinvio a giudizio, di fronte al Tribunale di Guerra con l’accusa che il medico”s’era fatto spontaneo custode della vita dei feriti delle file inimiche”. Da un lato, vi era il giuramento allo Stato, ed all’esercito. Dall’altro, quello di Ippocrate, e cioè la priorita di cura che per ogni medico costituisce imperativo categorico e professionale indefettibile. Quale dei due giuramenti doveva soccombere? In risposta all’accusa, la sintesi della sua linea difensiva fu riposta da Palasciano in questa sua frase:
“La mia missione di medico è troppo più sacra del dovere di soldato”.
Questa speciale sacertà ippocratica nel contesto bellico, che non conosce carattere subalterno ad altri valori, costituisce, per tutta la vita, uno dei capisaldi del pensiero del medico campano. Si tratta, quasi vent’ anni prima della nascita della Croce Rossa,  della teorizzazione di una discontinuità netta e radicale rispetto alle tradizionali consuetudini storiche di guerra, per le quali il nemico ferito, in quanto tale, non era titolare, in base al diritto bellico, di uno specifico  diritto al soccorso e alle cure. La posizione di Palasciano introduce un innovativo concetto di umanizzazione attraverso la neutralità attribuita all’individuo, per la quale si mette a tema che ogni uomo ferito deve, secondo il suo pensiero, essere considerato neutrale e bisognoso di soccorso senza alcun rilievo offerto alla sua condizione di nemico. E’ interessante notare che Palasciano, subito dopo ma anche durante il periodo di detenzione susseguente alla grazia reale che gli evitò la fucilazione, fece seguire con costanza un preciso riflesso pratico alle sue affermazioni, continuando a curare ed assistere i feriti, anche quelli appartenenti alle schiere dei rivoltosi. Il seme scolpito nella Misericordia per la vita degli infermi, ormai, era gettato. Ben sedici anni prima della Convenzione di Ginevra e della nascita della Croce Rossa.
La necessità di perfezionare nel contesto internazionale il principio descritto del soccorso a tutti i feriti di guerra viene ulteriormente precisata, dopo la caduta del regno borbonico, nelle celebri relazioni all’Accademia Pontaniana Qui il pensiero di Palasciano trova una più compiuta rifessione. Leggiamo le sue parole:
“Bisognerebbe che le potenze belligeranti, nella dichiarazione di guerra, riconoscessero reciprocamente il principio della neutralità dei combattenti feriti o gravemente infermi, e ciò per tutto  il  tempo   della cura. E che adottassero rispettivamente quello dell’aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo di guerra”.
Una profonda riforma sovranazionale del diritto di guerra, per la dignità e il rispetto della persona umana e l’abbattimento della storica discriminante tra amico e nemico sostituite da un concetto umanitario come quello dell’universalità e neutralità delle cure, sono gli elementi cardine su cui si fonderà a Ginevra la costituzione della Croce Rossa.
Il discorso di Palasciano venne poi stampato per favorirne la circolazione in Italia e all’estero.  (si veda ad es. F. Palasciano, De la Neutralisation des blessés en temps de guerre et de ses conséquences thérapeutiques, Lyon 1864, dove si ricostruisce la storia del dibattito sulla neutralità dei feriti in guerra). Sempre alla Pontaniana Palasciano propose un premio di cento ducati (propri) da assegnare a uno scritto sull’argomento della cura delle ferite da arma da fuoco e sul principio della «neutralità dei combattenti feriti o gravemente infermi per tutto il tempo della cura» (Olga de Wavilow, Prefazione a F.Palasciano, Memorie, 1896, p. XII). Una ulteriore proposta era quella che i governi degli stati belligeranti si impegnassero in via preventiva alla restituzione reciproca dei prigionieri feriti dopo ogni combattimento, a far curare tutti i feriti intrasportabili sul luogo del combattimento, a fornire e rispettare un salvacondotto per il personale sanitario, all’impianto di un sistema di ‘vaglia’ interscambiabili per i rifornimenti le dotazioni e gli strumenti necessari alle cure e, nel ”caso di assedio, a consentire l’uscita degli assediati feriti per essere accolti da un terzo neutro o addirittura dagli assedianti stessi”.

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Description

Ferdinando Palasciano e la Croce Rossa

Se lo studio dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario rappresentano per chi scrive, da due decenni, una passione vivace e mai interrotta, sul ruolo di Ferdinando Palasciano nello sviluppo storico della Croce Rossa Internazionale, segnato da una figura straordinaria ma assai trascurata nel panorama bibliografico italiano, è stata la scoperta felice di alcuni documenti, favorita da sforzi archivistici condotti soprattutto in Campania, ad indurmi a redigere questo modesto lavoro editoriale. Che è sintetico nella stesura, ma che vuole soprattutto innescare curiosità e sviluppare nuovi filoni di ricerca, sia tra i nostri studenti che per tutti coloro che amano la storia nazionale. Inevitabile era però, anche per esigenze didattiche legate a percorsi monografici e ai nostri corsi di insegnamento di diritto pubblico e di diritto sanitario, inscrivere la vicenda di Palasciano in un percorso generale sul diritto umanitario, descrivendo la storia del soccorso bellico nell’ordinamento giuridico internazionale e la vicenda storica gloriosa della Croce Rossa Italiana.
Tornando a Ferdinando Palasciano, non è raro incontrare, nella saggistica e nella ricerca storiografica sul XIX secolo, figure la cui importanza e la cui genialità creativa sono inversamente proporzionali alla loro considerazione ed alla loro presenza nei libri, nelle tesi di laurea, nelle analisi di fonti e documenti.
Ciò vale, per Palasciano, in modo peculiare. Ad eccezione di un coraggioso drappello di personalità culturali ed associazioni legate alla sua natìa Capua, e a pochissimi docenti universitari, ho notato da subito una circostanza singolarissima, che ha sortito l’effetto della tradizionale molla scatenante e che ha portato poi – grazie all’incoraggiamento dell’editore Arturo Bascetta, valoroso interprete della valorizzazione costante delle figure storiche e culturali campane, note e meno note – a realizzare questo umile ed iniziale percorso di ricerca. Mentre esistono, in tutto il mondo, migliaia di libri, ricerche e pubblicazioni su Henry Dunant, emerso nella narrazione ginevrina, sin dai primi anni dopo la Convenzione del 1864, come il padre, unico ed esclusivo, della Croce Rossa, su Ferdinando Palasciano, che del programma originario di Ginevra fu ispiratore ideale ingenerosamente trascurato ed autentico precursore, riuscii a reperire, in mesi e mesi di ricerca, non più di una decina di scritti, quasi tutti rivolti ad una platea di specialisti, o a ricerche accademiche, mediche ed ortopediche, o di igiene pubblica, ma non certo di accessibilità al grande pubblico.
Spero, con questo modesto volumetto, di favorire e stimolare l’interesse dei lettori e degli studenti, suggerire curiosità ed introdurre con le pagine dedicate al medico campano nuovi approfondimenti, studi ulteriori e percorsi di ricerca sulla vita e le idee innovative di un personaggio la cui vita romanzesca, dalla condanna a morte evitata miracolosamente, all’amicizia con Garibaldi, all’attività politica nel Senato del Regno d’Italia, rappresenta un fulgido esempio di intellettuale colto e raffinato, di medico impegnato sul piano civile e politico, di ardente ed orgoglioso sostenitore di valori scientifici ed umanitari universali il cui immutato rilievo merita, con ogni sforzo, di rappresentare un costante e rispettoso gioiello di memoria e di analisi storica, di studio rigoroso e di continua, viva ed incessante valorizzazione.

MASSIMO GIUSIO

Sociologo, scrittore, docente e saggista torinese. Dopo gli studi storici e giuridici e l’abilitazione alla professione forense, si è appassionato alla ricerca nei campi del diritto ecclesiastico, della sociologia delle religioni, della storia del Cristianesimo, dell’antropologia religiosa e di altri ambiti storico-giuridici nel campo dei diritti umani e della libertà religiosa nell’ordinamento italiano e comparato. Ha pubblicato “Delinquente si nasce o si diventa?” (Torino, 1997), “Il corpo e l’arte” (Bologna, 1999), “Elementi di criminologia” (Torino, 2006), “Compendio di vittimologia e victim – support” (Napoli, 2013), “Manifesto per una buona sanità (con L. Berzano e G. Moretti, Firenze, 2014), la voce su Tommaso Campanella in “Le Città del Sole” (Torino, 2015) e “La libertà religiosa in Italia” (Roma, 2018).

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Editorial Review

Il ruolo di Ferdinando Palasciano 

Perchè il contributo specialissimo ed originale di Ferdinando Palasciano, con le sue esperienze dirette nei teatri bellici, non fu valorizzato adeguatamente, attraverso un invito ed una partecipazione fattiva alla Convenzione di Ginevra dove prese forma la Croce Rossa Internazionale?  Il governo italiano, invitato da quello svizzero a nominare un delegato ufficiale in occasione della conferenza, fece il nome del dott. Baroffio e del capitano Cottrau, non prendendo neppure n considerazione la figura del Palasciano.E perchè, anche nelle fasi successive, il Regno d’Italia non riconobbe mai, con azioni e ruoli concreti, nel processo di sviluppo della Croce Rossa e del diritto internazionale umanitario, le enormi potenzialità ideali e propositive di Palasciano?
Per cercare di rispondere con obiettività a questa domanda, esaminiamo anzitutto la chiave di lettura, proposta da Francesco Garofano Venosta, e poi seguita da molti commentatori e ricercatori che si sono occupati, già negli ultimi decenni dell’Ottocento, di questo tema. Questo approccio esplicativo potremmo definirlo della “doppia immaturità”. Sia il regno borbonico, sia il nuovo Regno d’Italia, furono entrambi consapevoli, con ogni probabilità, del valore medico-scientifico e del contributo di Palasciano, e dell’altezza della sua personalità. Giocarono, però, fattori ostili al medico nell’uno come nell’altro caso: per i borboni, Palasciano era comunque un personaggio scomodo, condannato a morte, detenuto per disobbedienza, seppure per ragioni magari nobili, ma comunque protagonista inquieto di infedeltà al Re ed alle regole militari, salvatore di vite nemiche e sospetto di simpatia per i rivluzionari e la Carboneria, o con esponenti liberali.
Per i Savoia, diversamente, Palasciano era comunque un ex ufficiale borbonico, poi amico di Garibaldi, era sostenitore di tesi innovative e moderne, modellate su ideali umanitari e, in qualche misura, fondate su basi giusnaturalistiche.
Assai interessante appare un documento epistolare, custodito con amorevole cura e valorizzato dall’Associazione Palasciano di Capua.
E’ una lettera di Giuseppe Garibaldi, inviata a Palasciano:

Caprera Agosto 1863

Caro amico,
ho  chiesto  un  altro  milione  di fucili  agli  Italiani. Sicuro  del  vostro  consenso delego voi  a  raccogliere  i  fondi necessari.
Il  danaro  raccolto  lo  verserete nelle  mani  del  Sig.Adriano Lemmi, nostro  cassiere  in  Torino.
Vostro
G. Garibaldi
Onorev.  Sign.  Prof. Palasciano
Napoli

Si tratta di una fonte assai utile anche per auspicabili approfondimenti e per ricerche ulteriori: è tale la fiducia in Palasciano che Garibaldi, in un momento drammatico e di contrasto con moltissimi esponenti del Regno d’Italia, affida proprio a lui la raccolta di denaro per racogliere (un milione di fucili”. E ciò non può che avergli attirato, probabilmente, l’antipatia di larghi strati dell’ establishment sabaudo.
La sua militanza nella Sinistra nel Parlamento del Regno ed i suoi discorsi polemici ne confermavano poi il carattere difficile, lo stile orgoglioso e a tratti scontroso, l’impegno caparbio per campagne assai avanzate di igiene e profilassi pubblica, i toni durissimi di alcuni suoi interventi giornalistici sulla stampa dell’epoca.
Francesco Garofano Venosta, insigne storico della medicina e profondo conoscitore della figura del Palasciano, attribuisce pertanto all’incapacità dei Borbone prima, ed all’immaturità del Regno d’Italia le cause del mancato riconoscimento.
Su questo isolamento vale la pena di ricordare proprio le parole conclusive, di auspicio, rese su questo tema da parte di Garofano Venosta.
“La cronaca, la semplice cronaca della vita di Ferdinando Palasciano è più eloquente di ogni altra cosa. Ragguardare le date, raffigurare gli eventi, specie se posti al lume del periodo storico nel quale si svolsero, significa anche spiegarsi tanti motivi: la mollezza di un’epoca cadente (quella borbonica), l’inesperienza di un’Italia troppo giovane, la mancanza di uomini politici che potessero farsi valere in campo internazionale.
Tuttavia, colpa non ne facciamo a nessuno. La storia, questa giustiziera senza incertezze, questa dea implacabile ed inesorabile saprà, in uno con gli uomini di oggi, essere la giusta vindice di Ferdinando Palasciano”.
Un altro tentativo di spiegazione dell’esclusione di Palasciano dalla Convenzione di Ginevra è quello, sostenuto apertamente in più occasioni anche dalla vedova, di una sorta di cospirazione internazionale. La gelosia degli svizzeri, sul cui territorio era convocato l’organismo, e che esaltarono in modo smodato la pur straordinaria ed innegabile figura innovativa di Dunant, non ammetteva che qualcuno potesse vantare, in modo obiettivo e dimostrabile, di avere anticipato di una ventina d’anni le intuizioni relative al soccorso umanitario internazionale. Nè si poteva ammettere che la Croce Rossa avesse, per così dire, “due padri” uno dei quali, addirittura, italiano (l’Unità vera e propria arrivò dopo 6 anni, e molto sangue sparso, con la presa di Roma).
Vero è anche che i preparativi della Conferenza furono gestiti soprattutto dalle parti francesi e prussiane, e dal “Comitato dei Cinque” che, tra loro, non infrequentemente davano luogo a feroci litigi. Dunant, peraltro, in quel periodo dipendeva da Moynier, che Dunant scavalcò palesemente spedendo in tutta Europa la circolare di convocazione senza concordarlo con gli altri del Comitato. I trentuno partecipanti furono, quasi del tutto, desgnati direttamente dai reali delle 16 nazioni aderenti. Del resto, la Conferenza non portò buona sorte neppure a Dunant, poi osannato dalla storia come il solo ed unico “padre” della Croce Rossa: già l’anno successivo, occorre ricordarlo, dovette dare le dimissioni e tre anni dopo, colpito da scandali economici, fuggirà di notte da Ginevra, e non vi tornò mai più morendo diversi anni dopo, in condizioni di indigenza spaventose, ad Heiden con il solo aiuto della Croce rossa svizzera, che gli elargiva un sussidio mensile. La tesi di una debolezza politica italiana, e di una gestione, in qualche modo, “antitaliana” nella nascita della Croce Rossa, furono ribadite, in chiave però nazionalista ed ideologica, durante il periodo fascista, ma appaiono poco convincenti, e soprattutto non sorrette da prove effettive.
Il dato è che, comunque, l‘esclusività e l’unicità della primogenitura di Dunant, accompagnata sicuramente dalla fortuna europea del suo commovente libro su Solferino, di cui abbiamo ampiamente trattato nella prima parte del volume, determinò però una contestuale ed ingiusta scotomizzazione, davvero eccessiva, dei meriti di Palasciano, che potevano comunque essere, in qualche modo, riconosciuti, rammemorati ed analizzati da una pubblicistica che avrebbe dvuto essere ben più grata ed estesa. Senza nulla togliere ai grandi sforzi ed alla figura straordinaria di Henry Dunant, ciò poteva accompagnarsi, comunque, ad una ben maggiore e meritata attenzione per Ferdinando Palasciano.
Come concludere questo lavoro che, lo si ripete, deve servire soprattutto a introdurre e tracciare un percorso di rinvigorimento e di valorizzazione della ricerca e della memoria culturale nazionale nei confronti di una figura che ha onorato, per le sue idee e la sua concreta esperienza, il nostro Paese ed è stato, per troppo tempo, isolato con modi e atteggiamenti ingiusti, e contrari proprio a quel senso di umanità cui Palasciano ha ispirato, per una vita intera, le sue riflessioni e le sue proposte? A noi pare giusto riaffermarne il ruolo storico, di valore perpetuo, citando un brano della sua commemorazione funebre, svolta il 30 novembre 1891 al Senato del Regno da un altro autorevole politico campano, il senatore Pierantoni:
“Signori senatori! Permettete a me, figlio di adozione della Campania felice, i cui abitatori contavano tra loro i sommi Ferdinando Palasciano, di dire una memore parola di rimpianto per il collega, di cui sentiamo l’amara dipartita. Voglio parlare, perché qui non seggono senatori nati in quella regione. Questo patriottico dovere, che vincendo l’emozione io vo’ a compiere, è benanche raccomandato dalla santa ed immacolata religione dell’amicizia (Bene), che al defunto per lunghi anni mi strinse.
Ebbi la ventura di conoscere Ferdinando Palasciano, sorto da origine popolana, come uno dei più ardenti patrioti dell’anno 1860. Ferdinando Palasciano, come bene ha detto il nostro Presidente, si distinse sempre per opere di carità e di civile e nazionale progresso.Nessuno fu maggiore di lui nell’opera coraggiosa e indefessa di curare i numerosi feriti della memoranda e sanguinosa battaglia, ch’ebbe nome del Volturno, e che recò il trionfo dell’idea unitaria nazionale. Nessuno! Allo spettacolo desolante di giovani vite, che si spegnevano, olocausto per la redenzione nazionale, per l’insufficiente aiuto del corpo sanitario presso gli eserciti combattenti, Palasciano sentì nel petto la nuova idea, nunzia di una grande umanissima riforma, la neutralità sul campo di guerra del corpo sanitario, delle ambulanze e delle suppellettili medico-chirurgiche.
Col Palasciano altri illustri chirurghi stranieri, che pure avevano esposta la loro vita sui campi di guerra a salvezza dei feriti, divulgarono con elaborate memorie le proposte, che diressero la Conferenza internazionale adunata in Ginevra per redigere la convenzione, che prese nome dalla Croce rossa nella storia moderna.”
Essendo giunti alla conclusione di questo modesto ed iniziale lavoro di ricerca, ci piace poter completare questo omaggio al grande medico campano con una felicissima scoperta: l’ incipit della voce relativa alla Croce Rossa internazionale, sfogliando l’Enciclopedia Larousse, che così recita:
“L’origine dell’istituzione si fa risalire a Ferdinando Palasciano”...

 

Indice del testo

Cap. I
il diritto umanitario:
origini e sviluppo
Henry Dunant e la Croce Rossa Internazionale

Cap. II
La CROCE ROSSA ITALIANA
Il glorioso percorso storico
Gli sviluppi organizzativi recenti

Cap. III
FERDINANDO PALASCIANO
Il precursore
Profili storico-biografici
Il pensiero
Il ruolo di Ferdinando Palasciano - Considerazioni Finali

Appendice
Titolo I - Statuto C.R.I. - Disposizioni Generali
Titolo II - Obiettivi Generali e Compiti Specifici
Titolo III - Soci

Documentazioni Fotografiche
Note Bibliografiche

Le realtà ortodosse in Italia