La Duchessa del sale ELEONORA D’ARAGONA E ERCOLE D’ESTE

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LA PRINCIPESSINA DI NAPOLI VENDUTA DAL PADRE

Niccolò III Marchese di Ferrara, di Modena e di Reggio colla fua probirà, colla sua probità, colla sua liberalità, col favorire i Letterati, con dichiararsi quasi un loro perpetuo mecenate, colla sua prudenza, coll’amicizia sua coll’altre potenti Case italiane, e con Sommi Pontefici, e col mettersi opportunamente a sostenere le parti di Eugenio IV contra del già degenrato Concilio di Basilea, e finalmente col far in Ferrara tenere quel Concilio, onde dovea venirne la sospiratissima riunione della Chiesa Latina colla Greca ; ebbe il piacere di riporre il suo Principato in assai più alta stima di quella, in cui fin’allora si era tenuto. Questi, quando venne a morte , che fu nel 1441, non avea altri figliuoli legittimi natigli da Ricciarda, figlia di Luigi, o Giovanni, come altri dicono, Marchese di Salluzzo, che due soli, Ercole, e Sigifmondo: ne avea però parecchi, secondo la rilasciatezza di que’ tempi, fuori di giuste nozze procreati.
Or egli avendo considerato che per la conservazione di quella grandezza, in cui già avea fatto montare i suoi Dominj, sarebbe stato più opportuno, che la successione, ch’era dovuta a’ figliuoli legittimi, si fosse differita alla loro età più matura: e sapendo, cosa per altro di rarissimo esempio, che nella probità dei figliuoli naturali potea egli fidare; commise a’ due primi di essi Leonello, e Borso, che di molti anni precedevano i pargoletti figliuoli legittimi, ch’essi avesser pur prese, dopo la sua morte, l’un dopo l’altro, le redini del governo, ma che poi avesser dato luogo alla successione a prò di Ercole, o di Sigismondo.
I meriti di Niccolò III, e la probità de’ due suddetti figliuoli naturali Leonello, e Borso furon tali, che arricchirono in que’ dì la Storia di un esempio, forse non mai in casi simili infino ad allora veduto, cioè che si fosse serbata fede in materie di simil fatta.
Leonello fuccedé ad Ercole III, e tuttocchè avesse lasciato figliuoli, e figliuoli legittimi da Margarita Gonzaga, perchè dalla prima moglie, ch’ era stata una figliuola naturale del nostro Alfonso, e che gli era presto mancata, non ne avea avuti, o non ne lasciava; pur dopo della sua morte il Principato si fece passare a Borso; e questi poi, acciocchè difficoltà alcuna non vi fosse stata nella sua mancanza rispetto ad Ercole; ebbe anche la gran moderazione di non prender moglie.
Leonello fu Principe ancor degnissimo, ma Borso poi fu di quel merito eminente, che da quando in quando suole comparire ne’ troni per maggiormente esaltarli ed ornarli. Fu Borso il Principe d’Italia più rinomato della sua età, fu la gioja de’ suoi sudditi, fu l’oggetto della stima e del rispetto degli altri potentati di Europa , ed anche de’ Principi orientali: fu avuto sempre per prudentissimo, e sincero, e per leale amico: ospitò in casa sua realmente sommi pontefici, ed imperadori, ed altri sovrani; ed in Roma da Paolo II venne poi egli anche ospitato con eguale grandezza e nobiltà; ed infine fu il vero Principe italiano virtuoso della sua età: e ricolse per frutto meritevolissimo di tali sue egregie ed eccelse azioni di vedersi da Federico III Imperadore creato Duca di Modena, e di Reggio, e da Paolo II Duca di Ferrara.
Pio II, che di questo Borso ci ha lasciate scritte grandissime cose, e potea dirle, perchè molte ne avea toccate egli stesso colle mani, quando nell’andare, e tornare da Mantua era stato da lui con tutta la sua Pontificia Corte magnificamente trattato; si vantava di essergli parente, perchè dicea che Niccolò III avea avuto questo figliuolo da una dama sanese della famiglia de’ Tolomei strettamente congiunta con i Piccolomini.
Se Leonello dalla stessa madre fosse nato, Pio nol disse, nè tali, per quel che sappiamo, l’ha registrato; ma è molto probabile che così fosse stato.
Insomma Borso fece arrivare al più alto grado nella Casa d’Este le Signorie di Ferrara, e di Modena, che mai si avesse potuto ideare, e per l’estensione steffa de’ Domini, che già in tempo di Borso era seguita, si dicea allora che dall’un mare si congiungevan coll’altro.
Nel mentre Leonello, e Borso quasi come fiduciarj con ottima fede si determinarono di tenere gli stati paterni per farli poi pervenire a’ figliuoli legittimi del commun padre Niccolò III, risolvettero, col consenso di tutti i grandi della lor Corte, di mandare i due pargoletti loro fratelli, Ercole, e Sigismondo ad istruirli e ad istituirli nella Corte del nostro Alfonso I. di Aragona, quella, ch’era reputata in que’di la Corte più grave, e più sensata de’ Principi di quell’età, almeno Italiani: e differo, che tale era stata ancora la volontà del comun padre Niccolò III.
Alfonso gli accolse con quel rispetto ed amore, che Principi di una chiarezza di sangue della lor fatta, meritavano, e d’istruirli, ed erudirli tutta la cura si prese.
Stettero quivi per tutti i restanti anni della vita di Alfonso, mantenuti, e trattati, come a suoi figliuoli, e fra questo mentre Ercole si acquistò quì fama di Principe pieno di onore, di ardimento, e di coraggio, talché vuolsi che venisse communemente appellato il Cavaliere senza paura.
Il Pigna, gravissimo storico de’ fatti de’ Principi d’Este, ci dice che l’occasione, onde questo soprannome gli fosse venuto fosse stato un duello, ch’ egli con Galeazzo Pandone Cavalier Napoletano, esercitatissimo in sì fatte cose, da solo a solo tacitamente appunto, ed andò a fare nella macchia, e che già restava egli vincitore, quando il Re Alfonso avendo ciò presentito, mandò frettolosamente a dividerli: ed in questa occasione il Pigna dice, che l’uso de’ duelli da Napoli fosse uscito, e si fosse poi per l’altre nazioni diffuso; le quali cose meritarebber qualche rischiaramento, anche per intendersi se per macchia presso di noi, pure in que’ dì s’intendea quella piazza, che ora dicesi di S.Giovanni a Carbonara che Camillo Pellegrino credette, che così si appellasse, perchè Carbonarj, o Carbonarie si chiamassero que’ luoghi in Italia fuori delle mure della Città, dove le immondezze e gli spurghi delle Città stesse andavano a piombare, la quale piazza nostra di S.Giovanni a Carbonara sicuramente sotto degli Angioini ad un tal niente lodevolissimo uso era stata destinata.
Che che sia di ciò, il certo è, che in tutto il tempo, che sopravvisse il Re Alfonso I alla veduta di Ercole, e di Sigismondo in Napoli; cotesti due Principi Estensi furono educati nella nostra Casa reale con Ferdinando I da loro pari, e dovettero dimesticarsi ancora alquanto con i figli bambini di Ferdinando I, quali vi era quella Eleonora doveva esser moglie di Ercole.
Morto Alfonso nel 1458, e succedutogli Ferdinando I, Ercole sperava di dover avere grandissimo luogo presso di questo Principe, specialmente sopraggiunti que’ disordini, e quelle guerre per la successione, che accennammo di sopra. Ma Ferdinando nel mentre diede a vedere che non mancasse di considerarlo, perchè lo destinò col carattere di Viceré alla difesa della Puglia, parte importantissima del suo Reame; il disgusto all’eccesso nel darli per compagno Alfonso d’Avalos.
Questo bastò ad alienare Ercole da Ferdinando, e col consiglio di Borso si risolse subito di cercargli il permesso, come dice il Pigna, d’ impiegar la sua opera militare, e le sue armi, perché aveva già la sua gente, presso d’altro Principe.
Il Pigna citato poc’anzi, in questo passo dilicato della condotta di Ercole I si è ingegnato di dir molte cose onde venisse giustificata; ed una nobile arringa anche ci ha lasciata nella sua Storia registata come recitata da Ercole ai suoi soldati per renderli consapevoli della giustizia di cotesta sua mossa, e per vedere se liberamente il volean seguire, prendendo egli altro partito, com’egli senza indugiar punto, dissero di voler fare. Ma nè il Pigna, nè altri si è mai ingegnato di penetrare nel fondo della politica di Ferdinando in volere assolutamente accoppiare l’Avalos coll’Estense. Sicché non sarà malfatto , che qui di passaggio ciò anche si spieghi.
Ferdinando in que’ dì guardava la Corona di questo Reame vacillantissima nel suo capo, perchè la vedea contrastata già, colle armi, e colla presenza del real competitore dagli Angioini; e la vedeva discettata moltissimo, e combattuta con assai più potentissime ragioni nel gabinetto di Giovanni d’Aragona suo zio. Parve a Ferdinando, che in queste circostanze, dovesse di Ercole ancora guardarsi, come di colui, che quando si volea addetto alla Casa di Aragona, v’era più forse da temere, che lo fosse stato per gli Aragonesi legittimi successori ne’ Regni di Alfonso, che per esso Ferdinando, i cui titoli incontravan tuttavia molte contraddizioni; senzaché la nobiltà stessa Elense, e le lor parentele, e rapporti cogli Angioini, non faceano a Ferdinando riposare interamente nella persona di Ercole: e forse Ferdinando era del pensare stesso in materie così importani, del sommo pontefice Niccolò V, che non molto prima aveva con gran fama seduto sul Vaticano, il quale, quando da Enea Silvio Piccolomini , ambasciadore, allora di Federico III, venne in una certa maniera rimproverato de’ non giusti timori, in cui era caduto per la venuta di Federico III Imperatore in Roma, diede quella grave, e prudente risposta, che giovava assai più il temere, che il fidare.
Comunque fosse andata la bisogna, perchè qui non intendiamo nè di difendere, nè di accusare o Ferdinando, o Ercole; da quell’ora in poi Ercole fu tra i nemici di Ferdinando, e tra i principali sostenitori del partito Angioino: Ercole si ritrovò alla rotta che Ferdinando ebbe in Sarno, e dicesi che fosse stato tanto vicino a farlo prigione, che gli rimase nelle mani parte della veste di Ferdinando medesimo, la quale poi ei sempre conservò come per un suo immaginario trionfo; ed Ercole infine continuò in quella guerra, che da niuno è stata descritta, meglio, che da Pio II fino al 1463, quando dal prudentissimo fuo fratello il Duca Borso venne insieme con Sigismondo in Ferrara richiamato, ed a governi di Modena, e di Reggio vennero ambedue impiegati.
Ercole poi fu in altre guerre d’Italia in difesa dello stesso Duca Borso, e de’ collegati, ed in una riportò una grave ferita nella clavicola del piede, che per ben due anni il regne considerevolmente incomodato e poi il lascið alquanto zoppo. Ma fra tutto questo tempo fu sempre caro al fratello, e a’ suoi popoli, a cui dovea succedere, nella morte di Borso, come avvenne nel 1471: e tale fu Ercole I, che fu data da Ferdinando in isposa ad Eleonora sua figliuola.

note bibliografiche

1. Sui nemici uccisi da Raimondello V. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg. Figli di Raimondo di Taranto fu Nicola sarebbero stati Giovanni Antonio e Roberto, rimasto nell’area campana col figlio Raimondello da Nola morto senza eredi da Principe di Salerno nel 1459 (dopo aver sposato una sorella di Sergianni e poi una cugina di Alfonso V d’Aragona). Di Raimondo si racconta che dopo il 1389, nominato capitano della Terra di Lavoro, ebbe l’incarico, con il reggente della Vicaria Stefano Ganga, di reprimere il brigantaggio che infestava il napoletano. Emanò un bando che prometteva il perdono a chiunque deponesse le armi entro il termine di otto giorni. V. sito internet: www.condottieridiventura.it/condottieri.Diversi feudi del circondario di Brindisi erano appartenuti alla Contea di Lecce sotto Gualtiero VI di Brienne e, alla sua morte, avvenuta a Poitier nel 1356, passarono al Conte Giovanni d’Enghien, parente francese dello stesso, dal 1357 al 1372, al quale seguì il Conte Pietro con la moglie Margherita, dopo che ebbe per tutore lo zio Ludovico d’Enghien, Conte di Conversano. Nel 1385 la Contea divenne dote di Maria d’Enghien, che sposò Raimondo Del Balzo Orsini, per volere di Pasquale Guarino, barone di San Cesario, e di altri galantuomini leccesi.
2. Raimondello fu un uomo di spessore che non si considerò mai vassallo di Re Ladislao, ma quasi fondatore di un regno a parte, un Vicario del papa, come lo era Matidilde di Canossa e come lo sarà Giovanna. Raimondo Del Balzo Orsini, detto Raimondello, si ritrovò intestato anche il feudo di Carovigno nel 1396, come da inventario di Nicola Bodini, il giurista che pubblicò i capitoli della Bagliava (1440), affidando lo Stato feudale a monsiur Fois, indi alla moglie appellata madame Fois. Il potere locale, evidentemente, era nelle mani del Capitano con la sua Corte baronale, delegato ad amministrare la giustizia, con al seguito il mastrobaglivo che da egli dipendeva, insieme al mastrodatto, maestro d’atti, che annotava in un quinterno le condanne economiche da sanzionare. Il mastro baglivo riscuoteva la fida degli animali relativamente al diritto di pascolo in cambio di una “pesa de caso et una ricotta per iacitura di ciascuna mandria” essendoci il veto di recintare i fondi. A chi riceveva in affidamento il diritto di pascolo la Corte dava in prestito pane e denaro in quanto l’erario camminava sempre con la “borza aperta”, da saldarsi alla fine di marzo. Altri diritti in riscossione erano quelli della cazziatura per il passaggio di carri e carrozze, sulla piazza o plateatico, sulla compravendita degli animali e il diritto sulla macellazione di maiali, agnello per castrato, bue e vacca. Ai baglivi spettava la tutela dell’ordine pubblico con il quale si vietava anzitutto bestemmiare il nome di Dio e della Madonna, pena un augustale, e quello dei Santi, pena due tarì, se visti anche da un solo testimone. Come pure un augustale doveva pagare chi si alcolizzava durante le funzioni religiose, durante le quali era vietato bere vino proprio o delle taverne, e chi la domenica e nei giorni di festa comandati, visibili dalla bandiera issata sul campanile, andava al lavoro nei campi, a meno che non fosse uscito dalla Terra all’alba e rientrato al tramonto. Sanzioni minine a partire da un tarì venivano inflitte anche a chi non rispettava l’igiene buttando in strada “rumato, acqua sozza o altra cosa lorda” o finisse nelle grinfie per altri reati minori verificati dalla vigilanza campestre e marittima. Chi non poteva risarcire la pena finiva in prigione fino al saldo. Nello stato feudale di Carovigno, la Corte baronale presieduta dal Capitano, possedeva uno Palazo cum Sala, cammare, stalle et cellaro, acquaro et conservarie, et altri assai membri con una tor[r]e al costato di dicto Palazo verso Hostuni. Il Principe di Taranto Giovannantonio Del Balzo Orsini era così potente che possedè “sette città arcivescovili, trenta vescovili, e più di trecento castelli, e da Salerno a Taranto viaggiava sempre nei suoi domini” (Croce). Nel 1459 il suo erario loco feudi riscuoteva la fida nella selva e nella foresta da cittadini indigeni e esteri, convertendo in moneta i diritti di piazza, scamastratura, carri e carrozze, scannaggio. La Corte incamerava annualmente 40 barili di vino mosto, quale decima da doversi dai possessori di vigne, 95 tomoli e 2 stare di grano, 27 tomoli di orzo, 3 tomoli e 1 stoppello di fave quale decima sulla semina riscossa dai baglivi. La Corte affittava l’acqua dei fiumi Cervarolo, che scorre vicino alla Specchiolla, e del San Sabina, così chiamato perchè scorre più vicino a questa torre e per distinguerlo da quello di Pantaneggianni (Andriani), dove si lasciava macerare il lino, la cisterna de durante sita nella selva, la bucciaria davanti alla taverna della piazza, e la piantata degli ulivi. Su Madame Sancia de Baucio e conte Giovanni erano genitori della Regina Maria d’Enghien.Giannantonio nacque nel 1404 per il Conger, nel 1401 per Merodio dal Crisullo. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
3. Raimondello amministrò regolarmente la giustizia e, quando fu abolito il Giustizierato del Tribunale Regio, non dipese affatto dalla Vicaria di Napoli, perchè fondò in Lecce il Consistorium Principis, un Concistoro, Consiglio di Giuristi, cioè un tribunale feudale che aveva autonomia sui suoi stati, da Lecce ad Avellino, a cui potevano appellarsi quanti non si ritenessero soddisfatti delle sentenze dei capitani che amministravano la giustizia locale. Il Concistoro elaborava perfino gli statuti concessi a città e paesi della Terra d’Otranto, come appunto accadde per Carovigno. Questo Ramondello, sposata Maria d’Enghien, avrebbe quindi comprato, rilevato o acquistato il Principato dalle mani di uno dei regnanti, permettendo poi al figlio Giannantonio di riscattarlo. Raimondello era Vicario del papa a tutti gli effetti, deciso a non confermare il trono a Giovanna II, dichiarando gli Orsini veri titolari del Marchionato papale degli Abruzzi. Raimondello morì secondo alcuni 17 gennaio del 1405, disponendo l’eredità del Principato di Taranto in favore del primogenito G.Antonio.
4.Nella “Descrizione” di Marciano e altri, è scritto che Maria, fu Giovanni d’Enghien francese, morendo il marito Romondo, divenne “governatrice de’ figli, e si maritò di nuovo col re Ladislao con patto che mantenesse i figliuoli nello stato paterno, e che Gio.Antonio succedesse nell’eredità di Taranto, di Nola, d’Ascoli, e di altre terre”, come scrive Sansovino, secondo il quale Romondo principe di Taranto fu fratello a Gio. Antonio principe di Taranto, “il quale ebbe tre figlie femmine, delle quali una dice che fu Regina di Napoli, ed un maschio naturale” Roberto (padre di Romondo, principe di Salerno, e duca di Amalfi). Da qui la tesi sposata con Conigero-De Ferraris e il Duca di Monteleone nelle loro cronache scritte a penna, ai quali fanno eco Di Costanzo e Costa che dicono Romondello secondogenito di Nicolò Orsino Conte di Nola. Questo Ramondello, sposata Maria d’Enghien, avrebbe comprato, rilevato o acquistato il Principato da Luigi, come dice Monteleone; oppure ancor prima da Giovanna I, come asserisce Ferrari, o addirittura sbagliando, come dicono Costo e Collenuccio, fu il figlio Giovanni Antonio a riscattarlo come erede dalle mani di re Giacomo, investito del Principato da Giovanna II. Seguì la seconda vedovanza della 36enne Maria che andò a risiedere ad Oria, essendo morto Romondello nel Castello di Lecce il 12 maggio 1403, pronta a sposare Ladislao attirato dal suo tesoro e dal trono di Taranto, con due figli sulle spalle: il Principe Giovanni Antonio e Caterina, quella che divenne moglie di Tristano della real stirpe di Luigi X Re di Francia.
L’atto del 1406 specifica di Maria, principessa di Taranto, Lecce e Soleto Comitissa, nonché balia, tutrice e amministratrice di Giovanni Antonio. Così: – Dominante Giovanni Antonio de Baucio de Ursinis, Tarenti Principe et Comite Soleti, dominii vero sui e principatus anno primo feliciter amen. Cfr. G.M.Monti, Lettere ed omaggio in volgare di Maria d’Enghien, Homagiurum Dominorum Principisse ac Principi Tarenti.
5.Per la frase pronunciata dalla Regina Maria V. www.mariad’enhien.it. Cfr: A.Cutolo, Maria d’Enghien. Congedo Editore; Carducci-Kiesewetter-Vallone, Studi sul Principato di Taranto in Età Orsiniana, Società di Storia patria per la Puglia, Editrice tipografica 2005. Cassiano-Vetere, Dal giglio all’orso. I Principi d’Angiò e Orsini del Balzo nel Salento. Mario Congedo Editore. Su Maria moglie del Duca d’Andria V. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
Taranto, ex sede del Regno, confiscata dal dittatore Dux di Venosa e Principe di Bari [Luigi di Brienne e Lussemburgo marito di Maria d’Enghien] al ribelle Raimondello Orsino viene riconsegnata al Vaticano per essere annessa al Regno di Ladislao che occupa Napoli (1398) prossimo a diventare egli stesso Gonfaloniere del papa, occupando Roma come Re d’Italia (1406) e poi sposando Maria vedova di Taranto (1407) ma venendo deposto dal Concilio di Pisa che elesse un diverso papa (1409).
Il Pelliccia dice che ciò avvenne nel 1398, quando Re Luigi di Sicilia in Napoli Re angioino rifugiatosi a Taranto, l’unica provincia sostenuta dai Provenzali, fu imprigionato e poi fatto ritornare in Francia, lasciando che tutto il resto del Regno finisse nelle mani di Ladislao. Il Dux di Bari terminava il suo mandato papale portando Ladislao a prendere possesso di Taranto su concessione feudale del Vaticano (1398). Napoli, non riconosciuta dal papa, era diventata una Signoria autonoma retta da Ludovico II Re di Puglia, dove però il sovrano ereditario continuava a definirsi Re e dove la Corte non sperava altro di imparentarsi con gli Aragonesi e liberarsi dei Durazziani. Luigi II dichiarava essere Re di Sicilia, e così continuò a fregiarsi in Napoli, quando nel 1393, accennava alla ribellione della avversaria Margherita Durazzo di Ladislao. A prendere le parti di Ladislao per il papa fu il Principe di Taranto Raimondo del Balzo de Orsini che attese Re Luigi II e i suoi galli in Terra di Lavoro. Maria d’Enghien, il 23 aprile del 1407, sposò Re Ladislao di Durazzo nel castello di Taranto, dopo che alla principessa fu consegnato l’anello matrimoniale da parte di Paolo Orsini, patrizio romano, che da quel momento tornerà in Vaticano al fianco di Jacopo Orsini, con cui si ritroverà durante l’occupazione. Ladislao cominciò da Carovigno, Castello venduto al presidente della Regia Camera Sommaria di Napoli, Vito De Gragnano, l’11 novembre 1412, mentre la Principessa vedova, sebbene fosse diventata Regina, menò vita triste fra le diverse concubine del Re, fino alla di lui morte (1414) e all’arrivo di Giovanna II, che continuò a tenerla rinchiusa.
6. Il notaio, poeta e letterato italiano Giovanni Sabadino degli Arienti (1445-1510), che possiamo considerare un cronista, in quanto scrive pochi anni dopo la morte dei protagonisti (1483), sostiene che potrebbe essere stato lo stesso Re Giacomo ad incarcerare Giannantonio, usurpandogli il titolo di Principe di Taranto perchè aveva forse tentato di sollevarlo dal trono, “essendo restata herede del parthinopeo regno la Regina Ioanna secunda del Re Lecislao, et tolto per marito de Franza el Re Iacobo, che prima se dicea duca de Nerbona, et da lui poi facto incarcerare il pricipe de Taranto, quale parea aspirasse ocupare il Regno”. Cfr. M.Pandolfo Collenuccio, Del Compedio dell’Istoria del Regno di Napoli a cura di Tommaso Costa, Libro V, pag.309. In: Giovanni Gravier, Raccolta. Di tutti i più rinomati Scrittori dell’Istoria Generale del Regno di Napoli. Principiando dal tempo che queste Provincie hanno preso forma di regno, Tomo XVII, Giovanni Gravier, Napoli 1770. Giacomo, fatto prigioniero dalla Regina, riuscì però a fuggire e a riparare a Taranto, dove lo fece cacciare proprio da Giovanniantonio (a patto che tornasse principe), ma pare sborsando 40.000 ducati, e se ne parì, ricevendo la città i privilegi di Giovanna (1414). Cfr. Girolamo Marciano, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto, Libro I, Iride, Napoli 1855, pagg.330. Giulio Cesare morì nel 1415 o 1416 e seguì la pace fra i sovrani l’anno dopo ponendo fine alla congiura con il giuramento di fedeltà. V.M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
7. Inutilemente Giannantonio tenterà di favorire i figli illegittimi nella successione al titolo di Principe: Caterinella Duchessa di Atri moglie dell’Acquaviva diverrà contessa di Conversano; poi il futuro Re Ferrante concederà all’altro fratello, Bertoldo Orsini del Balzo, la Contea di Lecce per un breve periodo ante-morte, quando tornò in demanio regio (al figlio bastardo di Raimondello di Nola, riconoscerà invece Salerno). Questa Caterina portava il nome della sorella di Giannantonio. Sulla Regina Maria Cfr. M.D’Egly, Histore des rois des deux Siciles de la maison de France, Vol.XIII, Nyon, Paris 1641. Così d’Egly: – Elle fit offrir en mariage à Tristan de Clermont, favori du Roi, sa fille Catherine des Ursins, alor veuve du Duc d’Atri: ses offers furent acceptée, le mariage conclu, & Tristan de Clermont obtint pur la Reine, sa belle-mere, la permission de se retirer dans le Comté de Leccio, dont elle se remit en possession. Ce fur la seule condescendace que le Roi témoigna puor la noblesse napolitaine. Cfr. Costanzo; cfr. Summonte. M.D’Egly, Histore des rois des deux Siciles de la maison de France, Vol.XIII, Nyon, Paris 1641. Così d’Egly: – Elle fit offrir en mariage à Tristan de Clermont, favori du Roi, sa fille Catherine des Ursins, alor veuve du Duc d’Atri: ses offers furent acceptée, le mariage conclu, & Tristan de Clermont obtint pur la Reine, sa belle-mere, la permission de se retirer dans le Comté de Leccio, dont elle se remit en possession. Ce fur la seule condescendace que le Roi témoigna puor la noblesse napolitaine. Cfr. Costanzo; cfr. Summonte. Cfr. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.Cfr. M.D’Egly, Histore des rois des deux Siciles de la maison de France, Vol.XIII, Nyon, Paris 1641. Pag.64-65.
Su Caterina non proprio fanciulla v. le due stratue-ritratto che compaiono nella chiesa di Conversano e sembrano ricondurre proprio a Giulio Antonio I Acquaviva d’Aragona e Caterina del Balzo Orsini che lasciano pensare alla confusione con l’omonima Caterina II figlia del figlio naturale di Giannantonio che dona lo cognome de soa casa solo nell’anno Domini 1456 Die XI° mensis Aprilis 4 Ind. quando lo eccellente messer Julio, intro dentro lo castello de Taranto ha sposato la eccellente donna madamma Catherina de Ursinis.
Sugli stemmi nella basilica e donativi v.Regina Poso, Saggi, in Kronos n.10, pagg.120-122. Cfr. tesi Corinna Drago, Università degli studi di Bari (prof.Franco Magistrale), sull’analisi degli atti notarili del 1400.
8. Re Giacomo, sapendo di non poter mantenere il regno con buona volontà della Regina Giovanna II, facea pensiero di tenerlo con la benevolenza dei baroni, legandoli a sé cercando di farli sentire obbligati con doni e benefici, “cominciando da quella Casa ch’era per nobiltà, e grandezza di Signorie la maggiore del Regno, e la più potente, e quella, ch’era certo che per l’interesse proprio avrebbe più costantemente seguita la parte sua”, cioè gli Orsino. Per il Di Costanzo era questo un pensiero utile e saggio se il Re l’avesse eseguito per tutti i baroni, che non aspettavano altro che di cancellare i disonesti costumi di Giovanna, ogni giorno sempre più lasciva con gli amanti di corte, al punto che la fece prigioniera, lasciandola nel basso stato in cui era stata relegata, pronti ad ubbidire solo a questo Re piuttosto che subire la tirannia di qualche altro. Nell’autunno del 1415, riappacificato il Regno mettendo fine alle scorrerie degli Sforeschi, Re Giacomo cominciò a diffidare della Regina e a governare con insolenza: ogni cosa deferiva a’ Francesi; e gli uomini Italiani gli erano talmente venuti a noja, che gli ributtava e sprezzava. Aveva dimenticato perfino quelli che gli si erano presentati come amici, i quali con gran ribalderia gli avevano assegnato il titolo regale. Cfr. Ludovico Domenichi, Sforza Attendolo a cura di Massimo Fabi, CAP.XLI, Del castigo ch’ebbe Giulio Cesare, e della felicità di Sforza. Prendendo per buone le parole di Giulio Cesare, a causa dei potenziali corteggiatori, la Corte della Regina, onde evitare che potesse trovare un nuovo adultero, fu sostituita da Re Giacomo con una Corte quasi eslcusivamente francese e Giovanna stessa, per la sua disonestà, fu relegata in un appartamento dove restò ben sorvegliata e custodita da un eletto per uomo di compagnia.Cfr. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Anni da Gesù Cristo 1382-1442. Giacomo depose ora questo ora quello dalla Corte, facendo amministrare ogni cosa dai Francesi, relegando la Regina in alcune camere, trattandola a parolacce e, sebbene i baroni mormoravano, ella diceva che le piaceva più quella vita libera dalle fatiche, preferendo danze e cene, lasciando però intendere un desiderio interiore di liberazione.Cfr. 66. Compendio de le Historie del Regno di Napoli, composto da Pandolfo Collenuccio, Libro Quinto, Michele Tramezzino, Venezia 1543, pagg.165-169.
Il testamento di Tristano è citato da V. A.Cassiano-B.Vetere, Dal giglio all’orso: i principi D’Angiò e Orsini del Balzo nel Salento, M.Congedo editore, 2006. La relazione sul testamento di Tristano è citata da V. O.Mazzotta, Copertino in epoca moderna e contemporanea, Vol.1, Congedo editore, 1989. La citazione del trasunto è in Omont Henri, La Bibliothèque d’Angliberto del Balzo, duc de Nardo et comte d’Ugento au royaume de Naples. In: Bibliothèque de l’école des chartes. 1901, tome 62. pp. 241-250. Perciò Omont, nel 1901, nel trascrivere l’inventario del 1544 della biblioteca dei del Balzo di Nardò dei libri trafugati agli aragonesi e trasferiti da Blois a Fontanainableau, citava lo transupto del testamento del Sre de Claromonte fatto in Napoli. Item, testamentom originale domini Tristanii de Claromonte.
9. Costa dice che di ciò ne fece menzione il Coiro. Una lettura vuole Caterina prole di Gabriele (se fosse rimasto vedovo, ma è troppo giovane e già promesso sposo alla figlia di Sergianni), figlio di Maria d’Enghien, che le tornerebbe per zia. La sostanza non cambia perché l’ex trono di Taranto conquistato da Re Ladislao nella qualità di vassallo della Chiesa (Santa Romana Ecclesia), sulla carta, unitamente al trono di Napoli (dai Normanni in poi fu feudo di Roma) erano entrambi concessi in feudo e pervenuti quale al Re e quale al Principe. Perciò il papa dell’epoca, nel 1417, avrebbe pattuito di sposare la nipote Anna Colonna al Principe Giannatonio, considerandolo un vassallo diretto di Signoria.
10. Degli Arienti, op.cit. Cfr. A Bascetta, Johanna Secunda Regina di Napoli. Cfr. Di Costanzo, op.cit. In quel testo, però, la data del matrimonio viene posticipata al 1419. Cfr. Bernardino Coiro, Historia continente de l’origine da l’origine di Milano tutti li gesti.
11. Degli Arienti, op.cit.
12. Francesco Paolo Volpe, Storia di Matera, cit.
13. Cfr. cronisti vari. Restano i dubbi sulla paternità di Caterina. Infatti, dice il cronista Degli Arienti dice che “questo alhora principe de Taranto, per non essere a tanto beneficio ingrato, dette in matrimonio una sua cara nepote, figlia del suo quondam fratello et de la consorte de quello Catherina de li Ursini, principi romani. Del quale matrimonio ne nacque ne li anni de la salute mille ccccxxquatro Isabella prenominata et due altre figliuole, quale altamente maritate morirono”. Cfr. Degli Arienti, cit. In tal caso Caterina sarebbe ugualmente ereditiera del titolo di Contessa, ma non per parte di marito, quanto della nonna. Un’altra lettura vuole Caterina direttamente figlia di Maria d’Enghien. Comunque sia tutti la fanno tornare e restare legata a Lecce.
14. Di Costanzo, op.cit.
15. Di Costanzo, op. cit.
16. Girolamo Marciano, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto del Filosofo, libro I, Iride, Napoli 1855, pagg.330.
17.Isabella sarà ben lontana dall’immaginare che sarebbe morta da Regina di Napoli il 30 marzo del 1465, dopo che lo stesso genitore Tristano era morto nel 1441 come da lapide. Seguiamo Tafuri: “La moglie di Tristano di Chiaramonte fu Catarina, e non Maria figlia di Raimondo Baucio Orsino, e della Regina Maria; nè il Conte Tristano fu della famiglia Florimonte, ma Chiaramonte. Gioviano Pontano nel lib. I. de Bello Napolitano, facendo parole d’Isabella Moglie di Ferdinando d’Aragona, e figlia del menzionato Tristano, e Catarina, ebbe a lasciar scritto: Isabellae Pater fuit Tristanus Comes Cupertinensis ex Claramontia familia, quae Gallia ulteriore habita est nobilissima, Mater Catarina Joannis Antonii Tarentini, qui bellum hoc excitavit, utroque e parente soror. II medesimo scrissero Michele Riccio nel lib. iv de Regibus Siciliae; Gio. Giovine nel lib. Vii, cap. 3 de Varia Tarentinorum Fortuna,Francesco Sansovino nel lib. IV, cap. 105 della Storia della Casa Orsina, Angiolo Costanzo nel lib. xv delle Istorie del Regno di Napoli, Filiberto Campanile nel libro intitolato dell’insegne de’ Nobili; e chiaramente apparisce ancora dalla seguente sepolcrale Iscrizione, che scolpita si legge nella Collegiata Chiesa di Copertino. Tristaynus Gallus ex nobili Claramontis familia Cupertini Comes lsabellae hujus Regni Reginae Ferdinandi Regis uxoris Sanciae ducissae Andriae et Margarilae AllamuraePrincipissae Pater qui Terram hanc Cupertini primus muris munivit multaque alia pro Regno hoc praeclare gessit, et tandem mullis, et piis operibus pollens Anno Mccccxli. quievit, et hic in Domino Jacet” Angelo Tafuri, Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio. Bernardino e Tommaso. Dal un testamento rogato il 30 settembre 1428 nel castello di Copertino, Tristano e Caterina ebbero sette figli: Sancia (+1474) duchessa diAndria, Margherita (+1454) principessa di Altamura, Antonia (+1444) moglie di Pons II signore di Clermont Lodève, Isabella (+1465) regina di Napoli, Raimondello (+1443) signore di Copertino, Maria moglie di Jacques de Langeac e Francesca (+1443).
Nella “Raccolta” edita da Gravier, a pag.156 del De bello, nell’indice, per meglio capirci è scritto: “126. Isabella Ferdinandi uxor sìngularis animi Matrona Neapolim diurnis, nocturnisque praesidiis firmat 16. fuit soror Joannis Antonii Tarentini belli in maritum auctoris”. Sempre dall’indice, Giovanni Antonio Principe è messo in ordine alfabetico di nome, dopo Isabella, e lo si chiama chiaramente Giovanni Antonio Principe di Taranto, ovvero Joannes Antinius Princeps Tarentinus, senza fare mai alcun riferimento a Isabella o che ne fosse il tutore; mentre l’altro figura a sé sotto la voce di Isabella ed è chiamato Giovanni Antonio Tarentino fratello e tutore.
18. Degli Arienti, cit. Così Degli Arienti: -Isabella, de’ Neapoletani serenissima regina, fu de tanta clarytà de sangue et de virtute, quanto de altra presso noi, in honore del nostro Gynevero, se possa cum divine laude celebrare, come narraremo. Cfr. Antonio Beccadelli, David Chyträus, De dictis et factis Alphonsi Regis Aragonum libri IV, 1585. Cfr. Francesco Colangelo, Vita di Antonio Beccadelli soprannominato il Panormita, Napoli 1885.
Venosa appartenuta a Pirro nato nel 1392, erede del padre Roberto, si ricava da un atto sotto Ladislao (Re dal 1386), per il quale patteggiava Roberto Orsini (padre del giovane Pirro), morto prima del 1394, prima del padre Nicola conte di Nola. Per questa notizia v.sito internet: www.galatina2000.it, articolo di Angela Beccarisi. Cfr. Buonauguro C., Documenti per la storia di Nola, Salerno 1997. Cfr. Cassiano A., (a cura di Vetere B.), Dal Giglio all’Orso I Principi d’Angiò e orsini del Balzo nel Salento, Galatina 2006. Così l’atto che cita Pirro già grandicello al seguito del nonno: 1394, a nativitate, settembre, 20, ind.III- a. 8° del regno di ladislao di durazzo nicola orsini conte di nola alla presenza di pirro, suo nipote, e in memoria di suo figlio roberto concede a guglielma de palo, priora di s.guglielmo del goleto dell’ordine di s.Benedetto e governatrice del collegio dell’Annunziata.
19.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg. Cfr. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg. Cfr. Girolamo Marciano,Domenico Tommaso Albanese, Descrizione, origini e successi della provincia d’Otranto, Iride, Napoli 1855. Cfr. internet: http://culturasalentina.wordpress.com
20. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg. Cfr. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, cit. Ivi. Cfr. Domenico Spanò Bolani, Storia di Reggio Calabria, Volume I, Stamperie e Cartiere del Fibreno, Firenze 1796, pag.222-223. Intanto, in quel 1433, Margherita, figlia del Duca Amedeo di Savoja e sorella della Duchessa di Milano, si partì da Nizza per sposarlo, giungendo a Sorrento maltrattata da fiera tempesta, dove fu visitata e presentata dalla Duchessa di Sessa che intese trattenerla. Cfr. Alesio de Sariis, dell’Istoria del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Orsino, Napoli 1791, pag.305. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, Padova 1832. Cap: Giovanna seconda regina di Napoli. Così, mentre Re Luigi, preso possesso di Cosenza, nella Provincia del Ducato di Calabria, su suggerimento sempre della Duchessa Covella, timorosa di sapere l’avversario a Napoli, decise di non spostarsi o venne da lei stessa intrattenuto. E quando giunse l’ora di sposare Margherita che lo attendeva a Sorrento, pronta per essere salutata a Napoli dalla Regina, che voleva veder celebrare quelle nozze nella capitale, Covella si oppose, per non essere offuscata dallo splendore della savoiarda. — Cotali festeggiamenti farebbero sdegnosi i moltissimi parteggiatori di Re Alfonso, e certo ne conseguiterebbero turbolenze e disastri; ed a voi deve piacere di condurre i rimanenti giorni vostri in pace, e di morire, senza rammarichi e senza pericoli, Regina.Cfr. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, cit. Ivi. Al che la Regina lasciò solo i complimenti alla prossima sposa, indirizzandola a sposarsi direttamente a Cosenza, dove si fece ugualmente gran festa in quel 1433. Su Agisio Orsino di Nola possessore del feudo di Mugnano di Montevergine essendo Cancelliere del Consiglio Collaterale del Regno v.Riccio. Sul Cardinale Ugone Lusignano v.Mastrullo.
Il Regno era tornato nelle mani di un francese, Luigi III, fattosi prima Duca Calabria e poi Re della Sicilia Ultra (grazie a Pippo elevato a vicerè), visto che si intitolò tale anche negli atti verginiani, a partire dal 1417, e tale restava in un documento di Maddaloni del 1423. Nonostante ciò, in seguito, un Orsini di Nola pro Angioni e Regina, combattè dura lotta contro l’abate di Montevergine Palamedes di Napoli pro Aragonesi per il possesso dei feudi di confine, al punto che, in nome delle Regina, fu imprigionato (1425) da Marino della Leonessa nel Castello di San Martino, mentre Agisio Orsino già manteneva le Terre fino a Mugnano essendo Cancelliere del Consiglio Collaterale del Regno. Ma, scomunicato anch’egli dal papa per l’usurpazione, dovette, nel 1429, cedere all’abate sia Mugnano che gli altri feudi della Valle. Perciò Mugnano si divise in due: con una parte ceduta a Montevergine per un anno (1429-1430) e si ritrovò a mutare nome in Casale Mugnano di Montevergine, quando i verginiani si insediarono nel Palazzo del Procaccio, adeguandosi al partito regio degli Angioni. L’altra parte di Mugnano si ritrovò sempre Angioina ma trasportata dall’ex abate Palamedes, uscito dalla prigione regia nel 1430 nel pieno delle sue facoltà badiali, avendola ceduta segretamente a San Pietro ad Aram di Napoli già dato come beneficio privato, cioè come feudo in Commenda, al cognato della Regina Giovanna II, il Cardinale Ugone Lusignano scambiandola, per investitura della Regina e riconoscimento di Papa Martino V, con Montevergine che diveniva Commenda anch’essa nelle mani del Commendatario angioino parente della potentissima Regina.
I mutamenti compaiono nelle pergamente verginiane, con la nomina di Alfonso d’Aragona a Re di Sicilia nel 1434 (citandosi su Capua al secondo anno di regno nel 1436, sebbene zone del Salernitano come Mercato San Severino fossero già di Re Renato d’Angiò sicuramente l’8 luglio del 1435, così come Acerra, dal 1437, e la roccaforte Boiano dal 1441).
21. Sull’assedio di Lecce di Luigi V. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
Come nei diplomi riferiti a Guglielmo Stendardo, militi Regni Sicilie Marescallo dilecto consiliario familiari et fideli suo. Camillo Minieri-Riccio, Cenni storici intorno i grandi uffizii del regno di Sicilia, 1872. Idem come era accaduto in un diploma di Carlo di Cabaria, del 1327, riferito a Domino Philippo di Sangineto nostro in partibus Tuscie Marescallo dilecto consiliario. V. Regesti Angioni, n.266, f.98. Anche Raimondo del Balzo [Orsini] era Maresciallo del Regno di Napoli, oltre a Gran Camerlengo della Regina Giovanna II, avendo combattuto gli Ungari quale capitano generale di Re Luigi. V. 11. Corrado Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, 1936. — Dicta declaratione continetur, nosque medietate dictorum feudorum nos contingente per nos alienanda et veneranda ad certam conventionem devenimus cum viro magnifico Pippo Caracciolo de Neapoli milite regni nostri Sicilie marescallo consiliario et fideli nostro dilecto pro certo pretio inter nos et ipsum convento et de reliqua feudorum ipsorum medietate investiri debere vir nobilis Guarisius Maczei domini Nicolai de Montefuscolo fidelis nostri dilectus dicti quondam Angelilli nepos subscriptus ex dicto quondam Maczeo et predicta Marutia sorore carnali quondam Angelilli predicti ad que dicta reliquia eorumdem feudorum medietas. Cfr. Domenico Crivelli, Della prima e della seconda Giovanna regine di Napoli, cit. Ivi.
22. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.210-211. Cfr. Domenico Spanò Bolani, Storia di Reggio Calabria, Volume I, Stamperie e Cartiere del Fibreno, Firenze 1796, pag.222-223. Riuscì anche ad assegnare qualche Terra, così come confermato dall’unico atto rinvenuto relativo all’assegnazione del territorio di Grimaldo, dichiarandosi figlio unico della Regina Giovanna seconda e quindi erede e successore del suo Regno di Sicilia, nonchè Duce di Calabria. — Ludovicus tertius Serenissime Principisse, et illistrissime domine, domine Iohanne Secunda Dei gratia Hungarie, Hierusalem, Sicilie Regine filius unicus, suus que in prefeto Regno Sicilie heres et successor, Calabrie, et Antegavie dux, Comitatumque Provincie, et Fortalquerij, Cenomanie, ac Pedemontis Comes. Cfr. Regesti Angioni.
23. Lodovico Antonio Muratori, Annali d’Italia, Tomo IX, Parte I, presso gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, Roma 1753, pagg.210-211. Giovanna confermò tutti i privilegi ai cittadini di Reggio, ordinando che qualora Alfonso avesse mosso guerra al Ducato di Calabria, fossero rimasti ulteriormente esenti. Cfr. Domenico Spanò Bolani, Storia di Reggio Calabria, Volume I, Stamperie e Cartiere del Fibreno, Firenze 1796, pag.222-226. Sulle conquiste aragonesi favorite dai verginiani v. pergamente di Montevergine, in Placido Tropenao, Codice Diplomatico Verginiano, Montevergine 2000.
24. Da: Il Corriede del Mezzogiorno. In: www.frisella.it/index.php?option=com_content&task =view&id=1191&Itemid=49.
25. Girolamo Marciano,Domenico Tommaso Albanese, Descrizione, origini e successi della provincia d’Otranto, Iride, Napoli 1855. Cfr. Duca di Monteleone; Corio; Costo nel V del Compendio. Leggiamo: “…la figliuola di Ramondello Orsino già Principe di Taranto, rimasta vedova del duca di Atene, la cui madre Maria, già moglie del Re Ladislao, ch’era tenuta in ristretto, fu insieme coi figliuoli per rispetto di questo parentado rimessa in libertà ; e riavuto lo stato se ne andò in Puglia con Tristano suo genero fatto Conte di Copertino.. Isabella sua ultima genita, fu trasferita ad allevarsi nella Corte del Principe Giovanni Antonio suo zio, il quale non aveva legittimi figliuoli. Onde avvenne che Alfonso I di Aragona essendo stato adottato dalla Regina Giovanna II, e privato dell’adozione, si acquistò il regno collarini, e riconciliatosi col Papa dopo riscattatosi il regno, nel ritorno delle guerre della Morea…”.
26. Così continua nel De bello: “parente soror. Patre mortuo, Joannes Antonius eam, quae minima natu erat, cum quatuor sororibus Lipii in Salentinis habuit, atque educavit. Post collocataa autem sorores, & Alphonsi victoriam, avunculi opera, Alphonfo etiam cupiente, Ferdinando nuptui tradita est, quem pater in Regno Neapolitano haeredem inflituerat. Da “De bello neapolitano, liber primus” in: Giovanni Gravier, Raccolta Di tutti i più rinomati Scrittori Dell’Istoria Generale, Volume 5. Lipii, cioè Lippio, nella forma arcaica. Si vedano documenti normanni: “ecclesiam Sancti Andree in Mari in territorio Lippii cum terris”, oppure “de Lippio”. Poi nella forma:”Ego Emma licet indigna ecclesie Sancti lohannis Licii”. V.Angela Frascadore, Provincia di Lecce – Mediateca – Progetto ediesse (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di Imago, Lecce. Cfr. sito internet: www.culuraservizi.it
27. Tafuri, op.cit. Così la Cronologia in Tafuri: “Anno 1441, indictione quarta. A dì 3 januarii morto ad Copertino lo Segnore Tristano de Claramonte, et foi chianto de omne uno pe le soe bone qualitati. / Ad Re de Raona dero obbediencia paricchi lochi; et casa Caldora lassao lo partito de Re Renato, et volio essere de Re de Raona”.
28. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg. Cfr. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampa ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
29. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
30. V.Duca di Monteleone, op.cit.
31. Degli Arienti, op.cit.
32. Degli Arienti, op.cit. Così Degli Arienti: – Essendo ne la flebile doglienza de gentilhomini recordato, che a lei fu decto dovesse come regina suntuosamente vestire, perchè de panni neri vestiva, lei respose che non convenia andare cum liete et pompose veste per la captura del re suo marito. Da l’altra parte li suoi apetiti furono sempre alieni da sumptuosi abiti, fogie et portamenti, perchè non poteano generare se non lasivia, vanitate et male exemplo. Ma ben satisfacea, che andava vestita de tre gemme le quale la faceano sopra ogni altro ornamento pomposa et radiante. La prima gema era il titolo de la regina concesso da Dio; la seconda gema era la iustitia del regno; la terza gema era la gratia di populi. O Ixabella sanctissima regina quanto sei degna de sempiterna laude per quelle tre beate geme che te ornarono al mondo, et per molte altre virtute, che in te regnarono! Credo che mai natura producesse donna al mondo de magior gratia et excellentia di te, excepto quella che nel suo sacratissimo ventre portò la salute del genu umano. Che più di te se può dire, felicissima regina? Se non come fusti in terra beato exemplo de ogni excellentia, così credo che nel regno de’cieli de le tue glorie cum li altri glorificati spiriti presso lo eterno principe gaudi et triumphi. Così de la tua beatitudine el nostro gentile Ginevero ne prenderà jocundità et piacere”.
33. Degli Arienti, op.cit.
34. Raimondo Orsini fondò la Chiesa di Sant’Angelo in Palco a Nola. Nel XVI capitolo del De Nola, il Leone scrive che la Cattedrale di Nola: “…incepta est a Raymundo Ursino finita ab Urso, atque Episcopio Nolano J.A. Tarentino…”. Non avendo avuto figli legittimi, istituì eredi i tre figli naturali: Felice, Conte di Nola e Principe di Salerno, nonché Duca di Ascoli e Signore di Lauro e Forino; Daniello, Conte di Lauro; Giordano Conte di Atripalda. Il Re Ferdinando d’Aragona, per legare a sé Felice gli diede in sposa la figlia naturale Maria, ma ciò non gli servì a nulla poiché Felice, in breve tempo, passò alla parte Angioina. Gli altri due fratelli, per non essere da meno, tradirono anche loro gli Aragonesi e per la loro condotta, dopo la battaglia di Troia, furono spogliati dei loro beni che passarono ad Orso. Lo stesso Felice fu spodestato della Contea nel 1459”. Da www.conteanolana.it
35. Tafuri, op.cit. Così la Cronologia in Tafuri: “Anno 1443. A dì 26 Febbrarii ad ore 16 entrao in triunfo Re de Raona ad Napoli sopra Carro, et sotto Pallio, et lo seguitaro omne Segnore, et Barone de lo Reame. / A dì 3 Marzo Re de Raona declarao Duca de Calabria lo so Fillio Ferdinando, et vulio, che omne Barone le desse obbediencia…”
36. Degli Arienti, op.cit. Così Degli Arienti: – Per la qual cosa Ixabella regina exitte virilmente cum florente exercito contro il suo inimico Alphonso non altrimenti facesse Tamiris regina de li Sitii possedetrice del regno loro quando cum feroce exercito li venne Cyrro per torli el regno, più presto perhò per gloria, che per accrescimento de imperio. Così duncha guerezando la regina Ixabella come fusse stata usa e perita ne l’arme et in molti lochi prosperando, in fine, come fortuna volse, che a belli principii voluntier contrasta, il re Alfonso prese la Puglia cum Basilicata.
37. Degli Arienti, op.cit.
38. Bartolomeo Fazio, olim Bartholom Facii, De rebus gestis ab Alphonso Primo, Neapolitanorum rege, op.cit.
39. Bartolomeo Fazio, olim Bartholom Facii, De rebus gestis ab Alphonso Primo, Neapolitanorum rege, op.cit.
40. Bartolomeo Fazio, olim Bartholom Facii, De rebus gestis ab Alphonso Primo, Neapolitanorum rege, op.cit.
41.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
42.M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
43. Bartolomeo Fazio, Bartholom: Facii De rebus gestis ab Alphonso Primo, Neapolitanorum rege.
44. M.Grisolia, I doveri del principe di Gio(vanni) Gioviano Pontano (traduzione di). Con sue annotazioni storiche, critiche, morali e politiche, Michele Morelli, Napoli 1784.
45. M.Grisolia, I doveri del principe di Gio(vanni) Gioviano Pontano (traduzione di). Con sue annotazioni storiche, critiche, morali e politiche, Michele Morelli, Napoli 1784. Cfr. Mariana, li.22, cap.19. In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851.
46.Nicola Vivenzio, Delle antiche Provincie di Napoli, Volume 2, Stamperia Simoniana, Napoli 1811.
47.Nicola Vivenzio, Delle antiche Provincie di Napoli, Volume 2, Stamperia Simoniana, Napoli 1811i Cfr. Annali di Rainaldo; Cfr. Annali di Bonincontro.
48.Il 22 marzo 1443 sarebbe morto Raimondello di Claramonte figlio del conte Tristano de Cupertino, al quale successe Sancia sua sorella duchessa d’Andre [moglie del Duca di Andre Francisco de Baucio il 7 dicembre 1443]. Aveva forse sposato il vedovo della sorella Maria chiamato duca d’Andre dallo stesso cronista in precedenza, anticipando di meno di un anno la morte (1444) dell’altra sorella Donna Antonia, sempre figlia a Tristano, perita in Francia. Altri dicono che era il 3 gennaio 1444, quando si spense Raimondo, fratello di Isabella (o fratellastro, visto che è sempre detto figlio di Tristano, ma mai fratello della Regina), cioè Raimondello Conte di Copertino. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
49. Così la lapide: – Joannes Antonius de Baucio de Vrsinis Tarenti princeps, Dux Borii, Lycii Comes, Regni Siciliae Magnus Conestabulus, eie. Hanc contimi fecit Ecclesiam sub vocabuìo, et nomine B. Antonii, anni» Christi MCCCXLVllI.
Così l’altra: – Haec Domus Antonio Patavino sacra locatur, / Principe Joanne Antonio dominante Tarenti, / Sub quo praeses erat fidus Nicolaus ibidem / De Cupressano Leonardo mitite cretus, / Mille quatereentum septem / Sol aureus orbes / Aree sub aetherea Christi quadraginta rotabat.
Indi la pergamena domini Iohannis antonii de ursinis principis Taranti e Conte di Lecce. E’ nello statuto di Lecce fatto fare da Maria fu redatto nel 1445, riporta una pergamena del 1350 ai tempi di Gio.Ant. de Ursini: Matricula appretii civitatis litii facta pro satisfatione salis tempore recolendae memoriae Illustris et jncliti domini domini Iohannisantonii de ursinis principis Taranti comitis litii et cetera,qui serenissimus princeps ex gratia speciali mandavit et voluit: quod homines pro eorum personis non taxentur sub anno domini MCCCL.
50. P. Andrea della Monica, Istoria di Brindesi, vol.IV, cap. 8 cita l’iscrizione sita nella Chiesa dei PP. Osservanti Riformati di San Francesco della Città di Taranto. Da cui il Tafuri, cit: “prima di questo tempo il Principe Gio. Antonio intitolavasi Conte di Lecce, onde, o prima del 1446 cessò di vivere la Regina Maria, o che non per la morte di questa succeduto fosse il Principe Gio. Antonio alla menzionata Contea di Lecce”: Joannes Antonius de Baucio de Ursinis Tarenti Princeps, Dux Barii, Litii Comes, Regni Siciliae Magnus Comestabilis hanc construi fecit Ecclesiam sub vocabulo a nomine Beati Antonii Anno Chrisli 1444.
51. Proviamo a ricostruire un minimo di albero genealogico.
Ugo del Balzo conte di Soleto ebbe per figlio primogenito Raimondo del Balzo (1303-1375) il quale morì lasciando erede per testamento NICOLA figlio della sorella Sveva o SIBILLA (1300-1336) che portò Ariano in dote al marito ROBERTO ORSINI (1295-1345), primogenito di Romanello e Sveva, conte di Nola da cui nacquero Giacomo ORSINI primogenito cardinale (m.1379) e Nicola ORSINI (1331-1399), morto lo zio Raimondo nel 1375, incamerò per testamento tutti i beni e fece il patrizio romano. Sposò nel 1355 Giovanna de Sabran (m.1379) ed ebbe per figli Roberto II (1360-1394) primogenito sposo di Margherita Sanseverino e Raimondo (1361-1406) secondogenito, a cui diede il nome dello zio materno. Roberto generò Pietro detto Pier/Pirro I (1392-1420) da cui nacque Raimondello junior (m.1459).
Sansovino dice che da un Orsino si ebbero Romondo Orsino principe di Taranto (generò Gabriello di Venosa, Rinaldo, Giannantonio principe tarantino padre di “tre figlie femmine, delle quali una dice che fu Regina di Napoli, ed un maschio naturale”, e un altro fratello Roberto Orsino (1360-1384), il quale (sposando Margherita Sanseverino) (viceré dell’Abruzzo?) generò Romondo II (m.1459), principe di Salerno, e duca di Amalfi (detto Raimondello junior morto nel 1459), il primo dei 16 designati alla guida del Regno nel testamento di Giovanna II. Da qui la tesi sposata con Conigero-De Ferraris e dal Duca di Monteleone nelle loro cronache scritte a penna, a cui fanno eco Di Costanzo e Costa quando sostengono che Romondello fu secondogenito di Nicolò Orsino Conte di Nola. Cfr. Francesco Sansovino, l’Historia di Casa Orsina, fratelli Stagnini, Venezia 1565.
a) Raimondo Orsini sposa Marie d’Enghien Contessa di Lecce detto Raimondello Orsini del Balzo, perché ritornato intorno al 1380 dall’Oriente occupa con violenza la contea di Soleto e alcune altre terre appartenenti al fratello della madre e si mette Nel maggio del 1382 contro il padre Niccolò, a favore di re Carlo III di Durazzo poi ribellle e passa dalla parte di Luigi I d’Angiò ottenendo l’redità con l’Angioino, che gli fa sposare nel 1384, sposa Maria d’Enghien, contessa di Lecce), libera Urbano VI che gli concede ‘licenza di costruire’ “un convento con ospedale e chiesa ‘sub vocabulo Sanctae Chatarinae’ in S. Pietro in Galatina”, passando con Ladislao (1399). che lo contrasta a Taranto mentre muore nel 1406 lascinaod vedova Maria d’Enghien.
Per altri ricompare nel 1389 Raimondello Orsino da Nola (che muore nel 1405) a Principe di Taranto:/
a1). Giovanni Antonio Orsini del Balzo Principe di Taranto sposa Anna dei Principi Colonna, muore nel 1465 Il figlio Giovanni Antonio non succede nel 1407, a motivo delle nozze che sono intercorse tra sua madre e il re Ladislao impedendo le nozze con Maria d’Angiò-Valois, figlia di Luigi II. Più tardi, nel 1417, egli sposa una nipote di Papa Martino V, Anna dei principi Colonna. Parteggiò per Alfonso V d’Aragona (Alfonso I°, re di Napoli) e si oppose al di lui figliolo, Ferdinando I (Ferrante), re di Napoli. Muore nel 1463, ad Altamura, assassinato, ed i suoi feudi vengono revocati dalla Corona.
a2).Gabriele Orsini del Balzo Duca di Venosa sposa Jeanne Caracciolo, muore all’assedio di Costantinopoli del 1455 e ha due figlie:
– Maria Donata Orsini del Balzo (muore intorno al 1487 dopo aver sposato Pirro del Balzo IV Duca di Andria).
-Ramondina Orsini del Balzo muore ca 1490, sposa Roberto Sanseverino Principe di Salerno
a3) Caterina Orsini del Balzo sposa Tristano di Chiaramonte Conte di Copertno da cui ebbe per certo:
– Isabella di Chiaramonte, sposa Ferrante I re di Napoli e muore nel 1494 ;
– Sancia di Chiaromonte, sposa Francesco III Duca di Andria muore intorno al 1482
Un altro studio vuole Raimondello junior (m.1459), il primo fra i 16 Nobili Napoletani lasciati in testamento dalla Regina Giovanna II, a governare il Regno in attesa di Renato, che dallo zio G. Antonio Orsini ebbe per sposa una cugina del Re di Casa d’Aragona e per dote il Principato di Salerno ed i Ducati di Amalfi e Sarno, Maiori e Minori, Scala e Ravello, insieme ad altri Feudi, e fu fatto anche Giustiziere del Regno. Questo Raimondello Orsini di Nola sposò Isabella Caracciolo (sorella del Gran Siniscalco Gianni, ed in seconde nozze, nel 1439, Eleonora d’Aragona, cugina di Primo Alfonso). Urbano VI gli regalò Benevento e la Baronia di Flumeri, che consisteva in 18 Castelli, ma non ebbe figli, solo i figliastri Felice, Daniello e Giordano, facendosi Diacono-Cardinale, ma non è accertato che Raimondo accettasse la Porpora. Nel XVI capitolo del De Nola, il Leone scrive che la Cattedrale di Nola incepta est a Raymundo Ursino finita ab Urso, atque Episcopio Nolano J.A. Tarentino. Senza figli fece eredi i tre figli naturali: Felice (riconosciuto erede naturale di Raimondello Junior), Conte di Nola e Principe di Salerno, nonché Duca di Ascoli e Signore di Lauro e Forino; Daniello, Conte di Lauro; Giordano Conte di Atripalda. Ferrante fece sposare la figlia naturale Maria a Felice confermandogli l’eredità paterna ma lo spodestò stesso nel 1459 perché tutti i fratellastri passarono lo stesso con gli Angioini.
Spinto dal principe di Taranto tradì anche Orso Orsini figlio illegittimo di Gentile Orsini (conte di Soana) – fedele di Alfonso dal 1437, nel 1439 e fra 41-47 fatto Gran Cancelliere del Regno, tra il 1441 ed il 1447 – istigati dal Principe di Taranto ribellatisi nel 1458 a favore di Giovanni d’Angiò. Orso su Ascoli e Manfredonia, dal 1460 su Foggia, Nola. Ma fu respinto da Felice Orsini, Principe di Salerno e Conte di Nola ripassato con Ferrante il 1 luglio 1460, entrò in Nola respingendo Orso con le armi, al grido di Aragona. Giovanni d’Angiò riportò una vittoria strepitosa ed Orso, il 7 gennaio 1462, innalzò di nuovo la Bandiera Regia sulle mura di Nola: il 14 gennaio Orso ottenne la Contea di Nola, Atripalda, la Signoria di Baiano, Lauro, Palma, Avella, Ottaiano, Monteforte e Forino. Dopo aver combattuto ancora per Ferdinando, nella Battaglia di Troia, il 18 agosto 1462, ebbe da quel momento delicati incarichi dal Re, fra i quali, quello di assistere per oltre 15 anni il Duca di Calabria.(ricostruzione da: http://www.conteanolana.it/uomini%20illustri%20libro%20M-P/Orsini%20(Famiglia).htm)
Ebbe poi Nola un altro Nicola Orsini II, nato nel 1442, secondogenito di Aldobrandino, Conte di Pitignano e di Bartolomea, figlia di Carlo Orsini, Conte di Tagliacozzo; con il titolo di Conte di Pitignano, fu investito della Contea di Nola, da Alfonso II Duca di Calabria. Nel 1459 (ancora giovanetto) lo troviamo tra le fila dell’esercito inviato da Pio II a riconquistare Viterbo. Sposò Elena dei Conti, morta a Nola l’8 giugno 1504.
Queste invece le parentele più altolocate dei Conti di Tagliacozzo e Manopello conquistatori dell’Abruzzo invischiati nelle parentele coi Duchi di Sessa avversari di Ferrante e favorevoli agli Angioini.
Primi Vicerè dell’Abruzzo:
* 1383. Rinaldo Orsini. Raynaldo delli Orsini Conte di Tagliacozzo. Patrizio rettore del patrimonio di San Pietro, signore di Orvieto (1380), Spoleto (1383) e Pescara (1388), forse non fu proprio il primo Viceré, ma sicuramente Governatore della città dell’Aquila assegnatagli nel 1381 dalla Regina Giovanna I di Napoli. Nel 1383 si diede a Re Luigi I d’Angiò, indi (alla sua morte avvenuta l’11/9/1384) al successore Re Luigi II d’Angiò, finendo assassinato nel 1390.
* 1383-1390. Bartolomeo di San Severino della Marca. Nominato Viceré da Re Carlo III di Napoli entrato in provincia il 17 luglio 1383, ma penetrò in L’Aquila solo il 14 aprile 1390 mentre il governatore Rainaldo stava complottando con familiari e servitori nel convento di S.Francesco, poco prima della morte del fratello Gianni Orsini, già senatore di Roma, che era al suo seguito, avvenuta il 31 agosto 1390, giorni in cui sarebbe stato assassinato anch’egli, dopo che furono tradotti in casa del Conte di Montorio. Il Viceré liberò l’Abate di Montereale.
* 1414-1415. Conte da Carrara. Conte fu Obize da Carrara della famiglia dei Carraresi fu uno dei più potenti capitani di ventura. Padre di Ardizzone e Obizzo fu da re Ladislao I di Napoli fatto Viceré dell’Abruzzo e poi premiato con il Principato di Ascoli ereditato dai figli. Fu nominato Vicerè da Re Ladislao I di Napoli dopo essere entrati insieme in L’Aquila. Dimorò in Paganica odierna frazione de L’Aquila prima di stabilirsi ad Ascoli Piceno dove morì e fu tumulato dai figli nel Duomo.
* 1415-X. Giacomo Caldora. Fu viceré di tutto l’Apruzzo nominato dalla Regina Giovanna II di Napoli dopo essere stato governatore dell’Aquila l’anno prima.
* 1420-X. Cristoforo Gaetani. Fu viceré dopo l’incoronazione di Giovanna II a Regina di Napoli.
* X-1460. Pietro Lallo Camponesco. L’Aquila fu di Renato d’Angiò Re di Napoli che vi lasciò Petri detto Lallo Camponisco a suo Viceré.

52.Sui racconti dell’ingresso di Alfonso per l’acquedotto, del carro, della

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COSì FERRARA IMPORTO’ IL RTINASCIMENTO DA NAPOLI

La «regina» del Ducato Estense

Beatrice fu la figlia che Ferrante I di Napoli, nei suoi giochi di interesse dinastico, voleva destinare a Carlo VIII. Alla fine cadde nel tranello del cugino spagnolo, Ferdinando il Cattolico, il quale, non solo gli usurpò mezzo regno, ma incamerò anche la parte che si presero i Francesi, sposando in seconde nozze Germaine de Foix, la principessa che l’ebbe ereditata.
Carlo VIII, giovane rampante della casa reale di Francia, non solo si erudì sui tomi rastrellati nel palazzo reale di Napoli durante l’invasione, ma divenne sovrano senza alcun matrimonio di interesse in stile aragonese. Anzi, mentre «esercitava il potere assoluto in Francia, spinto da ambizioni chimeriche e dalla sete di avventure, aveva già varcato le Alpi con una parte del suo esercito».
Ad ogni modo Beatrice, nel 1475, aveva già sposato per procura Mattia Corvino detto Hunyadi, «il Giusto», neoeletto Re di Ungheria. Dopo le nozze, celebrate a Napoli dal cardinale Oliviero Carafa, la Regina non mancò di cavalcare col padre per i seggi cittadini, lanciando qua e là monete d’oro. A 19 anni fu già immortalata nel marmo da Francesco Laurana, poco prima del suo favoloso viaggio di nozze. In Ungheria Beatrice porterà con con sé molti dei preziosi tomi miniati dalle botteghe napoletane, trasferendo il Rinascimento alla seconda biblioteca d’Europa. Cinquemila codici realizzati prima del 1500 per una corte che abbandonava messali e corali a favore di libri luminosi e decorati, come quelli sulla vita di Plutarco e di Sant’Agostino, o sul trattato di galanteria che Diomede Carafa scrisse apposta per lei «per essere una buona principessa». Testi preziosi personali e avuti in regalo dal nonno il Magnanimo nel 1472, come Epistulae e De Officiis di Cicerone, giunti a rimpinguare la Biblioteca Corviniana del marito, amico di Lorenzo de’ Medici, il quale si ispirò proprio alla Corviniana «per ideare la sua celebre biblioteca in Firenze. La corte del palazzo di Buda e Visegrad, diventano gradatamente italiani con quel tocco partenopeo per le lettere, il bello, e ovviamente la cucina», come scrive Rossana di Poce. Da Napoli non si trasferì solo l’arte e la cultura, ma anche la cucina, il piacere del palato e delle buone maniere, allorquando a corte arrivarono «cuochi e pasticceri, pietanze e splendide maioliche di gusto napoletano e rinascimentale, a rallegrare i palazzi fino ad allora estremamente austeri», così come la stessa Beatrice raccontava e scriveva di continuo alla sorella Duchessa di Ferrara, alla quale spediva consigli e merci per la felicità dei nipotini.
Tornata a Napoli alla morte del marito, per essere stata ripudiata e raggirata dal pretendente ceco di Boemia, assisterà alla fine del regno, con la distruzione francese di Capua, quando «i Napoletani, impazziti dalla paura, non osarono più nemmeno sognare di alcuna resistenza. Sin dal giorno susseguente cominciò l’esodo degli abitanti di Napoli alla volta d’Ischia, di Sorrento ed altri luoghi vicini. Beatrice si rifugiò in compagnia della Duchessa Isabella di Milano il 26 luglio su d’una galera a Ischia, dove furono presto raggiunte dalla Regina Isabella di Napoli, da tutta la corte e da una parte della nobiltà; solo le due Giovanne, vedove dei due Ferdinandi, la sorella del Re di Spagna alleato del nemico, e sua figlia omonima ripararono a Palermo, quindi su territorio spagnuolo». A Ischia restò invece Beatrice con la «vedova del Duca di Milano: erano detronizzate tutt’e tre, poiché la Regina Isabella era privata del suo consorte condotto ad un asilo che somigliava piuttosto ad una prigionia dorata. Le due Isabelle però erano meno da compiangersi che Beatrice, perché aveano dei figli di cui alcuni si trovavano al loro fianco, mentre per gli altri potevano almeno sospirare; la Regina avea con sé tre figliuoletti maschi e la Duchessa due figlie, delle quali però la maggiore, Ippolita morì in Ischia di lì a poco». Dopo la guerra, col dilagare della peste, rientrarono tutte a Napoli, protette dal generale spagnolo Consalvo de Cordova. Il vicariato affidato dal Re di Spagna alla sorella Giovanna d’Aragona, ex Regina e matrigna di Beatrice, aiuterà poi la corte a riordinare le proprie cose per la consegna ufficiale del reame agli Spagnoli. Fu così che tre sirocchie, «vedove e spodestate tenevano corte in questo tempo contemporaneamente nel Castello Capuano. Tale spettacolo non poteva non eccitare l’immaginazione dei poeti che celebrarono in versi elegìaci questa Corte delle tristi Regine. L’illustre filosofo italiano Benedetto Croce descrisse esso pure sotto tale titolo nell’Archivio Storico Napoletano, questa romanzesca riunione». La pace fece fece anche «rifiorire in quell’epoca i costumi ed i passatempi dell’antica vita cavalleresca. Le feste, le giostre, le escursioni di caccia tornarono in moda e le donne ridivennero, come prima, oggetto di venerazione degli uomini. Né si poteva chiamare sempre triste la corte di queste regine».
La morte di Beatrice fu agli atti di Notar Giacomo.
Così il cronista: — Adì X III del mese di sectembre XII indictionis 1508, de mercoredi ad hore 13, la Serenissima madonna Beatrice de Aragona, Regina di Ungheria, secundo piacque adio passò da questa vita in lo castello de capuana quale era stata per più dì delle Signore Regine, matre et figlia, al governo et quello dì stecte in una camera.
Stesa vestita de bianco de taffeta con la corona sceptro et palla in mano et conio palio de broccato dereto et quella la guardava la Signora Regina iovene et la sera ad nocte le levaro le interiora secundo lo solito. Et adì 14 eiusdem die ìovis fo posta in uno tavuto et fo facta la castellana in lo monasterio de sancto Pietro martiro dove nce foro dece confratrie, tucte le religioni excepto sancto Martino, et tricento vestiti de nigro et scanni dece de intorze appresso lo corpo et in omne scanno 22 et 25 intorze dove sopra lo tavuto nce era la corona et lo sceptro et palla.
Et lla fo facto lo officio et sepulta per la regia corte del Signor Re, la quale havea facto testamento per mano de notaro Francisco Russo et laxati soy heredi li serenissimi figlioli del Signor Re Federico et laxó quindece milia ducati per la fabrica de sancto Piero de Roma et più altri.
La quale con grandissime lacrime fo sepellita perchè nutriva in Napoli 600 persone senza le elemosine delli monasteri et laxò bono nome.
— «Cuius anima cum sanctis angelis requiescat in pace amen».

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Cuttrera

Recensioni

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Editorial Review

 

 

Dell’infelicità della morte sua

Certo è che quando Beatrice giunse a Napoli le cose non stavano proprio col vento in poppa. Il reame del fratello Federico e della Regina Isabella del Balzo era continuamente messo alla prova dai parenti spagnoli e dall’esercito francese.
La resa dei Napoletani era vicina e il Marchese di Pescara, che era passato a Castel del Ovo, abbandonò l’impresa e puntò dritto su Ischia. Giacomo Conte, dal canto suo, se ne andò a Venezia con la nave degli oratori. In quello giorno medesimo il Re Ferrandino, la Reina Giovanna, l’Infanta di Castiglia, il Principe di Squillazzi consua moglie, Don Federico, e altri di casa Aragona si ritrovarono ad Ischia. Erano partiti da Castel dell’ovo su cinque galee di Villamarino zeppi di beni d’ogni sorta: quello puoterono portare non lasciarono addietro. Il Re, ivi giunto, messe in terra le donne, e altri uomini, sua maestà innanti e indietro andando, escogitava il da farsi, mentre per gli amici del nemico già si festeggiava a Milano, Firenze e Ferrara.
Fu così che Federico accatastò nel Castello di Ischia quanto posseduto di valore e appartenuto agli Aragonesi dai tempi del vecchio Re. Con lui potevano restare la sorella Beatrice, Isabella e le altre regine.

Il Regno aragonese, nato con Alfonso I, cadde dunque l’anno dopo il ritorno di Beatrice, la matrigna e la nipote Isabella Duchessa di Milano furono costrette all’esilio sull’isola d’Ischia.
Da qui il mito delle ‘regine tristi’ capeggiate da Giovanna d’Aragona che era anche sorella dell’invasore Ferdinando il Cattolico. Ad ogni modo fu grazie a lui che, liberata Napoli dai Francesi, sire e sirocchie tornarono almeno a castelcapuano, nel 1502.
Seguirono quattro anni di meditazioni, con Giovanna la Vecchia a prorex del fratello al posto dello scalpitante Gran Consalvo, almeno fino al suo arrivo, quando fu accolto nella ormai ex capitale, giunto a prendersi il reame, senza che Beatrice potesse mai più rivedere il trono d'Ungheria.
La Regina morì in sobrietà il 13 settembre 1508, senza riavere neppure la sua dote.
Il di lei corpo fu sepolto in S.Pietro martire e il suo nome venne scolpito solo su marmo:

Qui giace Beatrice d’Aragona, Regina d’Ungheria,,
assai benemerita di questo sacro collegio,
essa vinse sé stessa colle opere di religione

La Regina Giovanna III ne diede notizia al sovrano di Spagna con un biglietto postale «parendoce cosa ragionevole per la nostra affinità, de le cose digne de aviso che ad noi succedemo, con nostre littere dare notizia a Vostra Signoria
Annotò Giovanna la Vecchia: — Li dì passati ammalata la Serenissima Signora Regina de Hungaria nostra figlia de una febre continua con doe terzane molto maligne....