Isabella da Venosa. Isabella del Balzo

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Attesa a Benevento dai parenti di Papa Borgia

Apice diventò capitale per un giorno. Tutto il paese era in festa per l’arrivo non solo della Regina ma di molti nobili vestiti a festa e di cavalieri tirati a lucido. Né mancarono i parenti stretti della Corona d’Aragona giunti apposta da Napoli, dopo aver assistito all’incoronazione di Re Federico, per portare novità alla sovrana o per vederla per la prima volta, ma soprattutto per accertarsi che la strada fosse libera e sicura.
Così Pacienza: — Circa un miglio de Apece lontano erano quasi, quando se incontraro co l’illustre Don Ferrando, qual al piano smontao e a la Regina se n’andao. Cum reverencia la sua bianca mano po’ alcuna renitencia il basao; po’, cavalcando, ver Apece camina, parlando de piacer cum la regina.
Federico le aveva inviato incontro i nipoti naturali: il prestante e aitante Ferrando d’Aragona e il cavalier Orlando, bello e costumato.
Il poeta: — Questo Ferrando fo figlio a Re Ferrando, simil al patre in viso et in statura, gagliardo del suo corpo, un altro Orlando, benegna e graciosa creatura; che è franco cavalier, ciascun el sanno; prudente, accostumata è sua natura. Il signor Re el mandò per accompagnare in Napul la Regina, e sì ebbe a fare.29
I due cavalieri si erano anticipati per meglio organizzarsi in loco prima di ripartire alla volta di Napoli. Un motivo in più per Don Giovanni e la sua bella Signora Borgia, baroni di Apice, per accogliere il corteo regale e non fare brutta figura.
In genere la Regina, già prima del lutto che portava dalla morte di Ferrante, vestiva sempre in maniera sobria.
Così: — Portava una gonnella, over briale, de seti verd’e de vellu negro trappato, cum sopravesta de abito regale; ‘n carmosin finissimo era ‘l broccato e rizo sopra rizo, che mai equale d’altra regina al mundo fo portato, cum cinto devenil tirato de oro, cum ferri de oro d’uno bel lavoro; in testa una scuffia de pannicello de color nigro e lavor de or e argento; de seta chermosina era ‘l cappello fatto a la guglia e, per adornamento, de seta et or un lazo pendea a quello, cum trinzera la castigliana el legamento de la testa, e pianelli de broccato, che un corpo mai se vide più ornato. De velluto chermosin franzato de oro el fornimento de la mula tutto; certi relevi sopra in bel lavoro de truchi de granate cum lo frutto; de oro le foglie, e per maior decoro d’argnto era el granato, over lo frutto, che a vider rendea una vaghezza in una mula tanta gentilezza.
Una guardina de seti morata el duca mio illustrissimo portava; de broccato rizo negro era listata a la fransese, che ben campigiava; de domasco griso la veste inforrata, cum lo iuppone che prima portava; caten al collo e formaglio pendente, cum certe gioie assai ornamente.30
Il piccolo Duca, invece, quando non si dava alla caccia, si dedicava allo studio. Senza stare in ozio, la matina, pò vestito, messa audiva e po’ intendea una lezione de grammatica e un latino ancor facìa, secundo per lo mastro se glie done; de po’ a leve esercicio intendìa de palla o de iocare de bastone, de po’ mangiava sobrio e dilicato cum gesti soi regal, che ne è dotato. A scacchi se iocava po’ mangiare, sopra la mensa, cum ingegno et arte; po’ a la balestra se ponea a tirare, donde voleva, dava in omne parte; cum l’arco po’ a torretta vol mevare, tirando cento colpi almen in disparte, ch’arìa recriso omne forte brazzo e a lui parea che non desse impazo. Seguiva le lezioni di latino e di canto figurato poi, con i sui paggi, prendeva a correre e saltare, finché venesse l’ora de mangiare. Senza mai arrabbiarsi era amatissimo e la sera si trovava fresco che quil non facea niente, Don Francisco. Ballava e cantava con misura, l’attillato e forte cavalcare; e tutte cose cum attellatura, perchè il Duca quello che lui far volea, meglio de adolescente lui facea.31
Il nome di Don Giovanni da Cerviglione ricompare anche nel Balzino, per aver organizzato un’accoglienza secondo il costume locale, presumibilmente con tutte le donne vestite con la gonna di saia imperiale che le spose custodivano gelosamente quale dono di nozze e utilizzata per le occasioni speciali.
Così: — Fe’ Apece a l’intrar demonstracione, secundo el loco, assai, al mio parer, però che Don Ioan de Cerviglione ordinò tutto, e la bella mogliere.
Per Don Giovanni, ma anche per Apice, fu un giorno particolare, da far ricordare alla sovrana e ai posteri. Il momento topico lo si ebbe in chiesa, nei conventi, ma soprattutto durante la processione, quando la Regina uscì per mettersi alla guida del corteo, con i cavalieri della Corona d’Aragona e le Duchesse al fianco, e tutti i nobili dietro con il popolo al seguito. E’ il formidabile ingresso in paese che venne ricordato nel poema, in cui viene sottolineata la felicità degli astanti e la cortesia dimostrata verso tutta la corte.
Il poeta: — Cum palio degno e cum processione intrao cqui la regina e cum piacere, e receputi cum summa alegreza, e ben mostrarno la lor gentileza.32
Isabella entrò in Apice da Regina fra il 30 settembre e il 1 ottobre del 1497, per la felicità del popolo che credette passata la fase della guerra civile, ma che, invece, doveva ancora assistere alla consegna del Regno di Napoli agli Spagnoli di Ferdinando Il Cattolico, per il quale tanto si era prodigato il suo Gran capitano Consalvo di Cordova, avendo tolto ai francesi quasi tutta la Calabria.33
Chissà, forse già per quella occasione, decise di mettersi in pompa magna, così come farà prima di entrare a Poggioreale.
Il poeta: — Vestea questa regina una gonnella de drappo d’oro verde molto fino, frappé de velluto sopra quella, na sopravesta de seti chermosino fatta a la francese, molto bella, che lo suo corpo lo facea divino; na caila in testa, in seta et or filato, et una vetta al fronte de or tirato; de argento et or tirato un bello cinto de Effe tutto quanto semenato, passanti fatti a cori, e ben depinto, e lo pendente de oro lavorato. Chi le mirava, ne restava vinto per la vagheza tanto è delicato, che ben sembrava in tante gentilezze Iunon che è dea de tutte ricchezze. ‘l collo na catenella sì portava, ove era un formaglio ricco e bello; appesa na segia infocata sì nce stava, intorno gli era uno gran gioiello, uno balascio grande che lustrava e tre belli diamanti intorno a quello; la segia e ‘l guarnimento de puro oro, che fo estimato uno gran tesoro. De seta lo cappello in color morato, fatto a la guglia, molto ben guarnito; li pianelli erano ancora de broccato; infine ‘l corpo, tutto ben polito. Mula murella él ebbe cavalcato, de velluto pagonazzo el suo vestito cum certo fornimento, ditto bardiglia, d’argento et or, de grande maraviglia. El Duca de Calabria vestea de broccato rizo bianco uno ioppone; saio de seti nigro sopra avea cum roba de scarlata cum listone de velluto negro, e l’infodera tenea de domasco chermosino el bel robone; catena al collo fatta a la cesarina, barretta de velluto, e matre divina.34
Il corteo fu stancante, ma piacevole, preannunciandosi un meritato riposo dopo una lauta cena. Non è dato sapere se la Regina dormì in convento, ma è più probabile che fu ospite nel Castello del barone Cerviglione, della bella consorte che portava il nome altisonante dei Borgia, essendo una nipote del papa, che ben si era assicurato il feudo di Apice alle spalle di Benevento…

Description

 

 

INDICE

1. ISABELLA DUCHESSINA DI VENOSA
— Figlia di Pirro duca di Andria, ma nata a Venosa
— La nutrice ubriacona di Minervino
— Una principessina a spasso per Altamura
— Turchi a Nerito: Pirro è Contestabile del Regno
— Promessa al duca ‘de lo Monte’ S.Angelo
— Pirro e Capitanata contro il Re: la congiura
— Il Principe spodesta i del Balzo
— Salerno e Pugliesi vogliono Federico sul trono
— Federico prigioniero, la Puglia assediata
— Muore Francesco, promesso di Isabella

2. LO SPOSALIZIO COL PRINCIPE FEDERICO
— Fuga a Montepeloso, le nozze ad Andria
— La rinuncia al Principato e a Lecce
— Morte del padre e nascita del primogenito
— Nascosta nel Salento per la guerra contro i Mori
— La gente rimpiange Re Ferrante, sale Alfonso II
— Isabella a Lecce, vicarìa spostata a Bisceglie
— E’ guerra: Carlo VIII di Francia, Alfonso abdica
— Ferrante II ad Ischia, Napoli è circondata
— Federico ad Ischia, Isabella fra Andria e Bari
— Si organizza la forza per liberare Lecce
— Torna Federico dalla sua bella ad Otranto
— L’invasore se ne va, Napoli resta aragonese

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Editorial Review

Isabella da Venosa di Arturo Bascetta

di Afra Pace [https://www.sololibri.net/Isabella-da-Venosa-Bascetta.html?fbclid=IwAR2GCZCq4yVWNPtlauzd_qxWJyzKzJdXvxpnwF5Fax05VQVG_QbDrw8eNSU]

ABE Napoli, 2020 - Bascetta riesce a umanizzare pagine sepolte tra archivi e vicende biografiche spesso considerate noiose e lontane, accompagnando il lettore in un viaggio appassionato e raro.Quest’anno ricorre il 550° anniversario dalla fondazione del Castello di Venosa, erroneamente detto “Aragonese”. Il castello fu voluto dal padre di Isabella, il duca Pirro del Balzo, e le sue vicende sono narrate tra le pagine del libro Isabella da Venosa di Arturo Bascetta, inserito nella fortunata collana dedicata a “Le Regine di Napoli” pubblicata dalla casa editrice ABE Napoli (2020).

La figura di Isabelle de Baucio, figlia del duca d’Andria Pirro del Balzo e di Maria Donata Orsini di Venosa, è forse ancora troppo poco conosciuta. Eppure, la sua fu una vita intensa, che l’ha vista protagonista, suo malgrado, di vicende personali sfortunate, sì, ma di grande rilievo storico per il Regno di Napoli (fu regina nel 1496) ed estremamente significative per il suo tempo.

Già il giorno della sua nascita, il 24 giugno 1465, fu un evento infausto di per sé: un parto trigemellare, da cui un maschietto nacque morto e una femminuccia spirò dopo pochi giorni; Isabella fu la sola a scampare alla sciagura.
Al dolore e alla preoccupazione per un’insperata salvezza in seguito alla morte dei fratellini, si aggiunse il problema dell’allattamento, avendo l’infantina una bocca così piccola che fu difficile trovare una nutrice col seno adatto.

"Il principe Pirro fece quindi ricercare una bàlia in tutto lo suo stato, per trovar donna aver piccol pupegno, ch’avesse questa figlia ben lattato."

Le ricerche furono estenuanti, ma alla fine si trovò quella giusta, una nutrice di Minervino, col capezzolo adatto per allattare la duchessina di Venosa.

Poco prima che Isabella compisse 18 anni, era il 1483, divenne promessa sposa di Francesco d’Aragona, l’ultimo dei sei figli legittimi di Re Ferdinando I di Napoli. Vi rimase fidanzata per tre anni, con tanto di contratto matrimoniale e di titolo acquisito di duchessa di S. Angelo del Monte, finché giunse la morte prematura del principe; allorché, Re Ferrante I pensò bene di consegnare Isabella in sposa all’altro suo figlio maschio, il terzogenito, il principe Federico, sempre per il sol scopo di assicurare alla Corona la fedeltà dei del Balzo.

Il tormento della sfortuna sembrava, così, avere fine per Isabella, dopo averla perseguitata da “fanciulla, iovenetta et maritata”: il 28 novembre 1486 sposò, in seconde nozze, Federico I di Napoli, e dalla loro unione nacquero cinque figli.
Tra le pagine, le vicende narrate sulla vita di quella che verrà ricordata come la “Regina triste”, Isabella del Balzo, l’ultima regina della dinastia aragonese, e sul suo infinito peregrinare sono tante.

Il libro Isabella da Venosa di Arturo Bascetta convince appunto perché ogni pagina di storia diviene pagina di vita quotidiana. Tra i meriti dell’autore, infatti, vi è quello di aver profondamente umanizzato pagine sepolte tra archivi e di vicende biografiche, spesso considerate barbose e pleonastiche; accompagnando, anzi, il lettore in un viaggio, attraverso i sottintesi del Rinascimento, appassionato e raro.