Description
Come si presentava la città di Benevento nei secoli XVIII-XIX agli occhi dei viaggiatori inglesi venuti a visitarla, lo lasciamo raccontare a tre di loro: Kettel Craven (1779-1851), che vi era giunto alla fine del secondo decennio del l’Ottocento, Henry Swinburne (1743-1803) nel 1785, scrittore e vedutista, che ha lasciato una quantità di diari e disegni dei suoi viaggi in Italia, e, ancor prima, il vescovo anglicano di origine irlandese George Berkeley (1685-1753), che, nella sua seconda visita in Italia, 1716 -1720, vi si trattenne per qualche giorno.1
Questo volume, il terzo della collana, come i prossimi altri due, sono dedicati ai viaggiatori nelle Terre Beneventane.
Abbiamo pensato di far precede i brani dei tre viaggiatori inglesi a Benevento, da pagine della guida dell’Italia del Sud di John Murray2 (1808–1892) discendente di antica famiglia di editori. Il Murray iniziò la pubblicazione di Handbooks (letteralmente “manuale di istruzioni”) dell’Italia meridionale nel 1836. Questa sua attività editoriale riguardava diversi paesi europei. Dai suoi Handbook per viaggiatori nei paesi europei, sono poi derivate le moderne guide turistiche, che nel 1915 assunsero la forma grafica delle Guide Blu, come sono chiamate.
Dal 1836 le Guide dell’Italia del Sud sono state aggiornate dal Murray, per questo abbiamo preso come riferimento sia quelle pubblicate prima dell’Unità d’Italia sia quella edita appena qualche anno dopo di essa. In sostanza l’impianto degli handbooks del 1865 rimane quello delle precedenti edizioni, ma i pochi aggiornamenti, che possono passare anche inosservati, ci fanno capire meglio quello che stava cambiando nell’ Italia unita.
Sebbene decentrata rispetto a Napoli, la città di Benevento rientrava nel programma di visite più di tutte le altre città del Regno, per la sua storia in età romana e longobarda. Chi in Europa non conosceva le Forche Caudine e la lotta accanita dei Sanniti contro i Romani, e la Langobardia meridionale fondata da un popolo venuto dal Nord dell’Europa! Per questo valeva la pena una visita, anche se poteva costare il fastidio di un viaggio su non comode strade. E poi Benevento rappresentava un caso non comune di un’enclave territoriale dello Stato della Chiesa nel Regno di Napoli. Insomma c’erano una serie di validi motivi per suscitare l’interesse del visitatore forestiero, e inglese in particolare
Impressioni, resoconti di viaggio che ci fanno “vedere” come gli stranieri percepivano le realtà, sociali e culturali, delle province interne del Regno di Napoli e ritrovare nelle loro annotazioni le cose buone da essi riscontrate. Perché, forse, troppo a lungo abbiamo trascurato, se non sottovalutato, quanto di positivo la nostra tradizione culturale ci ha tramandato. Uno sguardo attento sul nostro passato certamente ci induce a considerazioni, se non ottimistiche, sulla condizione odierna del Meridione, quanto meno a non abbandonarci a lamentazioni retoriche sulle passate arretratezze rispetto alle nazioni allora più avanzate nel campo economico e sociale. Cosa che diventa indispensabile in questa nostra epoca, che riscopre le culture locali come antidoto alla globalizzazione, che non conosce confini e condiziona la vita di tutti i giorni.
L’autore francese, M.Valery,9 descrive così il viaggiatore tipo che veniva dall’Inghilterra, e anche gli inconvenienti a cui andava incontro.
“Appena siete in Italia, con il vostro aspetto di forestiere (straniero), troverete un atteggiamento presso gli abitanti molto diversificato: nelle classi alte, molta cortesia, ospitalità e giovialità; nel popolo, al contrario, lo straniero, malgrado le formule cerimoniose, non è che una preda, una sorta di bottino su cui buttarsi per trarre la propria parte secondo i mezzi: il ragazzino, mezzo nudo, corre appresso alla vettura gridando carità, ma quando sarà diventato uomo, potrebbe prendere la sua carabina e mendicare in maniera più nobile; il perfidus caupo non è meno furbacchione dei tempi di Orazio. Infine, vetturini, staffieri, postiglioni, camerieri, padroni di barche, sembrano tutti voler far restituire in dettaglio all’Italia i tributi che le invasioni straniera molto spesso le hanno fatto pagare, e non c’è nessuno che non agisca da cittadino in questo senso. Qualche autorità non disdegna affatto di entrare in questa sorte di lega; gli eterni e costosi visti di passaporto non sono che un’imposta indiretta sulla curiosità dei viaggiatori; in qualche città di secondo ordine, quali Ferrara, Reggio, Piacenza, i biglietti dello spettacolo, da qualche anno, per gli stranieri costano il doppio per decisione del municipio.
Indipendentemente dal pagamento dei servizi, i camerieri di casa dove siete ospitati, il custode, il doganiere, il gendarme, tutti tendono la mano; quello che costa caro non è quello che comprate, ma quello che bisogna sempre dare come mancia; non c’è perfino poeta di locanda, autore di un sonetto per il vostro felice arrivo, in cui non ha mancato di far rallegrare per la millesima volta il Tevere e l’Arno, che non chieda la moneta. Bisogna che il forestiere si rassegni, che finisca di non sovrastimare; i suoi godimenti di viaggiatore ci perderebbero; la lotta non può essere uguale, tanto questa gente hanno il fiuto e l’esperienza del guadagno.
L’inglese fuori del suo ambiente perde una parte delle sue qualità; la sua dignità diventa boria, il suo ragionamento sa di scherno e di intolleranza; la necessità di mettere da parte il proprio io, se così si può dire, è il primo dovere del viaggiatore, cosa per niente sentita da lui; egli porta la sua noia, la sua esigenza e la sua mania tra gente, le cui usanze e abitudini sono le più opposte; e la soverchia inglese [arroganza inglese] in particolare sconcerta la faciloneria italiana. È vero che questi numerosi viaggiatori (inglesi), attratti in Italia dal gusto per le arti e dal desiderio di istruirsi, sono molto diversi da quelli di altri paesi: il turista invece va per il gusto di andare; fa ciò che fa il suo vicino; è un imitatore che non si entusiasma, che non è portato da alcuna esigenza di conoscenza o di sentimento: l’istinto viaggiante è in lui solo curiosità, una voglia di aver visto dei paesi, un altro tipo di fantasia e di vanità. Egli rileva esattamente ciò che vede nel suo cammino, ma non ne trae ispirazione; le bellezze della natura, le meraviglie dell’arte, sono per lui solo un arido lessico; la sua conversazione è sterile, priva di immaginazione, e nei nostri vari incontri o percorrenze in compagnia, sono stato colpito più di una volta dalla volgarità dei fatti e delle osservazioni che sull’inseparabile diario annotava. Questo tipo di viaggiatori offre inoltre di cogliere sfumature molto diverse: (quelli che si fermano) nel nord Italia, sono molto vari, e si compongono anche di mercanti, artigiani, molto stimabili senza dubbio, ma che non rispondono affatto all’idea che, secondo la loro mentalità, si dovrebbe avere di un vero gentlemen; buona parte, in genere, di questi viaggiatori inglesi non va oltre Firenze; i viaggiatori di Roma, e specialmente di Napoli, sono infinitamente più distinti, e tra loro ci sono uomini di valore vero e superiore.
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