IL VEDOVO ALLEGRO. Amanti e Bastardi di Re Ferrante I

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E’ grazie agli amori di corte che fu possibile contare su una larga famiglia reale di paggi e paggetti che una volta cresciuti furono principi per l’affidamento dei ministeri senza la necessità di ricorrere ai feudatari…

Description

Stavolta i familiari furono pronti a tutto, ma la Casa reale perdeva colpi dall’interno. Re Ferrante restò all’oscuro di ciò che attendeva alla Corona, senza poter immaginare che il Regno si sarebbe presto frantumato nelle mani dei parenti spagnoli e dei nemici francesi. Nulla lo avrebbe distolto dall’amore per la sua Regina e dagli incontri di corte, con vecchie e nuove concubine.

Ecco qualche nota
1. L’appellativo de il Pidocchio fu dato a Ferrante dal contemporaneo Tristano Caracciolo. V. A.Bascetta, Re Ferrante il Pidocchio, ABE, Napoli 2009; A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. Cfr. Scandone, cit. pag.114 e segg.
2. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Discipline Storiche, Napoli dicembre 2007.
3. Gaetano Canzano Avarna, Leggende Sorrentine, Sant’ Agnello 1883. Cfr. Fabrizio Guastafierro, L’amante del Re che abitava a Sorrento (I e II parte), sito internet: www.ilmegliodisorrento.com. Cfr. Mario Russo, La villa romana del Capo di Sorrento, Centro Studi e ricerche Multimediali Bartolommeo Capasso, Sorrento 2006. “Alfonso I° e Ferdinando I° d’Aragona, fra i Re di Napoli, furono quelli che con più frequenza si recarono in Sorrento. Gabriele Correale, patrizio sorrentino, giovanetto paggio di Alfonso I°, dal re assai riguardato per la soavità dei suoi costumi, per la sua nobilissima indole, ed alla di costui immatura morte, il fratello Marino, succeduto nella grazia del Re, furono indubitatamente incentivo a far prediligere dagli Aragonesi la Città di Sorrento…
Di cotesta donzella la tradizione ne ha serbato solo il nome: Diana e nulla più, e così noi la chiameremo, nome per altro molto felicemente adattato, imperocché la maestà del portamento, la stupenda perfezione delle forme e l’incantevole leggiadria che traspariva dalla sua bellissima persona, ben facevano reggerle il paragone colla favolosa abitatrice dei boschi.
In quel tempo ogni donzella nobile era esperta nelle teorie dell’Araldica, per modo che dall’ insegna che elevava ciascuna barca scorgevasi a chi appartenesse.
In fatti la nostra Diana mirò le bande dei Sersale, la rete dei Vulcano, le fasce dei Mastrogiudice, il leone rosso dei d’Alessandro, ma quando le fu fatto distinguere le tre fasce nere che avvolgevano il leone d’oro dei Capece, un incarnato vivissimo si diffuse sul suo bel volto, il petto le balzò con ansia visibile che rivelava essere stato il suo cuore sollevato da grave sollecitudine. Chi, nel tempo stesso, avesse potuto penetrare collo sguardo nella barca dei Capece, avrebbe scorto diritto sul bordo, tutto fisso a Sorrento, un giovine di poco più di vent’anni, alto e snello della persona, bruno di aspetto per la polvere e il sole dei campi, d’ occhi nerissimi, scintillanti, di un’assieme disinvolto, dignitoso, che palesava l’elevatezza dell’animo e del casato”.
Così il racconto: – “Oh mia Diana! – disse allora Corrado – che ardente brama mi struggeva di rivederti: com’è piena di te quest’ anima. Fra i rischi della guerra la tua dolcissima immagine mi seguiva dovunque. Il tuo amore, come l’alito di Dio sulla creta, m’infondeva vita, gioia, coraggio. Oh. Se un dì dovessi perdere questo amore!
“Ed osi pensarlo? – soggiunse pronta la donzella.
“No, no, mia Diana, il Cielo non consenta che tu avessi a darmi un rivale. Ma io non voglio adombrare col dubbio il candore dell’ anima tua, che a me piace crederla tutta sincera. tutta pura.
“Oh mio Corrado – diceva Diana commossa da quelle nobili parole.
“Sì, mia diletta, io ti amo come debb’ essere amato un celeste oggetto, che come tale io ti comprendo nella mia mente. Ma se può giungere un giorno che nel tuo cuore venisse meno I’ affetto per me … Diana, quel giorno usami misericordia, uccidimi!
“Cessa, cessa per pietà Corrado – gli rispondeva la fanciulla – “quali foschi pensieri tu rechi dal campo” e in ciò dire prorompeva in pianto.
“Diana, per pietà, tergi quelle lagrime; al tuo pianto piangerebbero gli angeli”.
Così Corrado amava la sua Diana. Ma quel dubbio che il Capece esprimeva sulla fede di Diana era manifestazione di animo presago della mutabile indole della fanciulla, ovvero era solo apprensione di amore immenso, esclusivo che di tutto si adombra? Il seguito di questa leggenda risponderà a tale domanda”.
Sulle lapidi v. De Stefano, pag.124-125, cit. De Stefano, leggendo le due lapidi sul loculo di Monteoliveto in Napoli, ci permette di attestare che Marino Correale di Sorrento non è altri che il Conte di Terranova Marino Curiale: Qui fuit Alfonsi condam pars maxima Regis, Marinus hac modica nunc tumulatur humo… Marinus Curialis Surrentinus, Terræ Nouæ Comes. Ann. Domini. M.CCCC.LXXXX.
In volgar così risonano: – “Marino, il quale un tempo fu gran parte di re Alfonso, adesso è sepellito in questa poca terra”…
“Marino Curiale Surrentino conte di Terra Nova. L’anno del Signor mille quattrocento novanta”.
4. Gaetano Canzano Avarna, Leggende Sorrentine, Sant’ Agnello 1883. Cfr. Fabrizio Guastafierro, L’amante del Re che abitava a Sorrento (I e II parte), sito internet: www.ilmegliodisorrento.com. Cfr. Mario Russo, La villa romana del Capo di Sorrento, Centro Studi e ricerche Multimediali Bartolommeo Capasso, Sorrento 2006.
5. Ivi.
6. Gaetano Canzano Avarna, Leggende Sorrentine, cit. Così l’autore: – “Tutto ciò non ignorava il saggio Corrado Capece, come non sfuggì al suo accorgimento che le preferenze del Duca tornavano accette alla vanità di Diana, a salvarla dall’ignominia dalla quale era minacciata, laonde qualche giorno prima della festa ordinata dal Duca, si recò da lei onde scongiurarla di non andarvi, e se ciò non le fosse possibile, simulando momentanea indisposizione, non ballare con alcuno, per così non porgere opportunità al principe di avvicinarla con libertà. Non staremo qui a dettagliare la viva discussione intervenuta fra i due fidanzati. Corrado, animato dagli elevati sentimenti di onoratezza di virtù, forte pregava Diana, in nome del loro amore, in nome della di lei reputazione, del decoro dell’intero parentado, di evitare qualunque passo che avesse potuto sentire di leggiero, d’inconsiderato; mentre che Diana, cui il fascino della vanità aveva montato il capo, colle fisime di riguardi sociali, di obbedienza a superiori cenni, procurava orpellare la sua condotta, conchiudendo alla fine, che essa avvertiva in sé tanta forza da saper mantenere nei giusti confini la devozione di suddita col decoro di nobile donzella. Per verità non sappiamo, se più per imporre termine ad una discussione che la contrariava, ovvero col fermo proposito di darvi adempimento, finalmente promise al Capece che non avrebbe preso parte alle danze”
7. Gaetano Canzano Avarna, Leggende Sorrentine, Sant’Agnello 1883. Cfr. Fabrizio Guastafierro, L’amante del Re che abitava a Sorrento (I e II parte), sito internet: www.ilmegliodisorrento.com. Cfr. Mario Russo, La villa romana del Capo di Sorrento, Centro Studi e ricerche Multimediali Bartolommeo Capasso, Sorrento 2006.
8. Ivi.
9. Ivi. Fra i ruderi romani della Villa di Pollio Felice decantata da Stazio e vissuto ai tempi di Domizio, quando fu “patrizio Puteolano di sterminata dovizia” con “case in Ercolano e poderi in Taranto, fu cultore delle scienze astronomiche e versato in eloquenza e poesia”.
Siamo a Sorrento, fra Capo S.Fortunata e Capo di Massa, tra il tempio delle Sirene e il tempio di Minerva, spuntavano gli spiriti, proprio di fronte al litorale coi templi di Nettuno, di Ercole e di Giunone. Sono i bagni della Regina Giovanna “avanzi di cisterne e di acquedotti che tuttavia si vedono, depongono anch’oggi della magnificenza di quelli edifizii, e meritamente, richiamano l’attenzione e l‘interesse di ogni intelligente osservatore”. Agli inizi del 1300 la Villa era già un ammasso di avanzi, nascondiglo di ladri e di contrabbandieri, luogo di regolamento di conti con armi varie, avendovi perduto la vita molti gentiluomini. Un luogo dalla penombra perfetta, fra massi, dirupi e macerie illuminati dai soli raggi della luna che, a serata inoltrata, indicavano a marinai e braccianti la strada del ritorno.
10. Ivi. Il Privilegio fu poi confermato dall’Imperatore Carlo V con diploma del 7 maggio dell’ anno 1519, “il cui originale serbato nell’ Archivio Municipale di Sorrento, fu preda delle fiamme, secondo alcuni nell’ invasione barbaresca del 1558, e secondo altri nei politici sconvolgimenti del 1799 avvenuti per opera del così detto Mercantiello”.
11. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. Sull’epitaffio v. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Discipline Storiche, Napoli dicembre 2007. Così l’epitaffio su Maria: – Quis legis hæc summissius legas, ne dormientem excites. Rege Ferdinando orta Maria Aragonea hìc Clausa est. Nupsit Antonio Piccolomineo Amalfæ Duci strenuo, cui reliquit treis filias, pignus amoris mutui. Puellam quiescere credibile est, quæ morì digna non fuit. Vixit An. uiginti. Ann. D. MCCCCLX.
12.Qui Canzano Avarna chiude così il suo racconto sorrentino: “al quale fu imposto il nome di Enrico, ed a suo tempo fu investito del titolo di Marchese di Gerace”. Prende però un abbaglio perché non è Don Enrico (figlio di Giovanna Caracciolo) ma Don Ferdinando figlio di Diana che quindi sarebbe morta dopo il suo parto.
Ferdinando Divenne quindi Duca di Caiazzo ma è sempre riconosciuto come Duca di Montaldo. E’ Avarna stesso dirà che Raimondo Cardona, per tredici anni Vicerè di Napoli, ebbe una sorella chiamata Castellana che sposò Ferdinando Duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio”. Cardona era discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo.
13. Leggenda di Vico Equense (Na)l
14. Amalia Giordano, La dimora di Vittoria Colonna a Napoli, Napoli 1906.
15. Lettera al Papa.
16. Gregorio Rosso, Storia delle cose di Napoli sotto l’impero di Carlo V, Napoli 1770.
17. Francesco Fiorentino, Nuova Antologia, XLIII fasc. 2/1884; riportato in Studi e Ritratti, 1911.
18. Girolamo Ruscelli, Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtu, Vinegia 1567. La trascrizione è di Massimo Marra.
19. Il testo di Girolamo Ruscelli (1500-1566) esce postumo a Venezia nel 1567, dopo la morte dell’autore, celatosi dietro l’identità del misterioso Don Alessio Piemontese in decine di edizioni tradotte in italiano, latino, tedesco, inglese e francese di un prototipo di fortunati “libri di secreti”, una raccolta di ricette e di Secreti, fra cui il Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtù, di importante valore storico e documentario, che testimonia l’esistenza dell’Accademia alchemica nel Regno di Napoli, quando, intorno al 1541, il Ruscelli si trasferì dalla corte romana del Cardinale Grimani a quella del Marchese Alfonso D’Avalos. Eamon collega il Ruscelli all’ambiente intellettuale e scientifico raccolto intorno alla corte del Principe di Salerno Ferrante Sanseverino (alleato dei D’Avalos in contrasto con il viceré spagnolo Pedro da Toledo), che si accosta all’Accademia Dei Segreti fondata a Napoli intorno al 1560 da Giovan Battista Della Porta.
20. In: V. M.Marra, Il Pulicinella Filosofo Chimico – uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del viceregno, Mimesis, Milano 2000.
21. Cfr. W. Eamon, La scienza e i segreti della natura. ECIG, Genova 1998. N. Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, Napoli, vol. V, T.1 pp.641\689.
22. Sull’epitaffio v. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Discipline Storiche, Napoli dicembre 2007, pag.141.
23. Così l’epitaffio sulla lapide di Pirro : – Pirrus Pectius V. I. D. & Caterina Scuria coniuges, Augustino filio, sibi & posteris posuère. Ann. Sal. M. D. XXV. Hìc ut Alfonso Piccol’homineo Amalfiæ Duci perpetuò deditus, Moriens procul abesse noluit. L’epitaffio del padre Antonio: – Dormis an uigilas Antoni? sector utrumq. Ossa quidem primum, sed uirtus fama secundum. Sanguine quo cretus? Genitor quis? quid ue moraris? Stirpis Aragoniæ, Ferrandus, iudicis horam. Obijt Ann. M.D.XLIII.
L’epitaffio del figlio: Cernis Aragonæi Petrum non ignobile culmen; Antoni sobolem, qui scire cupis omen. Puer & ipse rarus uigens in sede Paterna, Venit cum immitis Atropos ipsa sibi.
24. Ruggero de Pacienza, cit.
25. Ivi.
26. Pasquino Crupi, Rimatori del XV secolo: Roda, Coletta, Maurello, Soveria Mannelli: Rubbettino Editore, 2002, pag. 89.
27. Ivi.
28. Il testo fu rinvenuto fra i rogiti della biblioteca vaticana dallo studioro Erasmo Percopo nel 1888 che lo considerò come scritto da un uomo di cultura “non del tutto volgare e popolano, o cantambanco o improvvisatore che dir si voglia”.
29. Paolo Regio, La miracolosa vita di Santo Francesco di Paola, Napoli 1591., Cap.22, pag.48-50.
30. Arturo Bascetta, Avellino. L’altro volto del Rinascimento, ABE Napoli, Avellino 2016.
31. Tratto da Joanni Maurello, poeta dialettale calabrese, che narrò l’episodio nel Lamento per la morte di Don Enrico d’Aragona, epicedio di 296 versi diviso in quattro parti stampato a Cosenza nel 1478, il più antico documento in dialetto della Calabria Citeriore in cui l’autore mostra il dolore per la morte del suo signore. Il testo fu rinvenuto fra i rogiti della biblioteca vaticana dallo studioso Erasmo Percopo nel 1888 che lo considerò come scritto da un uomo di cultura “non del tutto volgare e popolano, o cantambanco o improvvisatore che dir si voglia”.
32. Arturo Bascetta, Avellino. L’altro volto del Rinascimento, ABE Napoli, Avellino 2016. Cfr. Enrico d’Aragona, da: Wikipedia, l’enciclopedia libera. Luigi d’Aragona (1475-1519), divenuto Marchese di Gerace, nel 1492 sposò in Roma Battistina Cibo, nipote del papa, a soli 17 anni. Rimasto presto vedovo e senza figli vestì l’abito sacerdotale sotto la protezione di Papa Borgia, il quale, nel 1494 lo creò Protonario e gli assegnò la Diaconia di S.Maria in Cosmidin. Sarà lui l’accompagnatore della Regina Giovanna in Spagna durante la vedovanza. Divenne legato pontificio il Germania e morì nel 1519 dopo 22 anni di cardinalato, sotto del quale, la Commenda di Montevergine, con sede nell’ex abbazia di Mugnano, subì la scissione di antichi feudi verginiani, alcuni dei quali, passati sotto il dominio regio, divennero Università comunali, come nel caso di Mercogliano. E’ questo uno dei motivi per cui si assiste al duplicarsi dei toponomi con il Casale di un feudo di proprietà dei monaci e l’altro, magari adiacente, riscattato dall’Università.
33. V. Mastrullo, cit. Già prima del 1485, quindi, abbandonata l’abbazia di Montevergine, si fece costruire un Palazzo tutto nuovo, da cui prese nome la località di Cardinale, proprio in territorio di Mugnano, dove siederà, dal 1495, il suo successore, il Commendatario Cardinale Oliviero Carafa, arcivescovo di Napoli (1485-1511), seguito dal nipote, il Cardinale Ludovico d’Aragona (1511-1515). La Commenda cardinalizia si ritrovò quindi in provincia di Terra di Lavoro, rappresentata attualmente all’incirca dalle province riunite di Napoli e Caserta, su cui sovrintendeva solo la Regia Udienza. Dall’altro lato del monte Partenio, a Mercogliano, nacque la nuova abbazia dei Guglielmini e il paese dipese dalla Regia Udienza Provinciale della provincia di Principato Ulteriore, retta dal Presidente, o Preside del Tribunale di Giustizia. Sul suo matrimonio con la nipote di Innocenzo VIII V. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.171-176.
33. S. Mazzella, Le Vite dei re di Napoli. Con le loro effigie dal naturale, 1594, pagg.137-138.
34.Enrico d’Aragona, da: Wikipedia, l’enciclopedia libera. Cfr. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, cit. Così continua De Stefano: – Li offitiali che ivi sono hanno per loro provisione da scuti ducento per ciascun anno, quali vi sono dati d’elemosina da diversi luoghi pii, et tutto si è procurato per non disminuire o mancar di detta proprietà. Appresso del’altra parte di detta chiesa è un altro cortiglio grande, ov’è posta una bella cappella sott’il nome di Santa Maria della Pace, quale prima si governava per confrataria, et ogn’anno facevano loro mastri. Ma vedendo il gran bene che si faceva per li mastri et iconomi del’Annuntiata, li detti confrati donorno a detta chiesa dela Annuntiata detta cappella dela Pace col cortiglio, giardino e stanze, sin come insino al presente possedeno. La detta chiesa dela Annuntiata è uffitiata da preti quaranta e diaconi trenta, et tutti ben pagati, ch’hoggi in Napoli non ci è chiesa che sia così ben servita como essa. Nella detta chiesa sono molti epitaphii, però ne pigliaremo alcuni ne pareranno più degni di essere annotati; e lo primo serà dela nostra viceregina Isabella di Ricchisentia, moglie de don Raimondo di Cardona, viceré di questo Regno. Qual Isabella fu una bellissima donna, e sta in uno sepolcro di marmo nel’altare maggiore, a man destra quando si entra, un palmo sopra terra, con una cancellata di ferro sopra, acciò non si consumi il marmo, per essere finissimo lavore, et in piedi di detta signora sta lo sotto scritto epitaphio:
Hospes legas, nè lugeas rogo. Illa Isabella Ricchisentia Cardonia; Neap. pro Regina, iacet hìc. Quam si oculis in terris uidisse uiuentem, Summa fuit beatitudo; Quantò feliciores erunt, quibus animo In coelis eandem (quinam mori potuit?) Contemplari contingerit; Credendum est eius formam, & uirtutem. Animæ ad eternam gloriam fuisse comites. Occidit Aurora Oriente, æt. suæ Ann. XXXVI. V. Mar”. Così il sermone: – “Viatore, legi ti priego, et non piangere. Giace qui quella Isabella Ricchisentia Cardonia, di Napoli viceregina, qual se fu somma beatitudine con l’occhi haverla vista viva in terra, quanto più felice saranno coloro a’ quali la medesma accaderà in cielo (imperoché in che modo ella potette morire?) con l’animo contemplare; è da credere sua bellezza e virtù che siano state dell’anima all’eterna gloria compagne. Morì nell’apparir del’aurora l’anno dell’età sua trenta sei, nelli cinque di marzo”.
“Appresso lo sopra detto sepolcro ne è un altro del medesmo marmo, nel quale giace il mortale della figlia dela sopra nominata viceregina, et non m’ha parso tacerla, per essere stata donna illustre, benché ci è uno epitaphio lo quale non si ha possuto ben legere per essersi accommodato in quel luogo uno sediale di legno dove sedeno li sacerdoti quando cantano la messa”.
35. V. Mastrullo, cit.
36. Ivi.
37. Cambra, cit.
38. Matteo Bandello, Giovanna d’Aragona Duchessa d’Amalfi. Spigolature storiche e letterarie, Tipografia G.Vignuzm, Napoli 1906.
39. Matteo Bandello, cit.
40. Ivi.
41. Matteo Bandello, cit.
42. Matteo Bandello, Giovanna d’Aragona Duchessa d’Amalfi. Spigolature storiche e letterarie, Tipografia G.Vignuzm, Napoli 1906.
43. Leggenda di Atrani (Sa) V. A.Bascetta, Juana la Pazza. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2008.
44. Matteo Bandello, Giovanna d’Aragona Duchessa d’Amalfi. Spigolature storiche e letterarie, Tipografia G.Vignuzm, Napoli 1906.
45. Matteo Bandello, cit.
46. Matteo Bandello, cit.
47. Raffele Ferraioli, Le belle del ducato. Da:www.comunefurore.it
48. S.Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, Fiorenza, Marescotti, 1580, P. II, pag.49.
49.Da Giacomo detto Romanello del Balzo fatto principe di Taranto dal fu Duca Luigi d’Angiò nacquero Ramondo Balso, detto Orsino, Roberto, Pirro, e Francesco. Hebbe questo Ramondo molti figliuuoli, detti del Sansovini, Orsini, Giordano Conte dell’Atripalda, Daniele Conte di Saro, e Felice Principe di Salerno, Conte di Nola, e marito di Maria figluola naturale di Ferdinando I.Re di Napoli. Hebbe anche ciqnue figliuole, di cui due legittime.. V. Fra Luigi Contarino, L’Antiquità di Napoli, Napoli 1575, pag.82; in: Giovanni Villani, Luigi Contarini, Benedetto di Falco, Raccolta di vari libri, overo opuscoli d’historie del Regno di Napoli,Castaldo, Napoli 1680. Cfr. www.conteanolana.it
50. Bascetta, Raimondello, ABE Napoli 2020. Gentile Orsini fu invece, nel 1439, creato Gran Cancelliere del Regno, come pure tra il 1441 ed il 1447. Poi il figlio Orso, istigato dal Principe di Taranto, si era ribellato nel 1458 a favore di Giovanni d’Angiò, occupando in nome dei Francesi Ascoli e Manfredonia, dal 1460 Foggia, indi a Nola, ma fu respinto al grido di Aragona! da Felice Orsini, Principe di Salerno e Conte di Nola, il 1 luglio 1460, tornando ufficialmente fedele il 7 gennaio 1462, quando innalzò la bandiera regia sulle mura di Nola. Il 14 gennaio 1462 Orso fu investito della Contea di Nola, della Contea di Atripalda e delle signorìe di Baiano, Lauro, Palma, Avella, Ottaiano, Monteforte e Forino. Ricostruzione da: www.conteanolana.it Raimondello Orsini di Nola sposò Isabella Caracciolo (sorella del Gran Siniscalco Sir Gianni, ed in seconde nozze, nel 1439, Eleonora d’Aragona, cugina di Alfonso I). Urbano VI gli regalò Benevento e la Baronia di Flumeri, che consisteva in 18 Castelli, ma non ebbe figli, solo i figliastri Felice, Daniello e Giordano, facendosi Diacono-Cardinale, ma non è accertato che Raimondo accettasse la Porpora. Nel XVI capitolo del De Nola, il Leone scrive che la Cattedrale di Nola incepta est a Raymundo Ursino finita ab Urso, atque Episcopio Nolano J.A. Tarentino. Senza figli fece eredi i tre figli naturali: Felice (riconosciuto erede naturale di Raimondello Junior), Conte di Nola e Principe di Salerno, nonché Duca di Ascoli e Signore di Lauro e Forino; Daniello, Conte di Lauro; Giordano Conte di Atripalda.
51. Giordano tornò solo per la pace coi Colonnesi, voluta a Roma dal suocero, il cardinale Giuliano della Rovere (poi Giulio II), nel 1511, quando presenziò all’incoronazione di Leone X nel 1513, avendo sposato la figlia Felicia, donna influentissima alla stregua di Lucrezia Borgia. Il Della Rovere comunque non parteciò alle nozze della figlia, più giovane di 20 anni del Conte di Atripalda, già sposato in precedenza e con un paio di figli, fra cui Napoleone Orsini.
52. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170.
53. Ivi.
54. Ivi.
55. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.176-178
56. Scandone, cit. pag.114 e segg.
57. Ivi.
58. Ivi.
59. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007.
60. Curita, IV, pag.277; in: Scandone, cit.
61. Notargiacomo, cit., pag.135.
62. Antonio de Capmany Surís y de Montpalau, Memorias historicas sobre la marina comercio y artes de la antiguaCiudad de Barcelona, Tomo IV, Imprenta de Sancha, Madrid 1792, Appendice, Pagg.11-12.
63. Ivi.
64. Ivi.
65. Notargiacomo, cit. pag.136.
66. Antonio de Capmany Surís y de Montpalau, cit.
67. Ammirato; in: Scandone, cit.
68. Notargiacomo, cit. pag.136.
69. Passaro, Historia, Napoli 1785. Cfr. Scandone, cit.
70. Notargiacomo; cfr. Scandone, cit.
71. Notargiacomo; cfr. Scandone, cit.
72. Notargiacomo; cfr. Scandone, cit.
73. Notargiacomo; cfr. Scandone
74. Volpicella – Lazzareschi.
75. Summonte; cfr. Scandone.
76. Notargiacomo, cit.
77. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, cit.
78. Notargiacomo; cfr. Scandone.
79. Faragalia, Codice diplomatico sulmonese. In: Scandone, cit., pag.122 e segg.
80. Notargiacomo; cfr. Summonte.
81. Passaro, cit.
82. Albino Ottavio, Lettere, Gravier, Napoli 1769.
83. Nicolò de Bottis, Privilegii, et capitoli, con altre gratie…, Dusinelli, Venetia 1588.
84. L’epitaffio reca la data del 1483. De Stefano, cit., pag.41.
85. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Su S.Maria Maggiore ex episcopio di S.Severo della Diaconia napoletana, su S.Lupo e sul terremoto che fece nascere i nuovi arvivescovadi di Benevento, Napoli, Lucera e Campobasso V.: A.Bascetta, Jean d’Anjoux, I e II parte, Giovanna I d’Angiò, Le Regine di Napoli, ABE, Napoli 2013; A.Bascetta, La Valle Beneventana, II e II parte, Comuni del Principato Ultra.
86. Il 20 agosto 1482 Re Ferdinando nominò Niccolò Allegro a rettore di Benevento, città rimasta in Regno dal 1463, anno in cui, appoggiando le rivolte popolari, fu strappata alla Chiesa insieme a Salerno. Nell’atto compaiono molti civium e habitatorem beneventanorum che chiesero ed ottennero gli statuti comunali ad capitulandum. Valerio dalla Vipera, notajo e sindaco beneventano, fece pubblicare il privilegio. Ma quello fu l’ultimo anno di sovranità del Re, in quanto, il 21 agosto, vi fu la celebre vittoria dei papalini sul Duca Alfonso d’Aragona “presso S.Pieto in Formis, che perciò fu detto Campomorto, dalle genti inviategli contro del Papa, comandate da Girolamo Riario, e da Roberto Malatesta”. I beneventani e gli abitanti di Terracina furono assolti dal delitto di ribellione con bolla papale del 7 gennaio 1483. Il 25 gennaio il pontefice ne dichiarò governatore e castellano Corrado Marcellino, cittadino romano già vescovo di Terracina. Sotto Papa Eugenio Benevento chiederà la separazione del potere politico dalle mani dei Rettori papalini e questi separar separatim facere castellanum a Rettore, seu vicerettore. 21. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769.
87. Civitate Tocco sede dell’ex diaconia non va confusa con l’Oppido, cioè il Castrum Tocco dipendente direttamente dal papa di Avignone come Castrum Tocci, mentre la precedente Civitate distrutta dal terremoto del 1348 viene dichiarata suffraganea di Benevento. Già papa Stefano X l’avrebbe indicata come dipendenza di Montecassino nel 1058. E’ poi annoverata fra le città suffraganee dal Vipera (Chror. sub Uldarico, pag.90). E qui sarebbe l’inghippo perché la vecchia Tocco descritta nel documento non è collocata nella Valle di Vitulano, nella Varvense che non è lo Stretto di Barba (la Varva nel 1800 risulta essere casale di Ceppaloni, ma già nel 1700 era frazione di Chianchetelle, ai piedi di Torrioni, sul finire del vallone San Martino di Terranova Fossaceca all’incontro col fiume Sabato e di fronte Pietrastornina). Leggendo l’opera “Descrizione dei viaggi compiuti dal Santorino stesso fra 1485 e il 1487, in qualità di cancellarius et scriba del Patriarca di Aquileia (che era arcivescovo di Benevento) nei territori facenti parte dei suoi possedimenti” si capisce che qualcosa non quadra. Infatti, lo scrittore ecclesiastico Paolo Santonino, nel suo viaggio del 1456 descritto nel libro Itinerari dice: quae dicitur Tocco in Valle Varvense, malamente tradotta in Valle Vitulana, ad solum usque deducta defunctorum descriptum non recepi. Vitulano diviene Terra con tre parrocchiali, una delle quali è arcipretura, benchè l’arciprete risieda in Tacciano e dicesi arciprete di tutta la Valle di Vitulano che consta di 36 casali (stranezza del numero uguale ai 36 casali che la memoria popolare diceva possedere sicuramente Pietrastornina, antico feudo delle due torri, che è sita a monte dello Stretto di Barba). Anche Meomartini disse Tocco in Valle di Vitulano.
88. Paolo Regio, La miracolosa vita di Santo Francesco di Paola, Napoli 1591.
89. ASN, Corporazioni soppresse, vol.2579, f.355, Privilegio dato a Napoli per Bartolomeo di Capua, 13 agosto 1316, 14esima indizione, VIII anno del Regno di Roberto, copia dell’archiviario Giovan Battista de Juliis, 9 dicembre 1596, In: Fondazione Pasquale Valerio per la storia delle donne, Archivio per la storia delle donne, Volume 1, M. D’Auria Editore, Napoli 2004.
90. S. Mazzella, Le Vite dei re di Napoli. Con le loro effigie dal naturale, 1594, pagg.137-138
91. Documento n.6139. — Sancia, regince Siciliae, conced. licentia fundandi monasterium O. S. Claras in loco per eam acquirendo prope Castrum Novum Neapolitan. in quo habitat, et assumendi moniales de monast. s. Clarae, dicti ord., Assisinaten. di., ubi eadem sancta morata fuit, et adhuc nonnullse sorores consanguineae dictEe sanctse existunt, easque ponendi in monast. ab ea fundando; obtentu Roberti, regis Sicili». (A. 52, f. 220; V. 125, n. 243; Eubel, Bull Francisc. vi, n. 84.)
92. Regio, cit.
93. Regio, cit.
94. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r – 225 v.
95. Il luogo della Croce di San Luigi era molto popolare a Napoli, fin da quando prese a diffondersi il culto, dopo l’8 novembre del 1319, quando i reali, il siniscalco con 30 militi e 96 scudieri, 10 medici con 12 ciambellani, 10 cappellani e 9 chierici, 2 giuristi e molti notai e cortigiani si imbarcarono per la Francia su 25 galee.
Smontarono a Marsiglia per recarsi nella chiesa dei frati Minori in occasione della traslazione del corpo s.Ludovico di Tolosa collocato nella nuova sepoltura, sotto l’altare maggiore del coro, in una cassa d’argento. Essa veniva aperta e chiusa solo per ordine dei reali di Sicilia, che curarono anche l’arredo sacro della cappella, su autorizzazione scritta in occasione della visita di personalità.
La cappella preziosa di Napoli negli anni aveva aumentato il suo tesoro, almeno fino al 1331, quando su una galera diretta a Marsiglia fu caricato lo scrigno rosso e verde corazzato, donato da s.Brigida (che soggiornò a Palazzo nel 1367, e poi tra il 1371 e il 1373), ad una monaca di S.Croce di Palazzo, a sua volta ricevutolo poi dalla Regina Sancia. Esso conteneva numerosi oggetti, fra cui due ampolle smaltate di zecchino con lo stemma del regno d’Ungheria, un calice d’oro con patena impreziosita da zaffiri, perle e altre pietre, un calice di cristallo con base d’argento, una brocca d’argento dorato. Il tutto doveva servire per le celebrazioni da tenersi nella cappella di s.Ludovico.
Così s.Brigitta di Sveza: — Clara nomine, in monasterio monialìum ad Sanctam Crucem et dìxìt ad eam: Habeo, ìnquìt, reliquias de capillis matris Dei, datas michi per reginam Sanciam, quas nunc tibi dabo, quia michi inspiratori est diuinitus, vt tibi eas committam.
Lo scrigno con l’altrettanto prezioso contenuto furono però rubati. Il 15 giugno Sancia diede ordine allo stratigoto di Salerno di avviare un’accurata indagine con la ricompensa di 10 once d’oro per chi avesse fornito notizie utili. Inoltre, secondo quanto riferisce Santoro da Melfi, nel febbraio del 1318, a Varese, a Carlo Fieschi, figlio di Nicola e nipote di papa Innocenzo IV, apparve tre volte in sogno s.Andrea che gli impose di donare a Sancia, proprio per il monastero di S.Chiara, la reliquia della sua gamba con tanto di piede (reliquia che Papa Innocenzo aveva a sua volta donato a Nicola).
La gamba del Santo fu quindi portata a Napoli da Teodora Fieschi, sorella di Carlo, e da Berengario de Bellomio, ed è tuttora conservata nel monastero di S.Chiara. Altra apertura fu autorizzata il 29 giugno 1338, quando furono prese le misure del teschio per farne diversi reliquiari napoletani, uno da 5 libbre d’oro, uno tempestato di gemme destinato a S.Chiara (poi impegnato da Giovanna I per un prestito da 3300 once nel 1348), così come la Regina faceva con altre reliquie, come i capelli della Vergine. Il cervello, rinvenuto integro dall’esumazione, venne incastonato in una corona d’oro e pietre preziose, del peso di una libbra con 20 grosse perle, 35 baiassi e 35 zaffiri, costata 450 once, commissionata il 19 settembre del 1339 e destinata al monastero di s.Chiara. In un altro reliquiario fu messo il braccio in quattro colonne d’argento che serravano un cilindro di cristallo, fatto fondere tra il 1336 e il 1338, oggi al Museo del Louvre a Parigi.
La scena originale dell’incoronazione di Re Roberto da parte di Ludovico, oggi in s.Chiara di Napoli, sarà più volte riprodotta, come in una miniatura delle Grandes Chroniques de France, su commissione di Carlo V (1338-1380) di Francia.
L’intento del re angioino era stato quello di affermare la sua legittimazione verso i sudditi e verso i cortigiani, anche grazie al maestro di Giovanni Barrile (1340 ca.), come si vede dal retablo del coro della chiesa del monastero della Natività di Aix, detto di s.Chiara, oggi in quel museo.
Re Roberto d’Angiò e Sancia, incoronati e oranti, sono inginocchiati ai piedi di san Ludovico di Tolosa benedicente in abito pontificale con il bacolo, investito dagli angeli della mitra vescovile. Quasi che Roberto ostentasse la corona, benché fosse stato per molti anni vicario del Regno, ma spesso surclassato dal consigliere Bartolomeo di Capua per volere del padre, al quale fu soggetto in materia finanziaria di questo fidato ministro che morì nel 1328.S. Mazzella, Le Vite dei re di Napoli. Con le loro effigie dal naturale, 1594, pagg.137-138. Cfr. Reue/adones, IX, 94. Da: Acta et processus canonizacionis beatae Birgitte. v. I. Collijn, Uppsala, Almqvist & Wiksells, 1924-1931, Stoccolma 1977, p. 635. In: M. Gaglione, Profili di Sovrani Angioini, cit. Cfr. M. Gaglione, Profili di Sovrani Angioini, cit.
96. Vincenzo Maria Altobelli libraro napoletano, Giuliano Passero cittadino napoletano o sia prima pubblicazione in istampa che delle Storie in forma di Giornali le quali sotto nome di questo autore finora erano andate manoscritte, ora si fa a sue proprie spese, Vincenzo Orsino, Napoli 1785, pagg.65-66.
97. Vincenzo Maria Altobelli libraro napoletano, Giuliano Passero cittadino napoletano o sia prima pubblicazione in istampa che delle Storie in forma di Giornali le quali sotto nome di questo autore finora erano andate manoscritte, ora si fa a sue proprie spese, Vincenzo Orsino, Napoli 1785, pagg.65-66.
98. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r – 225 v.
99. A. Mazzarella da Cerreto, in: Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, Volume 3, Nicola Gervasi, 1846.
100. Paolo Regio, cit., pag.75-76. Cfr. Mazzarella, Cfr. Martuscelli, Cfr. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r – 225 v.
Così Regio: — In Napoli vi era una donna chiamata Margarita Coppula, la qual era talmente molestata dall’asma, che alle volte per l’estrema affittione, in che stava per quattro giorni non poteva parlare; per questo sen venne à pregare il santo medico per la sua sanità, alla quale l’amico di Dio ordinò, che togliesse dell’herbecciuole, o con aceto, ed olio ne facesse un’insalata, secondo il solito farsi; e di quelle mangialle.
Vi è anche un minimo di dialogo, replicando l’inferma: — Padre questo cibo non mi giova, anzi mi noce. Al che «soggiunse il Santo»: — Prendila, che Dio ti avrà a compassione. E ancora: — Così magnandola con due pomi, e un biscotto, che di più gli diede; restò talmente libera da così molesta infermità, che mentre visse, non mai più di quello; ne d’altro male patì, morendo poi molto vecchia al fine.
Non è dato sapere se anche il miracolo riportato in successione sia da attribuire a una donna di Napoli, ammalata di lebbra, il male di San Lazzaro, che aveva rifatto la sua comparsa nel reame.
Continua Regio: — Nel medesmo tempo un’altra donna chiamata Marinella, aveva una figliuola di diece anni, che dal mal di S.Lazaro era offesa; la predetta Mirgharita, che era sua comadre, in nome di lei dimandò gratia al santo Padre per la fanciulla, alla quale rispose; che à lui l’avessero condotta, come fecero.
Anche in questo caso c’è dialogo, «hauendola il santo medico risguardata, disse alla madre»: — Và, e ritorna la fama, che hai tolta alla tua comadre Antonia, dicendo che ha pratticato illecitamente con tuo marito, perché non è la verita; o in presenza di quanti hai publicata tal vano pensiero, confessa il tuo errore, che Iddio ti farà la gratia per la tua figliuola.
«Alché la donna rispose che volentieri averebbe ubbidito il suo comando. Laonde il beato Padre gli diede alcune erbe, dicendoli»: — Di queste farai un bagno alla tua fanciulla; ma prima sodisfà la fama tolta alla tua comadre, e poi laverai quella, che Iddio ti concederà la gratia dimandata.
«Ilché colei sodisfece a pieno; e il giorno seguente fù veduta la fanciulla libera, e sana da quel pestifero male, come depone frate Ambrosio dell’ordine di S.Basilio Cappellano del Re Ferdinando».
Il biografo sottolinea la permanenza a Napoli e aggiunge di doversi leggere «la testimonianza d’un Giovanni Turco di Paterno; che ritrovandosi in Napoli col beato Francesco, e l’Imbasciador di Francia; vi era un fervo, che aueua un deto della mano così contratto, che non lo poteua in modo ueruno distendere; per questo l’Imbasciadore pregò il seruo di Dio Francesco per la sanità di quello; à cui il santo disse; che avesse avuto bona fede nel Signore, che averìa conseguita la gratia.
Et andando quel fervo ad udir messa nella Chiesa, incominciò à sudare; et estendendo la mano per asciugarsi il sudore del fronte, distese anco quel dito infermo; e sano ne divenne, come se non mai tal male vi hauesse patito. Così questo miracoloso Padre, in ogni tempo, di loco manifestaua l’alta uirtù, che dalla Diuina gratia gli ueniva, con merauiglia universale concessa».
Insomma, gli ingrediendi del santone che diventa medico lungo la strada, per affrontare l’impegno più gravoso di salvare il re di Francia, c’erano tutti. Si ha però l’impressione, più che altro, che si volesse temporeggiare, più che arrivare con molta fretta al cospetto del moribondo cristianissimo sovrano.
101. Passero, cit.
102. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r – 225 v.
103. A. Mazzarella da Cerreto, in: Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, Volume 3, Nicola Gervasi, 1846.
104. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, cit., pag.223- 225.
105. Ibidem.
106. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977. Cfr. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Versi in oggetto 225-240.
107. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r – 225 v.
108. Giovanni di Fiore, Della Calabria illustrata, vol.3, cit. Asav. Cfr. A.Bascetta, Quattrocento Napoletano, ABE, Napoli 2011.
109. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.152.
110. Antonello Coniger, cit.
111. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.
112. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.
113. Ivi.
114. Antonello Coniger, cit.
115. Angelo Tafuri, Opere, cit.
116. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.153 e segg.
117. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Cfr. A.Bascetta, Quattrocento Napoletano, ABE, Napoli 2011.
118. Tafuri, cit.
119. Croce, cit.
120. Sabadino degli Arienti, cit.
121. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni, cit.
122. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg.
123. Ivi. Sulla lapide v. De Stefano, cit., pag.249. Così l’originale: Alfonsus Ferd. Regis. fil. Aragonius Dux Calabr. Genio domum hanc cum fonte, & balneo dicauit Hippodromum constituit; gestationes hortis adiecit; quas Myrtis Citriorumq. nemoribus exornatas, Saluti sospitæ, ac Voluptati perpet. consecr.
124. Ivi.
125. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg. Cfr. Scandone, cit.
126. Ivi.
127. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: cit.
128. AA.VV., Apice nella Congiura dei Baroni, ABE, Avellino 2011. Cfr. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore. Cfr. Cariteo, versi 50-70, in Erasmo Percopo, Le rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo, Tip. Accademia delle Scienze, Napoli 1892. Cfr. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit. Cfr. Porzio, cit. Cfr A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra Regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso Re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la Duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del Re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo…”. Cfr. Raffaele Castagna, Isola d’Ischia – tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando Duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo Duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000). Cfr. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
129. Porzio, cit
130. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Coniger, cit. cfr. Camillo Porzio, cit. Cfr. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg. Cfr. Passero, cit., pag.47.
131. A. Bascetta-A.Maietta, Isabella de Baucio. Isabella del Balzo Regina di Napoli, ABE , Avellino 2012.
132. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto.
133. Camillo Porzio, cit.

 

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