I Piatti e le vie del vino. 1665-1709 Mercanti del Greco di Tufo, Consoli di Venezia a Napoli

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CON UNO STUDIO INEDITO DEL PROF.PAOLUCCI SULLA TAVERNA DI MUGNANO DEL CARDINALE (PROCACCIO) DELL’AGP DI NAPOLI

L’edificio della Taverna del Cardinale, o Taverna Grande, o ancora lo Procaccio della Posta, come lo si ritrova documentato nel corso dei secoli, si può annoverare tra le testimonianze monumentali più antiche ed importanti di Mugnano del Cardinale.
La prima menzione, che attesta la sua presenza già agli inizi del XIV secolo, la si ritrova nel Libro Patrimoniale dell’Archivio della Real Casa Santa dell’Annunziata dell’anno 1609. In esso viene meticolosamente ricostruito il trasferimento di proprietà con un atto di permuta, avvenuto il 15 gennaio 1313, delle Terre seu Casali di Mugnano et Quatrelle, al Monastero di Montevergine dall’originario feudatario Riccardo Sillato di Salerno in cambio del feudo di San Marciano. Nel 1515, durante il pontificato di Leone X (1513-1521), il cardinale Luigi d’Aragona (Napoli, 6 ottobre 1474 – Roma, 21 gennaio 1518) assegnò questo bene immobile alla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli e tale titolo di proprietà fu definitivamente riconfermato nel 1567 con Assenso Apostolico di Papa Pio V (1566-1572). Si trova infatti scritto: La Taberna dela detta Terra di Mugnano, Sita proprie al Cardinale, la quale si ben’ va’ unita con detta Terra de’ Mugnano, quale si possede per questa Santa Casa del’Annunciata Santissima per il modo come di sopra, non di meno nella transattione fatta tra la casa predetta, et il detto Monasterio de Santa Maria de’ Monte Vergine, a XX di Novembre del’Anno del’ 1567 per mano di Notare Alfonso Fontana di questa Città di Napoli tra l’altre cose transatte.
Nel registro contabile intitolato Dela fabrica dela Taverna di Mugnano † A.G.P. di una manciata di anni dopo, si leggono i nominativi delle tante persone del luogo che vi lavoravano come carrettieri, manovali, garzoni, o semplici operai agricoli occasionali tra il 1572 e il 1574: Giuseppe de Serio, Bartolomeo Bianco, Paulo de Jennaro, Rusco de Jennaro, Marco Angelo de Apolito, Adecio Stincone, Logrezia Sinisnella, mastro Laurentio Lommardo, Francesco Sinisnello, Geronimo Palmerij, Mercuria de Jennaro, Giovanni Carolo de Jennaro, Diana Pomadoro, Pordentia de Serio, Colangelo Stincone, Francesco de Serio, Ottavio Stincone, Giuseppe Cavalerj, Cristofano Esposito, Stefano de Pecchio, Cristofano de Vasta, mastro Berardino de Anello, Colangelo de Apolito e Cola Antonio de Apolito sono i nomi che ricorrono più spesso, riportando alla mente molti cognomi ancora presenti a Mugnano e aree limitrofe come Serio, Bianco, De Gennaro, D’Apolito, Stingone, Esposito, Pecchia e Vasta.
Un Inventario delle Robbe esistentino nella Taverna Grande del Cardinale, redatto il 21 ottobre 1638, riporta fedelmente tutto ciò che era contenuto nell’edificio. Tra gli oggetti registrati si segnalano i seguenti: Matarazzi pieni di lana n° quaranta, Coperte di lana n° vintecinque per li letti usate, Tavolette per mangiare n° sette Lenzole usate n° vinteotto, Spedi n° cinque cioè uno a manganiello et l’altri ordinarij, Trepetielli con graticole di ferro n° quattro, Tielle con maniche di ferro n° due, Concole di rame n° due, Caldare di rame n° due cioe una grande et un’altra piccola, Catenacci di ferro n° tre cioe uno alla porta dell’inchiodituro et l’altro alla porta del Intrato di detta Taverna, et l’altro alla porta dalla parte di Mugnano, Mascature di ferro n° vintecinque cioè alla taverna chianca et botega, Chiave n° decessette, Seggie di coiro n° dudece, etc.

Description

CON EPISODI INCREDIBILI, COSCOSCIUTI E SCONOSCIUTI, RECUPERATI E TRASCRITTI DAGLI AUTORI DELLA ABE

Erano i tempi in cui Giambattista Manso (1560-1665) Marchese di Chianche e di Bisaccia diveniva amico di Torquato Tasso (1544-1595), al quale fu dedicato uno dei Dialoghi, precisamente l’ultimo, intitolato appunto Il Manso o vero De L’Amicizia, nel 1592, quaranta anni prima che i Principi Caracciolo scoprissero il celebre scrittore napoletano Gianbattista Basile, autore de Lo Cunto de li Cunti (libro improntato sugli usi e costumi irpini), nominandolo Governatore di Avellino.22
I nuovi capostipiti dei Caracciolo-Rossi, divenuti titolari del feudo di Avellino, vi si insediarono il 6 maggio 1581, dando vita, a partire dal 25 aprile 1589, alla dinastia dei Principi di Avellino. Nei pressi del Palazzo baronale, da cui erano scomparsi merli e torrette, ponte levatoio, bastioni, corpo di guardia e macchine da guerra, spuntarono verande e belvedere nel Largo dei SS.Pietro e Paolo.27
Alla morte di Marino Caracciolo, lo stato del Principato di Avellino, fu ereditato dal figlio Don Camillo, signore liberale al quale si deve, fra il 1610 e il 1616, il riammodernamento del Palazzo, con un Parco di piante d’alto fusto, con voliere, peschiere e fontane, divenuto riserva naturale con pavoni, cigni, fagiani e cinghiali.28
I feudi irpini dei vari esponenti della famiglia Caracciolo erano diversi e sparsi su un territorio vastissimo, da Casalbore a Torrioni, indi ad Arcella, fatta eccezione per Pianodardine, posseduta dal Marchese Amoretta di Capriglia o della Taverna di Torrette appartenuta ai Carafa di S.Angelo a Scala, a dimostrazione che, nel tempo, gli stati feudali erano andati via via sfaldandosi, a causa di permute, compere e controversie.29
Perfino il piccolo territorio di Torrioni si presentava frazionato quando, scrive Donnarumma, solo una parte del feudo, quella confiscata dagli Angioini alla famiglia Del Turco, cioé la Torrioni del signor Camillo descritta nei documenti, restò nelle mani di Don Camillo Caracciolo di Avellino…..
Fu allora che alcuni partirono da Bergamo, ma già erano principi da qualche parte. Poi si stabilirono a Venezia e cominciarono
a commercializzare di tutto. Il loro obiettivo fu da subito Napoli e non se ne conoscevano i motivi. Certo è
che divennero l’orgoglio dei Dogi di Venezia che li fecero Conti e assegnarono loro importanti incarichi
diplomatici per lanciarli nella Napoli dei Viceré spagnoli al fine di incrementare i traffici con la Serenissima.
Sono i Piatti: famiglia dalle molteplici avventure e dalle incommensurabili iniziative. E la loro presenza
nella vicemetropoli degli Spagnoli sarà subito ripagata dalle fatiche politiche e commerciali con l’acquisto
dei feudi noti per la produzione del vino, a cominciare dal Greco di Tufo, lungo la Valle del fiume Sabato…

capitolo i
Arturo Bascetta

L’ultima rivolta di matteo cristiano
i ceti sociali si spartiscono il regno

— Il rischio di guerra civile che veniva dalla Lucania
— I ceti sociali e la povertà dei dottori in legge
— Matteo Cristiano, «Masaniello lucano», decapitato
— La lapide di Chianche sul Cardinale Filomarino
Note

capitolo ii
Sabato Cuttrera

i piatti di bergamo inviati dal doge
ricchi mercanti a consoli di venezia

— Da notai della Bergamasca a mercanti veneziani
— Dai Piatti di Fusine, Alessandro console a Napoli
— Giurisdizione di Tufo del Tavolario Antonio Piatti
— Il Doge: Franco Piatti sarà Console di Napoli e Conte
— L’ex Mercante compra i feudi del vino di Torrioni e Tufo
Note

capitolo iii
Annamaria Barbato

primi sposalizi popolari registrati dai notai
negli atti tutta la storia della provincia

— L’abito tipico della Valle Beneventana
— La gonnella imperiale di saia scarlatta
Note

capitolo iv
Fabio Paolucci

LA FINE DELLE COMMENDE DELL’ANNUNZIATA
IL PALAZZO DEL CARDINALE D’ARAGONA

— Nell’ex Casale di Mugnano dell’A.G.P. di Napoli
— L’edificio diventa Taverna del Procaccio
Note

capitolo v
Sabato Cuttrera

i vicere’ spagnoli arrestano il rinascimento
l’annunziata padrona delle abbazie

— Il tardo-Rinascimento nelle chiese verginiane
— L’Assunta, un Ospedale per le orfanelle
— I prosciutti della Valle ai Cappuccini pro Civitatis
— La Chiesa di S.Pietro: 70 preti, 8 cappelle e 1 congrega
— L’Ospedale dell’A.G.P. di Napoli padrone di Mercogliano
— Vita da paese religioso diversa da quella delle città
Note

capitolo vi
Arturo Bascetta

padroni dell’ex feudo del cubante di s.sofia
i tocco dall’acaia a montemiletto

— Apice scippata alla Baronia dei Principi di Venosa
— Tinchiano a Pisanello del Cubante, poi a Galluccio
— Terra d’Apice col titolo regio di Marchionato
— Il Principe Antonio Tocco padrone del Calore
— Suppliche alla Provincia per evitare tasse ingiuste
— Le mani dei Tocco da Tinchiani fino a Montemiletto
Note

capitolo vii
Arturo Bascetta

apice e ascoli satriano distaccati da ariano
la valle del calore sprofonda nell’oblìo

— Terre a 29 anni: enfiteusi nell’Inventario di Pappone
— I beni delle Chiese di S.Nicolò e S.Bartolomeo
— Montereale o Monteregale dipedenza di Apice
— Parrocchiale col beneficio di S.Marco del Castello
— Il Covante ai frati di S.Francesco per 29 anni
— Muscettola, senza eredi, opta per il maiorascato
— Il testamento di Orazio Principe
— S.Lorenzo unita all’Annunziata di Pietradefusi
— Medinaceli, il Vicerè che piaceva agli illuministi
— Poeti napoletani si spostano nelle corti provinciali
Note

APPENDICE
racconti seicenteschi

i.
landolfo rufolo di ravello e le pietre preziose in grecia
ii.
dottori, medici, capitani e mercanti
iii.
i turchi cacciati da ischia e cetara con uno stratagemma

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Editorial Review

L’abito tipico della Valle Beneventana: la gonnella imperiale di saia scarlatta

 

 

Risalire ai vestiti femminili per antonomasia che le donne della Valle Beneventana si tramandavano di madre in figlia attraverso la dote non è impresa facile. Possiamo però dire, alla luce delle ricerche effettuate presso gli Archivi di Stato di Napoli e di Avellino, di aver reperito, fra i volumi notarili conservati, sebbene spesso illeggibili, la raccolta di alcuni atti che si sono rivelati utili per il paragone fra i paesi della Montagna di Montefusco e del Partenio, prendendo a campione la centralità di Torrioni e di Pietrastornina, sedi di primari notai del Principato Ultra.1
Ricerca che potrebbe risultare non vana in un confronto fra i paesi di sopra e di sotto le due Montagne che dividono Avellino da Benevento e che frenano un’idea iniziale di similitudini storiche che non accompagnano le due valli. Stando a questi pochi, ma preziosi fogli, è stato quindi possibile capire come fossero fatti gli abiti, quelli che oggi chiameremmo costumi tradizionali, che le donne da marito, quelle definite vergini in capillis dopo i dodici anni, poi chiamate “zite” se i tempi si allungavano, portavano in dote nel giorno del matrimonio.
C’è da dire, aprendo una parentesi, che è stato possibile decifrare qualche pagina anche alla fine del 1400, ma è evidente che i vestiti sono di gran lunga precedenti, in quanto si ripetono ugualmente da donna in donna, da madre in figlia, sebbene solo gli ornamenti siano di diversa fattura in base al ceto sociale. Seguiamo, a titolo di esempio, qualche passo dei Capitoli Matrimoniali del notaio di Apice, paese di confine, dove la provincia di Principato Ultra e lo stesso Regno lasciavano il confine allo Stato della Chiesa di Benevento....