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Isabella dei Chiaromonte di Lecce (conti di Matera): i nonni materni, Raimondo e Maria, principi di Taranto
Isabella di Chiaromonte nacque di sangue blu, ma è difficile affermare a quale razza appartenne.
Il nonno e la nonna materni ebbero una vita intensa: due o tre matrimoni, una manciata di figliastri, una ventina di stati feudali e diversi papi o re ai quali sottomettersi malvolentieri. Furono due avi spietati, non proprio nell’assassinare i parenti, quanto nell’usurparne i beni: falsi (cambiavano continuamente partito), ingordi (occupavano una Terra e pretendevano l’altra), nepotisti (i matrimoni di interesse erano la loro specialità) e arrivisti (pensarono solo a sé stessi).
Di Raimondo, ministro contestabile delle conquiste da annettere ora al Regno di Napoli col titolo di dux, ora a quello del papa col vessillo di s.Pietro, si racconta che nel reprimere il brigantaggio che infestava il casertano, emanò un bando e promise il perdono ai briganti che deponessero le armi entro una settimana. Poi non mantenne il patto e li fece impiccare; altri furono attanagliati e squartati in Napoli, perchè sostenitori di Urbano VI. Erano i tempi in cui papi e antipapi facevano a gara con re e antiré a chi resistesse di più, visto che lo sport praticato dai provenzali era quello di dichiararsi possessori delle Calabrie. I papi venivano eletti e sostituiti nel giro di qualche mese, ma comunque temuti per il solo fatto che erano gli unici a confermare il possesso di un regno. Ma anche i re, acclamati dai baroni e poi traditi per non essere stati favoriti nel privato, erano necessari per contrastare l’uno o l’altro nemico con maggiore vigore.
Anzi, nonno Raimondo, dopo la morte del fratello Roberto, era divenuto principe stabile di Taranto (1399) per essere passato col partito regio dei Durazzo, da consigliere (1401) del fu Re Ladislao (1403), dopo aver fatto morire tutti i Sanseverineschi e una sfilza di avversari: il duca di S.Marco, quello di Venosa, il conte di S.Severino, quello di Thurso, messere Malacarne di S.Severino e i conti di Cupersano e di Ugento con tutti i lor seguaci.1
Alla congiura regia del 1403 era seguita la vendetta contro i capi della ribellione, che lo fece vero padrone del Sud, avendo ereditato già gran parte delle contee, a meno di Venosa che, vivo il padre Nicola, avrebbe assegnato al giovane nipote Raimondello junior figlio di Pierre I. La vendetta venne servita fredda, dopo la nascita del primogenito Giannantonio (1401) e in seguito alla morte agostana (1404) della potente suocera Madame Sancia de Baucio che raggiunse l’anima del congiunto conte Giovanni d’Enghien, rattristando e rallegrando contemporaneamente tutta Lecce.2
Sempre più bramoso, Raimondo si ribellò a Re Ladislao nel 1405, dichiarandosi autonomo da ogni sovrano e soggetto solo alla Chiesa. Probabilmente si rese vassallo marchionale di Roma, insediando in Lecce perfino la magistratura, prerogativa dei sovrani, gli unici ai quali toccava amministrare la giustizia.
Era il 17 gennaio del 1406 quando, forte del titolo di conquistatore del papa, con cinque figli, figliastri e figliocci a carico, fece dichiarazione testamentale, almeno per i maschi avuti da Maria: a Giannantonio il principato di Taranto, a Gabriele il Ducato di Venosa, sebbene, anche molti anni dopo la sua morte, avranno sempre bisogno dell’avallo della madre per le alienazioni dei beni.3
Questo fu possibile perché risposando Maria d’Enghien, contessa di Lecce e sorella del luogotenente del precedente principe tarantino, Raimondo era diventato gonfaloniere di un altro papa vedendosi riconosciuta l’ereditarietà di tutti i beni. Perciò, contratte le nozze, si sentì obbligato a stare dalla parte della Chiesa concorrente facendo conquiste in tutta la penisola. Sarebbe andato anche oltre, se non fosse passato all’altro mondo, nel 1406, proprio nel giorno testamentale di s.Antonio abate. Da ciò si intuisce che l’atto fu forse un falso di Maria per confermare solo ai propri figli avuti da quel matrimonio un patrimonio immenso che, fra l’altro, sopraggiunto il papa ufficiale, non venne venne riconosciuto nè al principe Giannantonio, nè agli altri figli e figliastri, se non a Raimondello junior di Nola, ma comunque lo stato fu annesso al Regno di Napoli. Il nuovo sovrano, Ladislao di Durazzo, non vedeva l’ora di mettere le mani sul patrimonio del suo ex consigliere defunto che gli aveva voltato la faccia. Quando decise che ne avrebbe sposato la vedova Maria, la principessa aveva solo 36 anni, e se ne andò a risiedere ad Oria, col marito fresco morto nel castello di Lecce, nella discordante data del 12 maggio 1406, dopo aver furtivamente redatto il testamento tutto in favore di Giannantonio di 5 anni, dichiarandosi esclusiva sua tutrice.4
Da ciò si intuisce che neppure la nonna di Isabella, Maria d’Enghien, fosse uno stinco di santo. La chiamavano Maria d’Eugenio per italianizzarne il cognome che portava in dote con la sua contea di Lecce, quella appartenuta alle casate francesi fin dai tempi dei Normanni, ma era leccese di nascita. Le carte false le furono d’aiuto, ma stavolta gli intrecci familiari per appropriarsi del principato di Taranto non sortirono l’effetto desiderato e il nuovo papa, non potendo o volendo riconoscerne l’investitura alla prole, creò gonfaloniere Ladislao, pronto a marciare alla conquista di Taranto per arraffare tutti i beni col minimo sforzo. La principessa-contessa riuscì ad allontanarlo con le sue milizie, tramando di far riconoscere da Luigi II, il conquistatore francese avversario di Ladislao (1406), il figlio Giannantonio in qualità di erede del principato di Taranto, ricevendo in cambio la promessa di matrimonio tra il piccoletto e Maria, figlia del Re di Francia, sebbene fossero ancora fanciulli.
All’epoca i provenzali erano padroni di mezza Italia, essendo giunti nel regno con al seguito Amedeo di Savoia, il quale aveva consegnato loro gran parte delle conquiste, finendo i suoi giorni a Campobasso nel 1402, sulla scia di Amedeo IV conte di Savoia detto Il Pacifico morto a Castropignano (1383), all’epoca in Regno di Puglia. Fu lui a strappare dalle mani del defunto Raimondo anche il principato d’Acaia per essersi nominato principe del Levante nella Morea greca, occupata in qualità di vicario dello zio Giacomo Romanello del Balzo, ultimo imperatore di Costantinopoli fattosi duca d’Atene, facendolo sedere per la prima volta come vicario (1381) di Taranto.
Sarà cacciato dal Re Luigì d’Angiò, ricacciato da Re Ladislao, ma tanto fece che alla fine si riconobbe da solo perchè quel principato era il suo regno. Poi sopraggiunse la morte nel 1406 e la vedova si riorganizzò.
Il piccolo domino angioino Giovanni Antonio de Baucio de Ursini principe di Taranto e conte di Soleto era al suo primo anno di principato, nel 1407, quando la madre, non avendo la maggiore età dei 14 anni, consegnava l’atto di sottomissione agli ambasciatori francesi in cui prometteva fedeltà a Re Luigi II, come da Homagiurum dominorum principisse ac principi Tarenti, essendo amministratrice dei figliuoli, nella speranza di evitare l’invasione del Re di Napoli. Da qui il ritorno del gabbato Ladislao, il 15 marzo 1407, il quale, per appropriarsi del principato di Taranto, costrinse la principessa madre ad accettarlo come marito e senza riserve, tanto sarebbe finita anch’ella ristretta nella reggia partenopea, assieme alla precedente consorte.
E Maria: — Non me ne curo, ché se moro, moro da Regina.
Ma le vicende della Regina Maria e Giannantonio non finirono lì, perchè Giovanna II, defunto il fratellastro Ladislao (1414), s’impossessò della signorìa di Napoli, tenendo ben rinchiusi prigionieri l’una e l’altro, arrestato poco dopo insieme a Gabriele, con l’accusa di aver tentato di usurparle l’eredità del regno di Puglia.5
In fondo lo tenne dentro perché altrimenti avrebbe sposato la figlia del nemico Re di Francia. La Regina confiscò agli Orsini tutti i beni e poi fece guerra al papa, che glieli aveva concessi in feudo creandolo gonfaloniere conquistatore, perché considerava la Puglia un patrimonio di famiglia e non della Chiesa. Pareggiò infine i conti in casa francese prendendo per marito Giacomo Borbone, duca de la Marche, creando lui a principe di Taranto e successore (titolo dell’ex trono usurpato da Ladislao che andava all’erede del regno), offrendo privilegi alla città liberata dagli Orsini. In realtà pare che fosse stato arrestato un Giacomo Antonio (1386-1463) perché si era consumata la congiura di alcuni nobili, poi costretti (1416) al giuramento di fedeltà una volta tornati all’obbedienza della Corona Durazzo-Borbone.6
Per molti storici fu l’ex Regina Maria, appena subentrata Giovanna II al fu Ladislao che la teneva prigioniera, a chiedere la propria libertà e quella dei parenti, in cambio della mano della figlia Caterina al cavaliere Tristano de Clermont, favorito di Re Giacomo Borbone novello principe di Taranto. Da Caterina e Tristano sarebbe nata Isabella, non mancando alcuni di darla già per concepita nel lusso dello stato pugliese dei nonni, che appartenne in gran parte ai genitori.
Così Cardami: — Re Jaco incomenzao a fare tutto a so piacere, et desfare quello che vulia; feci scarcerare Reina Maria, et so filli, et diedi a lo Signuri Tristano de Claramonto so gentelomo, che se portao da la Marza la filla de la Reina Mari per nome Caterina, che fo filliastra de lo Re Lauslao, et fillia de Raymundo de Ursinis Principe de Lavante, et le feci dare tutto lo Stato, et Castelli, et cu lo Signuri Tristano se ne tornao sana, et libera culli filli en Pullia a sò Stati.
Gli stemmi della basilica confermano le unioni fra Giannantonio e Anna Colonna, Caterina e Tristano, Gabriele e Maria Caracciolo (1431), ai quali vengono donati argentea vasa, iocalia et bona donativi seu corredi ipsius exponentis, come documenta l’assenzio regio ai capitoli nunziali. D’Egly, d’accordo con Costanzo e Summonte, scrive che nel 1419 Giacomo vendette, vendit la Principauté de Tarente à Jean Antoine des Ursins, e se ne ripartì per la Francia. Giovanna II si sentì libera, ma ad agosto del 1420 si presentò nel porto il nemico duca d’Angiò.
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