Edizione cartonata ALFONSO II° D’ARAGONA: il Re lascivo, storie di donne rapite, di bei cavalieri e della duchessa tradita senza pudore. EAN 9788872971307

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Copertina posteriore

una moglie e due figlie per cominciare
e poi gli amori omosessuali

appendice documentaria

MEMORIE SUlLA VITA DI IPPOLITA SFORZA
in uno studio dell’abate romano

nicola ratti *

Sortì i suoi natali Ippolita nell’anno 1445, ai 18 d’Aprile da Francesco Sforza, e Bianca Maria Visconti. Erano in quel tempo i di lei genitori in semplice condizion privata, ma do vettero passare ben pochi anni, perché i medesimi si vedessero stabiliti nella più bella, e ricca Signoria d’Italia, cioè a dire sul trono di Milano.
Liberati allora da un mare di angustie, in cui si eran ritrovati per il passato, e ripresa una certa calma, per quanto almeno potevano permetterglielo i serii, e importanti affari di quel ducato, credettero non dover essere per loro l’ultimo pensiero quello di dare ai propri figli una nobile, e ingenua educazione, e principalmente alla diletta lor figliuola Ippolita, nella quale fin dalla prima età apparivano i più rari talenti.
Si pensò di buon’ora a farla istruire nelle belle lettere, e il di lei padre Francesco volle non solo si applicasse allo studio della latina, ma anche della lingua greca, nella quale gli diede a precettore il celebre Costantino de Lascari, uno de più periti, e intendenti di lingua greca di quel secolo, il quale dopo la fatal caduta dell’Impero d’Oriente, e la presa della capitale fatta da Maometto II, venuto unitamente a quei molti Greci, che da Costantinopoli portarono nuova mente in Italia il gusto delle lettere, e delle scienze, era stato amorevolmente accolto in Milano dal Duca Francesco.
Il Lascari assunto l’incarico si applicò con tutto l’impegno a col tivare il novello suo allievo, che allora ritrovavasi nell’età di soli 10 anni, onde riuscisse in quello studio con piena sodisfazione del genitore, al quale riconoscevasi per mille titoli obbligato.
Tal’oggetto compose appostatamente per Ippolita una grammatica greca, che nel 1476 fu stampata in Milano, essendo stato questo il primo libro, che in tal lingua sia uscito dalle stampe d’Italia. Ippolita dal suo canto corrispose con egual’impegno alle pre mure del suo maestro, e in breve tempo divenne molto intendente in quella lingua, tantochè, se atteso il favore accordato dal di lei padre Francesco ai Greci fuggitivi di Costantinopoli, può meritamente dirsi essere stato il medesimo uno de primi promotori di questo studio sì utile, e tanto a quei tempi trasandato in Italia, non devesi certamente negare ad Ippolita la giusta lode di essere stata tra gl’Italiani una delle prime coltivatrici del medesimo.
Ma non solo nelle greche, anche nelle latine lettere profittò moltissimo la nostra Ippolita. L’Argelati nella sua Biblioteca de Scrittori Milanesi dice, che ella non solamente parlava la lingua latina speditissimamente, ma che inoltre vi scriveva con uno stile così elegante, che niente era inferiore a quello de più grandi Oratori [Tom.II. pag. 1380]. Per testimonianza del medesimo sappiamo ancora, che essa fu niente meno eccellente nelle sacre discipline, e nelle più sublimi facoltà, e che attesa la di lei somma perizia nelle scienze filosofi che meritò gl’encomi de più eruditi personaggi dell’età sua. Intanto dette Ippolita non meno, che le altre dotte Italiane di quel secolo, pubblico saggio della sua abilità nel comporre latine orazioni, e recitarle poi in quegl’in contri, che gli si presentarono opportuni per simili letterarie funzioni. Due infatti ne recitò pubblicamente, le qua li bastarono a fissargli il credito di va lente Oratrice. Recitò la prima nella città di Milano, consecrata da essa unicamente a tessere l’encomio della Duchessa Bianca sua amantissima madre; l’altra nella città di Mantova alla presenza di parecchi illustri personaggi, tra quali merita di esser commemora to il Pontefice Pio II, ivi andato per istringere una lega contro il Turco, le di cui armi vincitrici erano forte mente temute a quel tempo.
Ambedue queste orazioni conservansi manoscritte nell’insigne Biblioteca di Milano detta l’Ambrosiana [In un cod. man.]; la seconda però delle anzidette fu pubblicata alle stampe dall’eruditissimo Monsig. Mansi [Pii II. Oration., scritto sig. L. n.69 in 4 vol.II, pag. 192].
Il Pontefice Pio II, nella risposta estemporanea all’orazione d’Ippolita reci tata alla di lui presenza nella città di Mantova, in brevi accenti fece alla medesima il seguente elogio: – Tu, o diletta figlia, hai recitato alla nostra presenza un’orazione elegante, tersa, e degna di un grand’Oratore. Noi ammiriamo il tuo talento, e la tua virtù; ne vada pur lieta la tua genetrice pre sente, e il tuo padre assente, che di tali doti fornita ti hanno generato [Codice cit.].
Dopo un encomio di tal natura fatto ad Ippolita da un personaggio per tutti i riflessi superiore a qualsisia eccezione, di buon grado si dispensaremo dal riportare quì il giudizio di altri letterati di quel tempo, per rilevare il merito delle letterarie produzioni d’Ippolita. Non è per altro da maravigliarsi, se la medesima possedeva in sì alto grado il gusto, e l’eleganza della lingua latina. Essa l’avea facilmente appresa per mezzo di uno studio assiduo, e indefesso delle opere di Cicerone, che non si contentava solamente di leggere più, e più volte, ma per maggiormen te impossessarsi della vera frase latina, che in tutte le opere del Romano Oratore si trova costantemente, ne trascriveva de libri intieri; del che ci fa chiara testimonianza Paolo Moriggia, il quale, siccome riferisce l’Argelati, dice aver egli medesimo veduto con suo gran piacere presso Dario Majetta cittadino Milanese il libro della Vecchiezza di M. Tullio Cicerone, trascritto da Ippolita con caratteri tali, che sembrava stampato; e l’Anonimo Accademico Intronato, autore del Trattato degli studi delle donne, fa menzione del libro dell’Amicizia similmente copiato da Ippolita, e da esso veduto [Biblioth. scriptor., Parte I. pag.223, Mediol. tom. cit.] nella libreria di S. Croce in Gerusalemme, se pure questo non è lo stesso, di cui parla il Moriggia.
Fin dalla più tenera età era stata destinata la nostra Ippolita a consorte a D.Alfonso d’Aragona già Duca di Calabria, e poscia successore al padre Ferdinando I. nel regno di Napoli. Allorchè giunse il tempo proprio per la celebrazione delle nozze, il Re Ferdinando spedì a Milano il suo figlio cadetto D. Federigo con un accompagnamen to di 6oo cavalli, e scortato da molta, e fiorita Nobiltà per condurre a Napoli la Sposa. Il Duca Francesco Sforza padre d’Ippolita, che molto piccavasi di generosità, e magnificen za, giunto che fu alla sua capitale D. Federigo, usò tutte le dimostrazioni possibili ad un ospite di tanto ri guardo, e poscia destinò Filippo Maria suo figlio, affinchè unitamente ad un numeroso seguito di Nobili Milanesi accompagnasse sino a Napoli la sorella Ippolita.
Essa vi giunse nel Settembre dell’anno 1465, e nello stesso mese fu contratto il matrimonio. Molto si diffondono gli autori contemporanei, e tutti i scrittori della Storia Napoletana, in raccontare l’onorifico accoglimento, che fu fatta dal Re Ferdinando alla novella sua nuora, non meno che al di lei fratello Filippo, che ne riportò in ricompensa il nobile, e ricco ducato di Bari, come anche nel descrivere le magnifiche feste, e spettacoli, che si fecero in simigliante occasione per lo spazio di vari giorni consecutivi.
Divenuta Duchessa di Calabria la nostra Ippolita, per quanto glielo permise la sua condizione ancor privata, si applicò intieramente a pro curare la felicità de’ suoi popoli, onde si vidde sempre impegnata a soccorrere il povero, sollecita in sollevare l’oppresso, facile nell’ accordar grazie, quando non si opponevano alla giustizia, e al buon regolamento, affabile, manierosa con tutti, perfino col più infimo della plebe. Da quanto di sopra abbiam detto riguardo alla prima lati na orazione recitata da Ippolita, avrà potuto ciascuno rilevare, qual tenero amore nudrisse la medesima verso la sua cara genetrice. Questi non si di minuì punto dopo il suo stabilimento in Napoli per il seguito matrimonio con Alfonso II, che anzi passato qualche anno, quasi non potesse più vivere lontana da quella, risolse di andare ella stessa a ritrovarla in Milano, onde ai 3 di Dicembre dell’anno 1468, come riferisce Giovann’Antonio Summonte [Storia della città, e regno di Napoli tom. IV., lib.vi. pag.565], partì sù le galere alla volta di Pisa, accompagnata da Indico d’Avalos Camarlingo del regno, e dal la di lui moglie, ove giunta prese tosto il cammino verso Milano.
In questa capitale si trattenne in compagnia della Duchessa Bianca sua madre sino all’Agosto dello stesso anno, dopo il qual tempo si ristabilì nuovamente in Napoli al castello Capuana sua ordinaria residenza.
Dopo il suo ritorno in Napoli ciò, che la tenne principalmente occupata in mezzo alle altre molte cure che da ogni banda la di strassero, si fu il promuovere gli studi delle belle lettere, non solamente coltivandoli ella medesima, ma inoltre accordando la sua protezione a tutti coloro, che ne facevan professione.
Grand’elogio fanno d’Ippolita iscrittori Napoletani in occasione, che parlano della letteratura di quel regno, che molto certamente avanzossi protetta, e coltivata da una sì dotta Sovrana. Ma ella morì troppo immaturamente per poter diffondere, quantoavrebbe voluto ne’ suoi sudditi, tutti i tesori delle sue beneficenze.
Il giorno 20 di Agosto dell’anno 1488 fu l’ultimo della sua vita trovandosi in età di soli anni 43. L’immaturità della morte non gli permise di giungere all’alto grado di Regina di Napoli, poichè il di lei consorte Alfonso non fu inaugurato Re che nel 1494, nel qual’anno appunto mancò di vivere il di lui padre Ferdinando; apparisce da ciò, quanto siasi ingannato Paolo Moriggia, allorchè chiamò Ippolita Regina di Napoli, non essendo stata più che Duchessa di Calabria.
Fu madre di D. Ferdinando Re di Napoli, II di questo nome, di D. Pietro Principe di Rossano, che morì in tenera età li 17 Febbrajo dell’anno 1491, e d’Isabella, che in seguito fu moglie del Duca di Milano Giovan Galeazzo, della quale ci rimane ancora a narrare le gesta.
Con magnifici funerali fu onorata la memoria della defonta Ippolita, e il di lei cadavere restò sepolto nella Chiesa dell’Annunziata in una gran cassa riccamente coperta di velluto cremisi [Summonte, Storia della città, e regno di Napoli, tom.V. pag.29]. Ciò per altro, che devesi riputare per la medesima più de coroso, si fu il pianto universale de’ suoi popoli, che sembrava si affligessero per la perdita non già di una Sovrana, ma piuttosto di una madre affettuosissima. La virtuosa vita d’Ippolita, non meno che la di lei scienza letteraria gli meritarono dopo morte gli encomj di vari celebri letterati, specialmente di Giacomo Filippo da Ber gamo, di Paolo Moriggia, del Sitono, dell’Argelati, e di altri, che hanno il lustrato la storia della letteratura Milanese.*

INDICE

ragionamento di s.cuttrera
alfonso ii di napoli, lussuria e arroganza
— Aragonesi, la casa reale dagli amori carnali
— I cattivi insegnamenti del Re padre: Ferrante I
— Sposi riparatori per le concubine del Duca
— Isabella Stanga, prima vittima dell’amore molesto
note

Capitolo I.
UNA SFORZA A promessa sposa
al duca-madrillo di calabria
— Alfonso sposerà la figlia del Duca di Milano
— La cometa di Halley: il sisma e la peste
— Il lungo viaggio di Donna Ippolita
— La sosta a Bologna per la Beata Caterina
— La sosta a Firenze: è amicizia col Magnifico

Capitolo II.
la sposa ippolita, l’amante trussia:
le madri dei suoi figli
— Trussia, il vero amore del Duca di Calabria?
— Il matrimonio sforzoso con Donna Ippolita
— Le spese pazze e il breve ritorno a casa
— La corte milanese sostituita dai napoletani
— Carbone e Gesualdo fatti sposare a Trussia
— Ceccarella Carafa, la sposina rapita dal Re

Capitolo III.
L’AMORE PER MARIA DAMIGELLA
DI GIOVANNA REGINA MATRIGNA
— Il sire si risposa e il Duca adocchia la dama
— Giovanna, la Regina matrigna che amò il padre
— La giovane matrigna ospitata dal Duca
— Infiniti festeggiamenti con giostre e caccia
— Giovanna e Ippolita, «uguali» ma diverse

Capitolo IV.
«la duchesca», una villa di libri
PER LA MOGLIE LONTANA daLLA CORTE
— Amori carnali fuori, Corte d’amore a palazzo
— Buffi reali e goffi santoni diventano storie
— Le gesta della Duchessa nelle rime dei poeti
— Quella «Duchesca» progettata a Firenze

Capitolo V.
il duca vince i turchi, si dona
ai maschi e regala libri alla moglie

— Cavaniglia, suo «cinedo», mandato a morte
— Una villa come inno al Rinascimento
— Dalla saccenza milanese all’umiltà
— Il marito, un orco; la moglie, una dea
— Non gemme al collo, ma denaro per i poveri
— La biblioteca perduta della Duchesca
— La cultura per sfuggire alla malattia

Capitolo VI.
«Isabelletta» e ferrandino
dicono addio alla madre

— I figli legittimi: Ferdinando II e Isabella
— Ippolita morta come Regina senza corona
— La figlia Isabelletta sposa del duca di Milano
— Via «La Duchesca»: nasce S.Pietro à Maiella

Capitolo VII.
le donzelle rapite in provincia:
gli ultimi amori prima dell’esilio

— Montefuscolo e Crispana: due sedotte e riparate
— La morte del figlio Pietro a 19 anni
— Il Regno svanito di Alfonso e Ippolita
— I reali piangono per padre e figlio: la morte
— Alfonso e Sancia avuti da Trussia Gazzella

postfazione di claudio rovito
il libro di corona e «i fatti tragici
amorosi» capitati sotto alfonso ii

note bibliografiche

appendice documentaria
da nicola ratti

*. Da: Nicola Ratti

Description

ALFONSO II DI NAPOLI, PRECURSORE ARCOBALENO

FAMIGLIA ALLARGATA, MA ANCHE LUSSURIA

I capitoli amorosi sui sovrani aragonesi, tratti dalla cinquecentina di silvio corona, che a quanto pare vede per la prima volta la luce in una collana dedicata, sono il cuore della stesura, pubblicata a capitoli in forma fedele all’originale, che arricchiscono questo volume. Il piacere di ritrovare materiale inedito a distanza di 1500 anni è incommensurabile per chi fa questo lavoro, mirando a editare testi sempre più oggettivi. Pertanto, sebbene ancora presi dall’euforia per il manoscritto ritrovato, pubblichiamo anche gli amori di Re Alfonso II, aggiornati alla trascrizione dalla cronaca rinvenuta, che arricchiscono la biografia del terribile erede di Re Ferrante.
La trascrizione del manoscritto originario di silvio corona differisce di poco, soprattutto nel linguaggio del copista, da quello successivo a firma di silvio e ascanio corona, probabilmente letto e posseduto da minieri ricci, allorquando fece l’ultimo inventario della sua biblioteca.
La copia settecentesca rinvenuta appare meno fedele perché susseguente, ma paree coincidere nei contenuti, almeno quelli relativi agli amori della corona, con quella un tempo posseduta dallo storico. Questa trascrizione b, però, sembra essere più insistente a riguardo degli amori lascivi, quasi a sottolinearne la gravità dei peccati commessi, appartenenti al secolo precedente, e lasciando un’ombra negativa sui sovrani aragonesi in piena Inquisizione.

Aragonesi, la casa reale dagli amori carnali

corona sciorina dunque gli amori maschili e femminili di Re Alfonso I, seguiti da quelli moltiplicati dal figliolo Ferdinando I e triplicati dall’erede Alfonfo II, avuto dalla Principessa «Isabella di Chiaromonte figlia di Tristano Conte di Copertino donna divina incorrotta», pur continuando vita segreta con l’amata Diana Guardato. Non per questo, infatti, il già fedigrafo padre «per cotai nozze volle lasciare i soliti congiongimenti con Diana, la quale appresso gli partorì due altri figliuoli, cioè una femmina chiamata Ilaria, che poi divenne moglie di Lonardo della Rovere nipote del Pontefice Sisto 4°, il qual era Prefetto di Roma, e n’ebbe il Ducato di Sora per dote. Et un maschio chiamato Errico, che fu fatto dal padre Marchese di Ierace, e prese per moglie nell’1473 Polissena Centeglia. Quest’ultimo parto diede la morte à Diana sua madre con grandissimo dolore di Ferdinando, che teneramente l’amava, ma datosene pace, attese per alcuni anni à premiare d’affetto maritale ad Isabella sua moglie, che l’aveva con molta fertilità, non meno della sua impudica amante, partoriti molti figliuoli, cossì maschi, come femmine e questi furono Alfonso, che nacque à 4 di 9bre 1448, et ebbe titolo di Duca di Calabria, e successe al padre poi nel Regno.
Leonora nata à 22 di giugno 1450 della quale e delle sue impudicizie faremo à suo tempo memoria e’ costei fù moglie di Ercole da Este Duca di Ferrara.
Federico nato à 19 d’Aprile 1452; che pria fù Principe d’Altamura per il matrimonio, che fece con Isabella del Balzo, e poi divenne anch’egli Ré del Regno.
E Beatrice, che fù maritata a Mattia Corvino Ré d’Ungaria.
Successe poi nell’1458 la morte di Alfonso P.° suo padre, e la guerra, e travagli, ch’ebbe per mantenersi la Corona del Regno, finché stabilito ivi esso con la cacciata del Duca d’Angiò; e depressione dè Baroni suoi vassalli, che avevano seguita la fazzione contraria; cominciò à regnare con ogni specie di crudeltà, avaritia e libidine non solo contra quelli, che nella guerra passata avevano seguita la parte Angioina; ma ancora contra quelli, che più l’avevano servito; impercioché dissonorò molte case principali; come diremo, pigliandosi pubblicamente dalle case dei padri le figliuole, e togliendo le mogli à mariti Illustri, à quali erano promesse, col cui esempio seguiva il medesimo stile Alfonso Duca di Calabria suo figlio, per lo che sapendo l’odio, e la malavolenza, che tutti universalmente gli portavano, tenevano continuamente grosso stuolo di gente armata, acciò potessero tenere à freno, e con timore li soggeti offesi».
Il cronista entra subito in argoment, ampliando il discorso amoroso di tradimenti e figli bastardi a tutta la famiglia. Insomma tale padre e tale figlio, ma tale anche il nipote Alfonso II, con l’aggravante della tirannia.

I cattivi insegnamenti del Re padre: Ferrante I

Il Duchino, del resto, era cresciuto a corte, fra fratelli e fratellastri, che ogni tanto giungevano per essere allevati da nutrici e istruttrici, a seguito di improvvidi parti delle amanti del genitore.
Ferrante non ebbe pudore neppure con il nobile Petricone, fratello di una di esse, Giovanna Caracciolo, facendolo chiamare a corte per redarguirlo, a seguito delle sue lagnanze di molestia regia.
Così il corona: — Giovannella della’tre sorelle fù la più bella, e gratiosa, quale à pena fù veduta da Ferdinando, che fieramente se n’invaghì, e talmente s’adoperò, e con doni, e con promesse, e più con la forza, che l’ebbe à sua disposizione con grandissimo cordoglio dè di lei parenti, e più di tutti di Petricone fratello di Giovannella, che come primogenito successe al padre è fu anche Duca di Martina, il quale mostrò più di una fiata voler vendicarsi del dissonore della sorella, e più di una volta proruppe in parole risentite contra il Re, giurando di volerci tagliare le corna d’oro, il che venuto à notitia del Ré, che non volendo incrudelire contro di qello, per rispetto della sorella che focosamente amava, fattoselo chiamare un giorno dentro al suo gabinetto gli parlò da solo a solo in questi senzi, si come fù osservato d’alcuni curiosi dè quai non sono mai manchevoli l’anticamere de’ Principi.
Petricone, intendo, che vi lagnate della nostra persona per l’amore, che porto a vostra sorella, prossimità, come dire, à miei appetiti, arrecando ciò molto dissonore à voi, et à vostri.
Noi per questo effetto vi avremo fatto chiamare per chiarirvi, e farvi capace, che la prattica, che tenemo con vostra sorella, non solo non arreca alla nostra casa, e famiglia vergogna e dissonore alcuno, ma al contrario gloria et honore.
Sappiate, che quelle donne arrecano vergogna alle famiglie, che per vilissomo prezo si vendono alle capricciose dissolutezze del volgo, non quelle ingenue donne ò donzelle, che ò superiore dall’amore, ò portate dal desiderio d’avvantaggiare le proprie fortune favoriscono dè loro abbracciamenti un Ré loro Signore, da cui vengono teneramente amate, & altamente collocate.
E non siamo forse noi, per l’alto grado della nostra conditione degno di godere le più belle Principesse del Mondo, non che la persona di vostra sorella, la quale non che pregiudicava nel suo onore, e di vostra Casa, e famiglia, ma riputarvi grandemente onorati dell’amicizia nostra.
E poi fratel mio, che cos’è quest’onor feminile, del quale tanto il volgo ignorante si empie la bocca; altro che umor malinconico, e favola per levare loro quanto di bene l’ha conceduto il Cielo, e la natura? E una gran felicità il conseguir gratie, favori, e dignità senza costo; ma non tutti conoscono quel che gli stà bene, e molti, come voi si lasciano agitare dal vento delle falze opiniuoni; perciò togliete queste chimere dalla vostra mente, e date quiete all’animo perché vi prometto di innalzarvi alle prime cariche del Regno; ne pensate che noi promettiamo forse più largamente di quelle che pensiamo di osservare; perché in un nostro pari non devono aver luogo le considerazioni de gl’Amanti volgari, essendo istinto naturale de gl’animi grandi di parlar poco, e di operar molto.

Sposi riparatori per le concubine del Duca

Dopo aver condattato così gli amori del nonno Alfonso I il Magnanino, preso prima dall’amato Gabriele Correale di Sorrento e poi da Lucrezia d’Alagno, il cronista di Alfonso II attacca sulle leggerezze del Re padre, insistendo sul dolore provocato alle famiglie delle amanti. Ma ecco che entra nella storia un nuovo elemento, quello della ribellione dei mariti scelti per riparare con l’unione ufficiale circa la perduta verginità delle amanti del genitore. Una toppa che in particolare, per dirla con le parole di corona, sdegnò Giovannella e tanto ferì il fratello dopo il discorso di Ferrante I.
Questi, «il povero Petricone, essendo giovine, e come tale impetuoso, benché d’animo audace e risentito, non sapendo che dire si restrinse nelle spalle e però volendo dir assai, non disse nulla; e licentiatosi dal Ré sen’andò via, non restando nell’animo punto appagato dalle falze suggestioni del Ré; ma gli fù di bisogno, non potendo per all’hora far altro, sopportare si grave affronto, e tranguggiare sì amara piccola, finché gli venisse propitia occasione di vendicarsi. Da questi illeciti congiongimenti nacque un figliuolo à cui fu posto nome di Ferrante, quel fù fatto poi Duca di Montaldo; da cui sono stati rpocreati D.Ap. Duca di Moltaldo, D.Maria e D.Giovanna la prima è moglie al presente, che noi scriviamo di Alfonzo d’Avalos Marchese del Vasto Generale Capitano in Italia del nostro invinttissimo Imperador Carlo V, e la 2.a è sposa di Ascanio Colonna gran Contestabile del Regno. Ma il Ré volendo dar fine à gl’amori con Giovannella sì per quietare i di lei parenti stati sempre suoi fedeli servidori; sì perché essendo già rimasto vedovo della buona Regina Isabella di Chiaramonte, tenea trattato di matrim.° con Giovannella d’Aragona sorella di Ferdinando Re d’Ungheria dico Re d’Aragona, e di Castiglia che poi fù detto il Cattolico; si risolse di collocarla in matrimonio con marito conveniente al suo novil parentato, e fattosi chiamare per detti esteurò Eligio della Marra Conte di Aliano, e Signor di Stigliano, gli propose il matrimonio con Giovannella, la quale oltre la ricca dote che l’avrebbe portata, sempre ivi tutte le sue cose li avrebbe faurito. Eligio, ch’era Cavaliero di qualità molto onorato, et assai libero nel parlare, risolutamente disse al Ré che non si sarebbe mai accoppiato in matrimonio con donna impudica, benché di nobilissimo sangue, e parentato, e che più presto sarebbe mille volte morto, ché ciò esequire, perciò pensasse di collocarla ad altri non cossì scrupoloso, avendo lui stomaco molto fiacco, e debile per far tale digestione.
Il Re sdegnato cossì per la ripulza, come per lo libero parlare d’Eligio gli fé sotto coloriti pretesti confiscare tutto il suo stato, qual consisteva in buone, e ricche terre,e castella onde vedendosi spogliato di fatto di tutti li suoi beni, quando altri si sarebbe avvilito, lui maggiormente nelle adversità, mostrò la sua costanza; impercioché avendoli il Re fatto intendere, che se voleva concedere al matrimonio propostoli l’avrebbe subito fatto togliere il sequestro, non volle mai à ciò condescendere, ma à preghiere dè suoi amici, e parenti fé proponere al Ré di prendere per sposa in vece di Giovannella à Sancia di lei sorella, quale benché come stretta congionta di sangue di quella non avrebbe trovata facilità di maritarsi con suo eguale, almeno teneva ancora intatta la sua verginità; onde il Re vedendo la costanza di Eligio si contentò che s’accoppiasse in matrimonio con Sancia, e gli tolse il sequestro fatto nè suoi beni.
Ma il Re volendo in ogni contro collocare à Giovannella con Personaggio forte più cospicuo d’Eligio, et avendone molti nel pensiero, finalmente s’oppose ad un nobilis.° Cavaliero, qual fù Angelo di Monforte, figlio di Cola seù Nicola Conte di Campobasso, il quale per aver seguite le parti del Duca Gio: d’Angiò, e militato contra lui, l’aveva come ribelle confiscato il suo Stato, essendo il Conte Nicola fuggito in Francia: e fatto fare trattato con dett’Agelo del matrim.° con Giovannella; costui non così scrupoloso com’Eligio, accettò di buona voglia l’offerta e si ferono gli sponzali, et il Re ricevutolo in gratia levò il sequestro allo Stato confiscato al Conte Nicola, e di nuovo né fece l’investitura ad Angelo, e con tal matrimonio quietò il Re i parenti di Giovannella, et anco diede lui in parte quiete alle lascivie, e dissolutezza, si per essere già vecchio d’anni 54. benché di robusta, e forte natura: si anco e più per essere già la sua seconda sposa Giovanna d’Aragona gionta in Napole, donna giovina, e bella, quale nell’anno 1477 con grandissima pompa, e festa sposò».
Si rimanda il lettore ai nostri studi pubblicati sulle cronache che riguardano Alfonso nonno e Ferdinando padre. Eccoci finalmente a quando il cronista del Cinquecento inizia il suo affascinante viaggio fra gli infiniti amori di Alfonso II d’Aragona.
Ne parla fin da quando, svezzato dalla corte, si diede ai corteggiamenti, approfittando del titolo ereditario di Duca di Calabria.

Isabella Stanga, prima vittima dell’amore molesto

Corona prosegue la saga sulla Corte dell’amore, citando le avventure di Alfonso 2°. Questi, è quel Principe che «più dell’avo, e del padre, trattò impudichi amori: Alfonzo Secondo figlio del Re Ferdinando ed Isabella di Chiaramonte sua moglie».
E così inizia, senza peli sulla lingua.
Il cronista: — Nacque Alfonso ai 4 del mese di novembre dell’anno 1448. Fu huomo feroce, d’occhio bieco e di terribil natura, dedito sin dalla sua fanciullezza cossì all’arme, come à gl’amori, conferme di questi né rintracceremo l’Istoria.
Essendo Alfonzo che s’intitolava Duca di Calabria appena d’anni 15 ritornato in Napoli d Calabria, ove benché garzonetto, era stato mandato dal Re suo padre sotto la guida, e direzzione di huomini espertu, e fedeli à debellare alcuni baroni della fazzione Angioina, e godendo gl’ozij della Corte, s’innavorò d’una damigella della Regina sua madre chiamata Isabella Stanga di famiglia assai nobile, della città di Cremona in Lombardia, la quale in vero era molto bella, e manierosa, et Io l’ho conosiuta nell’ultima vecchiezza perché sopravvisse a’ suoi figli molt’anni, et ancora dalli lineamenti del suo volto si poteva far giudizio delle bellezze, che fiorirono nel suo volto nella di lei gioventù, che vedendo il primogenito della sua padrona, qual dovea essere Re,e mostrava desiderio di giacer con lei, si tenne la più avventurata donna del Mondo, credendo forse, che l’avrebbe presa in moglie; e perché li voleri erano uniformi, e quel che desiderava l’uno piaceva all’altro non posero indugio ai godimenti con tanto contento di Alfonzo novizio all’hora ne trastulli amorosi; che più non si può dire.
Ma perché come fanciullo non sapea tener celati i congiungimenti notturni, se ne sparse la fama per tutta la Corte; e venuta di ciò notizia alla Regina donna d’incorrotti costumi, volle togliere cotal grave scandalo dalla sua casa come in effetto tolse, maritando Isabella à Gio[vanni] Batt[is]ta Rota gentilhuomo di Corte.
Figli di Rota e Stanga furono poi Antonio ambasciatore papalino e Berardino, il quale, divenuto avverso di Alfonso e del Re padre, fu imprigionato per sette anni in una Torre divenendo canuto e spegnendosi in tutta fretta, come racconta lo stesso cronista, quando dice che, «volendo fare alquanto di digressione, notaremo i figli nati da qsto matrimonio, e cioé che ad uno d’essi avvenne. Li figli dunque furono due maschi chiamati, Berardino l’uno, Antonio l’altro, qsto nel fiore della gioventù essendo divenuto molto abile a trattare negotj gravi, fù adoperato dal Ré Ferdinando in diversi affari, e particolarmente nell’Ambasciarìa di Roma. L’altro, che fù Berardino divenne familiar Servidore di Mandella Caietana Principessa di Bisignano danno di gran talenti, alla quale avendo esso Berardino aiutata à fuggire da Napole per ponere sé, et i suoi figliuoli in salvo dalla crudeltà di Ferdinando, che desiderava d’averli nelle mani per farli morire, fù cagione, che per quest’opera pia d’esser posto prigione in un fondo di Torre, ove stette per lo spazio di sette anni, et averebbe senza alcun dubio pericolato nella vita, se Antonio suo fratello coll’autorità del Pontefice Alessandro 6° appo del quale era Ambasciatore, non glie l’avesse salvata, e fattolo ponere in libertà, ma quel che fù di meraviglia, quando uscì di prigione, benche fusse molto giovine, si trovò tutto canuto, e poco dopo se né morì».
Conclude corona mostrando il falso volto del Re che Alfonso, nell’1495, «essendosi ritirato nella Città di Mazzara in Sicilia ricordevole dell’affetto portato ad Isabella loro madre sin dalla sua fanciullezza, scrisse una lettera consolatoria ad Antonio persuadendolo à darsi pace della morte di Berardino suo fratello».8
Ma non tutti gli storici gli furono avversi. C’è Domenichi che non parla di amori e tirannia, ma descrive l’ex Duca di Calabria come un irrascibile milite burlone. Dice che «s’era adirato molto contra un famiglo di stalla, perche volendolo gastigare, fatto chiamarsi il mastro di casa, gli ordinò, che toglieffe il vino a colui per dieci giorni: Perche tutti coloro ch’eran quivi, si diedero a ridere, si come quei che sapeuano, che quel famiglio non bevea vino. La qual cosa benche la sapesse anchora il Re Alsonso, nondimeno la colera gliele haveva fatto uscir di mente.
Il medesimo Re Alfonso veggendo un de suoi soldati fuggir da nimici, lo fermò, dicendo: – Doue fuggitu poltrone?
Colui, spaventato, Signore — disse — Io non fuggo, ma cerco l’ombra.
Rise allhora Alfonso della pronta e arguta risposta, che quel vigliacco gli hauea fatto, et foggiunse: — Ecco l’ombra, che tu vai cercando; et mostrogli una hosteria.
Un’altra uolta essendo egli a render ragione un certo mezzo pazzo se gli fe innanzi gridando, che facendo ragione agli altri si volesse ricordare della sua clementia. Gli fu domandato quel ch’egli haurebbe voluto da lui d’humanità et di clementia. Et colui allhora: — Moglierema sta notte mi trasse giù del letto, et con una carta di villanie mi cacciò fuor di casa, io prego V. M. che mi faccia ragione.
Difficilmente si potrebbe dire, quanto gran riso si levò per ogniuno.
Un cavaliere, c’havea nome Rostro, serviva il Re Alfonso in guerra. Portaua costui una berretta rossa, a modo di cresta; et per avventura anchora faceva la sentinella in campo.
Facendo dunque Alfonso di notte il suo ufficio, et volendo burlar colui per la cresta, e per il nome, gli disse: — Quando canterai tu, o gallo, stamani?
Respose il caualiere: — Male puo vegghiare, chi non ha cenato la sera.
Del qual motto havendo preso piacere Alfonso, gli donò una veste et di piu colori, accioh’egli somigliasse bene al gallo, nella cresta, et nel nome, it nella varietà del colore, e in tutta la persona anchora».
Lo stesso domenichi, in altra parte delle sue Historie, traccia un profilo secco del nuovo Re Alfonso II d’Aragona, senza alcun commento. Dice che egli «fece anchora egli gran mutatione di costumi et di fortuna. Percioche havendo insieme con la giovanezza lasciate l’armi et le lettere, si mise a dilettarsi di giardini, di vini, conviti. Di valoroso dunque et pieno di militar prudenza ch’egli era prima, fece si, che per esser troppo grato, era stimato messo alle facende, et finalmente anchora poco men che pazzo. Perche havendo perduto il vigor dell’animo, et sbigottitosi alla prima giunta di Carlo ottavo Re di Francia, quando esso gli mosse guerra; rinuntiò il regno a Don Ferrando suo figliuolo, montando sopra una nave pieno di spavento fe ne fuggi in Sicilia: la dove la giovanezza del nimico, la quale è per lo piu bisognosa di consiglio, la poca provisione, ch’egli havea fatta di denari; che cosi si conosceva esser vero per li denari accattati da ogniuno di prima giunta et oltra cio il verno, il quale assaltava il nimico che ueniva, gli poteva fare assai grande speranza, non solamente di difendersi da lui, ma di trasferire ancho la guerra, che gli era mossa, fino in Francia.
La qual cosa assai facilmente havrebbe potuto fare, havendo egli et soldati, denari da vantaggio. Ma perdutosi d’animo et mettendosi in fuga, et per la fretta lasciando a dietro affaissime cose di molto valore: ciò furono armi, infiniti cavalli, & luoghi fortissimi, egli che in sua giovanezza haveva vinto rocche inespugnabili, che pigliando per forza Otranto havea con gran fatica cacciato i Turchi d’Italia, parve che egli non cercasse altro, se non come potesse in qualche modo salvarsi per darsi bel tempo.
Ma neancho la Sicilia, dove egli ricoverò, l’aiutò lungo tempo a mantenersi in vita. Percioche quivi da niuna altra cosa oppresso meno, che dall’armi de nimici, in breve tempo senza regno passò di questa vita, essendo storpiato da un terribil cancro, che gli era nato in una mano». Non resta che seguire la ricostruzione della storia attraverso queste pagine di cronaca inedita che ci immergono nel pre-rinascimento napoletano fatto di amori e lettere, benché ancora troppo macchiati dalle guerre.

Sabato Cuttrera

note introduzione
note bibliografiche

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

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Editorial Review

La figlia di Carlo di Valois, erede di Provenza e di Napoli

note bibliografiche

note bibliografiche INTRODUZIONE

10.Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 170 e segg.
11. Balla Enrico, Pereto, storia, tradizioni, ambiente, statuti, Roma 1986, pag. 98-99. In: http://www.pereto.info/terremoto_5dicembre1456.htm. Cfr.De Blasiis G. 1885Il terremoto del 1456Archivio storico prov. napoletano, anno X , Napoli. Cfr. GNGTS – Atti del 22° Convegno Nazionale / 05.04 / U. Fracassi, G. Valensise, E. Guidoboni e G. Ferrari dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma e dello SGA, Storia Geofisica Ambiente srl, Bologna. LA SORGENTE DEL TERREMOTO DEL 1456: NUOVE IPOTESI DAL RIESAME CONGIUNTO DI DATI STORICI E STRUTTURALI. Così scrivono: “Nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal MIUR l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e la SGA hanno intrapreso un riesame della catastrofica sequenza sismica iniziata il 5 dicembre 1456. Per l’estensione della zona colpita e la severità dei danni questo terremoto è ancora oggi ritenuto il più forte terremoto della storia italiana. La ricerca si avvale di un’ampia reinterpretazione delle fonti storiche, di una nuova visone d’insieme dell’assetto profondo del settore crostale interessato dall’evento e di analogie con le caratteristiche di sorgente dei terremoti molisani del 31 ottobre-1 novembre 2002".
12.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
13.Così nel Diario: - A dì 5 Decembre die Dominico ad hore 11 venne pe tutto lo Reame no tremolizzo grande, che nullo se ricorda averene nteso simile. Rovinao tutta terra de Abbruzzo, s’aprìo in paricchi lochi la terra alla Campagna di Napoli, de Benivento, Esernia, Adice, et Ascoli; parecchi Cittati, et terre se rovinaro adfatto. In Provincia de Terra d’Otranto facio grande damno ad Brindesi, Oria, Alessano, Castro, Mandurio, Nerito, et Lezze. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
14. Francesco Senatore, Cerimonie regie e cerimonie civiche a Capua (secoli xv-xvi), nota, “Da una lettera di A. da Trezzo a F. Sforza, Giugliano 13.VI.1458, ivi, vol. I, p. 651; lettera degli ambasciatori sforzeschi a F.Sforza, Capua 31.VII.1458, ivi, vol. II, p.73. Sulla pergamena di Altavilla del febbraio del ‘58 v. P. Tropeano, CDV, cit.
15. Francesco Senatore, Cerimonie regie e cerimonie civiche a Capua (secoli xv-xvi), nota, “Da una lettera di A. da Trezzo a F. Sforza, Giugliano 13.VI.1458, ivi, vol. I, p. 651; lettera degli ambasciatori sforzeschi a F.Sforza, Capua 31.VII.1458, ivi, vol. II, p.73
16. Tristano Caracciolo, Genealogia Caroli Primi regis Neapoli. Tristani Caraccioli. Opuscola historica, pag.145.
17. Roberto delle Donne, Regis servitium nostra mercatura. Culture e linguagi della fislalità nella Napoli aragonese, In: Linguaggi e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, a cura di Giovanna Petti Balbi e Giovanni Vitolo. Centro interuniversitario per la storia delle città campane nel medioevo. Quaderni (4).Laveglia editore, Salerno 2007, dal sito internet: www.fedoa.unina.it/1125. Nota 28.
18.G.Battista Aiello, Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845, vol1. Nella tribuna saranno collocati i “sepolcri di Isabella di Chiaromonte moglie di Ferrante I d’Aragona e di Pietro d’Aragona fratello di re Alfonso, morto nell’assedio di Napoli del 1459 e qui poi trasportato da Castel nuovo e tumulato nel 1444. L’iscrizione è la seguente: OSSIBVS ET MEMORI AE ISABELLAE CLARIMONTIAE / NEAP. REGINAE FERDINANDI PRIMI CONIVGIS / ET PETRI ARAGONEI PRINCIPIS STRENVI / REGIS ALFONSI SENIORIS FRATER / QVI NI MORS EI ILLVSTREM V1TAE CVRSVM INTERRVPISSET / FRATERNAM GLORIAM FACILE ADAEQVASSET / OH FATVM! QVOT BONA PARVVLO SAXOCONDVNTVR. Quivi anche riposa la spoglia di Cristoforo di Costanzo gran siniscalco di Giovanna I, morto nel 1367; e qui Beatrice figliuola di Ferrante I e d’Isabella, rimasa vedova di Mattia re d’Ungheria, leggendovisi l’epigrafe: BEATRIX ARAGONEA PANNONIAE REGINA / FERDINANDI PRIMI NEAP. REGIS FILIA / DE SACRO HOC COLLEGIO OPT. MERITA / HIC SITA EST / HAEC RELIGIONE ET MVNIFICENTIA SE IPSAM VICIT.
19. S. Degli Arienti, op.cit.
20. S. Degli Arienti, op.cit.
21.Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
22. Da: https://www.nartea.com/guida-on-line/san-pietro-martire/
«Ritornati sul corso Umberto I lo si percorre verso piazza Bovio incontrando a sinistra nella piazza Ruggero Bonghi la facciata della chiesa di San Pietro Martire. Carlo II d’Angiò, volendo donare ai frati Predicatori domenicani, a cui già nel 1231 era stata affidata l’antica chiesa di San Michele a Morfisa, una nuova “basilica”, diede incarico di far costruire la Chiesa ed il Convento dedicati a San Pietro Martire, i cui lavori ebbero inizio nel 1294....».

Lodovico Domenichi, Historia di m. Lodouico Domenichi, di detti et fatti notabili di diuersi principi, et huomini privati moderni, Gabriel Giolito de Ferrari, Venezia 1556, pag.619.
33. Da: AsMi, Fondo Visconteo Sforzesco; Potenze estere (Napoli); A Autografi (Ippolita Sforza)].
34. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. In famiglia Ippolita diventa per tutti la Principessa.
35. Dal sito internet: www.culturasalentina.wordpress.com. Articolo di Fernando Guida, Isabella di Clermont, regina di Napoli.Per la lettera di cordoglio di Sforza v. BNF, Italien, 1590, 338, Francesco Sforza ad Antonio da Trezzo, Milano 10 agosto 1464.
46. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170.
47. Il 20 agosto 1482 Re Ferdinando nominò Niccolò Allegro a rettore di Benevento, città rimasta in Regno dal 1463, anno in cui, appoggiando le rivolte popolari, fu strappata alla Chiesa insieme a Salerno. Nell’atto compaiono molti civium e habitatorem beneventanorum che chiesero ed ottennero gli statuti comunali ad capitulandum. Valerio dalla Vipera, notajo e sindaco beneventano, fece pubblicare il privilegio. Ma quello fu l’ultimo anno di sovranità del Re, in quanto, il 21 agosto, vi fu la celebre vittoria dei papalini sul Duca Alfonso d’Aragona “presso S.Pieto in Formis, che perciò fu detto Campomorto, dalle genti inviategli contro del Papa, comandate da Girolamo Riario, e da Roberto Malatesta”. I beneventani e gli abitanti di Terracina furono assolti dal delitto di ribellione con bolla papale del 7 gennaio 1483. Il 25 gennaio il pontefice ne dichiarò governatore e castellano Corrado Marcellino, cittadino romano già vescovo di Terracina. Sotto Papa Eugenio Benevento chiederà la separazione del potere politico dalle mani dei Rettori papalini e questi separar separatim facere castellanum a Rettore, seu vicerettore. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769.
48. Civitate Tocco sede vescovile non va confusa con l’Oppido, cioè il Castrum Tocco dipendente direttamente dal papa di Avignone come Castrum Tocci, mentre la precedente Civitate distrutta dal terremoto del 1348 viene dichiarata suffraganea di Benevento. Già papa Stefano X l’avrebbe indicata come dipendenza di Montecassino nel 1058. E’ poi annoverata fra le città suffraganee dal Vipera (Chror. sub Uldarico, pag.90). E qui sarebe l’inghippo perché la vecchia Tocco descritta nel documento non è collocata nella Valle di Vitulano, nella Varvense che non è lo Stretto di Barba (la Varva nel 1800 risulta essere casale di Ceppaloni, ma già nel 1700 era frazione di Chianchetelle, ai piedi di Torrioni, sul finire del vallone San Martino di Terranova Fossaceca all’incontro col fiume Sabato e di fronte Pietrastornina).
Leggendo l’opera “Descrizione dei viaggi compiuti dal Santorino stesso fra 1485 e il 1487, in qualità di cancellarius et scriba del Patriarca di Aquileia (che era arcivescovo di Benevento) nei territori facenti parte dei suoi possedimenti” si capisce che qualcosa non quadra. Infatti, lo scrittore ecclesiastico Paolo Santonino, nel suo viaggio del 1456 descritto nel libro Itinerari dice: quae dicitur Tocco in Valle Varvense, malamente tradotta in Valle Vitulana, ad solum usque deducta defunctorum descriptum non recepi. Vitulano diviene Terra con tre parrocchiali, una delle quali è arcipretura, benchè l’arciprete risieda in Tacciano e dicesi arciprete di tutta la Valle di Vitulano che consta di 36 casali (stranezza del numero uguale ai 36 casali che la memoria popolare diceva possedere sicuramente Pietrastornina, antico feudo delle due torri, che è sita a monte dello Stretto di Barba). Anche Meomartini disse Tocco in Valle di Vitulano.
49. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
50. Giovanni di Fiore, Della Calabria illustrata, vol.3, cit.
51. Monte, cit. Cfr. A.Bascetta, Quattrocento Napoletano, ABE, Napoli 2011.
52. Antonello Coniger, cit.
53. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pag.152.
54. Filippo di Commines, Delle memorie, cit.

65.Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887.
66. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “La Biblioteca del Principe di Tarsia è superba: la sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, prova che l’intenzione del signore non era quella d’onorare le Muse. La Biblioteca del Principe di Tarsia era non solo ricca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. Una sala fornita di molti strumenti matematici, un’altra di ritratti d’uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, in caratteri d’oro, si leggeva il seguente distico di G. B. Vico: Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva / Digna Jove in terris aurea tecta colit. La Regina ha raccolto, da qualche anno a questa parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo uso; Fuger, pittore di Vienna, l’ha dipinta con molto gusto. Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisonomia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, salvo, s’intende, quelle differenze proprie delle provincie cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feudatario, del cattivo amministratore, e della maggiore minore lontananza dalla Capitale, ove era accentrato il potere il quale, per mancanza di sollecite comunicazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere un’azione rapida e concorde in tutte le membra del Reame”).
67. R.Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Napoli, 1977, vol. II, p.73; Francesco Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale, Volume 2, 1998.
68. Notargiacomo; cfr. Scandone.
69. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141, Mélanges de la Casa de Velázquez, 45-2, 2015.
70. Antonio Cicinello a Francesco Sforza, Napoli 19.II.1465, ASM, Sforzesco, Napoli, 214, cc. 204-206. In: Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
71. «L’indiscrezione era stata raccolta da Giovanbattista Bentivoglio e riferita da Zaccaria Barbaro al governo di Venezia, Napoli 17.I.1472, Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli, ed. Corazzol, pp. 137-138».In: Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, cit.
72. Faragalia, Codice diplomatico sulmonese. In: Scandone, cit., pag.122 e segg.
73. Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560. A cura di Stefano D’Ovidio ed Alessandra Rullo, cit.
74. Veronica Mele, La corte di Ippolita Sforza, Duchessa di Calabria, nelle corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Milano. Una enclave lombarda alla corte aragonese di Napoli (1465-1488), pagg. 125-141, Mélanges de la Casa de Velázquez, 45-2, 2015.
75. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. Una “sotterranea” attività diplomatica?
76. Notargiacomo; cfr. Summonte. Cfr. Passaro, cit.
77. Archivio virtuale del monastero dei SS. Pietro e Sebastiano ASPS, 117. 1480 Il 29 ottobre 1481, Nicola de Petrutiis, reggente della Magna Curia Vicarii, incarica il capitano di Acerra di costringere Angelillo de Pistasa cittadino di Acerra a restituire, pena quattro once d'oro, entro due giorni una botte di vino sottratta da una casa sita nel casale di San Nicandro di proprietà dei SS. Pietro e Sebastiano.
78. Pergamente di Atella. Diffida del reggente della Magna Curia Vicarii a non violare una terra ed una masseria in Melito (Il monastero femminile domenicano dei SS. Pietro e Sebastiano di Napoli, doc. 526).
79. Arturo Bascetta, Avellino. L’altro volto del Rinascimento, ABE Napoli, Avellino 2016.
80. Tratto da Joanni Maurello, poeta dialettale calabrese, che narrò l’episodio nel Lamento per la morte di Don Enrico d’Aragona, epicedio di 296 versi diviso in quattro parti stampato a Cosenza nel 1478, il più antico documento in dialetto della Calabria Citeriore in cui l’autore mostra il dolore per la morte del suo signore. Il testo fu rinvenuto fra i rogiti della biblioteca vaticana dallo studioro Erasmo Percopo nel 1888 che lo considerò come scritto da un uomo di cultura “non del tutto volgare e popolano, o cantambanco o improvvisatore che dir si voglia”.
81. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769.
82. A.Bascetta, L’Irpinia dei Gonzaga, I, ABE Napoli 2016.
83. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
84. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
85. A. Mazzarella da Cerreto, in: Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, Volume 3, Nicola Gervasi, 1846.
86. Filippo di Commines, Delle memorie di Filippo di Comines, Cavaliero, & Signore d’Argentone, intorno alle principali attioni di Lodovico Undicesimo, & Carlo Ottavo suo figliolo, amendue Re di Francia, Libri VIII, Bertani, in Venetia 1640 pag.223 r - 225 v.
87. Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza [di Nardò], Opere [cod.per. F27 conservato presso la Biblioteca Augusta] edito per la Biblioteca Salentina di Cultura dalle Edizioni Milella, Lecce 1977. Cfr. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Versi in oggetto 225-240.

92. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
93. Pacientia, cit. E ancora: - La matre primamente ebbe figliata n’altra figliola e po’ fece Isabella; e po’ in quella medesma giornata [210] ne fe’ un mascul, con gran duol de quella. Questo el fe’ morto: la prima fo allevata, campando certi giorni, e morì ancor ella, restando de li tre questa divina, dal ciel serbata ad esser Regina. [215] De iugno, a’ vintiquattro, in San Ioanne, de sebato questa figliola nacque ne’ mille quattrocento sessanta anni cinque, de Cristo nel presepio iacque; [220] nata questei, per aver affanni sì longo tempo como che a Dio piacque; per reposarse po’ in tranquilla pace, Regina incoronata, alma e verace. Pierre del Balzo detto Pirro, spesso italianizzato in Pietro, era Principe di Squillace, divenuto IV Duca di Andria alla morte del padre Francesco III Duca de Andri (primogenito ereditario del II Duca Guglielmo), quando si divise i beni col fratello Angilberto. Era nato poco dopo il matrimonio del 7 dicembre del 1443 da Francesco e dalla Duchessa Sancia (del fu cavalier Tristano dei Chiaromonte di Lecce), sorella della bellissima Isabella Regina di Napoli. Pirro divenne un uomo valoroso, che ben si distinse nelle armi, sempre al fianco del Re, lo zio acquisito Ferrante I d’Aragona. Aveva appena una quindicina d’anni quando questi salì al trono, vivendo il suo dolore nel 1465, alla morte della zia materna, la Regina Isabella, quando non aveva ancora venti anni. Doppio dolore perché Pirro, a sedici anni, aveva sposato (1459) la cugina della madre e della Regina, Maria Donata Orsini del Balzo (m.1487 ca.), figlia dello zio materno della sovrana.
La moglie Maria era infatti divenuta Duchessa ereditiera di Venosa e delle contee di Montescaglioso e di Caserta, alla morte del padre Gabriele (1453), rimasto senza eredi maschi (era fratello di Caterina, madre di Isabella dei Chiaromonte di Lecce). Subito dopo il matrimonio Pirro si trasferì nella città della moglie, mettendo mano al castello di Venosa e costruendo la nuova cattedrale, affidando l’amministrazione del feudo di Montescaglioso ad un suo procuratore, un certo De Cappellanio, patrizio venusino.
94. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 290 al 310, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
98. Cariteo, cit., V. Sannazzaro, versi 66-67
99.Cariteo, cit., versi 66-67100. A.Bascetta, Juana. Giovanna d’Aragona. Le Regine di Napoli, ABE, Avellino 2007. 2. Lettera riportata in Carlo de Frede, L’impresa di Napoli di Carlo VIII, Editore De Simone, Napoli 1982. Cfr. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra Regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso Re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la Duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del Re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo...”. Cfr. Raffaele Castagna, Isola d’Ischia - tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando Duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo Duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000). Cfr. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).

110. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.155 e segg. Cfr. Scandone, cit.
111. Corona, cit.; cfr. Minieri Riccio, cit.
112. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: cit.
113. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
117. Laura Malinverni, Ippolita, da: https://www.storiamedievale.net/pre-testi/ippolita.htm. Una “sotterranea” attività diplomatica? «Ciononostante, la figura di Ippolita Sforza rimane in ombra dal punto di vista storiografico: a tutt’oggi non esiste né una biografia a lei dedicata espressamente né studi approfonditi attorno alla sua figura».
118. Luigi Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 con documenti inediti, R. tipi di de Angelis (oggi A.Bellisario e C.), Napoli 1887. “La Biblioteca del Principe di Tarsia è superba: la sua scuderia è magnificamente dipinta e decorata, prova che l’intenzione del signore non era quella d’onorare le Muse. La Biblioteca del Principe di Tarsia era non solo ricca di opera, ma le pareti e gli scaffali, di fregi ed oro. Una sala fornita di molti strumenti matematici, un’altra di ritratti d’uomini dotti, nazionali e stranieri. Sulle porte, in caratteri d’oro, si leggeva il seguente distico di G. B. Vico: Heic Jovis e cerehro quae in coelo est nata Minerva / Digna Jove in terris aurea tecta colit. La Regina ha raccolto, da qualche anno a questa parte, una Biblioteca di opere tedesche per suo uso; Fuger, pittore di Vienna, l’ha dipinta con molto gusto. Erano, su per giù, queste le condizioni e la fisonomia sociale del Regno fino ai tempi di Carlo III, salvo, s’intende, quelle differenze proprie delle provincie cagionate dalla maggior o minor prevalenza del feudatario, del cattivo amministratore, e della maggiore minore lontananza dalla Capitale, ove era accentrato il potere il quale, per mancanza di sollecite comunicazioni, di frequenti scambi, non poteva infondere un’azione rapida e concorde in tutte le membra del Reame”. Cfr. R.Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Napoli, 1977, vol. II, 1998, ISBN 88-7989-429-3; p.38 e segg.
Sui giardini cit. lettera a Pietro di Borbone del 14 marzo 1495, tutto in: scuola secondaria di i grado “guido dorso”, Orti di Corte, Pacello da Mercogliano: i Giardini Reali e le Erbe del Partenio.M.Lena (docente), M.A.Carbone-A.Criscitiello (tutors), M. Goretti Oliviero (dirigente), Mercogliano 2010; Cfr. Luigi D’Aragona, Diario di viaggio del Cardinale Luigi D’Aragona, Napoli 1517. Cfr. Voce “Catello Mazzarotta”. Da Wikipedia, sito internet. Cfr. G.Mongelli, Storia di Mercogliano: dalle origini ai nostri giorni.
E’ citato nella nota per un’ordinanza regia già nel 1 gennaio 1497 riferita alle loro retribuzioni in lire «secondo la moda italiana»: a Dom Passello, jardinier, pour semblable cause L.375. Il nome è storpiato dagli scrittori ottocenteschi: De Montaiglon lo chiama Dom passollo Jardinier, Bosseboef scrisse che a dom Passello, jardinier, pour semblable cause, 375, aggiungendo che al maestro di casa, Jerosme Passerot, m° ouvrier de maçonnerie appunto, andarono 240 lire, premesso che anche il Pacchiariti, diventa Passerotto, Pacherot ou Passerot était un italien amené en France. Senza dire che Pacero e Pacello sono molto simili fra loro, a cui si aggiunsero Andrea Squazella e Andrea Solario.V. Anatole de Montaiglon, État des gages, des ouvriers italiens employés par Charles VIII, J.-B. Dumoulin, Paris 1852; cfr. Bosseboeuf, Louis Augustin, Palustre, Léon, La Tauraine, Amboise. Su Pacerot, v. Inventaire analytique des Archives communales d’Amboise, 1421-1789, Georget, Tours 1874.
119. Masuccio Salernitano, Il Novellino di Masuccio Salernitano.
120. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
121. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
122. Sabatino degli Arienti, Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria.
123. Luigi Settembrini (a cura di), Il Novellino di Masuccio Salernitano, Napoli 1874, pag.1 e segg.
124. Luigi Settembrini (a cura di), Il Novellino di Masuccio Salernitano, Napoli 1874, pag.1 e segg.
125. Luigi Settembrini (a cura di), Il Novellino di Masuccio Salernitano, Napoli 1874, pag.1 e segg.

133. Baldassarre Castiglione, Terzo libro del Cortegiano del Conte Baldasar Castiglione a Messer Alfonso Ariosto. Vedasi il Cap. xxxvi. Eccone un passo: “Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l’altra regina d’Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d’Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e ‘l valor suo...”.
134.Raffaele Castagna, Isola d’Ischia - tremila voci titoli immagini, Edizioni de La Rassegna d’Ischia. Parlando della nobiltà che dimorò ad Ischia, scrive: A lungo dimorò donna Castellana di Cardona, madre delle bellissime Giovanna e Maria d’Aragona, e discendente di una nobilissima famiglia spagnola, venuta a Napoli al seguito di Alfonso il Magnanimo; sorella di Raimondo di Cardona, che sarà per tredici anni vicerè di Napoli, aveva sposato Ferdinando duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante il Vecchio. Un’altra Cardona era Diana, sorella di Alfonso d’Avalos e d’Aquino e madre di Ferrante d’Avalos. Seguiva il marito Fabrizio Colonna nel volontario esilio sul Castello aragonese Agnesina di Montefeltro, sorella di Guidobaldo duca di Urbino e madre di Vittoria, la grande poetessa del Rinascimento italiano, la più fulgida figura che abbia mai calpestato il suolo d’Ischia (dalla pubblicazione per il ventennio della Festa di S. Alessandro, 2000).
135. Francesco Guicciardini, Storia d’Italia (1492-1534).
136. Masuccio Salernitano, cit.
137. Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, Vol.3, Gervasi, Napoli 1816
138.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.

150. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli.
151. Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, seconda edizione riveduta, Bari, Giuseppe Laterza e figli, tipografi editori librai, 1923.Pagg.166-196, cap.VI, Isabella del Balzo. Regina di Napoli. Pagg.166-170. Cfr. i versi dal 785 al 805, in: Mario Marti (a cura di), Rogeri de Pacienza, cit.
152. Passero, cit., pag.51.
153. Corona, cit.
154. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.171 e segg.
155. Racconti di storia napoletana, ASP, 33. Cfr. Barone, cedole, ASP, X, 22.
156. BPAV, Miscellanea, B 717. Inserto: Diurnali di Giacomo Gallo e tre scritture pubbliche dell’anno 1495 con prefazione e note di Scipione Volpicella, Tipografia Largo Regina Coeli, n.2, Napoli 1846. Anno 1495, da pag.18 in poi.
157. Silvestro Guarino d’Aversa, Diario. Fatto per Silvestro Guarino d’Aversa, delle cose a suo tempo accadute nel Regno di Napoli, e particolarmente nella detta Città d’Aversa dall’anno 1492, infino all’anno 1507. In: Raccolta, pag.224. Cfr. G. Coniglio, I Viceré spagnoli di Napoli, Napoli 1967, pp. 7-16. Cfr. De Bartholomaeis, Lettere inedite di regine aragonesi, in Bollettino Lud., A.Antinori, Napoli 1889, fasc.I e II.
158.Cantalicio, in Raccolta, Le Istorie di Monsignor Cantalicio, Libro I, pagg.10-11.
159. Gallo, Diurnali, Il testamento di Alfonso II, pagg.31-35. Cfr. Il testamento di Alfonso II, pagg.31-35.28/29 febbraio 1497. Cfr. Antonello Coniger, Cronica. In: Giovanni Bernardino Tafuri: Annotazioni critiche del sig.Gio:Bernardino Tafuri patrizio della città di Nardò sopra le Cronache di M.Antonello Coniger leccese. In: Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, Tomo VIII, Appresso Cristoforo Zane, Venezia 1733. Pagg: 198-225.
160. IL TESTAMENTO DI ALFONSO II. Alfonso si ricordò della Regina Giovanna anche nel testamento, la cui ultima versione fu terminata poco prima di abdicare in favore di Ferrante II, al quale raccomandava assoluto riguardo verso la sovrana degna di ogni rispetto familiare.
Ferrandino avrebbe fatto bene a non partisi dalli sani et amorevoli ricordi et consigli di quella, com’esso... sempre ave fatto... a detta Signora Reina sia mantenuto lo stato e tutte l’altre cose li foro promesse in tempo del suo maritaggio... et le siano confermate tutte donationi de gioie et altri mobili per la bona memoria del signor Re suo padre.
Le ultime volontà: — Ordina e commanda detto signor Re che lo predetto suo primogenito debba portare alla serenissima Signora Reina, madre colendissima di sua Maestà, reverentia et obedientia, come sua madre, et communicarle tutte l’occorrenze del regno et del stato.
Raccomandazioni valide anche per Giovannella IV con la sua dote di 400.000 ducati come la bona memoria del Re suo padre mostrò contentarsi di darele [notargiacomo]. Il Testamento, ordinatione, et ultima voluntà del serenissimo signore re Alfonso secondo Re di Sicilia, et di Jerusalem, parlava chiaro. Il Regno sarebbe rimasto a Ferrandino, oppure sarebbe andato a Federico solo in caso di morte senza eredi. Alfonso, ratificando la renuntia, e donatione del detto suo Regno fatta per sua Mestà all’Illustrissimo Don Ferrante Duca di Calabria suo figlio primogenito, et Vicario generale, lascia, ordina, et instituire lo detto suo primogenito herede, et successore.
Così l’atto: — Detto signor Re ordina, e dispone, che venendo à morte, quod absit, da questa vita detto Illustrissimo signor Don Ferrante suo primogenito senza figli, ò descendenti mascoli legittimi, et naturali, lo detto Regno ritorni all’Illustrissimo signor Federico Prencipe d’Altamura frate secondogenito legitimo, et naturale di sua maestà, et à suoi figli, e descendenti mascoli legitimi, et naturali, li quali mancando detto Regno de Sicilia, et Jerusalem ritorni, et rimanga alla Corona della serenissima casa d’Aragona, dalla quale sua maestà, et sua casa have havuto principio, et consecuto lo beneficio della successione del detto Regno, escluse in tal caso tutte le femine della casa di sua maestà tanto figliuole, quanto sorelle, et altre di qualsivoglia grado gionte, et esclusi li mascoli descendenti da quelle, quantunque secondo lo tenore dela investitura dette femine potessero, et dovessero in detto Regno succedere; acciò che detto Regno si conserve per ogni tempo in la famiglia, et Casa d’aragona, et non si venghi à trasferire in altra casa; et la presente ordinatione s’intenda per forma, che non si derroghi all’authorità della sede apostolica, né si produca alcuno pregiuditio alle ragioni del etto suo primogenito in detto regno, immo’, che detta esclusione di femine, et translatione del Regno alla Casa d’Aragona in li casi predetti si faccia interveniente lo consenso della prefata sede apostolica, dalla quale detto Regno se tiene in feudum. Declarando, che in tal caso à quella femina, la quale pretendesse successione in lo Regno, siano dati 200.000 docati per supplemento d’ogni paragio, oltra la dote, che havesse havuto, ò li competesse d’havere, se si trovasse non maritata, et similiter altre donne della Casa, quale si trovasse non maritata, ciascuna habbia la dote consueta in questo Regno, et li predetti 200.000 docati à quella, che li competesse successione al regno siano pagati con questo, che habbia a renunciare.
Il testamento prosegue con gli adempimenti religiosi.
Così le volontà di Alfonso II: — Detto signor Re ordina, et ricorda al prefato suo primogenito, che habbia sempre nanti l’occhi lo timore de Dio sopra tutte le cose del mondo, con lo quale la casa di sua maestà sempre hà prosperato, et così lo timore della gloriosa Vergine Maria, et di San Michele Arcangelo: Deindé iuxtà lo laudabile stilo, et consuetudine di sua maestà, et di tutta sua serenissima casa detto suo primogenito con somma cura, et diligentia attenda all’administratione della giustitia egualmente ad ogni persona, senza riguardo, ò eccettione alcuna, mescolando sempre la giustizia con la clementia, et equitate quanto l’honestà ricerca,e comporta. Et acciò che con maggior senecerità, et più rettamente la giustizia se possi administrare, voglia, et debbia esso personalmente quanto li serà possibile intendere, et essaminare le querele delli popoli, et delli sudditi, et non rimetterli ad altri; et sopra tutto se ricordi fare spesso visitare, et riconoscere li carcerati, et intendere le cause, et le determinationi de ciascuno, et facci, che non li manchi la giustitia iuxta con la clementia, come è detto.
Item ordina, et commanda detto signor Ré, che lo predetto suo primogenito in ogni tempo debbia exhibire, et portare la debita reverenza alla Santa Romana Ecclesia, et alla Sede Apostolica, et essere obsequioso, et obediente figliuolo alli Sommi Pontefici, praesentim al Santissimo in Christo padre Alessandro Sesto, et in tutte occurrenze comparere sempre, et assistere in favore, e defensione di quella fede, della quale è pervenuta, et è per pervenire la sua exaltatione, et vittoria, et habbia sempre in speciale protettione li nepoti di detto N.S. lo Papa collocati in questo Regno, maxime l’Illustre Principe de Squillace genero, et come figlio di sua Maestà, alli quali debbia mantenere lo stato, et trattarli come propri frati.
Alfonso passa poi al rispetto da tenersi nei confronti dei parenti stretti: Regina Giovanna III, Federico e Beatrice, vedova d’Ungheria.
Ecco: — Detto Signor Re ordina, et commanda detto signor re, che lo predetto suo primogenito debbia portare alla serenissima signora Reina madre colendissima di sua maestà reverentia, et obedientia, come sua madre, et communicarli tutte l’occurrenze del Regno, et del stato, et non partirse dalli savii, et amorevoli ricordi, et consigli di quella; come esso signor Re sempre have fatto; immò debbia compiacerli di tutte le cose di questo Regno, che li saranno possibile, recercando così la virtù di detta signora reina, et lo maternal amore, quale hà mostrato di continuo, et mostra ad essi signore Re, et Duca, et questo sua maestà comanda al detto suo figlio per quanto hà cara la sua benedittione; Et simelmente à detta signora Reina sia mantenuto lo stato, et tutte l’altre cose li foro promesse in tempo del suo maritaggio, et dopoi, secondo lo tenore delle sue cautele, et li siano confirmate tutte donationi li foro fatte de gioie, et altri mobili per la bona memoria del signor Re suo padre, et per sua maestà, le quali tutte li siano inviolabilmente osservate.
Item detto signor Re ordina, et commanda al predetto suo primogenito, che si voglia ben portare con l’Illustrissimo Principe d’Altamura (Federico) suo zio, e tenerlo come à padre, et mantenerli lo stato, dignitate, officii, preminentie, quale la bona memoria del signor Re loro padre, et sua maestà l’hanno dato, et concesso, et così debbia ascoltare li suoi ricordi come di padre, perché sua maestà sape, che detto prencipe lo ama come proprio figlio, et per questo esso voglia tenerlo ben contento, et compiacerli in ogni cosa possibile.
Item detto signor Re ordina, et ricorda al predetto suo primogenito, che habbia per recomandate le cose della serenissima signora Regina d’Ungheria (Beatrice vedova del primo re Mattia Corvino e maritata al secondo Ladislao dal quale fu ripudiata), et quella debbia aiutare, et favorire quanto si stenderà la sua possibilitate; Et in caso, che detta Reina bisognasse ritornare in le parte di quà, esso la debbia accogliere, et mantenere in questo Regno, et di quello, che ci sarà, faceli alcuna parte, con la quale possa honoratamente vivere, perché essa Reina s’è portata, et porta virtuosamente, et de maniera, che merita ogni buona dimostratione.154
Alfonso pretese rispetto dopo la sua morte tanto per Giovannella IV, quanto per il figlio naturale Don Alfonso, che verrebbe per fratellastro a Ferrandino, ordinando che lo prefato suo primogenito sia tenuto dare in dote all’Illustrissima Infanta Donna Joanna sorella di sua maestà docati 400.000, come la bona memoria del Re suo padre mostrò contentarsi di darcele, et che si travagli per ogni via possibile collocare detta Infanta à tutta sodisfattione della signora Reina sua madre, et debbia in ogni cosa trattarela come propria sorella.
Il testamento: — Lo predetto signor Ré ordina, et ricorda al detto suo primogenito, che attento lo caso dove si trova l’Illistrissima Duchessa de Milano (Isabella sposa di Giovangaleazzo Sforza Duca di Milano) figlia di sua Maestà, esso, come à buon frate, voglia aiutarla in quello che potrà senza scandali, attento lo loco, dove ella se trova, e continuando ella in li affanni, in li quali oggi se ritrova, et possendo ridurla in le parti de quà li debba dare da vivere con lo megliore, et più onorato modo che poterà, secondo à bona sore la se conviene.
Item ordina, et commanda detto signor Re, che all’Illustre don Alfonso (figlio naturale di Alfonso II e Trussia Gazzetla, fratello di Sancia principessa di Squillace) figlio di sua Maestà se debbia dare per lo predetto suo primogenito alcuno stato condecente in questo Regno, come si costuma dare alli suoi pari; acciò che possa convenientemente vivere, et habbia detto figliolo di continuo racomandato in sua protettione, et similmente habbia per recomandati l’altri del sangue, come l’Illustre, et Reverentissimo Cardinale d’Aragona (Luigi figlio primogenito di Errico marchese di Giraci figlio naturale di Ferrante I) et suo fratello (Carlo Marchese di Geraci per cessione del fratello Luigi), et Don Cesare (figlio naturale di Ferrante I), et lo figlio del signor Don Francesco frate di sua maestà (figlio di Ferrante I e Isabella Chiaromonte morto nel 1486 prima del matrimonio), alli quali debbia provedere come meglio parerà, secondo la conditione de ciascuno; et così ancora habbia in speciale commendatione l’illustre Donna Sancia Principessa de Squillace, figlia di sua maestà.155
Alfonso ordinò che si dovessero fare i processi per i ribelli, anche se Ferrandino li aveva appena liberati tutti, a patto di mantenere tutte le gratie, privilegii, stati, e donationi fatte, e concesse per lo detto quondam signor Ré suo padre, et per sua maestà; et à quello, che lo tempo non è bastato remunerarli, voglia esso riconoscerli, secondo la conditione, et servitii de ciascuno.
Così le ultime volontà: — Item vole, et ricorda detto signor ré, che delli presuni detenuti in Castellonovo, et del’Ovo, et di Gaeta, et in la Torre di San Vincenzo si debbiano riconoscere, et eseguire li processi di loro demeriti, et à ciascuno d’essi si debba ministrare giustitia, iustà la clementia, come di sopra è detto, non devenendo però à morte de nesciuno, salvo se trova causa se l’havesse meritata; et di quelli, quali se trovassero presi non per propria colpa, ma per interesse dello stato, ò per altra causa; cum primum le cose del Regno seranno in termine, che si possano senza timore di scandolo liberare, detto suo primogenito le debbia liberare, secondo la conditione del tempo comporterà; et de tutti detti presoni, sua maestà se rimette ad una lista sottoscritta di sua propria mano.
Item vole, ordina, et commanda detto signor Re, che à tutto le mogliere, figliuole, et altre Donne delli presoni, detto suo primogenito come li tempi lo comporteranno, et esso serà in facultà debbia provedere à ciascuna di quelle d’alimenti honoratamente, secondo la conditione de ciaschuna ricercarà, et usarli ogni humanità, et clementia convenientemente; et se alcuna di quelle fusse in necessità di dote, la debbia dotare convenientemente; aventi nanti all’occhi l’esemplo della bona memoria del signor Re padre di sua maestà, lo quale con tanta clemenza, et benignità fece collocare, et dotare tutte le figliuole del quondam Prencipe di Rossano tanto honoratamente, come se fussero state proprie figliole di sua maestà.
Le ultime volontà di Alfonso riguardarono i debiti e il rapporto da tenere vivo con le chiese fedeli.
Il testamento: — Lo predetto signor Re dice havere alcuni debiti particulari peculiari di sua maestà, delli quali vole se faccia quello, che se contiene in una lista, che resta in potere de Leonardo Cuomo, suo scrivano de ratione sottoscritta di mano de sua maestà, et sigillata del sigillo secreto; in la quale lista sua maestà have annotati tutti li debiti, che li sono ricordati, et non crede haverné altri. Pure quando alcuno mostrasse sufficiente cautela d’altro debito contratto per sua maestà in tempo, ch’era Duca, detto suo primogenito sia tenuto satisfare, et così vole, et commanda sua maestà. Dell’altri debiti, quali restano in la morte delli serenissimi Re suo padre, et suo avo de felice memoria contratti per bisogno del Regno, et dello stato, sua maestà ordina, et vole, che lo prefato suo primogenito lò più presto, che potrà, senza mancare alla necessitate dello stato debbia per lo miglior modo possibile satisfare ai creditori, secondo sua maestà haveva intentione, e aveva principato di fare.
Item detto signor Re ordina, et impone à detto suo primogenito, che habbia in singulare racomandatione li lochi, e Monasterii de Religiosi Osservanti di questo Regno, et in spetie quelli de Monte Oliveto, et di San Domenico de la Congregatione di Lombardia, li quali sua maestà l’havi fatti havere in detto Regno; alli quali tutti ordina, et vole siano mantenuti li lochi, quali sua maestà l’have fatti havere con sua intercessione.
Item vole, et commanda detto signor re, che lo prefato suo primogenito debbia osservare alli monaci, e monasterio di San Severino di Napoli dell’ordine di San Benedetto, la gratia à lor concessa per sua Maestà, per la costruttione, et edificatione dell’Ecclesia, cioè, ducati 16.000 hoc modo, videlicet, ducati 2000 per anno consignati 1000 sopra le tratte de Puglia, et 1000 altri sopra la gabella del scannaggio de Napoli, dedutto prima dalla rendita del detto scannaggio ducati 2000 per anno donati per prius per sua maestà alli farti de Monte Oliveto per subsidio, et substentatione del loco di Mola finché dura la pensione promessa al Cardinale de Santo Pietro ad vincula (Giuliano della Rovere futuro papa Giullio II), et quando detti renditi del scannaggio al modo predetto non bastasse alli predetti 1000 docati per anno di dare al detto monasterio di san Severino, se supplisca della rendità di detto scannaggio dell’anni, e tempi seguenti, finché venghi à conseguire tutta la summa della consignatione predetta.
Item vole, et commanda detto signor re, che alle monache della Madalena, che prima se diceva Santa Caterina di Formello, per maiore satisfattione della mente di sua maestà, licet non si senta di questo la conscientia gravata, lo predetto suo primogenite debbia pagare ducati 2000 convertendi in la reparatione, e fabrica di quello loco, ò in beni stabili, lo qual pagamento si debbia fare infrà anni doi, poiché le cose del regno saranno quietate.
Item lo detto signor re racorda al prefato suo primogenito, et li dona special carrico, che con lo tempo voglia fare alcuna condecente provisione in questo Regno à rafrenare l’infrascritti vitii nefandi, quali sono in detto regno moltiplicati, videlicet sopra li mali christiani declinanti in qualsivoglia specie de Iudaismo, à heresia, ò defetti contra la fede cattolica, sopra la blasfemia de Dio, e delli Santi, sopra le dodomie, et l’usare con monache, acciò che N.S. Dio s’inclini ad aiutare esso Duca, questo Regno, e tutta la Casa.
Item detto signor Re ricorda simelmente al predetto suo primogenito, che habbia bona avertenza al conferire delli beneficii, li quali debbia conferire con riguardo à persone degne, et de scientia, et che le meritano, et sopra tutto se conferiscano senza corrutione, ò denari.
Item vole, et commanda detto signor Re, che le confirmationi, quali s’haveranno da pigliare, et impetrare dal detto suo primogenito in questa sua nova successione, et assuntione al Regno, delli stati, feudi, et altri officii di questo Regno, debbiano spedirse gratis, et senza alcuna natura di pagamento