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IL GRAND TOUR DELLA LUCANIA
Viaggiare è pratica antica quanto antico è il mondo. Ma il viaggio detto del Grand Tour è una caratteristica tutta moderna, dei secoli XVII-XVIII e prima parte del XIX: in particolare la visita degli inglesi in Italia. In quel tempo, infatti, «forestiero e inglese nella penisola sono quasi sinonimi, perché il numero dei viaggiatori inglesi supera di molto quelli di altre nazioni. La lingua inglese sulle grandi strade è come un motivo continuo». Così si esprimeva un autore francese nei primi decenni del secolo XIX (M.Valery, 1831) quando il Tour degli inglesi in Italia era una consolidata tradizione. Perché fare esperienza del Grand Tour era diventato per gli inglesi quasi una sorta di iniziazione culturale.3
Si è osservato che travel, viaggio, e travail, il travaglio del parto, hanno in inglese la stessa radice. Patimento e vita nuova, nella medesima esperienza. Questa commistione benefica e dannosa si pone anche nei due termini di hospes e hostis, l’ospite e il nemico» (U.Bernardi, 1997).4
Non va trascurata la differenza tra i termini “viaggio”, le cui origini risalgono ai pellegrini del ‘200 e ‘300, e “villeggiatura”, come impiego del tempo libero, che era praticata nelle ville degli antichi romani, o come gli sport campestri inglesi. Le villeggiature degli aristocratici europei ebbero la loro diffusione nel ‘500 e ‘600 (S.Gensini, a cura di, 2000).5
I giovani inglesi del Grand Tour viaggiavano con tutori i quali a loro volta si preoccupavano di allacciare contatti epistolari con le personalità, con amici e conoscenti delle città in cui si progettava di sostare più a lungo. Per gli artisti poi il Grand Tour era spesso un viaggio di lavoro, che doveva servire per produrre nuovi quadri o scrivere libri e diari.6
In Inghilterra il Grand Tour ha inizio alla fine del XVI secolo. Prima di allora, nel Medioevo, vi erano stati dei movimenti di massa di persone che dalla Gran Bretagna si recavano nell’Europa continentale, ma erano quasi esclusivamente dettati da motivi religiosi, su navi cariche di pellegrini dall’Inghilterra per la Spagna diretti al santuario di San Giacomo di Compostela. La Riforma pose fine a questi pellegrinaggi e bisognerà aspettare la fine delle guerre di religione in Francia (pace di Vervins, 2 maggio 1598, tra Francia e Spagna) perché per un inglese di religione protestante fosse di nuovo possibile viaggiare con una certa sicurezza attraverso l’Europa continentale in buona parte cattolica. Fu soltanto da allora che si riprese a viaggiare da parte di un grande numero di persone (M.Burgoyne, 2008).7
Bisogna considerare che gli elementi più importanti dell’educazione di un ragazzo inglese del tempo erano la lingua, la letteratura e la storia dell’antica Grecia e di Roma. Scopo del Grand Tour era consentire ai viaggiatori – che erano per lo più, ma non esclusivamente, uomini- di recarsi di persona in quei luoghi classici che avevano a lungo studiato. In pratica, ciò significava nella grande maggioranza dei casi una visita in Italia, essendo molto più difficoltoso intraprendere viaggi alla volta della Grecia. Il Grand Tour rappresentava il culmine della formazione arricchito dalla conoscenza dei luoghi dell’antichità classica. La civiltà era considerata un’eredità della Grecia e di Roma. Il giovane, che faceva ritorno in patria da un lungo e costoso viaggio in quei luoghi. doveva mostrare di averne assimilato le qualità socialmente desiderabili del conoscitore del mondo classico. Scrive nella sua prefazione H.Swinburne: «Non posso far pubblicare un Viaggio nelle Due Sicilie, senza presentare nello stesso tempo le ragioni che mi hanno spinto a farlo. Questo paese è stato così spesso descritto, che la novità non può essere una motivazione per questa nuova memoria. La nostra prima educazione ci ha fatto fare la conoscenza con questi climi, per così dire, classici. La storia e la poesia ci rendono la loro topografia familiare, e ogni persona istruita può indicare su una carta geografica dove sono le rovine della Magna Grecia e della Sicilia».8
Oltre all’arte e ai siti classici, vi erano molte altre cose da fare e da vedere, a cominciare dalle bellezze naturali e dai panorami. Fenomeni naturali imponenti, quali il Vesuvio e l’Etna, attraevano molti visitatori. Questi giovani discendenti di ricche e influenti famiglie inglesi dovevano anche vedere ed incontrare personaggi famosi. E la corte reale di Napoli era tra i principali centri europei della vita culturale e sociale dell’epoca. Vi era pure, per coloro che attraversavano la penisola in precarie condizioni di salute, la speranza che il cambio di clima, le acque termali e una diversa dieta potessero loro giovare.
Ultima, ma non trascurabile motivazione, c’era per tanti l’irresistibile tentazione di comportarsi più liberamente lontano da casa.
Non si devono sottovalutare le difficoltà e gli inconvenienti insiti in viaggi che coprivano distanze enormi per l’epoca. I viaggiatori del Grand Tour ci hanno lasciato libri pieni di lamentele sulle condizioni delle strade, sul cibo e sugli alloggi che incontravano lungo i loro percorsi. La moderna industria del turismo europeo –buone strade, ferrovie, aerei, hotels, ristoranti, carte di credito e quant’altro- erano di là da venire. L’Europa del XVIII secolo era un luogo potenzialmente pericoloso e molto scomodo in cui viaggiare. Il sistema viario era generalmente scadente dovunque; può sembrare strano, me le strade migliori erano in Francia e le peggiori in Germania.
Le locande, poi, dove i viaggiatori pernottavano non avevano niente a che vedere con i moderni hotel. I viaggiatori più importanti portavano i propri artisti al seguito per ritrarre i luoghi visitati, i cui dipinti e disegni sono poi diventati magnifici e costosi oggetti da collezione, oltre che un medico personale e talvolta un suonatore di strumenti musicali a corda e tastiera. A metà del XVIII secolo, il Grand Tour raggiunge il suo apice. E Napoli, oltre le altre famose città italiane, era una meta preferite dagli inglesi: non solo figli di aristocratici e giovani di ricche famiglie, ma anche esponenti della borghesia, personalità della letteratura e persone di mezza età accompagnate da mogli e famiglie.
In questi casi, lo scopo principale del viaggio era il divertimento, piuttosto che l’istruzione. La fine del XVIII secolo vide anche la fine di questa moda culturale. L’instabilità causata dalla Rivoluzione Francese rese difficile viaggiare in Francia e le successive guerre napoleoniche causarono disordine su una scala ancora maggiore.
Quando l’Europa si stabilizzò e fu di nuovo sicuro intraprendere viaggi, il mondo era cambiato; erano cambiati anche comportamenti e gusti. Con l’affermarsi del movimento romantico e l’inizio dell’epoca vittoriana, il gotico italiano soppiantò il rinascimento e il classicismo come modello di studio. Il Grand Tour, inteso come esperienza formativa di due o più anni dei giovani inglesi, era giunto al tramonto, lasciandoci, però, una copiosa produzione letteraria che ci offre eccellenti descrizioni di come si viveva e si viaggiava oltre due secoli fa.
Le province interne del Regno di Napoli, come la Basilicata, erano di rado toccate dai viaggiatori stranieri. E gl’inglesi che vennnero a visitare la zona del Vulture lo fecero perché volevano vedere la città di Orazio, Venosa, e quella degli antichi Normanni, Melfi. In genere buona parte dei viaggiatori inglesi superava appena Firenze; quelli, però, che giungevano a Napoli e nelle province del Regno avevano forti motivazioni culturali, pregi e qualità di persone distinte.
Arturo Bascetta –
MA CHI SONO QUESTI FORESTIERI INGLESI?
L’autore francese, M.Valery,9 descrive così il viaggiatore tipo che veniva dall’Inghilterra, e anche gli inconvenienti a cui andava incontro.
«Appena siete in Italia, con il vostro aspetto di forestiere (straniero), troverete un atteggiamento presso gli abitanti molto diversificato: nelle classi alte, molta cortesia, ospitalità e giovialità; nel popolo, al contrario, lo straniero, malgrado le formule cerimoniose, non è che una preda, una sorta di bottino su cui buttarsi per trarre la propria parte secondo i mezzi: il ragazzino, mezzo nudo, corre appresso alla vettura gridando carità, ma quando sarà diventato uomo, potrebbe prendere la sua carabina e mendicare in maniera più nobile; il perfidus caupo non è meno furbacchione dei tempi di Orazio. Infine, vetturini, staffieri, postiglioni, camerieri, padroni di barche, sembrano tutti voler far restituire in dettaglio all’Italia i tributi che le invasioni straniera molto spesso le hanno fatto pagare, e non c’è nessuno che non agisca da cittadino in questo senso. Qualche autorità non disdegna affatto di entrare in questa sorte di lega; gli eterni e costosi visti di passaporto non sono che un’imposta indiretta sulla curiosità dei viaggiatori; in qualche città di secondo ordine, quali Ferrara, Reggio, Piacenza, i biglietti dello spettacolo, da qualche anno, per gli stranieri costano il doppio per decisione del municipio. Indipendentemente dal pagamento dei servizi, i camerieri di casa dove siete ospitati, il custode, il doganiere, il gendarme, tutti tendono la mano; quello che costa caro non è quello che comprate, ma quello che bisogna sempre dare come mancia; non c’è perfino poeta di locanda, autore di un sonetto per il vostro felice arrivo, in cui non ha mancato di far rallegrare per la millesima volta il Tevere e l’Arno, che non chieda la moneta. Bisogna che il forestiere si rassegni, che finisca di non sovrastimare; i suoi godimenti di viaggiatore ci perderebbero; la lotta non può essere uguale, tanto questa gente hanno il fiuto e l’esperienza del guadagno».
L’inglese fuori del suo ambiente perde una parte delle sue qualità; la sua dignità diventa boria, il suo ragionamento sa di scherno e di intolleranza; la necessità di mettere da parte il proprio io, se così si può dire, è il primo dovere del viaggiatore, cosa per niente sentita da lui; egli porta la sua noia, la sua esigenza e la sua mania tra gente, le cui usanze e abitudini sono le più opposte; e la soverchia inglese [arroganza inglese] in particolare sconcerta la faciloneria italiana. È vero che questi numerosi viaggiatori (inglesi), attratti in Italia dal gusto per le arti e dal desiderio di istruirsi, sono molto diversi da quelli di altri paesi: il turista invece va per il gusto di andare; fa ciò che fa il suo vicino; è un imitatore che non si entusiasma, che non è portato da alcuna esigenza di conoscenza o di sentimento: l’istinto viaggiante è in lui solo curiosità, una voglia di aver visto dei paesi, un altro tipo di fantasia e di vanità.
Egli rileva esattamente ciò che vede nel suo cammino, ma non ne trae ispirazione; le bellezze della natura, le meraviglie dell’arte, sono per lui solo un arido lessico; la sua conversazione è sterile, priva di immaginazione, e nei nostri vari incontri o percorrrenze in compagnia, sono stato colpito più di una volta dalla volgarità dei fatti e delle osservazioni che sull’inseparabile diario annotava.
Questo tipo di viaggiatori offre inoltre di cogliere sfumature molto diverse: (quelli che si fermano) nel nord Italia, sono molto vari, e si compongono anche di mercanti, artigiani, molto stimabili senza dubbio, ma che non rispondono affatto all’idea che, secondo la loro mentalità, si dovrebbe avere di un vero gentlemen; buona parte, in genere, di questi viaggiatori inglesi non va oltre Firenze; i viaggiatori di Roma, e specialmente di Napoli, sono infinitamente più distinti, e tra loro ci sono uomini di valore vero e superiore.