JUANA LA PAZZA. Giovanna di Castiglia e d’Aragona

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LE MONETE DELLA ZECCA DI NAPOLI

Non aveva motivo, Carlo, di spedire una missiva per rinnovare privilegi in territori paterni di Trieste con la firma della madre, ma aveva invece l’obbligo a farlo in territorio del Regno di Napoli se questo era ancora della madre almeno fino a due giorni dopo. Il 16 luglio 1519 Giovanna e Carlo, madre e figlio, erano insieme sul trono di Barcellona. Il 18 luglio Carlo era l’unico a governare. Presumibilmente Giovanna continuò ad essere la vera Regina di Napoli anche dopo la morte del padre, ma non proprio fino al 18 luglio 1519 quando, sebbene in associazione, è detta solo Giovanna mentre, il figlio, viene titolato come Carlo Re delle Spagne e delle due Sicilie. Giovanna non andò mai a sedere materialmente sul trono di Napoli, dove risiedeva il Vicerè. Ma presumibilmente, in un primo tempo, fu alla Corte di Barcellona ad assistere il figlio, il quale, alla morte dell’Imperatore, era già in Spagna da tre anni, dove presterà giuramento solo nel 1519. Nemmeno le Corti di Castiglia lo avevano legittimato, almeno fino al 1517 quando furono convocate a Valladolid, dov’era appena morto Ettore Fieramosca (1515), capitale spagnola in quota ereditaria di Giovanna, in cui i comuneros si opposero alla incoronazione di un Asburgo, almeno fino all’inizio del 1518. Da lì si spostò in Aragona e Catalogna, dove neppure qui era riconosciuto, convocando le Corti in Saragozza e Barcellona, dove fu riconosciuto re nel 1519, ed erede del Sacro Romano Impero da Francoforte, scalzando il pretendente Re di Francia, Francesco I e finendo incoronato ad Aquisgrana nel 1520 come Carlo V. Per queste ragione Carlo I divenne Re delle Due Sicilie solo agli inizi del 1519, continuando a mantenere il nome della madre nelle intestazioni, ma sicuramente già come “Carlo Re delle Spagne e delle due Sicilie”, fino al 18 luglio. Prima di quella data, però, forse fino al 16 luglio 1519, il Regno di Napoli era ancora tale e tutto solo e soltanto di una Regina, Giovanna III, offuscata ed oppressa dal potere, subendolo, se non proprio con la medesima sorte, come le altre due regine che aveva avuto il Regno, anch’esse sfortunate: Isabella d’Aragona (1470-1524) sorella di Re Ferrando di Napoli, relegata dal Ducato di Milano a quello di Bari; Beatrice di Napoli (1457-1508), Regina d’Ungheria in quanto moglie di Mattia Corvino e di Ladislao II di Boemia e Ungheria. “Quanti omini conoscete voi al mondo, che avessero tollerato gli acerbi colpi della fortuna cosí moderatamente, come ha fatto la regina Isabella di Napoli? la quale, dopo la perdita del regno, lo esilio e morte del re Federico suo marito e di duo figlioli e la pregionia del Duca di Calabria suo primogenito, pur ancor si dimostra esser regina e di tal modo supporta i calamitosi incommodi della misera povertà, che ad ognuno fa fede che, ancor che ella abbia mutato fortuna, non ha mutato condizione”.42
Come sopportò l’avidità di un figlio chi, più di lei, era padrona del mondo. Solo che mentre le altre due, perso il potere, sfidarono la sorte per riacquistarlo, Giovanna III, abbandonata da tutti, madre, padre, figlio, cortigiani, non vide mai il suo trono. Nessuno credette di sposare le sue idee, di unirsi al suo fianco, di civilizzare il mondo con pensieri moderni, in linea con il Rinascimento, come quelli che lei, proprio grazie all’isolameneto, aveva invece riscoperto. Giovanna fu donna realista e figlia del suo tempo, alla ricerca di risposte attraverso lo studio e pronta a sfidare la Chiesa, perciò passò pure alla storia con l’infamante nome di Juana La Loca, Giovanna La Pazza.43
In ogni caso la moneta di un grano rinvenuta a Mercato San Severino si riferisce proprio al periodo fra il 1516 e il 1519.44
Essa fu coniata dalla zecca di Napoli è uguale a quella rinvenuta in Liguria, a testimonianza che ebbe anche la sua diffusione temporale, finendo sulle navi mercantili di Napoli per scambi commerciali. La moneta nel davanti reca la leggenda leticia popvli attorno alle iniziali I-C accostate da grossi punti e sormontate da corona reale e nel retro la scritta ivstvs rex attorno ad una croce.

Description

LA FOLLIA DELL’AMORE: «Io, la Regina»

In quei giorni un cometa brillò nel cielo. Non preannunciava nulla di buono se non la peste o la morte di un Re. Poi arrivò la febbre e Filippo morì. Era il 25 Settembre 1506.
Fu il giorno più felice per Re Ferdinando d’Aragona; il colpo di grazia per la figlia. Giovanna era sfiancata, triste, distrutta. Avrebbe dato il trono per rivederlo vivo. Meglio i tradimenti, le liti, le accuse delle dame, che la morte. Pianse quel corpo per giorni e per lunghe notti portando in giro la salma in raccapriccianti viaggi nel buio, al lume delle fiaccole, nella speranza, chissà, di vederlo risorgere. Le monache che pregavano sulla bara non mancarono di scandalizzarsi quando fece riaprire il feretro per accertarsi della presenza di chi certo non poteva più tradire. La videro più volte far riaprire il sarcofago e poi gettarsi ricurva sul morto. Acconsentì a stento, per le insistenze di suo padre, ad una sepoltura provvisoria.24
Giovanna cominciò a passare le sue giornate nella disperazione più totale. Non mangiava, non dormiva, non si lavava. Obbligò le sue dame, in precedenza accusate di agghindarsi allo scopo di attrarre l’attenzione del marito, a rimettersi abiti sontuosi perchè solo lei doveva portare il lutto.25
Incinta di Caterina e con Carlo piccoletto, piangeva e si disperava. Costretta per legge a lasciare i figli nelle Fiandre alle cure di Margherita ed Erasmo da Rotterdam, tornò nelle Spagne, a Torquemada, il 14 gennaio 1507, dando alla luce la sua sesta ed ultima creatura, Caterina.26
Giovanna era ormai caduta in una profonda malinconia. Seguirono i tre anni più brutti della sua vita, al punto di acconsentire a ritirarsi dalla scena. Lo fece seguendo la scelta del padre, preferendo la reclusione presso il castello di Tordesillas, presso Valladolid, fra la fine del 1509 e l’inizio del 1510.27
Di là Giovanna non si mosse più, circondata da una modesta corte, avendo sempre meno cura della propria persona e rifiutando ogni conforto religioso. Era ormai caduta nella più profonda depressione.28
Sulla pazzia di Giovanna non esistevano ormai dubbi. Nè i tentativi compiuti dai comuneros castigliani negli anni seguenti per riassegnarle la legittimità del trono (anche contro il figlio Carlo), nè quelli dei biografi moderni possono mutare il corso della storia. “Giovanna era di temperamento delicato, non senza tare ereditarie. La nonna portoghese, Isabella, era morta pazza. Forse la fragilità dello spirito di Giovanna non si sarebbe spezzata così presto se ella avesse avuto una vita tranquilla”.29
Altri anni di cella le riservò il destino, strappandole dalle mani i figli e lasciandola nel dolore della prigionia. Lei era l’erede del trono di Castiglia a cui non aveva affatto rinunciato. La Corona, nella sostanza le era stata usurpata dal padre. Ma Ferdinando si autolegittimava.
Diceva il Re: – Disgraziatamente, Donna Giovanna è pazza.30
Con quelle parole dichiarava ufficiosamente erede universale il nipote sedicenne.31
Secondo la legge spagnola Giovanna continuò in ogni caso ad essere Regina, sebbene circoscritta nel feudo dotale, nonostante la reggenza paterna di entrambi i regni di Aragona e di Castiglia, continuando a sottoscrivere documenti come li firmava la madre.
Firmava Giovanna: – Yo, la Regina.32

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Editorial Review

LA CURIOSITA' DEL  NIPOTE FILIPPO...

Ma quale fu la vera malattia di Giovanna? Secondo alcuni si trattò di mal d’amore in seguito ai tradimenti e poi alla morte del marito. Secondo altri di un vero e proprio vizietto saffico. Altri ancora parlano di necrofilia.
Questa malattia sarebbe da mettere in relazione con quella del futuro nipote Don Sebastiàn, nuovo Re del Portogallo nel 1568, alla maggiore età di 14 anni, oscillante fra la normalità e la degenerazione, perché ciò che risulta chiaro, dopo aver studiato il suo temperamento e i suoi atti è che si trattava di un illuminato i cui sogni di grandezza nazionale furono alimentati da alcune tra le menti più privilegiate del suo tempo. In ogni caso fu uno stravagante capriccioso ed impaziente. “Con un macabro piacere, ereditato dalla bisnonna Giovanna la Pazza, comandava, ad Alcobaza, di aprire le tombe in cui giacevano Alfonso II, Alfonso III e le loro consorti. Nella chiesa di Batalla, alzava dal suo sepolcro lo scheletro di Giovanni II; gli metteva tra le ossa della mano la spada che era stata sua e che era custodita nel convento, e dava la stura a giaculatorie di venerazione, di cortesia e di glorificazione marziale”. Ma potè anche essere solo un omosessuale non accettato, visto che “nel fervore dell’età gli ripugnavano le cortesie femminee, vuoi perché il suo organismo era atrofizzato per un difetto congenito, vuoi per il suo rapimento mentale”.
Se il confronto potesse reggere finiremmo col dire che Giovanna ebbe un orientamento sessuale diverso. Stando alla similitudine dei biografi quasi coevi, dovette essere ninfomane o lesbica. Oppure deviato, quando si parla di necrofilìa.46
E’ impossibile mettere la parola fine al significato di pazzia di Giovanna che appare sempre più una necrofila che di tanto in tanto, per due anni, dalla morte del marito alla reclusione, continuò ad amare e a stringere a sè il cadavere.
Un caso di comune demenza o di scandalosa violenza, lo definirà il figlio di Re Carlo, il futuro Re Filippo II di Spagna.
Lo farà alla morte di tutti i protagonisti, nell’accomodare gli otto feretri degli Asburgo nella Cappella di famiglia. Fra le bare troverà quella della nonna e sarà assalito da dubbio.
Pensava il nipote: - Sospetto trattasi di mistificazione, e nel profondo della coscienza mi dilania un dubbio che la fragilità di quella creatura fosse usata per mascherare colpe ben più nefaste che una debolezza della mente.
A lume di candela, nella cupa atmosfera, lugubre e tetra, della cappella reale, per Filippo era giunto il momento di sciogliere ogni dubbio sulla pazzia dell’ava. Era stata cosa reale o il frutto di convenienti intrighi di corte?
Disse Filippo: - Ordino che venga fatta luce su un caso che potrebbe essere di comune demenza. O di scandalosa violenza! 47