Flautista e gentiluomo. Francesco Urciuolo, le radici irpine, i suoi teatri, la sua scuola

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Il Flauto d’oro: Urciuolo concertista e camerista

Gli amici flautisti: Orazio Fucci, Ampelio Iovino, Ciccio Urciuolo, Enrico Pastore

L’attività cameristica del maestro Urciuolo impone il “sacrificio” di molte tappe di un impegno che lo vide entusiasticamente presente in significativi ed esaltanti momenti concertistici, dagli anni del Conservatorio alle sue esperienze a Napoli, Cagliari, Foggia, Avellino per non parlare delle numerosissime presenze all’estero.
Sarebbe infatti, impossibile far riferimento alle centinaia di esperienze cameristiche che lo videro ricercato solista.
Erano, del resto, anni in cui l’attività concertistica a Napoli viveva momenti particolarmente esaltanti anche in forza della presenza di personalità impegnate, a livelli altissimi, a vivacizzare con appuntamenti di sicuro spessore la vita culturale napoletana.
Associazioni, Fondazioni, Sodalizi nati per vivacizzare e tenere alta la vita concertistica a Napoli offrivano una ricca scelta di occasioni musicali di profilo altissimo, anche in forza dello spessore di chi questo fermento cameristico incoraggiava e con sicura scelta di brani ed esecutori felicemente realizzava.
Penso ai nomi che hanno lasciato una forte impronta nella vita musicale del novecento concertistico napoletano.
Qualcuno tra i tantissimi: Emilia Gubitosi, Franco Michele Napolitano, l’ingegnere Cenzato.
Non poteva sottrarsi a tutto questo uno dei piu’ acclamati strumentisti del San Carlo .
E il maestro Urciuolo non si sottraeva.
Affrontava repertori nuovi, non disdegnando la produzione contemporanea e distinguendosi anche in un campo particolarmente delicato e difficile, un campo nel quale il solista è “solo”, con la sua grandezza o con i suoi limiti… Le esperienze cameristiche ebbero inizio prestissimo, appena la perizia esecutiva di Francesco Urciuolo si rivelò agli osservatori più attenti.
Intorno al 1950 l’impegno cameristico di Urciuolo divenne intenso e di altissimo profilo anche superando le comprensibili difficoltà logistiche di un musicista che aveva iniziato un’apprezzatissima attività didattica tra Cagliari e Foggia.
Contestualmente il maestro assicurava la sua presenza cameristica a Cagliari come nella vivace realtà musicale del capoluogo dauno.
A Foggia ebbe la fortuna di poter godere della presenza di un direttore di formazione napoletana che non è arduo annoverare tra le grandi figure della produzione musicale novecentesca.
E con Aladino Di Martino condivise anche molte esperienze solistiche con l’orchestra del Conservatorio.
Di Martino, compositore raffinatissimo, era anche buon concertatore e attento e accurato direttore.
Furono , pertanto, molti gli appuntamenti, peraltro affollatissimi.
A Foggia risiedeva e lavorava anche una figura centrale nella storia della musica contemporanea italiana, Domenico Losavio, fagottista e Direttore di grandi aperture culturali e di sicuro spessore musicali.
Con Losavio e con Vincenzo Terenzio, straordinario docente di Storia della Musica oltre che uomo di profonda cultura e di singolare statura morale, insegnava a Foggia Teresa Procaccini, destinata a dominare, negli anni seguenti, la vita musicale al Conservatorio di Roma.
Dalla scuola di Teresa Procaccini, ancora oggi felicemente sulla breccia, uscirono fior di musicisti, oggi attivissimi.
Un mix di presenze che facevano di Foggia una realtà tutt’altro che provinciale nel panorama della cultura musicale italiana.
Nel fermento concertistico della vita musicale cittadina Urciuolo fu figura di spicco fino al suo trasferimento ad Avellino.
Numerosissimi i brani per flauto e orchestra che lo videro solista con la direzione di Di Martino , due gentiluomini protagonisti di memorabili serate nel civettuolo Auditorium di via Nigri.
Tra le ultime esibizioni a Foggia, vale la pena ricordare il Concerto inaugurale della Stagione del Conservatorio la sera del 29 gennaio 1970.
Il Gruppo Strumentale del Conservatorio schierava con Giuseppe Summo all’oboe, Luigi Laporta ( poi a lungo direttore di quella Istituzione) al clarinetto e Maria Ausilia d’Arcangelo al Pianoforte, due pezzi da novanta, Domenico Losavio al Fagotto e Francesco Urciuolo al flauto che affrontarono con sicurezza interpretativa uno smagliante brano barocco del viennese K.D.Dittersdorf, un quartetto di elegante gusto novecentesco di J. Francaix e una Invenzione per Flauto, Oboe, Fagotto e Pianoforte di Teresa Procaccini. Particolarmente significativa la testimonianza del maestro Losavio.
“Ebbi la prima nomina per l’insegnamento di fagotto al Conservatorio “U. Giordano” di Foggia nell’anno scolastico 1962/’63, lo stesso anno in cui mi diplomai al Conservatorio “N. Piccinni” di Bari. Avevo allora vent’anni ed ero molto entusiasta e desideroso di intraprendere iniziative culturali. L’aula in cui facevo lezione al secondo piano dell’Istituto era attigua a quella del maestro Urciuolo, con il quale si instaurò presto un rapporto di profonda amicizia e di reciproca stima. Il conservatorio all’epoca era una sorta di fucina a conduzione familiare, dove sia docenti che allievi erano impegnati quotidianamente e intensamente. Perciò avevamo spesso occasione di trattenerci a parlare di aspetti didattici e professionali della musica. Dopo le lezioni andavamo a pranzo insieme alla Trattoria del Cacciatore, dove seguitavamo le nostre chiacchierate anche con altri colleghi. Ho un bel ricordo delle sue qualità professionali e di quelle umane, mi colpiva in particolare il fatto che anche con colleghi più giovani come me non faceva mai prevalere il suo pensiero, né pesare la sua preziosa esperienza professionale. Apprezzavo molto il suo bel suono, il fraseggio, l’interpretazione con cui riusciva a coniugare le sue particolari doti comunicative. Era molto garbato con tutti, affabile e disponibile con gli allievi, tra i quali – da grande didatta quale era – si prendeva maggior cura di coloro che avevano maggiori difficoltà.
Urciuolo, intanto, non immaginava ancora che nella sua provincia, ad Avellino, sarebbe stato fondato un Conservatorio e che il primo direttore e fondatore della nascente Istituzione avrebbe fatto il classico diavolo a quattro per averlo nel nuovo corpo docente.
Intanto a Napoli, città dove il maestro risiedeva nella sua casa di Fuorigrotta, si intensificavano le presenze nella intensa vita concertistica che teneva alta la vocazione antica e robusta per la musica.
Con buona approssimazioni le esibizioni cameristiche a Napoli di Francesco Urciuolo toccano agevolmente , dalla fine degli anni quaranta fino agli anni settanta del secolo scorso il numero ragguardevole di cento momenti concertistici, tutti vissuti con personalità di profilo altissimo.
Un esempio particolarmente eloquente è il Concerto dell’Accademia Musicale Napoletana, il prestigioso sodalizio fondato da Casella, del 29 novembre 1951.
Qualche mese prima Urciuolo era risultato vincitore nella Rassegna Interregionale dei giovani concertisti.
Il Gruppo Strumentale dell’Accademia comprendeva con Francesco Urciuolo, Ugo Aiello al violoncello, Luigi Schininà e Sebastiano Tagliaferro, violini, Vincenzo Ferraro alla viola e al pianoforte il più grande pianista napoletano di tutti i tempi, l’incommensurabile Sergio Fiorentino.
In quella serata il maestro si distinse in una impeccabile prestazione artistica nella beethoveniana Serenata op. 25 per flauto, violino e viola.
Lo stesso organico, sempre arricchito dalla presenza di Sergio Fiorentino, tenne un memorabile concerto per la stessa Associazione nella serata del 28 marzo 1955 .
In quella occasione a Francesco Urciuolo toccò l’interpretazione del Quartetto per Flauto, Violino, Viola e Violoncello di Mozart , brano “nuovo per Napoli” , come si evince dal programma.
Impresa disperata sarebbe risalire a tutti i concerti nei quali Urciuolo, in sintonia con un agguerrito manipolo di strumentisti napoletani, ha messo in campo le sue qualità di musicista scrupoloso e impegnato.
Anche ad Avellino Francesco Urciuolo non negò mai l’autorevolezza della sua presenza nei momenti concertistici che, segnatamente durante la direzione Mazzotta (grazie anche alle capacità organizzative del maestro Piero Carella), punteggiavano la vita culturale della città.
Nel civettuolo auditorium ricavato da uno scantinato di Palazzo De Conciliis o nel Salone attiguo alla Chiesa del Rosario, i Concerti del Conservatorio erano molto seguiti.
Uno stuolo di uomini di scuola come l’indimenticato Preside Alfonso Biondi, di felicissima memoria, il professor Enrico Biondi che si cimentava con un certo successo nell’arte antica della liuteria, lo stesso professor Federico Biondi, politico di nobile , disinteressata cifra e buon pianista, il preside Nicola Vietri, tutti “geneticamente” innamorati della musica.
E ancora l’avvocato Bonito, il preside Matarazzo, papà del maestro Lucio, raffinato didatta della chitarra e fondatore di una rivista di grande successo.
Una civiltà musicale che cresceva dopo anni nei quali la sola testimonianza del maestro Vincenzo Pastore, pianista di grande levatura , allievo di Florestano Rossomandi, teneva, come era solito dire “accesa la fiaccola della musica “.
A queste figure di appassionati si aggiungevano figure di ogni ceto che riscoprivano i concerti come momento di godimento interiore.
Erano anche gli anni in cui , con la guida intelligente e illuminata del professor Gaetano Vardaro , raffinato intellettuale, l’Arci donava alla Città presenze di levatura internazionale che collocavano Avellino nei primissimi piani per qualità delle proposte concertistiche a livello europeo.
La musica contemporanea era di casa, la grande musica contemporanea per essere precisi, Luigi Nono in testa e gli altri grandi nomi di quella felice stagione, Maurizio Pollini, Bruno Canino, Severino Gazzelloni, per citare alcune personalità di alto profilo che “frequentavano” la città.
Non può essere sottaciuta la presenza, in qualità di Direttore artistico delle Stagioni di Concerti nei giardini dell’Abbazia Benedettina di Loreto, del compositore Mario Cesa che tenne altissimo il livello dell’offerta artistica.
Il Conservatorio era presente con stagioni regolari e schierava i primi strumenti del San Carlo o dell’Orchestra Scarlatti della Rai che costituivano il nerbo di un magnifico corpo docente che, Urciuolo in testa, ha dato frutti copiosi.
Oggi flautisti, strumentisti a fiato e strumentisti ad arco, più o meno cinquantenni, possono affermare con un senso di sano e legittimo orgoglio di essere usciti da quelle grandi scuole.
Anche la scuola del maestro Vasco Degl’Innocenti, primo flauto dell’orchesra Scarlatti – Rai ha “prodotto” un ottimo primo Flauto , Alberto Barletta, attivo nell’Orchestra Rai di Torino
Particolarmente significativa la figura dell’attuale primo contrabbasso del San Carlo e dell’Orchestra di Salvatore Accardo, Ermanno Calzolari, frutto dell’offerta didattica del Cimarosa degli anni settanta e ottanta, che si formò alla scuola di Plinio Bologna, primo Contrabbasso della Scarlatti.
Per i successi e la stima unanime dei grandi direttori, Calzolari riverbera i fasti dell’attività didattica e concertistica di Francesco Urciuolo.
Entrambi grandi interpreti e splendidi didatti, entrambi gran signori!
Ad Avellino Urciuolo si esibì molto spesso e sarebbe un peccato non sottolineare almeno uno di quei magnifici appuntamenti musicali.
Lunedì 17 marzo 1975, per l’Istituzione Concerti del Conservatorio, nella Sala del Conservatorio in piazza Duomo, Urciuolo si esibì insieme all’oboista Gerardo Amodio, al clarinettista Salvatore Scarrico, al fagottista Enrico Biondi e al cornista Guido Formato, gloria della Valle Caudina.
Un successo senza precedenti ma anche l’affermazione attraverso il valore di quei solisti – docenti del pregio, oggi diremmo “dell’offerta formativa” del Conservatorio Cimarosa.
Il Maestro, duramente provato dalla scomparsa della sua cara consorte , trascorse i suoi ultimi dieci anni di vita tra Avellino e Pietrastornina.
Aveva lasciato non senza qualche rimpianto il San Carlo e il Cimarosa, due istituzioni che aveva amato e onorato.
Trascorse i suoi giorni nel ricordo della signora Olga, in quello stato, raro quanto indescrivibile, di serenità che è proprio dei giusti.
Si spense nella sua casa di Avellino nell’agosto del 2009.
Aveva servito alla grande la Musica , offrendo smaglianti esecuzioni e formando fior di flautisti, e una famiglia che coltiva con sentimenti di signorile devozione una memoria dolce ed edificante.
Non avendo neppure concepito il male, la morte non lo avrà sorpreso nè spaventato.
Del resto i Maestri autentici non muoiono.
Nel campo delle Arti non è esercizio di retorica ritenere e affermare che vivono nella vita stessa dei loro allievi !
Segnatamente quando lasciano la preziosa eredità di una grande Scuola.
Antonio Polidoro

Description

Presentazione di Vincenzo De Gregorio, Preside della Pontificio Istituto di Musica Sacra Responsabile Nazionale CEI per la Musica Già Direttore dei Conservatori di Avellino e Napoli

Nello scorrere i faldoni che sono, finalmente, oggi disposti ed ordinati nell’Archivio storico, nell’ultimo piano del San Pietro a Majella, in quella che fu la casa del custode, un dato colpisce il lettore attento: la provenienza degli Allievi. Il dato è costante. Né la Città di oggi, né quella antica, fornisce un numero di Allievi adeguato alle superbe e grandiose dimensioni della sua vita accademica. E’ la “provincia”,, invece, la nutrice dei giovani che cercano il percorso che realizzi le aspirazioni dei loro talenti. La vicenda umana, famigliare, artistica di Francesco Urciuolo, che Antonio Polidoro con puntuale ordine di tempi e di luoghi colloca come in una galleria di ritratti e di paesaggi, comincia nella “provincia” del nostro Sud e in essa ritorna, dopo lo snodarsi di una storia avvincente.
E’ la storia di un talento musicale che prende coscienza di sé stesso “nonostante”. Nonostante la famiglia non abbia tra i suoi componenti dei musicisti, nonostante in paese non vi sia una scuola, nonostante… Ma è quel contesto nel quale la musica è l’intreccio degli eventi grazie ai quali i nomi dei santi iscritti nel calendario che ritma i giorni, in cucina, richiama le solennità e le feste liturgiche e per tutto questo è proprio la musica che ne segna il ritmo. E’ la musica della banda, piccola o magniloquente, rabberciata o severamente fiera di una storia ormai di rango, che, comunque, trasmette a tutti le grandi melodie che risuonano nei solenni e fastosi teatri della città, che diventano patrimonio della memoria della gente semplice, contadina ed artigiana. E’ la civiltà della musica dell’Italia tutta. Le romanze fischiettate dalla gente della strada, della bottega e dei campi sono note perché quella stessa banda che ha accompagnato l’immagine delle Madonne e dei Santi patroni nelle processioni, chiuse le sacre effigi nelle loro chiese, le esegue nella piazza del borgo. I flicorni “canteranno” le parti dei cantanti solisti, da fedeli interpreti delle suggestioni di amore e di disperazione, di furore e di languore dei libretti dei melodrammi.
Sarà stata questa la madre nutrice della passione per la musica del piccolo Francesco? Il percorso di vita lungo il quale l’Autore conduce il lettore di queste deliziose pagine di memorie, ci porta da Pietrastornina fin nelle grandi città dai solenni teatri, alle istituzioni concertistiche ed alle scuole musicali come se compissimo, in compagnia del via via sempre più adulto e maturo Francesco Urciuolo, l’avventura della sua straordinaria vicenda umana ed artistica. Come se con lui sgranassimo gli occhi sui volti di personaggi famosi e famosissimi che mai, potremo esserne certi, il fanciullo figlio di operatori nella ristorazione di un altrimenti oscuro centro dell’Irpinia, avrebbe immaginato di incontrare.
Non starò qui a citarne qualcuno. Ma il lettore appena attento riscoprirà nei direttori, nei cantanti, nei compositori, negli operatori ed organizzatori, come nei soprintendenti dei teatri, i nomi di protagonisti della cultura musicale italiana ed internazionale. Dalle pieghe della narrazione che insieme racconta e descrive, illustra e richiama, emerge un dato costante: qui il discorso diventa quasi pudico, come se in punta di piedi e con rispettosa e delicata attenzione, giungessimo nel cuore della persona. Come era? Quali le note caratterizzanti la personalità, quella interiore, quella dell’anima e dell’animo? Il dato costante assume due nomi: bontà e umiltà.
Dal piccolo paese si comincia, al piccolo paese si torna. Antonio Polidoro ci fa dono di pagine che hanno il costante profumo della semplicità che, sola, rende grande chi è davvero grande. Francesco Urciuolo è tale ed è quanto mai necessario che la sua storia venga scritta: è come ripercorrere il secolo appena trascorso, nei suoi eventi e personaggi più importanti, da un osservatorio privilegiato: lo sguardo stupefatto del bambino che da Pietrastornina, fa un giro per il mondo e torna a casa a raccontarlo. Con bontà e umiltà.

Roma, 2 ottobre 2019; festa degli Angeli custodi
Vincenzo De Gregorio*

*Preside della Pontificio Istituto di Musica Sacra Responsabile Nazionale CEI per la Musica Già Direttore dei Conservatori di Avellino e Napoli

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Editorial Review

Omaggio alla memoria di Ciccio Urciuolo di Antonio Polidoro

 

 

Il desiderio di rendere omaggio alla memoria di Francesco Urciuolo, gloria della musica irpina, risale ai giorni successivi alla scomparsa del grande flautista di Pietrastornina.
Mi indispettiva letteralmente che nessuno pensasse di attivare iniziative per ricordarne il valore di interprete raffinatissimo e le singolari qualità dell’Uomo.
Lo sanno bene i sindaci di Pietrastornina che si sono succeduti in questi ultimi anni, persone da me continuamente sensibilizzate.
Ho finalmente trovato una sponda concreta nella disponibilità dell’editore Bascetta, figlio di Pietrastornina ed estimatore del Maestro.
Questa porta che provvidenzialmente si apriva ed un edificante clima di apertura verso le iniziative culturali dell’attuale amministrazione guidata dal dottore Rizzo hanno fatto il resto.
Non restava che prendere contatto con la famiglia Urciuolo.
L’ho fatto non senza qualche timore ma alla fine mi sono arricchito della conoscenza di persone simpatiche e disponibili e che coltivano con ammirevole devozione la memoria del loro illustre congiunto.
Il contatto con Giuseppe, figliuolo - flautista del Maestro, è avvenuto in un’atmosfera di grande cordialità, anche attraverso il figlio (che del maestro porta il nome) l’ingegnere – musicista Francesco Urciuolo.
L’incontro con la famiglia di Antonio, violista e docente al Conservatorio di Napoli, ancora più cordiale.
Decisivo l’incontro, poi, con la nipote Claudia, particolarmente prediletta dal Maestro, che ha operato con garbo e intelligenza e grande decisione perchè il Comune dedicasse una strada cittadina al grande flautista.
C’erano, ormai, tutte le condizioni per mettere mano ad un’agile biografia.
Ma una figura così complessa alla luce della multiforme attività orchestrale tra Napoli e Milano, le esperienze didattiche nei Conservatori di Cagliari, Foggia, Avellino, l’intensa attività concertistica, mi convincevano vieppiù ad arricchire il lavoro con notazioni sulla storia del San Carlo negli anni in cui Urciuolo ha costituito un vero e proprio valore aggiunto per quella prestigiosa orchestra e sui Conservatori presi in esame in questa sorta di racconto ragionato che narra di una splendida avventura artistica e umana ma, spero con leggerezza, puntualizza contesti e figure di quell’epoca ormai lontana, fuori dal bagaglio di conoscenze dei giovani flautisti dei giorni nostri.
Il primo capitolo, che racconta dell’attenzione che i grandi compositori italiani del secondo novecento hanno riservato al flauto, è un atto di omaggio alla figura del maestro, che andava inquadrata in questo edificante fermento di nuovo che la produzione musicale viveva in quegli anni.
E’ un capitolo, occorre riconoscerlo, che potrebbe compromettere... la prosecuzione della lettura ma corriamo volentieri il rischio.
Non è, del resto, operazione complicata muovere… dal secondo capitolo.
Anche la lunga parentesi sulla gestione Di Costanzo del Massimo napoletano può apparire lunga ma aiuta a capire lo straordinario livello artistico che il San Carlo aveva raggiunto nel primo , lungo periodo che vide primo flauto il protagonista di questo lavoro.
Avevo pensato di dotare il testo di note sui personaggi menzionati, un compito ingrato al quale mi stavo dedicando non senza sacrificio, ma occorre pur prendere atto che oggi le notizie di ogni personaggio, un’attrice della quale si voglia conoscere l’età o le figure che hanno onorato nei secoli le Arti e la cultura, sono a portata di display sicchè chi non è interessato …desiste ( sull’onda del godibilissimo passaggio scarpettiano…) chi è preso dal sacro fuoco dell’approfondimento provvede agevolmente interrogando…il cellulare.
Ringrazio intanto, con la famiglia Urciuolo, l’editore Arturo Bascetta, l’Amministrazione Comunale, la dottoressa Tiziana Ciardielli in particolare, la dottoressa Lilly Carfagno, Bibliotecaria del Conservatorio di Foggia, cortesissima e disponibile col maestro Losavio, il maestro Mons. Vincenzo De Gregorio che non ha fatto mancare il suo brillante e pregevolissimo contributo.
E’ un lavoro modesto, come modeste sono le capacità dell’autore, ma portato avanti con una bella carica emotiva e con l’orgoglio di aver reso omaggio ad un conterraneo che non poteva e non doveva essere cancellato dalla memoria collettiva.
L’Autore