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IL MEDICO BUONO
Solo il suo innato garbo e l’antica amicizia hanno
potuto far ritenere all’autrice di questo volume che
io e non altri – certamente più capaci e preparati di
me sull’argomento – fossi la persona giusta a
introdurre il suo gradevolissimo ricordo di Giovanni
de Paula, una figura dalla forte personalità, la
profonda spiritualità e un singolare carisma. Una
richiesta che mi ha costretto a recuperare le poche
ma nitide immagini che ancora conservo di quella
persona straordinaria che fu il medico morrese e a
queste trovare un legame significativo con il lavoro
di Mariarosaria del Guercio.
Dico subito che, pur avendo conosciuto
personalmente il dottore de Paula, non ho mai avuto
l’opportunità e il privilegio di frequentarlo e quindi
di approfondire la conoscenza dell’uomo che sapevo
essere un personaggio emblematico. Aggiungo,
anzi, che la sua bonomia, la sua mitezza mi
mettevano in qualche modo in forte soggezione,
forse perché avvertivo che i suoi occhi mi scavavano
dentro in cerca di chissà che. Per cui le rare occasioni
di incontro, sempre in compagnia di amici, le
sfuggivo inconsapevolmente.
Tra le persone che invece lo conoscevano bene e
che lo incontravano assiduamente (mi meraviglia
che l’autrice non abbia recuperato testimonianze di
questa solida amicizia) c’era don Bruno Mariani che
con il dottore aveva occasioni e ragioni di
frequentazione che traspaiono nitidamente dalle
pagine della prof.ssa del Guercio. E proprio a don
Bruno, parroco a Sant’Angelo dei Lombardi, la mia
cittadina, sono associati i pochi ma ben chiari ricordi
che ho io di don Giovanni de Paula.
Oltre che dalle medesime origini morresi,
entrambi erano accomunati da una forte spiritualità
e da un analogo e ben marcato senso della
condivisione e della partecipazione alla vita e alla
sofferenza degli altri. L’idea di Chiesa come
comunione di persone è un concetto che è sempre
stato molto presente nelle parole e nelle azioni di
don Bruno e del dottore de Paula.
Pur conoscendo molto meglio il sacerdote, posso
dire che null’altro divideva i due “appassionati”
morresi se non la veste sacerdotale che don Bruno
indossava con l’orgogliosa umiltà del figlio di un
falegname, strumento e forza di un impegno
pastorale speso tutto nella logica giovannea del
Concilio Vaticano II. Del resto, rispettivamente,
della dignità sacerdotale e del ruolo di medico
nessuno dei due ne fece mai un vantaggio personale
o per i propri familiari, perché il principio che li
sorreggeva era quello del servizio; un servizio che
andava reso con generosità e coraggio specie nei
confronti dei più poveri.
Frequentando Morra De Sanctis, da solo o con
gli amici de “il Dialogo”, in più di un’occasione mi è
capitato di dover attendere don Bruno (che non
guidava) per riportarlo a Sant’Angelo. Ebbene non
poche volte i previsti “aspettami cinque minuti”
diventavano ore se per caso il mio parroco
incontrava il dottore de Paula.
Siamo nei primi, entusiasmanti anni settanta del
Novecento e per l’impaziente giovane di quel tempo
frenetico l’attesa rappresentava una maledizione!
Voleva dire rinunciare a tanto di ciò che era
sommamente in cima ai pensieri di un ventenne:
gli amici, le ragazze, il passeggio in piazza, la radio
libera, ecc.
Ciononostante avvertivo, pur senza coglierne a
pieno il senso e le parole, che i due “chiacchieroni”
non stavano facendo scialba accademia sui massimi
sistemi ma che i loro discorsi puntavano alla visione
dell’uomo mediata dalla misericordia del Signore.
Un altro mio ricordo del dottore de Paula – che
ritrovo anche nelle diverse testimonianze
collazionate dall’autrice – fa riferimento alla ben
nota finestra dello studio del dottore che io stesso
ho visto molto spesso aperta. Era la finestra aperta
sul mondo del bisogno, che si spalancava per
ascoltare chi avesse urgenza di ricorrere al medico,
all’uomo o semplicemente all’amico!
Tutti ne riferiscono nei loro ricordi,
rappresentandola come una sorta di front-office
sulle aspettative della gente che, per necessità non
solo terapeutiche ma anche umane o solo per il
piacere di salutarlo, aveva trovato il modo di
stabilire un immediato e concreto contatto con don
Giovanni. Una finestra, ci riferisce del Guercio,
attraverso la quale uscivano medicinali, beni di
prima necessità, talvolta denaro. Altre volte, invece,
soltanto poche ma significative parole di conforto
che spesso – e il dottore e don Bruno lo sapevano
bene – per chi bussava alle loro porte valeva più di
una banconota.
Il dottore de Paula, lo si capisce bene dall’agevole
racconto della del Guercio, era sicuro delle scelte
che operava perché le aveva maturate alla scuola di
san Giuseppe Moscati, nella profonda riflessione
della parola di Dio. Cosicché, l’agognata iniziativa
di accendere i riflettori su don Giovanni, perseguita
tenacemente da Mariarosaria, amica di famiglia di
vecchia data del dottore de Paula, è stata non solo
un’eccellente idea ma anche e soprattutto il
meritorio tributo di riconoscenza a un personaggio
che ha segnato sia la storia della comunità morrese
sia quella personale dell’autrice, che ovunque sia
stata, a Sant’Angelo dei Lombardi o a Napoli, a
Trieste o a Portici (dove risiede attualmente), si è
sempre fatta accompagnare dal pensiero ricorrente
di dover affidare a un libro il suo personale omaggio
alla memoria del dottore de Paula.
Ne è scaturito, così, un lavoro che mi conferma
nel convincimento che le persone care e
determinanti della nostra vita sono sempre presenti
alla nostra coscienza, per cui parlare di loro è
certamente un piacere ma alle volte anche
un’esigenza dello spirito.
Un riconoscimento che parte dall’animo sensibile
di una donna, la prof.ssa del Guercio, la cui
profondità di pensiero mi è ben nota. Con parole
che le escono direttamente dal cuore, è riuscita a
tracciare con una penna leggera, e con tinte di
emotiva suggestione, il profilo umano e spirituale
del dottore de Paula, del quale ne ha abilmente
sottolineato la forte personalità e il suo mistico
carisma.
Del resto nel racconto l’autrice si è avvalsa della
lunga storia amicale della sua famiglia con quella
del medico morrese; una frequentazione che traeva
origine dalla presenza a Morra di un autorevole e
illustre esponente dell’antica e nobile famiglia
santangiolese, don Giovanni del Guercio, un teologo
colto e rigoroso che fu inviato dalla curia diocesana
nel paese del De Sanctis per riportarvi la calma dopo
la frenesia generata dalla contrastata guida
parrocchiale dell’arciprete Michele Gallucci, il
sacerdote originario di Calitri che nel 1943 fu
ritenuto (ingiustamente, secondo la più aggiornata
bibliografia) corresponsabile della memorabile
sommossa popolare che degenerò nell’incendio del
municipio, procurando finanche un morto e decine
di arresti.
Ma non solo ragioni affettive hanno spinto
Mariarosaria del Guercio a mettere mano a questo
libro. Poiché l’autrice intravede nella figura del
dottore de Paula il profilo di un Santo, lei nutre un
sogno, ambizioso forse, ma sicuramente supportato
da non irrilevanti argomentazioni: invitare quanti
hanno titolo a farlo a prendere in considerazione
l’ipotesi di aprire un procedimento per verificare
se eventualmente ricorrono le condizioni canoniche
per far dichiarare servo di Dio don Giovanni, il
“fratello di ogni uomo”, il degno discepolo del
medico santo Giuseppe Moscati,.
Per concludere le mie brevissime note
introduttive a questo lavoro, mi piace citare le ben
note parole di Marcel Proust nella sua “Recerche”:
Quando di un antico passato non sussiste niente,
dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle
cose, soli, più fragili ma più intensi, più
immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il
sapore restano ancora a lungo, come anime, a
ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di
tutto il resto, a reggere, senza piegarsi, sulla loro
gocciolina quasi impalpabile, l’immenso edificio
del ricordo.
Ecco, in attesa che altri proseguano con maggiore
concretezza dei gesti l’opera intrapresa da
Mariarosaria del Guercio, mi piace credere che
questo libro sia il primo mattone destinato ad alzare
con solide mura l’edificio del ricordo di don
Giovanni de Paula e che l’odore e il sapore della
sua memoria possano aiutare le nostre comunità a
ritrovare il sentimento alto della condivisione della
gioia e del bisogno.
Se lo merita l’uomo, il medico, l’amico ti tutti. E
con lui il suo paese e la sua amata famiglia.
Michele Vespasiano
Giornalista
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