FIORENZA e il Giglio della Cittade di Cosimo I de’ Medici: Eleonora di Toledo, il padre Viceré, la Matrigna e l’Efebo. ISBN 9788872971420

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UN LIBRO CON STORIE VERE, FATTI, RACCONTI DELLA FIRENZE CHE FU

Il cronista fa anche una carrelleta sui rapporti del Duca con i vicini di casa.
Egli dice: — Poiché fin qui ho parlato à bastanza delle forze del Duca di Fiorenza, della sua persona, et di tutte le cose dependenti da quella, ricerca hora l’ordine proposto, che io consideri, ch’intelligenza, et dipendenza habbia Sua Eccellenza con altri Principi di Christianità, et l’animo, et disposition sua verso questa Serenissima Repubblica, la quale consideratione sarà molto difficile per essere difficilissimo sopra ogn’altra cosa penetrare, et intendere l’animo di Principi; Pure per sodisfare all’obligo mio, dirò quello che si puote havere, et cavare da molte cose, ch’io hò inteso, rimettendo sempre il tutto al sapientissimo giuditio della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre Illustrissime.35
Parla del Papa.
— Col Pontefice si deve pronosticare, che il Duca non deve star molto bene, essendo Sua Santità creatura di Paulo IIII, et dependente di casa Carrafa, nemicissima del Duca, fatto Pontefice da Farnesi nemicissimo del Duca, dependente dal Re Cattolico, il quale cercarà sempre d’abbassare il Duca, non havendo molta buona intentione verso di lui, come dirò poi, finalmente valendosi il Pontefice del Consiglio del Cardinal di Pisa in tutte le coese sue si deve raggionevolmente credere, che il Duca non possa sperare dal Papa molte gratie, ne che sia per esser molto unito con Sua Santità, la quale unione però tornerà sempre molto bene al Duca di Fiorenza, così per la sicurtà del suo stato come anco per la sua riputazione.
Parla dell’Imperatore.
— Col’Imperatore si deve credere che habbia buona intelligenza persuadendosi à credere questo per il nuovo parentado contratto Sua Maestà si deve però credere che S.E. farà ogni cosa per servitio dell’Imperatore, per havere il suo favore in ogni bisogno, non confidando in quello delli Spagnuoli, et però l’anno passato per gratificar sua Maestà li prestò 100 mila scudi, E’ vero che gli tedeschi, che hanno accompagnato la Principessa in Italia, sono partiti da Fiorenza malissimi sodisfatti per le poche cortesie, che le sono state usate, et in Bologna al mio ritorno intesi, che andavano pubblicamente dicendo mal del Duca, biasmando la sua alterezza, et sopra tutto l’avaritia.
Parla del Re di Francia.
— Col Re di Francia circa trattenersi per tener quel favore di quel Principe emilo del Re di Spagna bilanciate le cose sue con Sua Maestà mostra per questo un osservanza grande verso quella Corona, et à tempo de suoi ultimi maggiori bisogni di presto 100 mila scudi, con che acquetò in parte l’odio particolare che la Regina le portava et insieme s’obligò quella Corona.
Parla del Re delle Spagne.
— Verso il Re Cattolico mostra grandissima osservanza, et cerca con ogni mezo mostrarsi suo dependente, et creato, conoscendo haver da lui havuto lo stato, et da lui dipendere la conservatione di quello, et della sua riputatione, però per mostrar maggior confidenza, et per prendere la gratia del Re si mostra di stimare, et di fidarsi nella natione spagnuola.
Qui si dilunga sulle questioni locali, fra Porto Ercole e Orbetello, dove i soldati spagnoli gli reggono l’ordine pubblico. Infatti Il Duca «usa ancora servirsi di soldati spagnuoli per la guardia delle due fortezze di Fiorenza, et di quella di Livorno, per per suo cameriero secreto si serve del Signor Don Antonio Montalvi spagnuolo, et da medesimamente che il Principe si serve d’un altro Spagnuolo detto Mondragone fa poi ogni opra per conservarsi benevole gl’animi di consiglieri di Sua Maestà, et per quanto intendo spende in questa cosa gran quantita di denari, et finalmente fa ogni cosa per renderseli confidentissimo, aspirando grandemente alla rulassatione di Port’Hercole, et d’Orbitello, fortezze tenute da Sua Maestà, senza le quali fortezze, li pare di dovers sempre esser soggetto al Re Cattolico, et di non poter mai disegnare cosa alcuna d’importanza, et però si risolse per questo effetto mandarne al Principe in Spagna, aspirando al metrimonio della Principessa di Portogallo, sperando che una tanto Principessa gli apportaria grandissimo utile, et la restitutione di esse fortezze, et milli altri commodo, et dignità; Ma questa andata del Principe partorì diversissimi effetti perché fu tenuta in Spagna leggierezza quella del Principe, ch’aspirasse al matrimonio di una tranta Principessa, la quale hebbe a dire più volte, che non pigliarebbe mai per marito un figliulo di un mercante, et di una sua suddita, et vassalla, et il Principer per il suo procedere s’acquistà odio di tutta la Corte, et massimamemnte del Principe di Spagna, il quale à pena pativa di vederlo, però perse assai all’hora il Principe, et il Duca appresso il Re, et appresso tutta la Corte, ma perse molto più quando disegnò di farsi Re di Toscana, et che aggiunse il Dei Gratia alli titoli suoi, facendo quell’entrata inaspettata in Roma con sollennità più tosto da Imperatore, che da Duca, aspirando a cose di molta importanza; Ma il Re Cattolico accortosi di quello che portava poteva intervenire diede efficaci ordini per sturbare i disegni del Duca, talmente ch’à pena si parlò di quello che haveva à fare S.E., et l’ambasciatore di S.M. in Roma parlò molto acerbamente contra il Duca, dicendo che Italia non haveva bisogno di Re, et che il Viceré di Napoli, et il Governatore di Milano erano più sopportabili, et di maggior sodisfatione, che li Principi assoluti, che il Governo del suo Re era grato in Italia, perché S.M. voleva la pace, et che saperia molto ben provedere all’insolenze di quelli che volessero sturbarla, et non pateria ch’un Principe nuovo, ch’à pena haveva acquistato lo Stato, volersi fare maggiore, onde con quella andta il Duca si concitò grandissimo odio, et una grandissima invisia svegliò i Principi, et fece accorto il Re Filippo ad havergli l’occhio alle mani, fu anco inteso in Spagna con molta maraviglia, che il Duca haveva tentato di voler l’investitura di Siena dall’Imperatore, perché per quanto dicono Spagnuoli».36
Parla di Siena, ridotto a feudo e sottomesso al patronato fiorentino.
— Siena fù data in feudo, et è congiunta con la Corona di Spagna, onde non poté Re Filippo alienarla in pregiuditio della Corona, però dicono Spagnuoli, che S.M. può in ogni tempo ritrattare la sia deliberatione, et si crede da alcuni, che se il Re non fusse travagliato dall’armi turchesche, haveria fin hora tentata qualche cosa d’importanza contra il Duca, parendoli che li sia stata rubbata quella cessione di Siena, però alcuni costantemente affirmano, che se fosse vissuto Carlo Quinto nel fin di quell’impresa, il Duca mai haveria havuto lo stato di Siena, perchI in vero troppo importante è quello stato, ne per lui faceva aggrandire tanto un Principe Italiano.
Onde il Duca che sa questo malanimo di Spagnuoli ha piacer che venga fuora l’armata turchesca, la quale divertendo in altre parti la sua forza, tenga impedito il Re, anzi il Principe raggionando meco un giorno, et dimandandomi s’io credevo che venisse fuori quest’anno armata turchesca, et risponendo io che si raggionava di gran preparatione, mi disse che faceva per li suoi stati, che l’armata venisse fuori, perché i Corsari andavano con l’armata, et non infestavano li suoi mari, et le sue riviere, la qual cosa se ben mi dava segno manifesto della poca prudenza del Principe, però mi scoperse assai largamente il suo desiderio, et tutti li sioi rispetti, per i quali tutti si può concludere, che il Duca non stia ben con Spagna.
Parla dei Savoia, già considerati come Re.
— Col Duca di Savoya non s’intende bene, perché è invidiata da quel Duca grandemente la sua grandezza, et sua ricchezza, non potendo patire un gentilhuomo privato sia in così poco tempo venuto in tanta consideratione, che di lui sia tenuto maggior conto appresso Principi, che della sua antichità, et nobiltà, per la quale suole il Duca di Savoya riputarsi uguale à ì Re, et con tutto che sia il Duca di Fiorenza conosciuto da lui per Principe grande mostra non di meno di tener poco conto di lui, però in quest’occasione di nozze non ha mandato alcuno in nome suo à rallegrarsi.
Parla di Ferrara
— Con Ferrara sa molto bene la Serenità Vostra, et le Sighnorie Vostre Eccellentissime che la cosa della precedenza ha esaspirato grandemente l’animo di ogni uno di loro, ma Ferrara si tiene grandemente offeso, perché conosce che ogni travaglio, che gli ha dato il Papa in materia di Sali, et altro, è stato con participatione, et consiglio del Duca di Fiorenza, però saria cosa molto difficile, et quasi impossibile, che tra questi vi sia mai buona intelligenza; E’ ben vero che questo nuovo parentado farà che si habbino maggior rispetto l’uno all’altro, che mi disse il Principe un giorno raggionado delle sue galere, cioé che adesso il Duca di Ferrara li mandava del suo stato quelli che condannava alla galera, soliti già mandarsi in questa Città, la qual cosa credo che habbia continuato à fare il Duca di Ferrara per radolcire l’animo del Duca di Fiorenza, et per non haverlo contrario nelle diffucultà che haveva col Pontefice Passato, ma non già perché non conservi il medesimo odio contra di lui, congiunto insieme con l’invidia per vederlo Principe potente, et con timore per haverlo vicino.37
L’altro ambasciatore veneziano a Ferrara, Emiliano Manolesso, aggiunge alcune qualità discutibili di Cosimo I. Egli dice che «ancora a questo s’aggiungono molte querele per occasione de confini, pretende Sua Eccellenza, che il Duca Cosmo padre del nuovo Duca corrompesse già alcuni ministri del Duca di Savoia, che era giudice arbitro tra loro, et dolendosi all’incontro quello di Fiorenza, che il Duca di Ferrara non habbia sin hora costigati alcuni suoi sudditi, che in quei romori nei luoghi suoi uccisero certi vassalli di Fiorenza, si aggiunge la memoria dell’offese antiche ricevute da Leone Decimo et Clemente Settimo pontefici di casa di Medici, et molti altri rispetti importantissimi, che com eè ben noto a Vostra Serenità il Duca Cosmo sudetto essendosi impadronito degli amici di Pio Quarto, et Quinto procurò d’indurre quei pontefici a molestare esso Signor Duca, et l’effetto saria forse riuscito conforme all’intentione, quando vedette che li suoi disegni erano scoperti all’officii fatti dall’Imperatore, Re di Spagna, et Vostra Serenità.
La protettione che la Maestà Cattolica prese di Ferrara il timore che il Duca non facesse scendere Lutherani Alemanni in Italia non gli havesse ritenuti, dalle quali tutte cose Vostra Serenità può molto ben considerare l’amimo di questo Prencipe, et crede che se bene è morto il Duca Cosmo, continuando però la medesima emulatione, et concorrenza continui ancora la sodisfatione, con tutto questo è uso de Prencipi che tengono il suo pensiero nascosto sin tanto che s’appresenti buona occasione di palesarlo, in apparenza han dimostrato sempre et dimostrano essere amici et questo basti quanto à Prencipi confinanti.38
Tocca poi i duchi di Mantova e di Urbino.
— Col Duca di Mantova per il nuovo parentado doveria haver dipendenza, et amicitia, ma il Duca di Fiorenza si tiene molto offeso da lui, perché nell’entrata della Principessa sopra le porte pose l’arme di Ferrara à banda dritta, et quella di Fiorenza à banda sinistra, parendoli che il Duca s’hanni portato male, mostrando con questo segno decider quello, che l’Imperatore medesimo ha messo in dubio; Il Duca di Mantova all’incontro considerando che la grandezza di Fiorenza non è buona per lui, et come Principe inferiore temendo, et havendo invidia, odia anco necessariamente il Duca, et à queste nozze non ha mandato alcun suo rappresentante per honorarlo.
— Il Duca di Urbino non può se non haver sospetta la grandezza di Fiorenza, massimamente essendo vicino, però raggionevolmente non vi può esser amorevolezza tra loro non essendovi altri rispetti che debbano ligarli in amicitia.
Dei rapporti con Genova.
— Genovesi stanno in timore di questo Duca perché ha tentato di torli Sirzana, che già soleva esser di Fiorentini, et medesimamente sanno che per esser stata Corsica di Pisani, come padrone di Pisa, pretende sopra Corsica, et già il Duca i primi moti di San Pietro Corso in quell’Isola mandò un suo gentilhuomo in Spagna ad offerire al Re di Mandare le sue galere in Corsica con gente per scacciar San Pietro, et mantenere, et defendere l’Isola in nome di Sua Maestà, onde se Genovesi non venissero sotto l’ombra del Re Cattolico, sono certi che intraverria loro qualche travaglio.
E infine con Lucca.
— Lucchesi stanno in una continua, et raggionevol paura d’andar anch’essi un giorno in servitù, come hanno fatto tutte l’altre Repubbliche di Toscana, perché intorno sono circondati dal stato di Sua Eccellenza, dalla quale bisogna che ricevano il grano, et tutte l’altre commodità. Il Duca però non li molesta, perché è servito da loro di denari, et d’ogni altra cosa come da proprij suoi sudditi, et vede che li saria facile impadronirsi delle mura della città, ma impossibil di farsi padrone gl’animi di cittadini, però dubitando di non haver una città vuota d’habitatori, et senza mercanti li lascia vivere in pace potendo in ogni caso rpenderla à suo piacere.
E infine il rapporto con Venezia.
— Poi che ho parlato dell’intelligenza che ha il Duca di Fiorenza con il Re, et altri Principi di consideratione, è conveniente considerare qual sia l’animo suo verso questa Serenissima Repubblica, il quale per mio giuditio sarà tenuto dalla Serenità Vostra, et dalle Signorie Vostre poco buono facendone coniettura dalle cose ch’io ho da parlare. Perch’il Duca di Fiorenza per esser fiorentino non può per opinion mia haver buon animo verso la Serenità Vostra, et verso le Signorie Vostre Illustrissime, perché per le discordie, et guerre passate tra li fiorentini al tempo della Repubblica, et questo Serenissimo Dominio sono antichissimi gl’odij, et invidia di quella natione verso la nostra oltre che si vede chiaramente, ch’il Duca per esser Principe nuovo per non dir tiranno di tre Repubbliche abborrisce, et odia necessariamnete questo Santissimo nome di libertà, et di più havendo Sua Eccellenza dipendenza strettissima con la casa d’Austria, et conoscendo da lei il principio, et l’augumento di sua grandezza le pare d’acquistar merito presso di lei col mostrar di tener poco conto della amicitia verso la Serenità Vostra, et d’esser poco amorevole verso questa Serenissima Repubblica, la grandezza, et riputatione della quale è senza dubio invidiata dalli maggiori Principi di Christianità, ma tanto più da Sua Eccellenza quanto che desiderando ella d’esser tenuta per il maggior Principe d’Italia per esser come arbitro in questa nobilissima Provincia della guerra, della pace, et d’ogni altra cosa, pare che à questo suo disegno obsti solamente la grandezza della Serenità Vostra, alla quale senza dubbio è dato il primo luogo di grandezza, et riputatione tra i maggiori Principi d’Italia.39
E così termina la relazione di Priuli: — Di me Serenissimo Principe non dirò cosa alcuna si non che havendo servito questa Serenissima Repubblica cin molta affittione, et riverenza, si bene non ho guardato à spesa, ne ad alcun altro mio incommodo per non mancare al debito mio; Conosco non dimeno non haver sodisfatto al molto obligo che io ho alla Serenità Vostra, et alle Singorie Vostre Illustrissime, così in publico, come in particolare, la quale però non sarò mai satio di servire con spendere la facultà et la vita per servitio suo.
Il fine.

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TRASCRIZIONI DA TOMI A STAMPA E DA MANOSCRITTI INEDITI COEVI

Il Duca Alessandro de’ Medici fece una brutta morte e Firenze stette sull’orlo del collasso. Ci pensò il Cardinale a richiamare il Consiglio dei 48 e a condurlo su un solo nome: Cosimo I, da paggio a pupillo del defunto.
E quando questo sbarbatello salì le scale trovò già pronta la sedia per firmare l’accordo e calmierare il Ducato, benché appartenesse a un ramo cadetto dell’antica famiglia della prima cinta muraria.
Le relazioni degli ambasciatori si moltiplicarono come veline, e le notizie, trascritte e sovrapposte, fecero il giro delle corti e dei principi d’Italia: Papa, Re e Senato veneziano ebbero di che ragionare.
Non trascorsero due anni che il novello Duca fece proposta di nozze alla figlia del Viceré di Napoli. Eleonora di Toledo, col suo ricco corredo, e l’aiuto militare del padre contro Siena, sarebbe stata la scelta più sensata per una Duchessa e un Ducato.
Le nozze furono belle, e i doni anche. Cosimo divenne un tiranno, ma non tradì Eleonora finché visse, neppure quando gli morì il padre sotto gli occhi mentre traslava le fontane dei giardini di Firenze e Napoli nelle nuove piazze di Palermo per ridare vita alle regge napoletane e fiorentine, a cominciare da Palazzo Pitti, che la Duchessa fece abbellire da pittori, ceramisti e cortigiani, come Tansillo, al seguito del fratello.
Firenze faceva invidia ai Principi vicini che spiavano i fatti dell’intera provincia di Toscana e della capitale. Sapevano tutte le strade di accesso, il numero dei militi nelle fortezze, il tesoro ripartito in beni e in soldi.
Dalla milizia di terra all’arsenale, le ricchezze dei Medici e dei Toledo, ormai stretti parenti anche dell’Imperatore, si moltiplicavano da un’ambasciata all’altra, lasciando che l’amore fiorisse a corte, per il bello, per le donne e per l’arte.
Perfino la giovane amata dal defunto Viceré, divenuta matrigna di Donna Eleonora, moltiplicò gli amori, lasciando sbizzarrire notai editi come Castaldo e inediti come Corona e Scipione Guerra. Ma Donna Vincenza, questo il nome della vedova allegra e fedifraga, arrivò a plasmare l’efebo del Cardinale Cibo, a sua volta rimasto a bocca asciutta, per scappare con Occhetto a Galatina. La guerra di Siena, pur rallentando il Rinascimento in Toscana, non frenò gli impulsi dell’amore, né la folla nelle aule e il via vai delle corti.
La Firenze di Boccaccio e Guicciardini ritrovava l’unità in Europa, al pari del Regno di Napoli e più degli altri principi italiani abbarbicati sui confini come cespugli.

Indice

ricapitolazione di Sabato Cuttrera

1.
i medici e la casata della prima cinta

— Cosimo, erede di un ramo cadetto
— A Napoli, le nozze di Alessandro e Margherita

2.
assassinato alessandro, sale cosimo

— Una poltrona pronta per volere del Cardinale
— La relazione sulla Firenze di Cosimo
— La sposa Eleonora figlia del Viceré di Napoli
— L’erede Principe Francesco de’ Medici
— Cosimo e i vicini di casa: Papa, Re, Venezia

3.
toledo, il suocero viceré di napoli

— Don Pietro di Toledo padre di Eleonora
— Burgos, fratello del Viceré e papa mancato
— I giardini di Firenze e Napoli traslati a Palermo
— Odiati a Partenope, amati a Firenze: i Toledo

4.
firenze imperiale spiata dai principi

— La città spiata dagli ambasciatori di Venezia
— Il Duca a capo della Provincia di Toscana
— Firenze: 8 strade, 7 fortezze di Siena e 7 città
— Milizia di terra, arsenale di Pisa e galeotti
— Cavalieri di S.Stefano, Guastatori e Capitani
— Le ricchezze dei Medici, ma anche della Toledo
— Francesco sposerà Giovanna d’Austria
— I rapporti con il Re di Spagna

5.
eleonora, duchessa amata e temuta

— Palazzo Pitti comprato da Monna Eleonora
— Garcia, Tansillo e le canzoni di guerra
— Le donne amate dalla corte fiorentina
— L’amante del padre diventa Viceregina: la matrigna
— Il Viceré si risposa: l’ultimo viaggio a Firenze
— Donna Vincenza matrigna e vedova allegra
— La storia di notar Antonino Castaldo in 4 libri
— Eleonora e Vincenza: due principesse diverse

6.
L’eredità della matrigna e siena

— La matrigna ama l’efebo, ma non il Cardinale
— Vincenza schiva Cibo: sta con Ochetto a Galatina
— I tumulti di Siena evitati da Babbi e Musefilo
— La guerra con i vicini rallenta tutto
— Strozzi, generale dei Francesi, poi battuto

— Note Bibliografiche

APPENDICE DOCUMENTARIA

LETTERE DA NAPOLI AL DUCA DI FIRENZE
SCRITTE DAL SUO SEGRETARIO inviato a corte
1539 – 1541

I.
Lettera di Francesco del Nero a Niccolò Del Benino

II.
1^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

III.
1^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

IV.
2^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

V.
3^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

VI.
4^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

VII.
5^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

VIII.
6^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

IX.
7^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

X.
8^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XI.
9^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XII.
10^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XIII.
11^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XIV.
12^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XV.
13^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XVI.
14^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XVII.
14^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

XVIII.
16^ LetterA DI MUSEFILO al Duca di Firenze
DAL 27 DICEMBRE 1539 AL 29 APRILE 1541

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Editorial Review

Eleonora di Toledo, il padre Viceré, la Matrigna e l'Efebo

 

1. Modesto Rastrelli, Storia d'Alessandro de' Medici primo duca di Firenze, II, dato alla stamperia di Antonio Benucci e compagni per Luigi Carlieri, Firenze 1781.
2. Ivi.
3. Lodovico Antonio Muratori, il quale, al volume 10 dei suoi Annali d'Italia dal principio dell'era volgare fino all'anno 1750, Tomo X, parte I, eredi Babriellini, Roma 1754.
4. Tomasino de Bianchi, detto de Lancillotti, Cronaca ModeneseFiaccadori, Parma 1866. In: Monumenti di storia patria delle provincie modenesi, Volume 4, Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi.
5. Sitografia: https://villegiardinimedicei.it/villa-medicea-di-cerreto-guidi/
6. Modesto Rastrelli, Storia d'Alessandro de' Medici primo duca di Firenze, II, dato alla stamperia di Antonio Benucci e compagni per Luigi Carlieri, Firenze 1781.
7. Lettera del Duca al Papa, Ivi.
8. Lettere. Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, MSS inedito. Capponi, Cod. I, pag. 209-315. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS. Capponi, Cod. I, pag. 209-315. Il Moreni cita questa Relazione come stampata dal Cambiagi nel 1775. A me, in Firenze, non è venuto fatto di rinvenire un solo esemplare di tale edizione.
9. Lettere, cit.; cfr. Pietro Giannone, Istoria civile. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
10. Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, a cura di: G.Gravier, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Gravier, Napoli 1770. Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Biblioteca Brancacciana (III, A, 9); Capasso, Codice Vaticano latino (11 -735), Ristoria delli rumori di Napoli; Salvatore Nigro, Dizionario Biografico degli Italiani.
11. Rastrelli, cit.
12. Sigismondo de’ Sismondi, Histoire des republiques italiennes du Moyen Age, traduzione, tomo 10, Capolago cantone Ticino, Tipografia e libreria Elvetica, 1846.Le scritture originali vengono riportate da Benedetto Varchi: questa, dice egli, ebbe molto credito in Italia, 1. XIV, p. 229-230. Cfr. Benedetto Varchi, 1. xiv, p. 259. Cfr.Bernardo Segni, 1, p.192-198. Filippo de' Nerli, I. x1, p. 283, 285. Cfr. Storia di Giovan Battista Adriani, 1, p.11. Continua l'Adriani le storie del Guicciardini, che finiscono alla morte di Clemente VII. V. Benedetto Varchi, cit. l. xiv, p. 143-219 e 224.
13. De Nerli, cit.
14. Rastrelli, cit.
15. Anonimo, Manoscritto inedito sull’Istoria di Antonino Castaldo. Estratti in copia di autore ignoto, fedeli all’originale e pubblicati per la prima volta a stampa. Stesura c.a. anno 1590. Cfr. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, a cura di Gravier, Napoli 1770. In: Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Cfr. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571.
16. Rastrelli, cit.
17. Rastrelli, cit.
18. De Nerli, cit.
19. Rastrelli, cit.
20. Ivi.
21. Ivi.
22. De Nerli, cit.
23. Ivi.
24. Anonimo, Manoscritto inedito sull’Istoria, cit.
25. Dominici, cit. «Indi assistendovi i deputali, e governatori, creati per dirigere cosi allora la fabbrica, come poi la chiesa, ed assistendovi spesse volte lo stesso Viceré in persona, fu alla perfine compiuta nel 1548, come si sa dagl’istrumenti rogati per vari contratti, che dovettero farsi per la suddetta fabbrica; e fu la chiesa dedicata a S.Giacomo apostolo, e consegrata con molta solennità nel 1549».
26. Rastrelli, cit.
27. Benedetto Varchi, Opere, Volume 1, Lloyd austriaco, Trieste 1858.
28. De Nerli, cit.
29. Francesco Carlo Pellegrini, Gauthiez, Lorenzaccio. In: Archivio Storico Italiano, V serie, tomo 35, Presso Vieusseux, Firenze 1905. Cfr. Pierre Gauthiez, L'Italie au XVI siècle. Lorenzaccio (Lorenzino de' Medici), Albert Fontemoing éditeur, Paris 1904.Cfr. Luigi Alberto Ferrai, Lorenzino de' Medici e la società cortigiana del Cinquecento, Milano 1891.
30. Rastrelli, cit.; De Nerli, cit.
31. De Nerli, cit.
32. Paolo Giovio, Istorie Del Seo Tempo, tradotta èer messere Lodovico Domenichi, Volume 2, Domenico dei Farri, Venezia 1556, pagg.500-505. «Al 6 di Gennaio in Fiorenza da Lorenzo de' Medici fu commesso un delitto d'inusitato tradimento, et di gran crudeltà, havendo egli crudelissimamente ammazzato il Duca Alessandro, per il che io ho pensato, che sia necessario secondo l'instituto dell'opera mia raccontar brevissimamente quanto io potrò la cagione, e il modo di questa horribile impresa».
33. De Nerli, cit.
34. Francesco Carlo Pellegrini, Gauthiez, Lorenzaccio. In: Archivio Storico Italiano, V serie, tomo 35, Presso Vieusseux, Firenze 1905. Cfr. Pierre Gauthiez, L'Italie au XVI siècle. Lorenzaccio (Lorenzino de' Medici), Albert Fontemoing éditeur, Paris 1904.Cfr. Luigi Alberto Ferrai, Lorenzino de' Medici e la società cortigiana del Cinquecento, Milano 1891.
35. De Nerli, cit.
36. Carlo Botta, Storia d'Italia, continuata da qella del Guicciardini dall'anno, Volume 1.
1. Baccio Baldini, Vita di Cosimo Medici: primo gran dvca di Toscana, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18. Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18.
2. Baccio Baldini, cit.
3. Vincenzo Fedeli, Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, MSS inedito. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS. Capponi, Cod. I, pag. 209-315. Il Moreni cita questa Relazione come stampata dal Cambiagi nel 1775. A me, in Firenze, non è venuto fatto di rinvenire un solo esemplare di tale edizione. Cfr. Pietro Giannone, Istoria civile. Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 235-255.
2. Baccio Baldini, cit.
3. Ivi.
4. Fedeli, cit.
5. Aldo Manuzio, Vita Di Cosimo De'Medici, Primo Gran Dvca Di Toscana, Firenze 1586.
6. Fedeli, cit.
33. Aldo Manuzio, Vita Di Cosimo De'Medici, Primo Gran Dvca Di Toscana, Firenze 1586.
8. Baccio, cit.
9. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
10. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
11. Giovanni Boccaccio, Libro Di Messer Giovanni Boccaccio Delle Donne Illustri, Giunti, Firenze 1596, pag.364. Così Boccaccio; - E perché egli per tempo fu di vita tolto, ella rimasta vedova, fu data per moglie a Ottauio Farnese Du ca di Parma, a cui a vna portata partori felicemente due figliuoli mafchi, vno de quali fu Alessandro, che poi diuenne valorosissimo Capitano, ilquale nelle guerre di Fiandra, e di Francia,e principalmente nella efpugnazione di Mastrich,e d'Anuerva diede più volte faggio del va lore, e della prudenza fua. Ma di lui fi parlerà ad altro tempo. Margherita dunque fu figliuola d'vn de maggior Imperadori, che fieno stati già molti fecoli, e nuora d'un figliuolo de maggiori, e piu prudenti,e radi Pontefici, che habbia hauu to la Chiesa di Dio, efu moglie, e madre, e sorella d'invitti Eroi, ed ella fu ripiena di tal senno, e di tanta prudenza».
12. Anonimo, Manoscritto inedito. Estratti in copia di autore ignoto, fedeli all’originale e pubblicati per la prima volta a stampa. Stesura c.a. anno 1580. D’ora in avanti: Anonimo, Manoscritto inedito. Esso è simile, ma differisce in alcuni particolari inediti, dalla copia letta da Gravier e firmata da Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Ma l’inedito non è stato scritto dalla stessa persona, perché il linguaggio da diurnale dell’Ignoto appare antecedente a quello del copista Castaldo di circa 50 anni, seppure manomesso e storicizzato da Gravier. Pertanto, allo stato, risulta non esatto dire che Ignoto e Castaldo siano state la stessa persona. Ragione per cui, il MSS inedito, da noi consultato in copia originale, certamente differisce per terminologia e orientamento politico (chi è filofrancese, chi filospagnolo) e pertanto si resta dell’opinione che il testo dell’Anonimo, precedente e più genuino, non possa essere stato scritto dal Castaldo, il quale, sicuramente da esso attinge in un secondo momento.
C’è da aggiungere, infine, che il MSS primario può non essere neppure quello dell’Ignoto, il quale, come Castaldo, attinge gli episodi più antichi da altri, essendo state rinvenute in successioni copie di diverse cronache più o meno simili. Cfr. Capasso, Ristoria delli rumori di Napoli, Mss, in: Codice Vaticano latino (11 -735), ex Biblioteca Brancacciana (III, A, 9).
v. Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili fucceduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, a cura di: G.Gravier, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Gravier, Napoli 1770. Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Biblioteca Brancacciana (III, A, 9); Capasso, Codice Vaticano latino (11 -735), Ristoria delli rumori di Napoli; Salvatore Nigro, Dizionario Biografico degli Italiani.
13. Dominici, cit. «Indi assistendovi i deputali, e governatori, creati per dirigere cosi allora la fabbrica, come poi la chiesa, ed assistendovi spesse volte lo stesso Viceré in persona, fu alla perfine compiuta nel 1548, come si sa dagl’istrumenti rogati per vari contratti, che dovettero farsi per la suddetta fabbrica; e fu la chiesa dedicata a S.Giacomo apostolo, e consegrata con molta solennità nel 1549».
14. Baccio Baldini, Vita di Cosimo Medici: primo gran dvca di Toscana, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18. Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18.
15. Relationi politiche diverse di Napoli, Sicilia, Malta, Ferrara, Florencia, Genova, Venecia y Savoya [Manuscrito], pag.55, BNE. Relatione del clarissimo Lorenzo Priuli, tornato ambasciatore dal Duca di Fiorenza serenissimo Principe, et Eccellentissimi Signori. Così Priuli: - Sendo nella legatione di Fiorenza commessami per gratia della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre Illustrissime le diedi conto per mie lettere degli offitij fatti, et di tutto ciò ch’all’hora m’occorre, hora per adempire l’ultima parte di essa mia legatione in osservanza dei Santissimi ordini della serenità vostra, è necessario ch’io l’esponga brevemente quel tanto ch’io ho potuto intendere delli stati di quel delle sue forze, et di tutte quelli altre qualità, et conditioni, che possono venire in consideratione per servitio suo, la qual relatione per nuova, et di nuovo Prencipe, et per continer in se molto gravi considerationi, cossi come sarà alla Serenità Vostra, et alle Signorie Vostre Eccellentissime, per quanto io credo utile, et gratia, così sarà riferito le cose di quel Prencipe in questo luogo, et havedo ancora havuto poco tempo d’informarmee in una cosa ben prometto di sodfisfare cioè nella brevità, perché quanto più succintamente potrò, dimostrerò prima con che forze, et con che consiglio governi S.E. quel stato, poi con considerandolo in rispetto degli altri potentati, discorrirò sopra l’intelligenze che egli ha con gli altri Prencipi, et finalmente sopra la dispositioone dell’animo suo verso questa Serenissima Repubblica.
Cfr. Vincenzo Fedeli, Relazione di Firenze di messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, in Relazioni degli ambasciatori veneti al senato, a cura di e. Albèri, Firenze 1859, ser. 2, vol. 1, pp. 334-335.
Cfr. Vincenzo Fedeli, Relazione di messer Vincenzo Fedeli segretario dell’illustrissima Signoria di Venezia tornato dal duca di Fiorenza nel 1561, in Relazioni degli ambasciatori veneti al senato, a cura di A. Segarizzi, Bari 1916, III/1, pp. 134-135. Così dice Fedeli: - Il lettore ricorda come all'epoca di questa Relazione fosse recente la investitura di Cosimo I in duca di Siena, sancita dal trattato di Castel Cambrese nel 1559.
16. Ivi. Cfr.Agostino Cesaretti, Istoria del Principato di Piombino, T.I, Stamperia della Rosa, Firenze 1788, Ristampa a cura della Arnaldo Forni Editore, Vol.93. Cfr. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857, pag.266. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870.
17. Ivi.
18. Ivi.
19. A.Bascetta-S.Cuttrera, Delitto a Ponte Santa Trinita, l’amato assassinato: Pietro Bonaventura, rivale del Granduca Francesco I de’ Medici, isbn 9788872971833. Cfr. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS. Capponi, Cod. I, pag. 209-315. Il Moreni cita questa Relazione come stampata dal Cambiagi nel 1775. A me, in Firenze, non è venuto fatto di rinvenire un solo esemplare di tale edizione.
20. Giovanni Battista Adriani, Istoria de' suoi tempi di Giouambatista Adriani gentilhuomo fiorentino. Cfr. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, a cura di Gravier, Napoli 1770. In: Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Cfr. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571.
21. Ivi.
22. Baccio Baldini, Vita di Cosimo Medici: primo gran dvca di Toscana, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18. Bartolomeo Sermartelli, Firenze 1578, pagg.1-18.
23. Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561, MS inedito, ff. 1-71 v. Cfr.Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588. agg.1r.v.-13r.Cfr. A.Bascetta, La rivolta di Fucillo, ABE Napoli 2024. Summonte, Historia della città e regno di Napoli, Vivenzio, Napoli 1748. Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 vol., Roma 1982, Edizioni di storia e letteratura; Cfr. Ferorelli, cit. A.Bascetta, Salerno nel 1755. Il Catasto Onciario, ABEdizioni, Avellino 2006.
24. Fedeli, cit.
25. Fedeli, cit.
26. Su Lorenzo Priuli, v. Eugenio Alberi, Cenno biografico intorno a Lorenzo Priuli, in: Relazioni Degli Ambasciatori Veneti Al Senato, pag.291, vol.X, Serie iI, Tomo IV, Società Editrice Fiorentina, Fireze 1857. Così l’Albèri: «Lorenzo figliuolo di Giovanni di Zaccaria Priuli e di Laura di Alvise Donà nacque nel 1538 a' 9 di agosto. Studiò a Padova ne' primi suoi anni; poscia per acquistar pratica nelle Corti si acconciò con alcuni Veneti ambasciatori; e ritornato in patria fu approvato per l'ingresso nel Maggior Consiglio nel 1559. Del 1563 rimase Savio agli Ordini, ed essendo tuttavia in carica, fu nel 10 novembre 1565 eletto ambasciatore al Granduca Cosimo per congratularsi delle nozze di Francesco suo figliuolo con Giovanna Arciduchessa d'Austria figlia di Ferdinando I. Fu del 1567 podestà e capitano a Belluno; del 1572 provveditore del Comune, nel quale officio trovandosi, gli fu conferita a' 4 di giugno dello stesso anno la legazione ordinaria a Filippo II re di Spagna, legazione da lui con molto onore esercitata nei tempi della Lega contro i Turchi. Da questa ritornato, fu eletto nel 1575 della Giunta del Pregadi; nel 1576 Savio di Terraferma; nel 1577 podestà e capitano a Cremona; e di nuovo nel 1578 Savio di Terraferma, carica che ottenne anche altre volte. Gli fu data nel maggio 1579 l'ambasceria ordinaria ad Enrico III re di Francia, nella quale stette mesi 33 con molto splendore e con soddisfazione del re e della Repubblica, e riportò da quello il grado di cavaliere. Del 1583, alli 11 di giugno, fu inviato ambasciatore a papa Gregorio XIII, succedendo a Leonardo Donato (Succeduto a Giovanni Corraro, ma del quale ci manca la Relazione). In questo istesso anno era stato anche provveditore alle Fortezze, e nel 1586 ebbe il consiglierato della città pel sestiere di Santa Croce, e fu riformatore dello Studio di Padova. Nel successivo 1587 ebbe il saviato del Consiglio, e la carica di provveditore in Zecca; e nel 1588 fu uno de' destinati a decidere nelle differenze insorte circa la fabbrica del celebre ponte di Rialto; e venne ballottato nell'anno stesso a provveditore di S. Marco de citra, ma non rimase. Nel 1590 era podestà a Brescia, quando considerata dai Padri la integerrima vita sempre tenuta dal Priuli in tanti pubblici incarichi, lo elessero nel 4 agosto a patriarca di Venezia, la qual dignità egli assunse nel 27 gennaio 1591. Tanta fu anche dappoi la saggezza, prudenza e dottrina spiegata da lui nel nuovo suo ministero, che meritò di essere creato, a' 5 giugno 1596, cardinale da Clemente VIII. Come patriarca emand utilissime costituzioni a regolare la disciplina della Veneta Chiesa; rifece nel 1594 a sue spese la facciata della chiesa di S. Pietro di Castello, allora sua cattedrale; e finalmente, essendo vissuto anni 61, mesi 5, giorni 17, piamente morl nel 26 gennaio 1600, e fu nella cattedrale seppellito.
Oltre i dispacci di varie fra le ambascerie sostenute, esistenti nel Veneto Archivio, abbiamo di lui:
-1. Relazione di Firenze del 1566, stampata a pag. 57 e segg. del Vol. II di questa serie delle Relazioni. A pag. 380 del Vol. I de' MSS. Italiani Parigini del Marsand, si cita una Orazione del Priuli fatta in questa occasione al principe Don Francesco nel 1565.
-2. Relazione di Spagna, letta in Senato il 28 giugno 1576, la quale per ragion d'epoca non ha ancora avuto luogo nella nostra raccolta.
-3. Relazione di Francia, letta in Senato il 5 giugno 1582, la quale sarà da noi pubblicata a suo luogo.
-4. Relazione di Roma, presentata li 2 luglio 1586, ed è questa che ora pubblichiamo.
-5. Synodus Veneta ab illustr. et reverendissimo D. D. Laurentio Priolo patriarcha venetiarum secundo anno sui patriarchatus celebrata diebus 9, 10 et 11 septembris MDXCII.
-6. Synodus Veneta secunda ab illustr. et reverendissimo D.D. Laurentio Priolo patriarcha venetiarum dalmatiaeque primate quarto anno sui patriarchatus celebrata diebus 15, 16 et 17 novembris 1594. Queste due scritture furono ristampate nel 1668 in Venezia dal Pinelli insieme con altre».
27. Pier Francesco Giambullari, Apparato et feste nelle noze del illustrissimo Signor Duca. Copia d‘una lettera di M. Pier Francesco Giambullari, al molto Magnifico M. Giovanni Bandini Oratore dello Illuftrifs. Signor Duca di Firenze appresso la Maestà Cesarea, vol. 1, Firenze 1539.
28. Agostino Cesaretti, Istoria del Principato di Piombino, T.I, Stamperia della Rosa, Firenze 1788, Ristampa a cura della Arnaldo Forni Editore, Vol.93. Cfr. Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857, pag.266. Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici: editi e ineditidi, Note di Scipione Volpicella, Libreria di Dura, Napoli 1870. A.Bascetta-S.Cuttrera, Delitto a Ponte Santa Trinita, l’amato assassinato: Pietro Bonaventura, rivale del Granduca Francesco I de’ Medici, isbn 9788872971833. Cfr. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS. Cfr. Giovanni Battista Adriani, Istoria de' suoi tempi di Giouambatista Adriani gentilhuomo fiorentino. Cfr. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, a cura di Gravier, Napoli 1770. In: Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780. Cfr. Antonio Doria, Compendio d’Antonio Doria delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’Imperatore Carlo Quinto, appresso Antonio Bellone, Genova 1571.
29. Pier Francesco Giambullari, cit.
30. Lorenzo Priuli, cit.
31. Ivi.
32. Ivi.
33. Ivi
34. Corona, cit, pagg.280-330 Cfr. Wikipedia.
35.
36.
37.
38. Relationi politiche diverse di Napoli, Sicilia, Malta, Ferrara, Florencia, Genova, Venecia y Savoya [Manuscrito]; Manolesso Emiliano, Relatione del Eccete. Emiliano Manolesso, ritornato ambasciatore da Ferrara, l'anno 1578.
39. Priuli, cit. Questa voluntà, et animo del Duca verso questa Serenissima Repubblica l’ha confirmato, et sigillato Sua Eccellenza in questa occasione dell’ambasciaria mandatali dalla Serenità Vostra, perché lasciando da canto le poche cortesie usate da lei, et da suoi Ministri il giorno della commedia à nostri gentilhuomini, ne considerando il poco rispetto che hebbero in aprire fiortieri, et far pagar datio d’ogni minima cosa, che è costume più di barbaro, et contra raggion delle genti, non sì usando ne anco nel paese di Turchi questo poco rispetto all’ambasciatori di Principe, lasciando dico queste cose da parte si bene di molta importanza dirò ch’io rapresentante suo non sono stato ricevuto all’audience con quella dignità della Serenissima Vostra, che era obligo suo, perché il Duca così la prima, come la seconda volta udienza mi ricevé nella Camera della Principessa tra le donne, mostrando di stimar tanto poco il favore fattoli dalla Serenissima Vostra, che non occorre ricevere il suo amnasciatore se non in quel luogo, et tra quelle persone, et in un certo modo à caso confirmando anco d’aver stimato poco questa honborata dimostratione della Serenità Vostra con l’havermi solamente accompagnato sino alla porta del camerino dove era la medesima altezza, mostrò il Principe nell’audtienza il quale di più fece che la Principessa, dalla quale io volevo prender licenza mi cambiasse, stando ferma in letto, dove dopo’ desinare s’era posta à dormire, et questo fù ogni segno di honore che mi fù usato dalle loro Eccellenze, et si bene Serenissimo Principe scrissi alla Serenità Vostra, che il giorno, ch’io entrari in Fiorenza fui incontrato da grosse Compagnie di molti nobili della Città da una quantità grande di cavalli con molto honore di questa Serenissima Repubblica, però dopoi fuoi informato in Fiorenza, che pochi furono quelli, che vennero in nome del Duca di Fiorenza, et del Principe, ma che la maggior parte fu di gentilhuomini fiorentini, parte allevati in Venetia, parte dependente da quelli, che habitano in questa città, quali per haver qualche amicitia meco con molti gentilhomini che erano in mia Compagnia fecero quella cortese, et honorata dimostratione.
Questa alteratezza del Duca sarà stimata tanto maggiore dalla Serenità Vostra et dalle Signorie Vostre Illustrissime se considereranno che il Duca non ha avuti ambasciatori in questa occasione di nozze da altri Principi, che dalla Serenità Vostra perché ritrovai il Nuntio di Sua Santità, che fà la residentia, l’ambasciatore di Ferrara, che resiede ordinariamente appresso Sua Eccellenza; Vero è che Lucchesi mandarono un suo ambasciatore straordinario, ma di loro non bisogna tener conto in questo caso, perché sono come sudditi del Duca, ne si ritrovarono altri ambasciatori, nem vi era il secretario del Re di Polonia, il quale quel Re ha mandato alla sollennità delle nozze come.... et più per stimoli del Duca, che desiderio di honorarlo, potendo esser certa la Serenità Vostra, che quel Re non tiene alcun conto del Duca di Fiorenza, tenendone anco poco dell’Imperatore, et della casa d’Austria, con la quale sà molto bene ogni uno che n’è mala intelligenza, si bene sono cognati insieme.
Scrissi alla Serenità Vostra, et alle Signorie Vostre Illustrissime quello che mi occorse in materia del sopradetto secretario, si bene Sua Eccellenza per maggiore sua riputatione voleva che fusse tenuto per ambasciatore, et come fui forzato à fare quanto scrissi non starò hora à replicare il medesimo, ben dirò che nel prender licenza dalle loro Eccellenze; dal Duca non mi fu detta cosa alcuna in questa materia, ma il Principe mi disse che haveva sentito con dispiacere il dispiacere che io haveva havuto con l’ambasciatore del Re di Polonia, ma che però restava sodisfatto di quanto iohavevo fatto, vedendo che il tutto fusse seguito con buon consiglio, et secondo la mente della Serenità Vostra; Io risposit che quel che mi havea mosso à credere, che il gentilhuomo mandato dal re di Polonia fusse secretario, et non ambasciatore, era stato l’haverlo io inteso da molti e massimamente di quelli che havevano vedute le lettere credentuali del suo Re, per la quale relatione havuta le persone degne di fede, mi mossi à afre quanto feci per honore di Vostra Serenità, dovendo ogni buon ministro andar molto cauto, et riservato nelle cose concernente la dignità del suo Principe, non solamente dove si ha certezza, come havevo io, ma ancor dove si dubita, et che dopo’ mi confirmai del tutto nell’opinione che io havevo, quando viddi le lettre credentiali d’esso Secretario, et non ambasciatore, et soggionsi, ch’alla Serenità Vostra bastava haver fatto conoscere al Mondo con questa ambasciaria l’affetione, che portava alla Illustrissima sua casa, et l’osservanza sua verso la Serenissima casa d’Austria, et che medesimamente io credevo che la Serenità Vostra non haveria fatto stima di quello accidente non essendo occorsa cosa che habbia potuto macchiare la sua dignità. Il Principe à queste parole non rispose cosa alcuna con mia grandissima meraviglia, confessando tacitamente l’error fatto dal Duca suo padre, il quale fece tutto il contrario nel caso del Secretario fildel della Serenità Vostra, il quale non volse che comparisse in cerimonia con altri ambasciatori, se non mostrava chiaramente haver titolo d’ambasciatore, et contra quello che il Principe medesimo ha veduto usarsi in Spagna appresso il quale Re, tiene il Re di Polonia un suo secretario, che è persona honoratissima, con grandissima provisione, et honoratissima fameglia, al quale per haver titolo di Secretario non viene dato luogo da alcuno ambasciatore, onde in quella occasione il Duca per dar à se medesimo un poco di fumo ha mostrato di haver poco rispetto alla dignità della Serenità Vostra faendo in un tempo medesimo due errori notabili, uno nel dare al secretario di Polonia titolo di ambasciatore, il quale il suo medesimo Re non gli ha voluto dare, per esser solito a darlo solamente a principali prelati, et baroni del suo Regno, li quali manda a maggiori principi di christianità, l’altro in voler torre il luogo all’ambasciatore della serenità vostra, la quale in questa occasione di nozze haveva mostrato così honorato, et vero segno d’affettione verso Sua Eccellenza; però il Duca con questo atto ha avanzato tutte queste cose, si è mostratl ambitioso, ha mostrato la poca buona mente sua verso questa Serenissima Repubblica, et non ha avanzato cosa alcuna col Re di Polonia; Havendo Serenissimo Principe Illustrissimi Signori parlato dell’animo, che ha il Duca di Fiorenza verso questa Serenissima Repubblica, et finalmente dell’intelligeza che ha con li Re, et Principi d’importanza, et medesimamente della persona del Duca, di quella del Principe, et della loro auqlità, della ricchezza, di suoi sudduitu, delle pubbliche intrate, della militia, così terrestre, come maritima, et fortezza dello stato, Mi pare haver sodisfatto à quanto da principio promessi,se non in quel modo, ch’era obligo mio, et desiderio della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre Illustrissime, al manco in quel modo che ho potuto; Son però sicuro che dove havessi mancato appresso di quelle, mi scuserà il buon animo mio, et la mota sua cortesia, et humanità.
Ho avuto per secretario Messere Francesco Guirardi della sufficienza, et valor del quale la Serenità Vostra è stata più volte informata da molti suoi ambasciatori, che se hanno servito dell’opera della sua persona Io veramente potrei dire con verità molte cose della sua modestia, et sufficienza, et saria obligato di farlo, ma essendo stato tante volte laudato in questo luogo, et essendo ben conosciuto dalla Serenità Vostra, et dalle Signorie Vostre Illustrissime conosco questa superflua fatica, non sapendo aggiungtere alle molti laudi, che li sono state date più volte de prestantissimi, et eloquentissimi senatori, et sapendo anco che per le sue virtù così lui, come tutta la casa sua è molto raccomandata alla Serenità Vostra, et alle Signorie Vostre Illustrissime.
Di me Serenissimo Principe non dirò cosa alcuna si non che havendo servito questa Serenissima Repubblica cin molta affittione, et riverenza, si bene non ho guardato à spesa, ne ad alcun altro mio incommodo per non mancare al debito mio; Conosco non dimeno non haver sodisfatto al molto obligo che io ho alla Serenità Vostra, et alle Singorie Vostre Illustrissime, così in publico, come in particolare, la quale però non sarò mai satio di servire con spendere la facultà et la vita per servitio suo.
40. Ivi, fine a pag.71 v.
41. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS.
42. Ivi.
43. ASF, Mediceo del principato, Lettera di Francesco Babbi da Napoli a Cosimo I del 11 novembre 1549, “L’Ecc. V. mi scrisse pochi giorni sono, che disegnava che io restassi da queste bande, e dovessi seguitar l’Ecc. del Sig. Vicerè nella visita che aveva in animo di far per il Regno. Adesso essendo nato questo accidente della morte del Papa, si può credere che non possi né debbi partir più punto da questa città per qualche mese. Io mi ero stato così con masserizie a costo;e non punto nel modo che vorrei per onore e commodo mio. Adesso avendo presa una casa per un anno, che qui non si danno per manco, e andandoci qualche dozzina di ducati per finirla un poco, desidero che la mi facci grazia di avvisarmi se è della medesima opinione che io resti, acciò mi possi levare da questi interessi, e quietare l’animo per l’avvenire più di quello che ho fatto per il passato. Non prima si intese la morte del Papa, che le strade non solo in questo Regno, ma per tutto fino a Roma, sono rotte di sorte, che è impossibile senza una compagnia almeno di cento cavalli, che si possi andare di qui là, e che già si sono sentiti infiniti danni. Il Sig. Vicerè sta benissimo, e il Sig. Don Grazia differirà la sua gita di Puglia qualche giorno”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
44. ASF, Mediceo del principato, Lettere di Francesco Babbi da Napoli del 16 novembre e 13 dicembre 1549, “Qui si ha per fermo il Cardinale come persona molto vecchia e buona, e senza passioni... Qui si sta aspettando con grandissimo desiderio questa elezione del Papa; e tanto più, poi che si è inteso che il Reverendiss. ed Illustriss. Burgos vi è stato ed è ancora così vicino, che a Dio piacci che sia, secondo che le virtù sue, santa ed ottime qualità ricercano. Il Sig. Vicerè, per la buona speranza che ne tiene, è ringiovanito dieci anni, e sia oggi meglio e più giovane che io l’abbi mai visto poi son qui…”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
45. ASF, Mediceo del principato, Lettera del febbraio 1550 inviata dal Babbi a Cristiano Pagni allegata alle lettere di F.Babbi da Napoli del 16 novembre e del 13 dicembre 1549 che così conclude: “E con questo fine, bacio le mani di V. S., di Messer Lorenzo, del Guidi, di Mess. Angelo e del Grasso”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
46. Beni che dovrà restituire non avendo estinto il debito. Nè pagò i 4.400 scudi per altre 10 case, trasformate in “Casone”, acquistate (1571) di fronte San Sebastiano che appartenevano all’Opera di San Giovanni ed erano amministrate dall’Arte dei Mercanti di Calimala. ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, Convento n. 108, f. 122, c. 44v. Nella filza 121, c. 76v si ricorda che il podere venne valutato al prezzo di fiorini 22 a stioro, per un totale di scudi 2.200; a c. 77v si precisa che «fino a tanto non saranno rinvestiti duemila dugento scudi sia tenuto ogni anno dare al monastero per e frutti cento scudi, et dette monache habino sempre il dominio sopra detti beni sino a tanto non ci ricompensano altrove». Nella filza 122, c 39r «Ricordo come per insino adi 15 d’ottobre 1574 s’è compero 90 colonne di castagno dal Sig.Don Luigi da Toledo, e per lui da Pier Pagni suo agente a y quattro l’una di danari che noi avevamo havere del fitto del giardino, in tutto y 320». A.S.F., Arte dei Mercanti di Calimala, f. 132, cc. 23rv. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
47. G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Milano, 1966, VIII, p. 51; V. anche: A.Rinaldi, Ideologia e tipologia del giardino urbano a Firenze tra XV e XVI secolo: il giardino come rappresentazione della natura e la costruzione della città autre di ordine rustico, in Il Giardino Storico Italiano. Problemi di indagine fonti letterarie e storiche, Firenze 1981, p. 142145; A.Tagliolini, Storia del giardino Italiano, Firenze 1988, pp. 175-176. Cfr. C.Conforti, L’isola nel giardino: genealogie, modellí, archetipi, in Boboli 90 Atti del Convegno Internazionale, Firenze 1991, II. V. anche: A.S.F., Fabbriche Medicee, f. 48 che registra i conti della «Illustrissima Signora Duchessa Signora Nostra», tra i quali figurano quelli occorsi «a1 giardino del Signor Don Luigi di Toledo per servizio di detto giardino» nel marzo-luglio 1562, tutti «su polizza di Bartolomeo Ammannati». In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
48. C.J.H. Sanchez, Los jardines de Nàpoles en el siglo XVI. Naturaleza y poder en la corte virreinal, in: C.Anon, J.L. Sancho, cit., 1998.
49. A.S.F., Mediceo del Principato, f. 327, c. 71, lettera di Cosimo I del 1.9.1562. A c. 90r si conserva un’altra lettera di Cosimo I al Papa datata 2.10.1562, in cui lo informa di una visita di don Luigi. V. anche: G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, Firenze 1924, II, p. 55. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
50. J.L. Sancho, Guida de visita. Real Sitio de Aranjuez, Madrid 1997. V. anche: A.S.P, Real Segreteria, n. 1, 8 gennaio 1573, il contratto è riportato per esteso in S. Pedone, cit., 1986. V.anche: L. Russo, La fontana di Piazza Pretoria in Palermo, Palermo 1961, p. 16; M.C. Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo, Palermo 1984, p. 60. Don Luigi la fece smontare trasportare a Palermo, dove le sculture che la componevano giunsero il 26 maggio 1574 in 644 pezzi, dei quali 112 imballati in 69 casse 21. V.anche: L. Russo, cit., 1961. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
51. S.Pedone, cit., 1986, p. 22, il quale riprende da G.C. Capaccio, Historiae neapolitanae, Napoli 1771. P.Navascues Palacio, La Abadia de Caceres: espejo literario de un jardin, in ‘Jardines y Paisajes en el Arte y en la Historia’, Madrid 1995. Sul basamento della scultura appare la scritta «1555 Franco Camilani Fiorentino opas». Il Navascues Palacio ipotizza l’appartenenza della statua di Andromeda alla seconda fonte realizzata dal Camilliani per il giardino di Firenze. V. anche: Marquesa De Casa Valdes, Spanish Gardens, Valencia 1987. Cfr. V.L.Canal, Los jardines de la nobleza, in: C. Anon, J.L. Sancho, cit., 1998. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
52. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754. Cfr. Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato: Relazioni d'Italia, serie II, Vol.I, Tipografia all’insegna di Clio, Firenze 1839, pag.319.Relazione di Firenze di Messer Vincenzo Fedeli tornato da quella corte l’anno 1561. MSS.
53. Ivi.
54. Eugenio Albèri, Relazione, Firenze 1565.1
55. Lorenzo Priuli, Relationi politiche diverse di Napoli, Sicilia, Malta, Ferrara, Florencia, Genova, Venecia y Savoya [Manuscrito], pag.55. Cap. Relatione del clarissimo Lorenzo Priuli, tornato ambasciatore dal Duca di Fiorenza, indirizzata ai Serenissimo Principe, et Eccellentissimi Signori di Venezia. Così Priuli: - «Sendo nella legatione di Fiorenza commessami per gratia della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre Illustrissime le diedi conto per mie lettere degli offitij fatti, et di tutto ciò ch’all’hora m’occorre, hora per adempire l’ultima parte di essa mia legatione in osservanza dei Santissimi ordini della serenità vostra, è necessario ch’io l’esponga brevemente quel tanto ch’io ho potuto intendere delli stati di quel Duca, delle sue forze, et di tutte quelli altre qualità, et conditioni, che possono venire in consideratione per servitio suo, la qual relatione per nuova, et di nuovo Prencipe, et per continer in se molto gravi considerationi, cossi come sarà alla Serenità Vostra, et alle Signorie Vostre Eccellentissime, per quanto io credo utile, et gratia, così sarà riferito le cose di quel Prencipe in questo luogo, et havedo ancora havuto poco tempo d’informarmee in una cosa ben prometto di sodfisfare cioè nella brevità, perché quanto più succintamente potrò, dimostrerò prima con che forze, et con che consiglio governi S.E. quel stato, poi con considerandolo in rispetto degli altri potentati, discorrirò sopra l’intelligenze che egli ha con gli altri Prencipi, et finalmente sopra la dispositioone dell’animo suo verso questa Serenissima Repubblica».
56. Ivi. Aggiunge che il Duca possiede tutto «lo stato di Toscana cioè la maggior parte d’essa, la più nobile, la più bella, la più ricca, ne voglio qui scendere à raccontare quelle antichità, et particolarità di molte guerre esterne, et civili, et delle spesse mutationi di governo che ha fatto la Repubblica di Fiorenza capo di tutta questa nobilissa Provincia di Toscana, perché si possono leggere questo ndell’Historia, come ancora perché sarebbe cosa di molta fatiga, et de poco frutto in quello che hora trattiamo, essendo le cose ridotti a termine, et à stato molto diverso. Ma volendo parlare solamente della sua difesa, del sito, della grandezza et altre cose fatte qualità».
57. Ivi. «Non starò hora particolarmente à descrivere alla Serenità vostra, per che vi si spenderia molto tempo, et forse con poco frutto, le dirò solamente, che queste fortezze sono tutte imperfette, perché à tale manca il terrapieno, a tal altra le mura, et quale è circsondata da muraglia vecchia, et quale è senza fosso, et da questo Vostra Serenità, et Vostre Eccellentissime Signorie possono far giuditio quanto restano deboli; et imperfette, poiché Fiorenza, che tra l’altre è riputata fortissima, ha anco essa molte di queste imperfettioni, però che è circondata la maggior parte da muraglie vecchie et ha in pochi luoghi le fossi, tal che la Serenità Vostra può conoscere da questo la fortezza del suo stato, poiché vede, che sono stimate quelle fortezze, che per niun conto possono state al paragone delle sue....Tiene poi alla guardia di qualche rocca di Castello dove diece, et dove quindeci fanti, talmente che in queste guardie spende pochissimi denari.
Oltra queste fortezze le quali guardano d’ogni intorno lo stato di Sua Eccellenza; fa il Duca in tempo di guerra una utile provisione per maggiori sicurtà, perché essendo il Sanese paese fertilissimo, et per non dar commodità al nemico di vittovaglie, ordina et fa inviolabilmente osservare, che tutte le biane d’ogni sorte siano condotti nella Città, et luoghi forti, dovendo il contado poi traherne per giornata quella quantità, che fa bisogno, il che si ben torna d’incommodo al contado, e però di gran servitio al Prencipe, et di molta sicurtà allo stato, non lasciando commodità al nemico di vettovaglie».
58. Ivi.
59. Ivi.
60. Ivi.
62. Ivi.
63. Bruce Edelstein, Eleonora di Toledo, Encyclopedia of Women in the Renaissance: Italy, France, and England, eds. D. Robin, A. Larsen & C. Levin, Denver 2007, p. 363. In: Eleonora di Toledo: vita di una duchessa, 31 marzo 2023, I Medici, storia. Cfr. https://www.guide meflorence.com /it/2023/03/31/eleonora-di-toledo/#_ftn1.
64. Bruce Edelstein, Eleonora di Toledo and the Creation of the Boboli Gardens, Livorno 2022, p.30. In: Eleonora di Toledo: vita di una duchessa, 31 marzo 2023, I Medici, storia. Cfr. https://www.guide meflorence.com /it/2023/03/31/eleonora-di-toledo/#_ftn1.
65. Jacopo Giunta, Esequie del divino Michelagnolo Buonarrati: celebrate in Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1875.
66. Domenico Tesoroni, Il Palazzo di Firenze e l'eredità di Balduino Del Monte, Stabilimento tipografico dell’Opinione, Roma 1889.
67.Luigi Tansillo, Capitoli giocosi e satirici, a cura di Scipione Volpicella, libreria di Dura, Napoli 1870.
68. Albéri, Relazioni degli ambasciatori veneziani, Firenze, 1841, in-8°, serie II, vol. II, pag.77.
69. Ivi.
70. Ivi.
71. Anonimo, Cronica di Napoli, d’incerto autore, che comincia l’anno 1452, e fenisce l’anno 1534, In: Alessio Aurelio Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli, vol.I, Perger, Napoli 1780.
72. Ivi.
73. Pompeo Litta, Caracciolo, in Famiglie celebri italiane, vol. 39, Giulio Ferrario Editore, Milano 1837.
74. Marco Donnarumma, Relazione, v. https://trasparenza.provincia.salerno.it/moduli/downloadFile.php?file=oggetto_allegati/202801456290O__Or13_-_relazione_paesaggistica.pdf.
75. V. Corona, cit.
76. Pompeo Litta, Caracciolo, in Famiglie celebri italiane, vol. 39, Giulio Ferrario Editore, Milano 1837.
77. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS originale inedito.
78. Ivi.
79. Ivi. Cfr. Camillo Tutini, Dell'origine e fundazione de'seggi di Napoli, Napoli 1754.
80. Silvio Corona, cit.
81. Ivi.
82. Ivi.
83. Ivi. Cfr.G.B. Adriani, Istoria dei suoi tempi (dal 1536 al 1583), Firenze, 1583. S. Benci, Storia di Montepulciano, Edizioni Lessi, 1896. S. Brigidi, Le vite di Filippo Strozzi e di Piero e Leone suoi figli, Montalcino, 1880. Cfr. bibliografico v. Wikipedia. Cfr. G.Bianchini, Piero Strozzi e la rotta di Scannagallo, Arezzo, 1884. R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1962. G. B. Del Corto, Storia della Val di Chiana, Arezzo, 1898. Cfr. bibliografico v. Wikipedia.
84. Antonino Castaldo, Historia, Gravier, Napoli 1769.
85. Pier Francesco Giambullari, cit.
86. Corona, cit.pagg.163-199
87. Ivi.
88. Ivi.
89. Ivi.
90. Ivi.
91. Ivi, pag.199.
92. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 23, Lettera di Cosimo I al Viceré di Napoli, Fiorenza alli XIIII di Gen.o 1553: “Poi che il S. Don Garzia è già vicino con le genti al Stato senese, si degni far expedir’ in buona forma tale salvaguardia...”.In: Luigi Zangheri, Il giardino dimenticato di don Luigi di Toledo.Da: www.noplan.it. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 49; Governi di città e luoghi soggetti, f. 2634, lettera dell’agosto 1552.
93. Ivi, f. 23, Lettera di Cosimo I al viceré di Napoli, 15 gennaio 1553: “Mando all’Ex. V. Carlo da Spelle curato mio per ottener da lei una salvaguardia generale per tutti e’ bestiami de mia Cittadini et Vassalli che si trovano nel Dominio senese...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit. ASF, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 23, c. 478r., Lettera di Cosimo I da Firenze a Bernardo Giusti a Napoli del 15 gennaio 1553, “La Duchessa et di Cosimo lo fa rimanere ancora al servizio del Vicerè di Napoli e Francesco si procura una casa per un anno...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
94. ASF, Mediceo del principato, Lettera di Francesco Babbi da Napoli del 1° ottobre 1549 a Cosimo a Firenze, “Il Sig. Vicerè si sta ancora con un poca di febbre; e ragiona, come sia guarito, andar a visitare il Regno, avendo gran bisogno della presenzia dell’Ecc. sua; e credo che abbi a esser subbito fatta la festa d’Ognissanti...”. In: L.Zangheri, Il giardino, cit.
95. G. B. Adriani, Istoria dei suoi tempi (dal 1536 al 1583), Firenze, 1583. S. Benci, Storia di Montepulciano, Edizioni Lessi, 1896. S. Brigidi, Le vite di Filippo Strozzi e di Piero e Leone suoi figli, Montalcino, 1880. Cfr. bibliografico v. Wikipedia.
96. G. Bianchini, Piero Strozzi e la rotta di Scannagallo, Arezzo, 1884. R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1962. G. B. Del Corto, Storia della Val di Chiana, Arezzo, 1898. Cfr. bibliografico v. Wikipedia.
97. Antonino Castaldo, Historia, Gravier, Napoli 1769.
98. Ivi.
99. Ivi

Emmanuele Antonio Cicogna, Bianca Cappello: cenni storico-critici, pubblicato in Venezia da Picotti, Venezia 1828, pagg.1-45.

(2) Il matrimonio di Bartolommeo con Pellegrina successe nel 1544, come dalle autentiche Nozze libro mss, di Marco BarbaMarco. L'albero della famiglia Cappello messo insieme da Domenico Maria Manni e inserito nel Codice Marciano dice che Bianca nacque nel 1545. Ma siccome dal registro originale in pergamena degli Avvogadori di Comun, che citerò più abbasso, apparisce che Bianca, quando fuggì, cioè nel 28 venendo il 29 novembre 1563, vix 16 etatis annum contava, così è forza conchiudere che venne al mondo nel 1548. Per la qual cosa sbagliarono quelli che dissero essere Bianca fuggita nel 18, ovvero 19 anno della età sua, oppure nel 20 anno, come segna il Siebenkees (p. 1.); e sbaglid 'poi di molto il Neumann che la fa nata intorno il 1554 (p. 11.)

(3) Così s'esprime Francesco Molin nelle sue memorie manuscritte. p. 74.

(4) La comune opinione è che il palazzo dove nacque Bianca, sia quello ch' era già de' Trevisani, ed oggi della famiglia patrizia Mora, posto nella parrocchia già di s. Giovanni in Olio, ora di s. Zaccaria, sul Rio di Canonica; palazzo magnifico, l'architettura del quale è sullo stile di alcuno della famiglia de' Lombardi o di Guglielmo Bergamasco, e di cui venne intagliato il prospetto nel vol. I, p. 103 delle Fabbriche Venete. É anche opinione comune che i Salviati tenessero il loro banco nella casa dirimpetto di qua del Rio suddetto, oggi abitata da' nobili Sangiantoffetti. Ma questo è un solenne sbaglio: imperciocchè rilevasi dalla querela presentata da Bortolo padre di Bianca, ch'esso colla figlia abitava allora a s. Apollinare al ponte storto (che v'è tutt'ora) e che per dritta linea era posta la casa dei Bonaventuri; da' Registri dell' Avvogaria ricavasi che Pietro Bonaventuri e suo zio Giambatista abitavano nella contrada stessa di s. Apollinare, e che una Marietta, complice della fuga, abitava in domuncula posita in confinio sci Apollinaris apud domum v. n. Bartol. Capello. E solamente nell'anno 1578 Bartolommeo colla famiglia passò ad abitare nel detto_palazzo de' Trivisani, leggendosi in uno de' codici Corraro miscell. fol. a p. 567 la seguente nota: Istrumento di donazione fatto dalla gran duchessa di Toscana Bianca Cappello a 12 maggio 1578 dello stabile in Canonica a c Vettor Cappello di lei fratello. In atti Antonio Calegarini nod. Veneto = acquistato esso stabile dalla sud.a duchessa dal N. H. ç Domenico Trevisan q. c Anzolo K. sotto 4 ottobre 1577 in atti del d. Calegarini nod. veneto. Vedi la nota 36.

(5) Il Sismondi scrive che fuggì nel dicembre 1563. Ma i Registri dell' Avvogaria dicono che nella notte 28 di novembre 1563 evase dalla casa paterna. Può esser peraltro che sia stata nascosa alcuni dì, e che nel decembre a' primi sia di Venezia fuggita. Egli è quindi errore evidente quello del Neumann scrivente che fuggì nell' anno 1573 (p. 21. 31.)

(6) Ciò dice il Sismondi e il Siebenkees (p. 5.) Ma lo nega il Neumann, il quale sostenta che la fuga non fu concertata, ma fu l' effetto di un avvenimento impreveduto, perlochè Bianca non avrebbe avuto tempo di munirsi innanzi delle gioje. Io starei col Neumann, non per questo motivo, giacchè io tengo per una favola l'avvenimento, di cui qui sotto dirò; ma perchè dal titolo delle imputazioni, che vedremo in seguito, non apparisce che al padre di Bianca sieno mancati effetti preziosi.

(7) Questo avvenimento del fornajo è narrato dal novellatore Celio Malespini, che (per quanto so) è il primo a contarlo (Novella LXXXIV. p. 275. tergo. Venezia 1609 4.) Il signor de la Lande nell' Histoire singuliere de Bianca Cappello inserita nel capo XVII. p. 251. del Tomo II del suo Voyage en Italie. Geneve 1790. 8. rinnova questa istoriella appoggiando alle voci del volgo Fiorentino, il quale certamente si rammentò della novella del Malespini. Il Neumann (p. 20. 21.) non presta fede a tal racconto, ma è sua opinione, che Bianca stessa, nel_partire di casa, tirasse a se l'uscio troppo fortemente, e senza avvedersene, lo chiudesse. Ma il Molino che molte particolarità veridicamente registra, non ne fa motto; e poi dalle cose or ora dette nelle note precedenti, dal tenore della querela del padre, che vedremo, e dalli originali Registri dell' Avvogaria, si riconosce chiaramente, che la fuga fu addietro concertata, e non già l'effetto di un impreveduto avvenimento.

(8) Dal Registro Criminale n. XI del Consi glio di X pag. 140, 140 tergo. Anno 1563 die IIII Xbris in cons. X. Che il caso della figliuola del n. homo e Bortholamio Capello. ec. Anno 1563. die vis dicti, in Cons. X. che la querela del n. h. c Bortholamio Capello ec.... contra Pietro e Gio. Batta di Bonaventuri, fioretini (così) et altri complici intervenendo la figliuola del detto e Bortholamio Capello.
Nel Codice Marciano, cavata da carte originali uscite dalla casa Cappel lo evvi copia fedele della querela. Ne ripor to alcuni squarci. Essa comincia.
Sono cosi semp dispiaciute le violentie usate alle case de nobeli et citadini.... perciò confidato io Bth.io Capello brevem.te gli espuonerò non senza lagrime il crudel et atroce caso commesso alla casa mia ppria a meggia notte alli 29 di novemb. passato, che suol ess. refugio securo di cadauno che habita in questa cità p gli sceleratissimi Piero Buonaventuri con cosenso di Gio. Batta suo barba et altri a me incogniti complici, quali havendo una casa alquanto discosta dalla mia, dove habito a s.to Aponal al ponte storto, ma che facilm.te però si puol veder p retta linea p via del canal: questi scelerati et pfidi, havendo io una 'unica figla d'età d'ani xv3 in c.a con mali et detestandi muodi a tempo di notte sono intrati in casa mia et condutta via la fig. in ca¿sa soa et poi strabalzata (cioè passata da un uogo all' altro per nasconderla) et rubbata all'altro con grandiss. offesa et vgogna di tutta casa, mia... domanda che sieno banditi i due rapitori, colla taglia solita, e che la figla. sia ritornata et reposta in un monasterio de questa cita.
Avvi poi una giunta alla querela, ed è:
Per dar sazzo a V. Ecc. S.rie che gli nominati nella querela siano colpevoli intendo giustificar qualmente Gio. Batta di Bonaventuri fator di fiorentini ha confessato come lui s'era accorto che piero suo nepuote faceva l'amor all'infelice mia figla et che avendolo mandato via, si come lui asserisse p questa causa, dapoi l' habbia ritornato a pigliar in casa et tenuto p alquanti giorni fin al tempo ch' è stà strabalzata et che lui era conscio che detto piero suo nepuote l'haveva menata da Andrea Fiorelli fiorentino sansar de cambij; dandone speranza per intenerirmi de farne haver la putta nelle man, et ultimamente ha fatto intender che la putta era tre miglia lontan da Ferrara.

(9) Tutto ciò si ricava dagli originali Registri dell' Avvogaria, le cui interessanti parole io voglio qui riportare al solo oggetto che si conoscan le precedenze, e che la fuga non fu un pensiero del momento, ma cosa concertata in conseguenza de' primi falli.
Anno MDLXIII die III ianuarii. Petrus de Florentia nepos Joannis Baptistae de Bonaventuris Florentini solitus hic venetiis cum ipso habitare in confinio sci apollinaris absens. In quem per contrascriptos D. Advocatores in contrascripto cons. XL. crimin. processum fuit uti culpatum quod fuerit adeo insolens et temerarius quod nullo respectu venetae nobilitatis sciens Blancham filiam v. n. c. Bartholomei Capello opulenciae non mediocris heredem esse, et propterea reputans haec bona in sua potestate se habere posse si puellam ipsam aliqua ratione falleret, ausus fuerit dum prius ipsam vix 16 aetatis annum agentem modis pluribus fallaciisque variis decepisset, ex domo primum eius patris nocte sequenti diem 28. novembris prox. praeteriti secumq. postea e venetiis quo sibi libuerit abducere, ita contaminando p.ti v. nob. sanguinem et domum; haec scilicet perpetrando contra leges ac bonos civitatis mores, et in contemptum domus et familiae predict. nobilis viri; ob quod crimen cum p.us Petrus diligenter prius conquisitus comprhedi non potuisset ec. segue il bando colle solite forme, chiudendosi : et si ullo unquam tempore captus fuerit conducatur Venetias ubi die et hora solita in medio duar. columnarum super solario eminenti per ministrum justitiae sibi caput a spatulis amputetur ita quod moriatur ec... Eadem die 3. januarii 1563. Constitutus in off. v. n. c. Bartholomeus Capello q. d.mi K. Hieron.mi adnotare requisivit qualiter ultra taleam imponendam per ex.mum Cons.m de XL. ad crim. contra Petrum Zanobii de Bonaventuris Florentinum proclamatum et absentem imputatione abductionis Blanchae ejus filiae promittit dare in prompta et numerata pecunia omni exceptione remota cuilibet personae quae consignaverit in vires justitiae vel interfecerit praedcum Petrum etiam in terris alienis, facta fide legitima de interfectione per fidedignas personas, libras sex mille parvorum ultra alias taleas de propriis ejus bonis.
E fu pubblicato il bando a' di genn. 1563 (cioè 1564) sopra le scale di Rialto ec. come a pag. 75 tergo delli Registri Raspe dell Avvogaria nell' anno suddetto in pergamena in fol.
Die XX. septembris MDLXIIII. Joannes Baptista de Bonaventuris Florentinus habitator venetiis in confinio sancti Apollinaris; Joannes Donatus de Longhis et Cittadella sensarius; Joanna ejus uxor; Marietta uxor Hieronymi barcarolí: et Maria filia p. Joannis Donati de Longhis... quod viderentur opitulati eidem Petro ad ea quae fecit facienda fuisse ec.
E’ questa una lunga sentenza contra le dette persone imputate di ajuto prestato al delitto. Vedesi che Giambattista Zio, Pietro, e Giovan Donato de Longhi morirono in carcere prima della espedizione del processo; e che le tre donne, sebbene poste a tormenti, non avendo confessato, e non essendovi prove a lor carico, furono sciolte dal carcere e dichiarate innocenti. Il titolo della imputazione è steso quasi colle stesse parole del sopraddetto; ma però più particolarmente è descritta la imputazione di Maria figlia di Gian Donato;
uti culpata (si legge) quod fuerit adeo perfida et temeraria quod dum esset ancilla in domo v. n. d. Bartol. Capello ausa fuerit ad instantiam Petri de Bonaventuris filii Zanobii Florentini ut ejus animum et libidinem expleret laeno cinium praestare in fallendo et ad id alliciendo Blancham filiam prdict. v. nob. ex quo ipsa Blancha non solum habuit rem cum praedicto Petro sed etiam cum ipso ex domo ejus patris et e venetiis aufugit ec.
come a pag. 131. tergo 132. dello stesso Registro Raspe dell'Avvogaria all'anno 1564.

(10) Una mia cronaca mss. del secolo XVI alla fine scrive di Bianca:
si partite di Venetia vittuperosamente bandita, che se la veniva fusse fatta morire.
Ciò conferma anche il Molin nelle sopraindicate Memorie mss. a pag. 74, e lo dicono gli scrittori e lo stesso Siebenkees p. 6, e 20; il qual ultimo a p. 5 aggiunge che le furono confiscati li sei mila ducati. Io però ne'detti Registri delle Raspe non ho trovato il bando di Bianca, la quale certamente deve essere stata processata, ed è probabile che una sentenza sia nata anche contro di lei, sebbene il padre suo, come vedemmo nella nota 8, non abbia richiesto se non che venisse posta in un convento. Ma gli atti del Processo per indagini fatte non si trovano, e il motivo il vedremo di seguito.

(11) Siebenkees, p. 11. 19. 20. 21.

(12) Intorno all'epoca certa dell' ammazzamento di Pietro varie sono le opinioni. Il Sismondi il dice avvenuto nel 1570. Il Neumann nell' agosto o settembre 1574. Il codice Marciano nel principio lo pone nel 28 agosto 1572. La Cronaca mss. di Valerio Rinieri citata nel codice Marciano, dice nel 1576 a 20 di agosto la mattina sul far del giorno. Siebenkees nella notte 21 dicembre 1569 (p. 29. 30. 31.)

(13) Siebenkees, l. c.

(14) Sanseverino, p. 96.

(15) Siebenkees p. 57. 58. 59. Il Rinieri nella cronaca citata dice che del 1578 al 10 aprile mori Giovanna; gli altri scrittori però dicono agli undici di quel mese; piccolo divario, perchè sarà forse la morte succeduta la notte del 10, venendo l'undici aprile.

(16) Nel codice Marciano si riporta copiato dall' originale l'atto in cui il Francescano frater Masseus Antonii de Bardis fa fede qualmente die V. iunii MDLXXVIII in majori palatio tanquam parochus fu presente al le nozze contratte tra Francesco e Bianca alla presenza de' testimonii frate Nicolò a Cortonio francescano e D. Pandolfo di Alberto de' Bardi; e l'atto stesso colla stessa data è confermato nel pubblico latino istromento erettosi nel 12 ottobre del vegnente anno 1579 per gli solenni sponsali, che nello stesso Marciano codice precede in copia il detto atto. Cosicchè non essendovi dubbio sulla data 5 giugno 1578, sbagliaron quelli che assegnano allo sposalizio di Francesco l' anno 1579. 5. giugno, fra'quali lo stesso Siebenkees (p. 68. 69) che scrive essere segui to clandestinamente in occasione di una malattia di Francesco, nella quale Bianca lo assisteva. Il Sismondi segnò giustamente l' epoca suddetta 5 giugno 1578. La nuova però sembra non essersi pubblicata che nel giugno del seguente 1579, trovandosi nel Rinieri: 1579. 3. giugno. Viene nuova come don Francesco de Medici G. D. di Toscana ha sposata la sig. Bianca Capello Veneziana prima sua concubina; ed essendo corse in quel mese ed anno le lettere di partecipazione come qui sotto vedremo.

(17) Ne registri secreti del senato N. LXXXII agli anni 1579 1580, sotto il dì XVI. giugno 1579 a p. 50 tergo evvi il decreto, in cui: essendo piaciuto all'ill. et ecc. sig. Granduca di Toscana di eleggere per sua moglie la s.a Bianca Capello gentildonna di casa nobilissima di questa città ornata di quelle pclarissime et singolarissime qualità che dig.ma la fanno di ogni gran fortuna... si ordina che sia creata vera et particolar figliuola della repub. Sotto il di XVII. giugno 1579 a p. 31. 31. tergo, e 52 sonvi: Due lettere di risposta del senato al Granduca e alla Granduchessa, i quali avevan participato il loro matrimonio alla Repubblica; il decreto con cui l'ambasciatore Mario Sforza è presentato di una cathena d' oro de valor di mille scudi; e il decreto con cui Bartolommeo e Vittorio vengono creati cavalieri. Nelli codici Marciano, Rossi, e Corraro trovansi in copia le lettere del Granduca e Granduchessa l'una e l'altra in data 10 giugno, e altre lettere relative all'avvenimento. Siebenkees (p. 73) sbagliò nel porre sotto il mese di Luglio anzichè di Giugno la data delli suindicati decreti.

(18) Ciò testifica il Molin nelle Memorie mss. p. 74 e segg. che descrive l'addobbamento del palazzo Cappello, ed osserva qualmente in questa occasione fu dato a vedere al mondo quanto gli huomini siano facili in seguir la ruota della prospera fortuna, perciocchè quando questa gran donna (Bianca) era in pouero stato e fuoruscita i suoi più congiunti negavano n'anco conoscerla, o haverla mai conosciuta, et a questo tempo per trouar parentella li huomini investigavano fin li ottavi e decimi gradi.

(19) Nella Filza Parti secrete del Con. di X si legge quanto segue in un foglio volante: 1579. 23 zugno in Zonta. Che sia commesso alli avvogadori nri de Comun che facciano. depennar dalla bergamina del loro off." le sntie del cons.° nro de XL al crim. delli 3 gennaro 1563 e 20 sett5 1564 nelle quali e nominata la nob. do. Bianca Capello de c.. Bort. hora granduchessa di Thoscana si che non si possano legger, et parim.te le facciano depenar de ogni altro loco oue se ritrouassero et il processo, ouer processi in tal materia formati siano portati alli capi di qsto cons.° da quali siano imm.te posti nel casson di esso Cons.° de onde non possano in alcun tempo esser cavati se non con tutte le ballotte di qsto Cons. In fatti gli Avvogadori obbedirono al Decreto; depennarono dai soprariferiti Registri delle Raspe a pag. 75 151 152 anno 1565-1564 alcuni passi che riguardavano specialmente i titoli delle imputazioni, e i nomi di Bianca e di Bartolommeo, e scrissero in margine Decreto Cons. X depenata accepto processu. Ma siccome questa cancellazione non fu fatta abradendo col ferro le linee, ma solo con altra penna ed altro inchiostro, non già imbrattando di tutto nero le parole, ma alterandole solo di aspetto e di forma; cost mercè la bravura e il fino occhio del paleografo nob. sig. Marco Solari si son potuti leggere indubbiamente i passi depennati, e son quelli che ho nella nota 9 riportati. In quanto agli atti del processo, inutili furon le indagini per rinvenirli.

(20) A pag. 55 t. de' Registri secreti del Senato n. LXXXII anno 1579-1580 sotto il dr 6 di ottobre 1579 avvi lettera agli ambasciatori suddetti Antonio Tiepolo, e Gic. vanni Michiel con cui per accondiscendere al desiderio delle loro altezze che nella ceremonia dello sposalizio sia dagli ambasciatori veneti posta in testa alla Granduchessa una corona ducale in segno ch'ella sia vera figliuola della repub. nra secondo che fu già creata et dichiarita dal senato nro, ordina che uno di essi debba pubblicamente porle in testa una corona ducale dicendo con voce alta che sia in segno ch'ella è vera et particolar figliuola della rep. pra. E a p. 56 evvi giunta di lettera agli ambasciatori in cui loro s' inculca che debban dire le parole predette con voce cosi alta che siate ben intesi dalli circonstanti et però le direte a tempo che non siate impediti da strepiti, da trombe, o d' altro. Da ciò apparisce che Bianca fosse incoronata solamente come figliuola della repubblica, e ciò tanto più viene confermato dal sapersi che prima che avesse principio la solennità il Nuncio del papa fece una protesta supponendo che si volesse coronar Bianca a Granduchessa di Toscana; ma venne assecurato che si coronava unicamente come figliuola della repubblica (Siebenkees p. 85, 84). Peraltro il Rinieri nella cronaca mss. scrive che del 12 ottobre 1579 Bianca Cappello fu coronata G. D. di Toscana in Firenze; tutti gli scrittori le danno il titolo di Granduchessa; e il Molino nelle più volte ripetute sue Memorie dice che fu anco solennemente coronata in gran duchessa di Toscana. Ha poi sbaglia. to di grosso il sig. Sanseverino il quale a p. 115 narra che gli ambasciatori veneti fecero leggere ad alta voce il Diploma che dichiarava Bianca Capello Regina di Cipro, e che Antonio Tiepolo (il Siebenkees dice il Michiel) a nome del senato le pose pubbli camente sul capo la corona di quell'isola proclamandola legittima reiná. Lo sbaglio nel Sanseverino provenne dallo avere storpiate le parole del Sansovino ch' egli medesimo riporta a p. 147. nota XX, cioè che gli ambasciatori dichiararon Bianca figlia adottiva della signoria di Venezia con l'esempio di Caterina Cornaro gentildonna Veneziana e Regina di Cipro.

(21) Il Siebenkees dice malamente che seguì l' incoronazione nel di 13 anzichè 12. Vegga si il Gualterotti che tutta la solenne funzio ne descrisse ( Feste ec. Giunti 1579, p. 7. ) Vari poi sono i libri in così solenne occasione pubblicati, come può vedersi nella Se rie sopracitata del Moreni a p. 143, 158, 171, 257, 536, 557. Io noterò che anche il veneto cittadino Agostino Michele dedicò il Trattato della grandezza dell'acqua e della terra (Venezia 1585, 4) al Gran duca Francesco rammemorando le nozze sue sempre felici et gloriose, e dolendosi di non poter essere stato anch' egli presente alla splendidezza degli apparati, e alla magnificenza delle feste, delle quali rendeva in Venezia testimonianza fragli altri Pietro Badoaro celebre orutore che v'era intervenuto, e che tanto era di sua altezza servitore, quanto del Michele gratioso padrone.

(22) Siebenkees p. 83.

(23) Era costume che gli ambasciatori dovessero chiedere al senato la grazia di poter trattenere e godere de' doni lor fatti da' Sovrani presso cui erano stati. Ma in questa occasione, avendone essi chiesto la permissione, fu a maggiorità di voti rigettata la domanda, come risulta dalla Parte 9 novembre 1579, e dalle Memorie del Molino, il quale conghiettura ciò essere avvenuto perchè que sta lor legatione fu fatta con pochissimo dispendio; conghiettura però differentemente il Siebenkees ( p. 84 ) che, cioè, abbia voluto per tal forma la repubblica mostrare la sua disapprovazione della condotta tenuta dagli ambasciatori, forse perchè avevan dato troppo peso alla protesta che avea fatta il Nuncio del papa e che abbiamo accennata nella nota 20.

(24) Frate Geremia da Udine nominato dal Siebenkees, che tutta questa storia narra a p. 103, 104, 105, altri non è certamente se non se Geremia Bucchio da Udine minore conventuale, uomo di pronto e fervido ingegno, vissuto dopo la metà del secolo XVI, protetto dal Gran duca Francesco, e dalla Granduchessa Bianca; che fu più d'una volta carcerato, e che mort del 1587; del quale siccome autore di varie opere impresse estese un articolo il Mazzuchelli nel vol. II. par te IV. pag. 2261 degli Scrittori d'Italia.

(25) Le cose in aggravio del Cappello narransi pure nel codice Rossi, ed altre trufferie a suo carico si aggiungono. Il Molino nelle sue Memorie scrive, che Vettor Cappello era ammesso persino nei più secreti consigli di stato con sua grande riputazione et aspettazione di honorata riuscita... Ma questi favori si raffreddarono nel Gran duca pochi mesi dopo, e di modo che fece ritornare Vettore a vivere in Venetia; non si sa di certo che ne fusse cagione. Fu detto che per pro cedere egli con qualche gonfiezza vedutosi in tale stato donasse materia di farse odiare dai grandi e consiglieri di quel principe et a ció l' inducessero Altri conoscendolo prudente e co tesissimo imputano alla mutabilità della volontà di quel principe sottoposta come sono quelle di quasi tutti gli huomini grandi a facilmente passare dall'amore alla satietà e rincrescimento.

(26) Nel mss. Rossi Bianca dipinta viene con assai cattivi colori: Ella haveva sempre attorno una combricola di gentaglia ordinaria, anzi abominevole come Ebrei, fattucchieri, distillatori, indovini, e fra le altre una Giudea famosa, la quale non piaceva punto a veruno, anzi si bisbigliava che si stud.assero incantesmi, e fatture et imbrogli per mantenersi l'affetto del marito et il predominio sopra di esso, e certasse il modo di far figliuoli ec... Dice poscia: Altro di laudevole non si trovò haver fatto questa gran duchessa se non d'aver lasciati scudi mille annui d'entrata sul monte delle Graticole ai frati di s. Francesco delli zoccoli, da ripartirsi in beneficio di tutti i conventi della Toscana dove siano religiosi di detta regola. Col mezzo di Bianca gli ambasciatori Veneziani, che tornavan da Roma nel 1585, poterono passando per Firenze avere molti colloquii col Granduca onde levare i dispareri che erano tra esso e la Repubblica per la troppa licenza delle galere Toscone divenute infeste al commercio Veneto; di che vedi il Ridolfi Sforza nella vita di Iacopo Foscarini p. 165. 106, ediz. 1624.

(27) Ho veduto i seguenti libri ad essa dedicati:
1. Discorso dell' eccellentiss. filosofo m. Francesco de' Vieri cognominato il secondo Verino intorno a' Dimonii volgarmente chiamati spiriti. Alla molto ill. e clariss. signora la s. Bianca Cappello gentil donna viniziana. In Fiorenza appresso Bartolomeo Sermartelli. MDLXXVI. 8. L'ignoto traduttore è quegli che fa la dedicazione alla Cappello.
2. Trattato della Natura degli Angeli del R. M. Giovan Maria Tarsia. In Firenze nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli . MDLXXVI. 8. Alla clarissima e magnanima signora la sig. Bianca Cappello gentil donna Viniziana. Dalla lettera di dedicazione ch'è di Venezia alti 20 di ottobre 1575 vedesi che il prete fiorentino Tarsia era familiare di Vittorio fratello unico di Bianca che viene dal Tarsia lodato come dottissimo in ogni qualità di lettere; e che era in qualche considerazione appresso Bernardo vuol dire Bartolommeo) di presente posto al reggimento della città di Treviso, padre di ambidue.
3. Tredici canti del Floridoro di mad. Mo derata Fonte alli sereniss. Granduca et Granduchessa di Thoscana. In Venetia MDLXXXI. 4.
4. Venetia città nobilissima et singolare, descritta in XIII libri da m. Francesco Sanappresso Iacomo Sansovino. In Venetia no. MDLXXXI. E dedicato alla serenisima signora Bianca Cappello de Medici gran duchessa di Toscana.
5. Discorso dell' Alicorno dell'eccellente medico et filosofo m. Andrea Bacci ec. Alla sereniss. sig. Bianca Cappello de Medici gran duchessa di Toscana. In Fiorenza appresso Giorgio Marescotti MDLXXXII. 8.
6. Girolamo Borro Aretino del flusso e reflusso del mare et dell' inondatione del Nilo. La terza volta ricorretto dal proprio autore. In Fiorenza nella stamperia di Giorgio Marescotti. MDLXXXII. 8. Questa terza edizione è dedicata alla Cappello.
7. Il Marte di m. Vicenzo Metelli Giustinopolitano, ove sotto bellissime favole et inventioni si descrive tutta la guerra di Cipro, ec. In Venetia appresso Sgualdo Venzoni. MDLXXXII, 4., ottava rima, dedicato alla sereniss. signora Bianca Cappello, moglie del serenissimo gran duca di Toscana Francesco de' Medici.
8. Sperone Speroni ha degli Sciolti in laude della nostra Granduchessa, i quali leggonsi a p. 549 e seg. del T. IV. delle Opere di lui. Venezia 1740. in 4.o
A questi libri aggiungansi altri diretti alla Cappello e registrati dal canonico Moreni nella Biografia storica ragionata della Toscana. Firenze 1805. 4. e nella Serie d'autori di opere risguardanti la celebre famiglia Medici. Firenze. Magheri 1826. 8. pag. 87.
E qui poi è ad osservare che tanto le dedicazioni del suddetto libro intorno all Alicorno ove parlasi anche delle molte virtu sue contro a' veleni; quanto la dedicazione del libro del Vieri, che il traduttore dice degno cibo del bello spirito di V. S., danno molto peso alla fama che aveva Bianca di andar dietro a' prestigi, come accennammo nella precedente annotazione 26.

(28) Pierantonio Serassinella vita di Torqua to Tasso (Bergamo 1790 vol. I. p. 78) dice che in una raccolta di Rime e Prose del Tasso impressa in Venezia nel 1583 in 12 erano state inserite alcune espressioni che sembravano ingiuriose alla casa de Medici; il perchè se n' era fatto un grande carico al poeta; ma il Granduca Francesco avendo veduto che da quelle parole argomentare non si poteva nel Tasso veruna malignità o cattivo animo contra la real casa, non fece alcun risentimento, ma diede anzi segni di avere in protezione il Tasso; e la Granduchessa Bianca sovvenne il poeta di parecchi scudi. Dice poi a pag. 159 che essa gli regalò una coppa d'argento, e ciò fu ne' primi mesi del 1587; che in lode di lei il Tasso aveva scritti de versi (pag. VII), e aveale dedicato il Dialogo ove si ragiona della pace il quale fu molto aggradito dalla Granduchessa (T. II. p. 84). Il Siebenkees (p. 121. 122. 123.) narra allo incontro, che del 1585 Bianca pregava inutilmente perchè Torquato Tasso venisse in grazia del Granduca, il quale se n' era corrucciato tanto per le questioni di precedenza insorte tra il Granduca, e il duca di Ferrara fin dal 1562 nelle quali il Tasso aveva preso il partito del duca, quanto per li discorsi e per gli scritti in cui attaccava la casa de Medici; anzi essendo insorta contro il poeta l' Accademia della Crusca, e avendo egli procurato col mezzo di Bianca che il Granduca gli fosse favorevole nel giudizio che l' Accademia doveva sul di lui poema proferire, Fran cesco colse quest' incontro per vendicarsi del misero poeta, eccitando segretamente l' Accademia a procedere con tutto il rigore, come in fatti addivenne, essendo stato severissimo il giudizio proferito contra la Gerusalemme. Non sembra peraltro vero ciò che qui narra il Siebenkees su questo proposito, imperciocchè il Serassi prova essere cosa indubitata che Francesco fece sempre molta stima del Tasso, e che precedentemente a quest'epoca aveva mostrato grandissimo desiderio di averlo alla sua corte ; e conchiude che appunto perch' era favorevole al Tasso non deve essere piaciuta a Francesco la dedicazione che l'Infarinato ad esso Granduca fece nel detto anno 1585 della Risposta all'Apologia del Tasso: Vedi il Serassi nella citata vita. Tomo I. p. 255. 254. 247. 249. e Tomo II. p. 102.

(29) Questa notizia si ha in una nota pervenuta al raccoglitore del codice Marciano da parte di Domenico Maria Manni con lettera 9 luglio 1768; e si legge anche a p. 199 della Serie d'autori di opere sulla casa Medici compilata dal canonico Moreni.

(30) Varie sono le opinioni circa il punto della malattia e della morte di questi principi. Il Siebenkees dice che il Granduca cadde malato nel 13 ottobre, e che mori nel 20 dello stesso mese, d'anni 47. Il Sismondi scrive che si ammalò nell' 8 ottobre, e che mori nel 19 di quel mese all' ore quattro della mattina. Il Muratori negli Annali dice che mori appunto nel 19 ottobre ma alle 5 di notte. Bianca poi, giusta il Siebenkees (p. 155), si ammalò due giorni dopo il principio della malattia del Granduca, e mori diecinove ore dopo il marito, nel 45 anno dell' età (errore perchè ne aveva solo 59 circa ). Secondo il Sismondi, Bianca mancò nel 20 ottobre alle tre ore dopo il mezzo giorno ; e nel giorno 20 anche il Muratori pone la morte di lei, quindici ore dopo quella del marito. Il Neumann dice che in un medesimo giorno cessaron di vivere, il Granduca undici ore prima della moglie, secondo la lettera mss. di Gianvettorio Soderini del 21 novembre 1587, riportata in parte dal Tomitano nella sopracitata sua novella; non pare poi vero che in un medesimo giorno cadessero ammalati, come vorrebbe far credere quella stessa lettera. Oltre il Soderini ricordato anche a p. 525 della Serie del canonico Moreni, vi è anche il libro la Reale Medicide che parla della morte di Bianca e del gran duca. Vedi il Moreni p. 71.

(31) V'è chi ne dà la colpa al cardinal Ferdinando, e chi la dà alla Bianca. I primi narrano, che al Granduca Francesco piaceva una certa torta, che Bianca di sua mano era solita lavorare, e ciò era noto al cardinale Ferdinando. Tornati i principi dalla caccia, fu imbandita una lauta cena, nella quale venne portata la solita torta, ma lavorata da' cuochi, e non da Bianca che n'era stata impedita. Bianca sempre in sospetto, ne offerse prima al cardinale; questi che sapeva di che cosa era composta, la rifiutò. Il Granduca ignaro ne mangia, e Bianca quasi costretta dall'esempio del marito ne assaggia pure. In breve, il veleno cominciò ad operare, esenza ajuto di medici e di rimedii, che furono a bello studio, dicesi, allontanati dal cardinale, entrambi i principi si morirono. I secondi allo incontro dicono, che Bianca aveva invitato il cardinale alla caccia, poi alla cena; ch' essa lavorò la solita torta mescolandovi il veleno; che in tavola ne offerse prima al cardinale, il quale sospettando di ciò che era, la rifiuta; che il Granduca, insciente di tutto, ne mangia; e che allora Bianca, vedendo il colpo fallito nè volendo palesare il tradimento, ne assaggiò francamente; sicchè ambedue morirono. Il Muratori dice che altri credettero che Francesco svaghito di Bianca si perdesse in altri amori e che Bianca per vendetta gli desse il veleno ; ma che scoperto il delitto, anch'ella per la stessa via fosse fatta morire. D'altra parte Pierantonio de' Conti Gaetani nella illustrazione del Museo Mazzuchelliano (p. 596. vol. 1.) ap poggiando alle lettere del Nunzio Apostolico ch' era a quel tempo presso la corte di Firenze, fa credere non essere per modo alcuno ben fondata la morte che vuolsi per cagion di veleno succeduta; e in uno de' Codici Corraro (in fol. a p. 168) leggendosi una relazione intorno alla morte di questi signori, in essa non si attribuisce menomamente a veleno la morte loro. Vi si legge in fatti che il Granduca nel dì 8 ottobre 1587, tornato dalla caccia stracco, e sudato fu assalito da febbre terzana spuria; che nel 12 ottobre gli vennero due terzane doppie; che poi tanto crebbe il male, non volendo egli alcun medico al letto, che a' 19 di ottobre alle ore 5 della notte morì; che a'12 del detto mese s'ammalò Bianca, e che a' 20 all' ore 16 circa morì anche essa. Si è detto di sopra essere opinione che il cardinale allontanasse a bella posta i medici dal letto del fratello; ma dalla detta Relazione raccogliesi che il Granduca stesso volle morire senza il loro soccorso. Conchiudiamo però che la causa vera della morte è incerta, e che, siccome dice il Muratori, quanto è facile al popolo il voler entrare nei segreti labirinti de' principi, altrettanto è facile in tali casi l'ingannarsi.

(32) Nel Siebenkees p. 155, e così pure nella lettera del Soderini citata dal Tomitano.

(33) Così il Siebenkees. p. 161.

(34) Tanto nelle Notizie premesse al codice Marciano, quanto nell' Albero steso dal Manni, nell' estratto della Cronaca Rinieri, e nel Siebenkees (p. 6. e 155 ) si legge che Bianca ebbe dal Bonaventuri cotesta unica figliuola, nata poco dopo che era la madre giunta a Firenze. Nel Codice Rossi n'è trascritta la fede di nascita con queste parole: Pellegrina di Pietro di Zanobbi Bonaventuri, popolo di san Marco, nata li 25 di luglio 1564 a ore XI, compare messer Camillo di Matteo Strozzi, e Gio. Batta di Filippo Gondi. Abbiamo nel Rinieri: 1578 25 febb. Bianca Capello insieme con Pellegrina sua figlia sposa di Ulisse Bentivoglio Manzoli arrivano in Bologna il di suddetto, le quali sono incontrate da gran nobiltà della città si di cavalieri che di dame per rispetto del Gran Duca di Firenze, per esser la detta Bianca sua cosa. Alloggiarono in casa Bentivoglio: Francesco de' Vieri detto il Verino secondo dottore e lettor pubblico della filosofia ordinaria e cittadino fiorentino dedicò all' illustrissima signora Pellegrina Cappello Bentivogli il suo Discorso della grandezza et felice fortuna d'una gentilissima et graziosissima donna, qual fu M. Laura. In Fiorenza appresso Giorgio Marescotti. MDLXXXI. 8. e lo stesso de' Vieri dedicò ad Ulisse Bentivoglio marito di Pellegrina il libro: Lezione dove si ragiona delle idee et delle bellezze (In Fiorenza appo il sud letto 1581. 8.) Cesare Rinaldi Bolognese ha dedicata la Parte terza delle sue Rime alla ill.ma et ecc.ma sig.ra Pellegrina Cappello Bentivoglia. ( In Bologna per Vittorio Benacci 1590. 12); e Girolamo Brusoni fralli suoi Romanzi, ne ha uno intitolato la Fuggitiva, nel quale sotto finti nomi si contiene la istoria della vita e morte di essa Pellegrina: Della Fuggitiva di Girolamo Brusoni libri quattro. Terza impressione tratta dall' original dell' autore con le massime amorose, sentenze, e concetti notabili di quest'opera non più stampati. In Padova MDCLII appresso il Baruzzi il quale dedica il libro a donna Lucia Maria Brusoni. 12.

(35) Nella notte 29 agosto 1576 Bianca simulo di avere partorito un figliuolo maschio che da una donna del volgo era stato messo al mondo il di precedente, e lo acclamò proprio figliuolo, e del Granduca Francesco, facendogli porre nome Antonio. In cotesta astuzia ebbe l'aiuto di Giovanna Santi di lei cameriera (chi sa che questa Giovanna non sia colei che a Venezia fu una delle complici della fuga? Il cognome è anche Veneziano); la qual Giovanna ella poi mandò a Bologna insieme colla vera madre del fanciullo, onde togliere due testimonj dell' inganno. Dicesi (ma non è in modo al cuno provato) che Bianca abbia fatto perire altri ch' erano a parte del segreto. Vedi Sismondi; Neumann; e Siebenkees p. 46, 47, 48.

(36) Scrive il Molino nelle già citate Memorie inedite che Bianca mandò al padre qualche mese innanzi (il suo matrimonio col Granduca) acciò ne facesse investita molti migliaja di ducati, coi quali egli comperò le case de' Trivigiani nel canal del Palazzo Ducale, quali e per e per l'architettura e per il sito e per i molti marmi ascenderono ad un importante valsente (vedi la nota 4). Riflette indi oppor tunemente lo stesso storico, che e per li detti danari, e per li molti doni principeschi da Bianca fatti a Bartolommeo (il quale già molto tempo addietro pacificatosi con essa era più volte stato a Firenza presso di lei) egli era assai biasimato in Venezia parendo a tutti che il commercio della casa (Cappello) con quel principe (Francesco) fosse per causa disonesta e turpe, e seben di grand' utile e forse ad altri d'honore, con tutto ciò non conveniente alla grandezza dell' animo d'un generoso nobil Venetiano che ha il suo fine sol nella vera gloria la quale pol bruttar un sol punto; il perchè quantunque Bartolommeo fosse venuto da Trevigi, ov' era stato podestà, pure il maggior Consiglio nol volle ammettere nel senato, anzi i voti furono sempre così pochi, che non era alcuno che non s'accorgesse della cagione, e tanto più quanto che per lo addietro era negli onori sommamente favorito.

(37) Siebenkees p. 155. 156.

(38) Col permesso del possessore, il nob. Domenico Gritti mio amico intelligente cultore della pittura, a mia petizione, trasse un fedele disegno di questa medaglia, che inciso dal giovane Antonio Nani di Alano allievo della nostra Accademia ho premesso a que-· sti cenni.

Omissis aliis. Questa città è molto sollevata.
Si querelano generalmente del Governatore, e dicono che si fanno dimolti inconvenienti; e per questo gli Nobili tutti questi giorni sono stati insieme per mandar un loro ambasciador a S. Maestà, e non hanno mai potuto eleggerne uno a lor modo, e ne cercano uno che sia uomo da bene e sincero, e che faccia solo il ben communo, e che dica il vero del tutto; ed il Virrei, per quanto intendo, vorrebbe che se ne eleggesse uno a suo modo, e che fusse in suo favore: a tale che non lo hanno potuto mai fare, chè sempre ci è nato qualche particularità.
Perchè questi gentil'uomini sono divisi in dui parte: una parte tengono dal Sig. Virrei, e l'altra non vorrebbono che stesse qua S. Ecc.; a tale che le cose stanno ancor cosi abbotinate.
Poi, per la nuova pramatica che S. M. ha mandato qua sopra gli offiziali, medemamente tutti si sono abbuttinati; e tutti uniti sono andati al Sig. Virrei, con dir che prima vogliono renunziar li offizii che esser sottoposti ad alcuni particulari della detta pramatica.
E sopra di questo si sono fundati, ch'è un capitulo che dicono che nessuno offiziale di condizione alcuna non vole che possano pigliar presente di cosa del mundo nè da parenti nè da li altri; ne manco vuole che nessuno che stiano in casa di detti offiziali li possa accettare, etiam che li fusse moglie o altra persona; e che quando altramente facessino, e che gli sia provato per tre testimonii che abbino accettato cosa alcuna, vole che siano privati di offizio, e più che non ne possano aver più alcuno in vita loro in questo Regno.
Il Sig. Virrei par che abbia avuto più piacer di questa cosa, e parli anche a S. Ecc. cosa strana; e tanto più che sarà forzati tutti mandar uno a S. M. per questa cosa, e che non ci potrà andare se non uomo a suo modo.
Alcuni dicono che vi anderà il vescovo Fabio Arcelli; altri dicono un altro gentil' uomo. Pur la cosa sta ancor cosi; e si vede che il Vicerè sta con timore e paura di non esser levato di qua e certo ci è molto odiato universalmente. Con tutto questo si agiuta quanto può.
Omissis aliis.
Omissis aliis.
«Qua è stato preso il figliuolo di Re Cuollo, che era successo in luogo del patre, e fattosi re di ladri, tenendo il modo antico di non ammazzar, ma robbare, ec.; eccetto frati, chè quanti gli ne sono capitati per le mani, a tutti ha tolta la vita: e solo con uno suo che lo teneva per amicissimo e si fidava di lui del tutto, è stato poi tradito per conto di una donna che 'l teneva questo re di ladri, la quale dicono ch'è bellissima, e se ne era innamorato uno parente di questo frate tanto amico.
E partendo questo ladro da non so che luogo, per irsene in Abruzzo, quel parente del frate, accordatosi insieme, l'hanno fatto pigliar; e a loro è restato la bella donna; e seco è presi dui altri; e sono già apresso a 50 ladri presi e morti sino a quest' ora da che S. Ecc. vi mandò quelli cavalli e fanti: attale che se fa così, si potrebbono estirpar, e praticar poi securi per tutto questo Regno.
A questi giorni è successo quest'altro bel caso: che andando un mercante in Puglia, partitosi di qua con 1,000 ducati in danari, 500 ne portava cusiti adosso, e altri 500 nella sella del cavallo.
E quando fu a un Castel vicino a Melfi, che non mi ricordo il nome, alloggiato la sera in un'osteria, si sogmia che per il cammino era ammazzato, e toltoli li danari; e la mattina svegliato, si ricorda del somgio: levatosi, si deliberò volersi confessare; e adimandato a l'oste dove era monestero di Frati di zoccoli, gli fu mostrato che gli era li vicino fuori della porta: e cossi andò, e adimando del guardiano, e dissele che voleva una persona letterata e da bene, che si voleva confessare: e cossi il confessore fu il detto guardiano, e confessossi del somgio, disseli delli danari che lui aveva, e quelli che erano in la sella.
E persuaso dal buon frate che non credesse a' sogni e che seguisse il suo viaggio, il pover uomo ritornò a l'ostaria; e pagato ch'ebbe l'oste, monta a cavallo, e si misse in cammino: e circa 3 o 4 miglia lontan di li, il buon frate guardiano, con un suo compagno, alla strada lo ammazzo; e tiratolo giù da cavallo, il buon cavallo voltò adrieto, e tornò a l'ostaria dove si era partito.
L'oste lo prese, pensando che fusse fugito al patrone, che per qualche bisogno fusse dismontato; e lo misse in la stalla, credendosi ch' el patrone tornasse per esso.
Gli buoni frati, tolto che ebbeno li 500 ducati che quello aveva adosso, seguitorno il cavallo, e veddelo intrar in l'osteria; e pensorno una malizia per averlo, e se ne andorno con il lor collo torto da questo oste, con dir che vorrebbono un cavallo per dui ore.
L'oste rispose che lui non lo aveva, e che uno ne teneva, che era d'un mercante ec., e che non gli lo voleva dare: e fu un contrasto, che a questo frate si ruppe la pazienzia, e voleva cominciare a usare la forza.
E con questo contendere, si v'imbatte il Cavaliero di quel luogo; e intendendo il tutto, il valente sbirro suspicò, e gli dette le mane adosso a questi frati, e li trovorno li danari, e confessorno il tutto; e ora si trovano pregioni qui in Napoli nel vescovato.
Di questo non se ne sa per tutto, per respetto che v'interviene la confessione, e non se ne parla.
Lunedi passato fu strascinato a coda di cavallo un altro per simili peccati.
Cosi bisognaria fare a quel Corrieri, che si chiama Casa Vecchia, o Casa Nuova; che gli fu dato questo mazzo di lettere già tanti mesi, e fu (se ben mi ricordo) quello che li fu dato molti ducati, che ne facesse buon servizio e oggi sono comparse al maestro delle Poste, condottove dal procaccio che viene da Roma.
Ho parlato e al maestro e al procaccio; il maestro non ne sa altro, si non che l'ha portate; il procaccio dice averle avute a Roma, e non sa da chi.
Non mancherò di cercar se ne potrò intendere altro.
Io nolle ho volute nè aprire nè altro, perchè a me pare siano state aperte; e meglio lo potrà conoscere quelli che le mandarono.
Di Napoli, alli 19 di Febbraio 1540.
Omissis aliis.
Un grande assassinamento a un pover giovene, chiamato Cecco Squarcia, uomo valentissimo, ch'era ito a Chiaia a desenar a l'osteria de Florio, con alcuni gentil' uomini; ed erano in tutto circa 12.Ed in quel mentre che erano li in una camera per desenar, un certo abbate, che questo Cecco dicono che ben prima 8 giorni gli aveva morto un suo fratello (defendendosi però, chè questo suo fratello lo assalto con soperchiaria con 6 o 7, e detto Cecco si trovava con un solo; e in tutto che ne levasse qualche leccatura, si difese ed ammazzò il detto, e ne ferirno delli altri). E per questo l'abbate, con circa 25 armati, se ne andò a questa osteria, e con partisianoní, picche, arcobusi e labarde; e introron dentro, e disser a quelli suoi compagni che non si movesser, che non voleva altri che quel Cecco. Il quale si era ritirato in un'altra stanza, e fattosi forte a una porta con la spada e brocchiero; e lo combatterno più d'una mezza ora, ed avevali dato dui archibusiate; e se non rompevano di sopra, arebbon durato fatica ad averlo. Ma come il poverin vidde che li non poteva più stare, st mise in fuga per saltar da una loggia, e saltò sopra a una frascata; la quale si sfondò, e restò cavalcato a certe frasche, che non si potette mover; e li, con li sassi che venivan di sopra, con picche ch'erano restate di fuori e arcobusio, lo finirno: e lui sempre come meglio poteva si agiutò, fino che mori; poi li cascò la spada, e tutto, e quelli se ne fugirno alla volta della grotta. Gli compagni di ne detto Cecco, ch'erano seco, nessuno si mosse per metter mano, altro: e vi era un Castellano di Taranto, uomo di autorità; ed un altro Cavalier; e così la cosa fini. E per questo il Sig. Virrei era in collera, che aveva ordinato fusse presi alcuni altri ch' erano in compagnia delli omicida: quali non si scoperser mai, perchè non bisognò; ed uno di questi stava in casa del Marchese di Vico, e l'altro in casa del Conie d'Oppido; e la corte vi andò, e non gli li volser mai dar: a tale che fu bisogno che Don Francesco Sarmiento, Reggente di Vicaría, vi andasse in persona: e con tutto questo, volser patteggiar prima che se li dessero. E per tal causa S. Ecc. si trovava cossi, parendoli aver avuto un tale affronto, e che la giustizia li fusse stata impedita.
Ora se ne truova pregioni circa sei di quelli.
«Poi che son in questo, ne dirò un' altra, che giovedi passato successe in Aversa, con uno Scipione Scaglione e Cesar Gargano; quali sono stati molto inimici.
E stando là, questo Scipione Scaglione era uscito fuori alla Nunziata per fare certa elemosina, e se ne tornava in la terra, accompagnato da dui frati ed uno prete; e prima che intrasse dentro, fu assaltato dal Cesare, il quale era a cavallo, con dui altri bene armati, e con una zagaglia per uomo; e quello appiede con la spada e cappa, pur armato, eccetto che la testa non era armata.
E cosi questo Cesar prima gli andò addosso, e gli dette una zagagliata nel viso, che dicono averglici messi 14 ponti; e lui tirò un mandiritto, e tagliò al Cesare quattro diti d'una mano; ed halli dato una grandissima stoccata in una coscia e uno di quelli diede un'altra zagagliata a Scipion in la schina, che lo fe' cader per terra, dove gli detter molte ferite su la testa.
Ed a questo rumore corse uno schiavo di Scipione, e vedendo il patron ferito, trovandosi un pezzo di legno in mano, lo tirò a Cesare, e li dette nel capo, e lo fece cascar da cavallo.
E per questo, quella terra è stata e sta molto sollevata; e sabbato passato, il Sig. Antonio Doria vi mandò 50 archibusieri in favor di Scipione, per esser lui molto amico e intrinsico della Sig. Lucrezia, sorella di quello.
Penso a quest' ora sia posata la cosa, perchè il Sig. Virrei vi ha fatto far provisione, acciò si quietino.
In tutto che queste non sieno cose d'importanzia nè degne di V. Ecc., non ho però voluto mancar di scriverlo, e darline notizia».
Omissis aliis.
«Oggi, e non prima, son stato a far reverenzia a S. Ecc. doppo il mio male, e lettoli la ultima ch'ho di V. Ecc. dell' ultimo del passato; e prima basciatoli le mani per nome di quella e della Sig. Duchessa.
E quanto alla cosa del Cardinale (Cibo), mostrò molto piacere de quella resoluzione, e di quello indegno di esser nominato.
Della sua relassazione dice quel che prima aveva detto; replicando che meglio sarebbe stato a darli la ponizion che 'l merita, che altro; e che quando si fa quanto porta la giustizia, et etiam che ci sia promissione, ch'è sempre ben fatto: non di meno, che la resoluzione fu buona, e massime in quel subito; e che conosce ben che tanto si conveniva fare. S. Ecc. ha avuto piacere che quella abbia avuto a caro li suoi consigli, e che tanto più caro arà che li si levi ogni occasione che poi gli si avesse a far usare».
Omissis aliis.
«Di novelle qua non ci è altro, si non che da cinque o sei di in qua, qui vi si è visto una gran carestia; e dico di sorte che non se trovava pane di qualità alcuna da comprare; e un poco che se ne faceva della Abundanzia, per averne, vi si è fatto di molte questione, e molti vi hanno perse le cappe e berrette, per le calche grande; ed una soma in la piazza de l'Ulmo fu saccheggiata.
Ora se ne truova, chè si vi è fatto nuovi ordini; e delli grani qui ve ne sono assai, e di Puglia ne sono anco arrivate tre nave, ed evvi pane e grano per sino a ricolta.
La causa di questo disordine è nata perchè veniva di questi contorni di molti grani e pane da vendere; attale che 1000 tomoli di più che ne dava il giorno questi dell'Abundanzia, erano a bastanza per questa città.
Dappoi restò il venirne di fuori, che non se ne poteva aver; che quelli che ne hanno, per respetto alli tempi che correno, non gli voglion più vender; e questi della Abundanzia non ne davan più del solito: e da questo è nasciuta la causa.
Qua ognuno sta di mala voglia, dubitando della carestia per l'anno da venire, perchè non piove, e le biade tutte se ne sono mezze brusiate, e gli alberi non fanno segni alcuni di mettere; e fanno di continuo processione che piova.
In Puglia, in la Basilicata, in Calabria, vi è piovuto assai, e vi si espetta una ottima ricolta; et con tutto questo, in Puglia val 50 ducati il carro del grano, e non si då tratta per nissuno.
Qua val ducati 40; ma chi ne volesse comprare quantità, non si troverebbe. Li orzi val 22 ducati e mezzo.
Non ho per ancora replicato la dimanda delle 300 salme al Sig. Virrei, per non lo infastidir in questo, essendo stato a questi di tanto rumore; cd in questo mezzo credo che ne verrà delle altre nave, e potrò con più facilità fare il bisogno.
Non di meno io arei molto a caro averne nuova commissione da V. Ecc. circa ciò, di quanto arò da fare.
E non avendo altro, quanto più umilmente posso in sua buona grazia mi raccomando».
Di Napoli, li 17 di Marzo 1540.
Omissis aliis.

«Poi li lessi (al Vicerè) il capitulo della risposta di V. Ecc.; del quale n'ebbe gran satisfazione, dicendo che meglio non si poteva dire nè rispondere; e che di tutto iudicava essere ben fatto; e che quanto al Cardinal Cibo, era bene, che tutto si mettessi in effetto, per salute e quiete di V. Ecc., e di quel stato.
Ed in questo S. Ecc. soggiunse molte amorevoli parole, con dire che ogni giorno restava con magior satisfazione circa al governo di V. Ecc., e che gli piace molto che la si vadia comportando con prudenzia e con tal destrezza; e ch' el conosceva ogni giorno la verità di quel che di V. Ecc. gli è stato detto; e che per tal causa si tiene contentissimo per avere un tal figliuolo ec».

Omissis aliis.

«Ebbi con la passata ultima di V. Ecc., una per il Sig. Virrei; la quale io non potetti presentarla in man propria, nè cominciar altro negozio, nè quello che V. Ecc. mi scrive contenerse in essa, per esser li di santi; perchè S. Ecc. si era ritirato nel Monestero di S.Croce, dove non ha voluto fastidio di alcuno, nè di negozii.
E la lettera la feci subito per il Segretario Aponte presentare, e con lui dissi il tutto, e del desiderio che V. Ecc. aveva che in questo Regno gli fusse compiaciuta la tratta da S. Ecc. per quella quantità di grani che la mi scrive.
Subbito il Segretario mi rispose, che non se sarebbe avuto per quantità nissuna; ma che ne arebbe parlato con il Sig. Virrei, e inteso l'animo suo.
E cosi, il medemo giorno mi rispose, con dire che S. Ecc. le aveva detto che non era possibile, per molte cause; e ch'io dovesse avere pazienzia, per questi santi giorni, e che arebbe parlato meco.
Io penso domani poter aver comodità di parlar con S. Ecc. sopra ciò; e per me non si mancherà di far quella istretta instanzia, e con quella caldezza che sarà di bisogno e gli mostrarò tutti quelli mezzi e modi ch'io saprò, e che messer Rafael ed io abbiamo insieme discorsi e pensati, e in che luoghi e come se potrebbe compiacer V. Ecc. in questo abbenchè io credo certo, che non se farà nulla, perchè S. Ecc. ha deliberato che di questo Regno non se ne abbia da cavar per nissuno; e più, che li suoi ministri sono calati in Calabria per grani, chè in Puglia dicono non se ne trovar, e vi vale il carro fino in 50 o 54 ducati; e questo, secondo ch'el si può giudicare, nasce dalli molti mercanti che ne hanno comprati con la speranza della tratta: il che non riuscirrà loro; e quando ne fusse mai per altro, per non compiacer il Marchese del Vasto, di che il Vicerè per lettere di Sua Maestà n' ebbe commissione.
Per certa quantità per condurlo poi a Venezia, non l'ha voluta obedire; e ha risposto che non ce n'è in Regno abastanza. Io so certo che ve ne è, ma per questa causa i' dubito che non se ne farà nulla; e s' el volesse vender le tratte, ne ha potuto aver e potrebbe al presente 90 ducati per carro, che se ne caverebbe un pozzo d'oro.
Qui in Napoli ci è per ancora tanta carestia, che spesso non si trova pane, ed a molti convien fare il marzocco.
Con tutte queste difficultà, e quando delle altre ve ne fussero, io non mancherò di fare il debito, come V. Ecc. mi commette; e sollicitarò la cosa quanto posso, e del tutto ne darrò avviso».

Omissis aliis.
Di Napoli, li 28 Marzo 1540.

Omissis aliis.

«A questi giorni il Sig. Virrei discorse molto a lungo con meco sopra le cose di Perugia: che quel che S. Ecc. ha fatto, in mandare li Spagnuoli alla volta di Perugia, che l'aveva fatto per buon rispetto; e che li par una brutta cosa, che un populo si sollevi in quella maniera verso il suo superior; e che dà un cattivo esemplo a tutti li principi: allegando infinite ragioni, quale io le tacerò, chè penso V. Ecc. le conosca benissimo.
Ed in particulare, mi disse che non era buono nè utile per V. Ecc., e che li suoi populi non ne poteva si non pigliar animo, e che dovevano tutt'i principi d'Italia prestar favore al Papa, acciò che quelli fusser gastigati senza remissione, e dare esempli a delli altri che cercassino voler fare il simile; e che non arebbe per niente voluto ch'el Sig. Ridolfo fusse ito in Perugia: non dimeno che, poi che Sua Maestà gli aveva scritto, ch'el vol' esser neutrale, e non farli nè favor nè disfavor, ma cercare di mettervi accordo, si fusse possibile e per questo pensava levarne quelle gente, e ritirarle in questo Regno, per li bisogni che potesser nascere.
Poi alla fine si concluse, che questi Perugini non potevano aver buon fine di questa loro impresa; perchè a l'ultimo li converranno tornare a obedienzia, perchè il Papa si truova troppo danari per mantener la guerra, e li detti non potranno tanto; e che gli è forza che patischino delle vittuaglie e disse che non era possibile che da Francia nè da altri ne potesser aver favore stantibus terminis.
E come per le altre ne scrissi a V. Ecc., mi replicò che arebbe in ogni modo voluto che quella avesse falto quanto la poteva, acciocchè per mezzo suo se ne fusse venuto a qualche accordo.
Io de tutto le bacio le mani».
Omissis aliis.
Nella di V. Ecc. de' 22, si contiene la partita del Principe sopra che io non ne dirò altro, per essere stato qui, ed ora si ritruova a Messina con tutta l'armata. Della cosa di Barbarossa, che sia per accordarsi con Sua Maestà, qua non se ne parla niente: immo che ci è nuova, e ier sera il Sig. Visorei me lo confermò per certo, dell'accordo e pace tra Veneziani e il Turco; e Veneziani ha dato al Turco Napoli di Romania e Malvasia, e 300 ducati: per il che si dubita e tiensi per certo, che il Turco farà qualche impresa; in tutto che per fino ad ora non se ne veda segno nessuno di preparazione.
E ieri vi furno lettere di Terra d' Otranto, che dava avvisi come si erano viste 20 galere di verso la Velona, e altre fuste di verso Modone e Corone, fino alla somma in tutto di 75 vele: del che subito S. Ecc. ne ha fatto avvisato il Sig. Principe d' Oria con istaffetta a posta.
Ho avvisato che il Viceré teme ritorsioni da Ridolfi (cardinale), che 'l faccia ogni male offizio contro V. Ecc., non se ne ha da dubitare che 'l non sia così: e del tutto ho fatto avvertito il Sig. Visorei, e come gli è prestato orecchia dal Marchese (del Vasto avendo perso la mano della figlia del Viceré preferita a Casimo I), e dettoli che cerca nocerli per quella via, non potendo nocerlo in altro; e che di questo V. Ecc. ne fa poca stima, perchè le azioni sue sono note a tutto il mondo; ma che li displace bene, che da un ministro di Sua Maestà li sia prestato orecchie in tale cosa.
II Sig. Visorei mi rispose, che ne voleva scrivere a Roma al Sig. Marchese; e mi disse ch'io scrivesse a V. Ecc., che quella si governi e faccia come ha fatto per il passato, e che la non faccia stima di cosa alcuna, e che la verità facilmente si giustifica quando sarà di bisognio; ma che la si tenghi certa che tal cosa non sarà considerata da Sua Maestà, conoscendo l'animo di V. Ecc. nelle cose passate e presente, che S. Ecc. vederà farci ogni opera levare queste pratiche ec.
Io dissi al Sig. Virrei un mio parere, e così lo scrivo a V. Ecc., perchè mi par che 'l non possi esser altrimente, sopra tal cose: ed è, ch'io penso che Ridolfi si vede assai fuori d'ogni speranza per le cose di costa, e forsi del tutto, e vedese inimico di V. Ecc., e dubita che il Cardinal Salviati non cerchi reintegrarsi con quella per qualche mezzo, e lui restar solo nelle peste; e cosi, spento forsi da altri fuorusciti, o per sua immaginazione, cerca dar questa voce senza fondamento nè altro: sicchè V. Ecc. resta scusata da per sè appresso quelli che vorranno aver queste considerazioni; e che non può essere altramente, come il Sig. Visorei disse che cosi era.
Oggi S. Ecc. ne scriverà a Roma, e scriverà a V. Eccellenza.
Quella mi scrive anche che 'l Guicciardino laborabat in extremis; poi qui si è inteso la morte (22 maggio). Al Sig. Visorei ed a tutti quegli altri Signori è dispiaciuta molto, per aver perso V. Ecc. un tal uomo ; e, come quella mi scrive dolergli assai, certo che la ne ha molto ragione non di meno, la morte è comune; però se deve aver pacienza.
Ieri prese licenzia messer Ioan Riccio da Montepulciano, Nunzio qua di Sua Santità, dal Sig. Visorei, per tornarsene a Roma per ordine di Sua Beatitudine; e cosi io feci seco le cerimonie, offerendomili ec.; perchè fa molto il servitore di V. Ecc., ec. Ed il Sig. Visorei mi disse dappoi, che aveva parlato molto a lungo seco per l'interesse di V. Ecc., e dettoli sopra le cose di Perugia, e della partita del Sig. Ridolfo (Baglioni agli spipendi di Cosimo, lasciato libero di servire la patria nella guerra del sale con dispiacere del Papa) ; e che ne teneva lettere di Roma, che Sua Santità ne stava con qualche sospetto di mala satisfazione, e che quella dovesse ben mirare e considerare la bontà di V. Ecc.; ed in questo caso non ne aveva potuto far altro, e che l'arebbe visto in questo caso, ed in ogni altro, quanto dal canto suo si sarebbe fatto per servizio di Sua Santità, e per spegnere questo fuoco acceso, e vicino al suo stato, e per l' interesse che 'l poteva portare a tutta Italia, el praesertim in questi tempi; e che quella si sarebbe interposta in ogni maniera per concordare questa cosa co' Perugini: persuadendo che Sua Santità lo doveva fare, e venire a qualche accordo, ed aver compassione a quella città; e che di quelle cose oneste si doveva contentar di non metterli il taglio del sale; e che deve considerar che lui è capo e guida di Cristiani, e ch' el non è Turco nè persona crudele, di voler cavare il sangue a' poveri in questi tempi necessitosi (poi trattati crudelmente dal Farnese).
E che facendo questo, sarebbe stato buon esemplo a tutto il mondo; e che molto ce lo esortava a dovere venire a qualche buono accordo, ec.: soggiognendoli, sopra li casi di V. Ecc., che Sua Santità in molte cose l'aveva molto mal trattato, e che non li aveva fatto quel che lei ha fatto verso Sua Santità, che lo have sempre tenuto, come gli è, da padre e da padrone, e portatoli quel respetto che a V. Ecc. si conveniva, ma che Sua Santità non li ne aveva dato causa ; e sempre in parole ha detto averlo tenuto e tenerlo per buon figliuolo, e che non lo have tenuto nè per l'uno nè per l'altro; nè li ha fatto quello che deve fare un Papa vicario di Cristo, che deve abbracciare ogni uno e favorire ; ed in particulare V. Ecc., sapendo lui il servitore e figliuolo che gli era; oltre al considerare ch' egli è creatura di Sua Maestà, e quella lo tiene per figliuolo: poi, che il dovesse avere rispetto a lui, e che 'l pensasse che lo ama come figliuolo che V. Ecc. gli è. E cosi il prefato Nunzio si è partito con questa cosa, con lettere credenziale a Sua Beatitudine.
Il Sig. Duca di Castrovilla(ri, Gio Battista figlio di Ferrante Spinello, fratello della seconda moglie del Viceré), gentilissimo giovine, cognato di V. Ecc., li basia le mani, e hamme detto che li ha scritto una sua : e di già li par mille anni aspettar quel tempo di venire al consumare il matrimonio, e a buona cera.
Ha detto al Sig. Visorei, che lui non vorebbe aspettare a Settembre; e cossi si sta su li amori, e S. Ecc. ne piglia il maggior piacere e contento del mondo: ed io li dico bene che questo illustrissimo Signore oggi è il più allegro principe che si truove, e li pare avere fatto e complito quanto doveva; e certo che gli ha ragione, e mai si vede altro che ridere e burlare con tutti.
La Sig. Donna Isabella(, fidanzata del Castrovillari,) ora si trova assai contenta del parentato; ed io non li ho potuto per ancora fare reverenzia per la moltitudine di queste Signore Napoletane che la vanno a visitare; e oggi penso averci commodità e cossi farrò questa prima ceremonia con S. Ecc., come ho fatto con il prefato Sig. Duca.
Il Sig. Conte e Sig. Don Rusi molto si raccomandano a V. Ecc.; ed io quanto più umilmente posso mi raccomando in la buona grazia di quella.
E nostro Signor Iddio la conservi sana e contenta, insieme con la Signora Duchessa, e Signora Madonna Maria (madre di Cosimo I).
Il Sig. Visorei infinite volte mi adimanda se io ho avviso che la Signora Duchessa sia di nuovo gravida, come di qua si dice pubblicamente: imperò suplico V. Ecc. che mi voglia fare grazia di scriverne».
Omissis aliis.
Di Napoli, li 8 di Giugno 1540.
Omissis aliis.

Domenica, venne il corrier della Corte; del quale non si intende ch'abbia portato altro, si non che Sua Maestà adimanda a questo Regno 300 mila ducati in quest'anno; e dice per la impresa contro infedeli e cossi S. E. manda per tutti i baroni del Regno, che si debbano trovar personaliter per il di de San Martino qui in Napoli per far detti danari.
Subito che 'l corrier venne, perchè si espettava anco la risoluzione di S. Ecc., doveva andar in Calabria, come disignava.
Quel di che arrivò detto corrier, S. Ecc. ordinò al suo maestro di casa e ad altri suoi ministri, che dovesse aver in casa a ordine per li 15 di questo quanto di faceva di bisogno per detto viaggio: poi la cosa si è rifreddata, e non può partir almeno per fino alla fine dell'altro.
E cossi S. Ecc. dice voler fare: il che pare a tutti impossibile, per respetto l'inverno, e per li cammini e fiumane cattive che sono per la detta Calabria; attale che io credo che basterà che se ne parle per quest'anno tanto.
Credo bene che S. Ecc., come dice, anderà fino a Gaeta, e di li tornerà qua: poi dice voler partire e visitare la provincia di Abruzzo, in questo mentre che verranno i Baroni, e poi tornar medemamente, partir per Calabria; ed io credo bene, che fino a Gaeta sarrà il suo viaggio, e doppo la tornata se ne starrà in reposo fino alla venuta di Sua Maestà in Italia: e a quel tempo tengo per certo che se ne verrà alla volta di costà per godersi V. Ecc. e la Signora Duchessa qualche giorno; e di compagnia con quella disegna andare a basiare la mano a Sua Maestà in Genova e a Milano.
E questo S. Ecc. quattro o cinque volte me l'ha detto, e confirmato: che se non si truova al parto della Signora Duchessa, vi si troverà poco di poi. Et cossi a Dio piaccia.
Le pratiche della pace tra quelle due Maestà par che siano rappiccate con maggior speranza che mai di venirne a buon fine.
Di questo penso che V. Ecc. ne sia meglio ragguagliato, e ne sappia più la verità che non si sa di qua».
Omissis aliis.
«Domandando io questa sera al Sig. Visorei, se voleva che io scrivesse cosa alcuna a V. Ecc., e si vi era nulla di nuovo, nè da la corte nè da altro luogo, mi disse prima di no; poi me replicò, che di quanto vi era, ne dava notizia a V. Ecc. per una sua che doverà essere con questa: e disseme, che d'ogni minima cosa che li verrà a notizia, ne darà aviso a V. Ecc.; e che così io dovesse scriverli, e che anco lei facesse il simile di darne aviso qua. Circa ciò, io li risposi, che V. Ecc. per il passato non aveva mai mancato di farlo, e che cossi arebbe fatto per l'avvenire.
E perchè io ho visto alcuna carta dalla corte, gli adimandai se vi era niente di cosa di guerra disse, che non s' intendeva cosa alcuna; e mi commisse, che per sua parte gli scrivesse, che vi era avviso che la pace tra il Turco e 'l Re de' Romani era conclusa; e che 'l Turco tira via a dire che faccin intendere a l'Imperatore, che per uomo suo a posta li faccia intendere, senza mezzo di detto Re, che la farà anco con lui; e che non sa poi, più oltre di ciò, quello che sarà seguito.
E più mi disse, che 'l Re di Francia aveva mandato a persuadere al Turco, che non voglia far la pace nè convenzione alcuna con Imperatore; e che dal Turco l'è stato risposto liberamente, che circa ciò voleva far quello che a lui pareva, e non quello che da esso li era consigliato e che il suo inimico li è restato in casa, e passato per il suo stato, e che non aveva saputo pigliar nè conoscer la occasione; e che però intendeva far quello che li pareva.
E di altra cosa di guerra, mi disse non s'intendeva altra cosa; ma che scrivesse a V. Ecc., che quella debbia usar ogni diligenzia, e stare avvertito, e fortificar le sue terre, e far danari per tutte quelle vie e mezzi che 'l poterà, per potersene valer, bisognando.
Nella carta di Sua Maestà, io ho visto (in tutto che S. Ecc. non me ne abbia detto niente) che la pace tra Sua Maestà e 'l Re di Francia si può tenere per esclusa; e che detta Maestà ha fatto quello ha potuto per venire a qualche buono appontamento; ed halli offerto dare al Duca D'Orliens la sua figliuola con lo stato di Milano, e parte della Fiandra Bassa; e che ha resposto non ne voler fare cosa alcuna; ne vuol nè convenzione nè unione.
E quel che S. Ecc. scrive a V. Ecc., penso che sia che vi sono avvisi da particolari della corte Cesarea, e anche da alcun che depende da Sua Maestà, che i fuorusciti di costi sono molti trattenuti dal Re di Francia; e che il Re tiene stretta pratica e gran maneggio con quelli.
E perchè da essi le sarà dato gran speranza, e per questo e per altro supplico umilmente V. Ecc., che la si abbia buona cura ed alla vita ed allo stato; e venghi poi quello si vuole.
Jeri parti di qui per Messina Messer Jeronimo Cantalupo, mandato da Sua Maestà per provvisioni di grani; e domandò al Sig. Visorei tratta di questo Regno: non li è stata data.
Poi adimandò una fede delle tratte che per il feudo del Regno deve avere, e che non ha avuto manco gli l'ha voluta concedere.
Cossi se n'è partito escluso.
Evvi anco un creato del Sig. Pier Luigi, che passa a Tunisi per cavalli e giomente da razza e le galere di Sua Santità arrivò qui tre di sono, e credo che si andaranno a unirse con le altre; ed oggi sono ite a Castellamare per vino».
Omissis aliis.
Di Napoli, alli 2 Settembre 1540.
XVIII.
Omissis aliis.
Per uno che è venuto di Calabria dal Sig. Vicerè, ha referito che S. Ecc. aveva deliberato di mandare a Roma il Secretario Martirano a Sua Santità per vedere di comporre le differenzie che è tra quella Santità ed il Sig. Ascanio, e per farlo disarmare, non volendo protestar.
E oggi detto Secretario doveva comparir qui, e non è anco comparso; nè a questo è prestato molta fede, ma si dice per cosa certa, quando detto Secretario comparisca qua, e pigli il cammino di Roma, se ne potrà creder qualche cosa.
Dicono che le fanterie Spagnuole che sono in questo Regno, è passate in Puglia per ordine del Sig. Vicerè; e questo è vero, ma non credo già che le vadino in Abruzzo come si dice, se altro non si vede per Italia. E standosi in suspetto, come si sta, di un'armata turchesca, che facilmente potría dare in Calabria o in Puglia; e trovandosi dette gente fuor delle dette provincie, non so come sarebbe cossi presto il ritorno loro da poter difendere quelle marine. Quello che s'intenderà alla giornata, di tutto darò aviso a V. Ecc.
Omissis aliis.