ERESIE A NAPOLI L’INQUISIZIONE ISBN 9788872973554 (2 parte 1547)

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PROLOGO.

LA RIVOLTA DI TOMMASO ANIELLO SORRENTINO
CONTRO IL TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE

Miccio titola la narrazione «Rumori di Napoli per conto dell’Inquisizione». A dire di Giannone ne scrisse anche il Foglietta, genovese di patria, autore di una elegante narrazione in latino, intitolata «Tumultus Neapolitani sub Petro Toleto» e riportata nella Raccolta degli Storici Napoletani del Grevier, tom. VI.
Il testo appare come un compendio ai fatti dei «nostri scrittori napoletani, i quali trovaronsi presenti, e furono in mezzo di quegli affari, e li trattarono con pericolo della vita e perdita delle loro robe». Parole che a dire del Palermo, Giannone riprese dal Miccio, «come si vede: e già intorno al Toledo, fatti e parole e giudizii, buoni o cattivi, tutto in prosieguo, come per lo innanzi, copia Giannone da esso Miccio; a cui unicamente accennò con quei nostri scrittori napoletani: e intanto, non lo ha citato una sola volta!».
Ne abbiamo riportato i passi salienti e confrontati con il Ns Anonimo.

1. Il capo-rivolta di popolo e nobili? Tommaso Sorrentino

Più di un cronista trattò la sommossa del 1547. In particolare il Miccio attribuì i rumori di Napoli essere quasi il prosieguo delle rivolte cominciate in Alemagna.
Cosi’ Miccio: — In quel medesimo tempo che incominciorno queste revoluzioni in Alemagna, nacquero ancora terribili rumori in Napoli. Li quali, essendo stati scritti da alcuni altrimente di quel che furono, fidandosi nella relazione altrui, arrecono biasmo, or del Vicerè e or della Città; essendo l’uno e l’altra non solamente fuori di biasimo, ma ancora degni di eterna lode; avendoli con la loro prudenza acchetati, senza offensione di Dio, dell’Imperatore, e del ben pubblico di quel Regno: contrastando, con il loro animoso giudizio, al crudel aspetto di Saturno in capricorno e sagittario, e di Marte con la coda del dragone in gemini, e de la Luna ecclissata nel scorpione; che, secondo predissero gli astrologi, avevano da producere incendii e distruzioni di città: siccome quell’anno successe a molte città d’Europa. Sia dunque concesso a me, che l’ho veduti dal principio al fine, e trattati con pericoli della vita e perdita della roba, narrar la verità, incominciando l’istoria dalla sua propria origine; che sarà principio chiaro e manifesto, e questo e quello.
A suo dire Napoli sbottò perché «l’eresia luterana in quel tempo avea occupato tutta Lamagna, Inghilterra, Boemia, Frigia, Svizzeri e parte di Francia, e incominciatasi a distendere segretamente per tutta l’Italia: e già in Napoli erano molti segreti eretici, uccellati da fra Bernardino Ochino, da Pietro Martire, da Valdes Spagnolo, e da altri predicatori; che, come di sopra è stato detto, cominciavano a seminare tale eresia in Napoli. Per lo che, Papa Paolo III, con intelligenza dell’ Imperatore, mandò Commissarii dell’ Inquisizione per tutte le provincie d’Italia; i quali furono accettati, con condizione che procedessero per via ordinaria; cioè con manifestazione di testimonii, e senza la confiscazione della roba. E dicono che, nel medesimo tempo, l’Imperatore tentò di metterla in Fiandra: ma perchè tutta si disabitava per fuggir così dura legge, si contentò di levarlà».
Secondo alcuni pare che lo stesso Carlo V «avesse scritto al Vicerè, che se avesse potuto introdurla nel Regno di Napoli senza alterazione de’populi, che lo facesse ; e che il Vicerè, da sè stesso ancora, da molto l’aveva già pensato di fare, per estremo rimedio di quella ruina: ma perchè sapeva che l’Inquisizione era molto in odio a quel Regno, e che più volte era stato tentato dalli Vicerè passati d’introdurla, e che non furono mai bastanti a farlo, si riteneva di parlarne».
Così Miccio: — E stando in questo, li fu presentato il breve del Papa dal Commissario dell’Inquisizione: del che il Vicerè venne in gran travaglio di mente; imperochè, dall’una parte, li pareva essere costretto di obbedire al breve del Papa e alla volontà dell’Imperatore; e dall’altra, giudicava essere cosa pericolosa di acquistare appresso l’Imperatore odio universale di tutto il Regno, in quel tempo che il Re di Francia si apparecchiava per racquistarlo, e che, a sua richiesta, l’armata turchesca si aspettava per quelle marine: e sapeva bene, che quel Regno per nessuna altra cagione averia fatta revoluzione, se non per conto della Inquisizione; e per questo si ritenne certi giorni di non farne parlare. Ma, a l’ultimo, sollecitato strettamente dal detto Commissario, ne fece parola nel Consiglio Collaterale: ove fu decretato, che se li dovesse prestare il braccio secolare; e che in questo ragionevolmente la Città non si poteva rammaricare del Vicerè, poichè veneva dalla provisione del Papa.
Commenta Palermo che «il papa avea concesso l’editto dell’Inquisizione, intercedendolo il Cardinal di Burgos il quale era mosso dal Vicerè. E non mancarono alcuni poi di dire, che Paolo III pontefice massimo, prieghi del cardinal di Burgos, fratello del Vicerè, avea concesso quell’editto tanto più volentieri, quanto che giudicava da quello doversi cagionare alterazione ne’ popoli del Regno, odiosi dell’ Inquisizione: e questo per odio occulto verso l’imperadore, per cagion della morte di Pier Luigi suo figlio».1
Così Miccio: — Ma volse il Vicerè usare un’atto d’amorevolezza verso la Città; e questo fu che, chiamatosi gli Eletti, li palesò il breve, e volse che lo facessero vedere e considerare dagli Avvocati della Città; li quali, indi a pochi giorni, risposero, che essi non potevano lasciare di obbedire al Papa, come che era giudice competente in quella causa; ma che non consentivano per modo alcuno, che si procedesse all’usanza di Spagna. Onde il Vicerè concesse il braccio secolare; e non volse che si pubblicasse per la Città con trombe nè con prediche, ma solamente per cartone affisso nella porta dell’arcivescovato; per timore di qualche sollevamento di populo. E più, ordinò a Domenico Terracina, allora Eletto del popolo; e ad alcuni altri officiali della Città, di che egli si fidava; che dovessero con dolci parole persuadere alle loro Piazze a star quieti sotto quella provvisione, poichè non era fatta ad uso di Spagna.
Ma, con tutta quella diligenza, subito che si sparse fama che il Vicerè aveva consentito a tal cosa, si turbò il tutto, a modo del mare turbato da contrarii venti: onde nacque un terribile tumulto; e senza rispetto biasimavano e maledicevano il Vicerè, che l’avesse sottoposti all’ Inquisizione per rovinargli affatto. Furono fatti molti consigli nella Città sopra di ciò, e furono creati Deputati; alli quali fu ordinato, che non attendessero ad altra cosa che a procurare che l’ officio dell’Inquisizione si discacciasse dalla Città: e quelli attendevano a farlo maturamente, tenendo mira a non incorrere in qualche specie di ribellione. E, con ogni sommissione, andorno dal Vicerè, pregandolo che li levasse da sopra quella dura legge della Inquisizione; chè, altrimente, sarebbe un annichilar tutti li beneficii che egli per lo passato avea fatto. Rispondeva il Vicerè a questo, dicendo che non era volontà dell’Imperatore nè sua di mettere Inquisizione: ma che il Papa per moto proprio lo faceva; acciò che, se quella Città fosse in qualche parte contaminata d’eresia, se ne avesse da purgare; e non essendo, se ne fosse con questa paura preservata e che egli non potea, con buona conscienza, non prestarli il braccio secolare. Tornando li Deputati con questa risposta alla Città, fu fatto più volte conseglio; e fu determinato che non si accettasse l’Inquisizione, ancorchè il Vicerè li promettesse non volerla mettere all’ usanza di Spagna; tenendo ognuno per certo, che il Vicerè dissegnava d’ingannarli. Onde fu determinato che li Deputati dovessero tornare al Vicerè; con dirli che essi, con ogni riverenza del lor Principe, avevano determinato di contrastare sino alla morte, che non s’ introducesse nella loro patria l’Inquisizione, nè dell’ una nè dell’altra maniera: e facendoli i Deputati questa imbasciata, il Vicerè rispose, che si meravigliava di questi loro motivi, poichè li giorni poco avanti si erano contentati di obbedire alla provisione del Papa; e che egli già l’aveva detto, che non voleva mettere altra Inquisizione di quella. Fu uno di quelli che ebbe ardire a dirli: « Signore, la Città dice, che ancorchè Vostra Eccellenza la voglia mettere, ella non la vôle consentire »; del che il Vicerè ne prese ira, e licenziolli mal soddisfatti. E tornati alla Città, furono causa di molto maggiore rumore e sollevamento del popolo; e tutti corsero contro Domenico Terracina, allora Eletto del popolo, e l’altri sospetti; con dirli, che se l’intendessero col Vicerè ; facendo émpito di volerli occidere nelle loro proprie case. Il Vicerè subito venne a Napoli, alli 11 di Maggio, per vedere di racquetarli ma nel di seguente, Don Geronimo Fonseca, all’ora Reggente della Vicaría, fece chiamare (Per ordine del Vicerè, dice il Castaldo) tutt’ i Capitani delle Piazze in Vicaria, e cominciò ad esaminarli ; e licenziati gli altri, ritenne prigione Tomaso Aniello, della Piazza del Mercato. Per lo che, la Città se mise in romore e mandorno il Principe di Bisignano al Vicerè, che volesse fare liberare il detto Tomaso Aniello, Sorrentino: lo che ricusando, il dì seguente vi andorno tutti li Eletti e li Deputati, protestandosi che lo liberasse; altrimente, si escusavano d’ogni scandalo che di ciò soccedesse. E in quel mezzo, fu incontrato il detto Don Geronimo nell’ Incoronata da molti nobili e popolari; li quali lo ritennero dentro Santo Joacchino, con dirli che li dovesse restituire il priggione; altrimente, la cosa andava a male termine: e così fu restituito il prigione, e relassato il detto Don Geronimo. Il Vicerè dissimulò, e se ne ritornò a Pozzuolo».2
Commenta il Palermo che «gli abitanti della città di Napoli eran distinti in nobili e popolo, oltre la plebe: il popolo avea i suoi proprii uffiziali, che eleggeva da sé, dai quali era rappresentato e guardato: si divideva in ventinove parti, che qui l’a. chiama piazze, dalla piazza in cui ogni parte si radunava, e che gli antichi dicevano oltine, dall’eleggere ognuna otto uomini al suo governo. Ora ciascuna oltina o piazza avea il suo capo, col nome di capitano. I nobili, come abbiam mostrato al suo luogo, aveano altra distinzione e altri nomi».
E sul «Masaniello» di un secolo prima, aggiunge che «questo Tommaso Aniello Sorrentino era della piazza del Mercato; e costrinse il Capitano della sua piazza a dichiarare, per atto di notajo, di non voler inquisizione. Chiamato dinanzi a’ giudici, si presentò con molto seguito di nobili e popolani: i giudici impauriti, dopo una finta disamina, lo consegnaron libero al marchese Ferrante Carrafa, il quale era assai in grazia al popolo. Costui lo prese in groppa del suo cavallo, e lo portò mostrando per tutte le piazze, e poi lo condusse a casa sua. È maraviglioso che, nel seguente secolo, un altro Tommaso Aniello, plebeo della medesima piazza Mercato (creduto erroneamente di Amalfi, laddove era il suo casato Amalfi), che quest’altro Tommaso Aniello abbia avuto, simile al primo, tanta popolarità da muovere o farsi capo di una sollevazione di non picciol conto.

Description

Riepilogo

La vendetta del Vicerè Toledo,

spagnolo spietato e vendicativo

 

La Cronaca ruota intorno alla rivolta del 1547, o meglio, ai danni causati dalla ribellione, scattata alla sola notizia di voler instituire il Tribunale della Santa Inquisizione.
Non è ovviamente la rivoluzione di Masaniello del 1648, ma quella capeggiata da un suo omonimo, giusto un secolo prima. Il capo della Rivolta fu infatti tal Tommaso Aniello Sorrentino di Napoli che, in groppa a un amico, girò per i seggi della Città a radunare gente per la protesta nel nome del popolo e dei nobili.
Fatto è che si dissociarono subito gli ufficiali della Vicaria, sebbene furono poi costretti a chiudere quelle carceri perché il Popolo, inneggiando al giovane e brillante Principe di Salerno intese spostare la protesta dal sordo Viceré all’amato Carlo V. Ma Don Petro approfitta della partenza di Don Ferrante Sanseverino e lancia le sue truppe a bombardare le povere case del quartiere più vicino al castello, uccidendo donne e bambini.
Il popolo, invitato dal Priore di San Lorenzo, sede del Parlamento della Città, è costretto alle scuse per evitare la distruzione a tappeto. I nobili si discolpano e si tirano indietro, ma la vendetta cade subito su tre giovani rampolli fatti «squartare» in pubblica piazza.
Sono in molti a ritirarsi, a cominciare dai deputati cittadini, capeggiati da Mormile che, in groppa a un ronzino prima solleva il popolo e poi dice a tutti di tornare a casa.
La Città è costretta alla pace, ma l’odiato Viceré, preso di mira, scampa per un pelo a un attentato. Toledo alza il tiro e gli Spagnoli sparano sulla folla, in attesa di aiuti perfino da Firenze, pronti a colpire il popolo.
Poi torna la ragione e si evita l’assalto della Vicaria da parte dei cacciatori Calabresi e dei fuoriusciti, di cui la città ormai è piena, pronti a farsi uccidere a decine.
Finalmente Napoli s’arrende e giura fedeltà: il popolo consegna le armi e il Re invia l’indulto, trattenendo a corte il Principe di Salerno. Resta al suo posto con maggiori poteri il Viceré, pronto alla vendetta finale.
Comincia infatti, scalzata l’Inquisizione, l’epoca delle eresie a suon di bandi, manifesti e trombette che per le vie della capitale preannunciano condanne per i laici che parlano di religione, per i luterani, e per i seguaci di Sodoma e Gomorra.
Gli editti contro gli eretici si sprecano e le torture a danno dei poveri Napoletani anche. Chi viene messo alla corda, chi confessa, chi viene liberato e chi ucciso ugualmente, «squartato» o decapitato con la scure è solo un particolare.
I nobili credevano di averla scampata, ma la spada del prorex spagnolo si abbatte su tutti. E’ sempre quella di Don Pedro, l’uomo che si è fatto raffigurare anche sulle medaglie che i supplicanti mostrano afflitti a Carlo V che le sfiora, sorride, e se ne va.

Sabato Cuttrera

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Editorial Review

 

LE PARTI DI CUI SI COMPONE L'OPERA

La rivolta di Tommaso Aniello Sorrentino

Contro il Tribunale dell’inquisizione

1. Il capo-rivolta di popolo e nobili? Tommaso Sorrentino
2. Il tradimento di Cesare Mormile che indietreggia la folla
3. Gli ufficiali della Vicaria traditori della Patria
4. Il popolo invia il Principe di Salerno da Re Carlo V
5. Il Viceré lo fa precedere e trattenere: la vendetta
6. Sorrentino? Un «compagnone», per Popolo e Nobili
7. Gli spagnoli si vendicano uccidendo donne e bambini
8. Il Priore raggira il popolo e fa chiedere scusa al Viceré
9. I nobili si discolpano, ma in tre furono fatti «squartare»
10. Condannato anche l’ex governatore di Terra d’Otranto
11. Nobili e popolo per la testa del Viceré: lo salva Bisignano
12. La vendetta degli Spagnoli e il tradimento dei deputati
13. Mormile sul ronzino non solleva il Popolo il 25 maggio
14. La città accetta la pace: D.Pietro scampa all’attentato
15. Il popolo grida e s’accorda, gli Spagnoli sparano
16. La gente lascia Napoli, Firenze pronta a intervenire
17. La città teme l’ira del Re e implora al Vicerè di restare
18. Evitato l’assalto alle carceri degli sbandati calabresi
19. L’autore entra nella storia: era ufficiale della Vicaria
20. Napoli s’arrende e giura fedeltà al Viceré
21. Il Priore al Popolo: deporre le armi per ordine del Re
22. Finalmente l’indulto: poche condanne e solo per Eresia!

1.

il popolo si accontenta
ma scatta la condanna per eresia

— Un altro editto al Duomo: Napoli teme il doppio gioco
— I funzionari filo-reali sostituiti e scherniti
— La città fa le scuse al Re, ma il Tribunale lavora
— Tre nobili giovani squartati perché liberarono un eretico
— La sfida del Viceré davanti S.Lorenzo, sede del Parlamento

2.

il tentativo del principe di salerno
di far fuori il vicere’

— La Città invia Sanseverino a protestare con il Re
— Le quattro cose primarie successe durante i «rumori»
— Il Re ferma Sanseverino e fa dire alla Città di obbedire

3.

la vendetta degli spagnoli
e il tradimento dei deputati

— Si pubblica l’Indulto, ma si apre la camera delle torture
— Caracciolo da Carlo V: Toledo si crede Re e stampa conio
— In prigione anche i nobili: la vendetta

note bibliografiche

Note Bibliografiche

1. Francesco Palermo, Narrazioni e documenti sulla storia del Regno di Napoli: dall'anno 1522 al 1667, cap.II, Vita di Don Pietro di Toledo, scritta da Scipione Miccio. Osservazioni critiche intorno al Toledo.Miccio, cit., in: Palermo, cit. V. Giannone, Lib. XXXVII, capo 5, §. I. Cfr. Gregorio Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, a cura di Gravier, Napoli 1770. V. Pietro Giannone, Istoria civile.
2. Palermo, cit. V. Castaldo, Storia, Lib. 2.
3. Miccio, cit. v. Palermo.
4. Miccio, cit. v. Palermo.
5. Ivi.
6. Il manoscritto, custodito dalla Yale University Library e parte della Collections Library Yale, è collocato in: Ms. in Italian. 995 pages. Thick 4to. Contemporary limp vellum. Table of contents at the beginning. Italy (Naples?), 17th century. La versione on line è consultabile al sito: https://edu/catalog/32492480. Cfr. Ignoto, Manoscritto inedito. Estratti in copia di autore ignoto, fedeli all’originale e pubblicati per la prima volta a stampa. Stesura c.a. anno 1580. D’ora in avanti: Ignoto, Manoscritto inedito. Esso è simile alla copia letta da Gravier e firmata da Antonino Castaldo, Avvenimenti più memorabili succeduti nel Regno di Napoli sotto il Governo del Vicerè D.Pietro di Toledo, in: G.Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769, VI. Ma l’inedito non è stato scritto dalla stessa persona, perché il linguaggio da diurnale dell’Ignoto appare antecedente a quello del copista Castaldo di circa 50 anni, seppure manomesso e storicizzato da Gravier. Pertanto, allo stato, risulta non esatto dire che Ignoto e Castaldo siano state la stessa persona. Ragione per cui, il MSS inedito, da noi consultato in copia originale, certamente differisce per terminologia e orientamento politico (chi è filofrancese, chi filospagnolo) e pertanto si resta dell’opinione che il testo dell’Ignoto, precedente e più genuino, non possa essere stato scritto dal Castaldo, il quale, sicuramente da esso attinge in un secondo momento.
7. Ivi.
8. Ivi.
9. Ivi
10. Ivi.
11. Ivi.
12. Ivi.
13. Miccio, Cap.35, cit. In: Palermo, cit.
14. Palermo, cit. V Istorie Fiorentine, ediz. 1824-27, Lib. XXXIII, pag. 346. V. anche Adriani, Istoria de' suoi tempi, ediz. 1822-23, To. II., pag. 322-324.
15. Palermo, cit. V. Miccio, cit., cap.35-36.
16. Anonimo, cit.
17. MS dell’Anonimo, Libro II, pagg.32-68. Cfr. https://collections.library.yale.edu/mirador/32492480.
18. Palermo, cit. V. Miccio, cit., cap.35-36.
19. Ivi.
20. MS Anonimo, Libro III, pagg.98-100. Cfr. Collections Library Yale, «toledo Ms 995», Ms. in Italian. 995 pages. Thick 4to. Contemporary limp vellum. Table of contents at the beginning. Italy (Naples?), 17th century. Da: https://collections.library.yale.edu/mirador/32492480.
21. Ivi.
22. Ivi. Da f.68 v in poi del Ms.
23. Ivi. Libro III, da f.98r in poi del Ms.