DELITTO ALLA CITTADELLA. L’assassinio del nipote di Jacopo V: Alessandro Appiano Principe di Piombino

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IL RACCONTO DELLA STORIA CHE SPAVENTAVA GRANDI E BAMBINI

Dice Barbone che «sono racconti che mettono spavento. Non diversa sorte toccò alla sciagurata principessa. Ferita dapprima da una palla d’archibuso e rimasta tramortita sul suo letto, fu acciuffata per i capelli dal marito, tirata giù a viva forza, calpestata sul ventre e sulla faccia, poi massacrata orrendamente a furia di pugnale. La tragedia accadeva la notte del 16 ottobre 1590, ed era una delle tante che la splendida civiltà di quei tempi affermantesi sulle mense in forma di giovinetto le quel pissoit de l’eau de rose, regalava alle famiglie italiane avide di spagnolismo. E dire che il Tasso aveva cantate le doti peregrine di Maria d’Avalos in un sonetto a lei indirizzato e che si chiude così:

E rilucete qui per tanti segni
Quante ha belle virtù l’animo vostro,
Che in varie forme a noi traluce e splende.

Dio, nella sua immensa misericordia, liberi sempre gli uomini da incappare in mogli fornite di cosiffatte virtù, e un tantino anche i poeti dal pigliare abbagli di questa fatta. A proposito di poeti. Era proprio di quei giorni che i pochi timorati rimproveravano al Marini, più che le metafore sbardellate, le porcaggini, e lo chiamavano flagellum Dei. E s’ingannavano, come s’ingannano anc’oggi tutti coloro che, scimmiottando, persistono a frustarlo e a crocifiggerlo. Quel meraviglioso ingegno fu vittima delle sozzure del suo tempo, ed è tutta colpa della società, e non sua, s’egli, a chi lo riprendeva, ardiva rispondere:
— Intanto i miei libri, che sono fatti contro le regole, si vendono dieci scudi il pezzo a chi ne può avere; e quelli che sono regolari, se ne stanno a scopare la polvere delle librerie. La vera regola, cuor mio bello, è saper rompere le regole a tempo e luogo, accomodandosi al costume corrente e al gusto del secolo».17
Se la furia omicida di Carlo Gesualdo fu quella più tremenda del suo secolo, di certo il caso fu preceduto dal giallo che vide coinvolto il Principe di Piombino qualche mese prima, lasciando sconvolti tutti i signori degli stati della penisola.
Scrisse Ninci che l’Italia intera restò stordita «pel tragico fine di Alessandro I Appiani, ucciso da’ propri sudditi entro le mura della sua capitale. Capo della congiura si vuole che fosse un certo Giulio Mazza Ferrata, sopra ogn’altro piombinese sdegnato contro l’ Appiani, per aver voluto questi introdursi più volte con abuso del suo potere nella casa di quel cittadino, per trattare una sua figlia di rara bellezza».
Così Ninci: — Di questo stesso sentimento sono ancora le istorie e le memorie manoscritte, che hanno fatta menzione di quell’assassinio; dicendoci che Alessandro I. Appiani avea offeso estremamente i suoi sudditi durante il suo governo, col dar nulla e pretender assai; e coll’ ingelosirli nel carezzare le loro donne. Ma se vero è quello che l’une e l’altre ci hanno narrato, vero sarà ancora, seguitando il loro detto, che i Piombinesi non sarebbero giunti al grave eccesso d’ intridersi le mani nel sangue del loro sovrano, se la moglie stessa dell’Appiani, e don Felis o Felice d’ Aragona, amante corrisposto da lei, e comandante il presidio spagnolo in quella piazza, non avessero dato mano all’ orditura della congiura e promosso e protetto l’assassinio.

Description

L’ASSASSINIO DI PIOMBINO

INDICE

1.
L’ALLEGRO SIGNORE DI PIOMBINO

— Appiani col Papa, o coi Medici, ora con Carlo V
— Alessandro Principe imperiale bastardo
— I quattro anni del Principato alessandrino
— Tradito dalla moglie, Isabella de Mendoza
— Don Felice d’Aragona, l’amante capitano

2.
IL GIALLO CHE SCONVOLSE L’ITALIA

— Il secolo dei delitti al veleno
— Amanti all’acqua tofana: costumi leggiadri
— Gesualdo e Piombino: i gialli che scossero l’Italia
— Cronaca dell’omicidio ordito da Mazza Ferrata

3.
IL TRADIMENTO COME ALIBI

— Una moglie dagli atteggiamenti lascivi
— Isabella a passeggio con l’amato capitano
— E il Principe godeva della bella popolana
— Don Felix era a messa con Donna Isabella
— Le minacce che portarono al fattaccio
— I fatti di quella sera del 28 settembre 1589
— Sconvolta la Cittadella dei caciucchi di Hugo
— Nati con Gambacorta, Capo della Repubblica di Pisa
— Piombino riscopre la storia grazie al giallo
— La condanna a morte per i colpevoli

4.
VENDETTE E SEQUESTRO DELLO STATO

— Amato dal popolo, odiato dai grandi
— Quelle strane modalità del delitto
— La rivolta della Signoria
— L’arresto dell’ex governatore Don Felice
— Cosimo a successore col nome di Jacomo VII
— Diego Herrera, procuratore della vedova
— Carcere a vita per Don Felice, Isabella salva
— La nuova fortezza dell’Isola d’Elba
— Lo scippo dell’Imperatore con l’investitura

5.

IL FANTASMA DI ALESSANDRO

— Quell’uccisione voluta da 40 padroni locali
— Don Felix esiliato dopo il processo di Napoli
— Il Principato conteso da Isabella e Belisario

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Editorial Review

L’attentato del Secolo che sconvolse gli stati italiani

 

«A quelle mense, com'è naturale, sedevano pure le damigelle prendendo così le prime lezioni di morale per servirsene quando fossero state chiamate alla dignità di spose e di madri di famiglia! Ce la dica questa morale Maria d'Avalos, che già vedova due volte nella verdissima età di venti anni, sottoscrisse la propria condanna di morte sposandosi a Carlo Gesualdo principe di Venosa».
Nell'intenzione di magnificare lo sguardo potentemente magnetico della duchussa, il Pignatelli dette la via a questo verso: — Escon dagli occhi tuoi ruine e morti.
«La sfolgorante bellezza di questa donna cantata dalle muse, compresa quella d'Ascanio Pignatelli e di Torquato Tasso, accese fieramente d'amore Fabrizio Carafa duca d'Andria, marito di Maria Carafa dei principi di Stigliano, amicissimo e quasi fratello al Gesualdo; ragione tanto più forte perchè un giorno o l'altro lo avesse a tradire».13
Così Barbone: — Il caldo amatore cominciò con le serenate sotto le finestre di Maria, nè gli ci volle molto perchè una bella notte una porticciola segreta si aprisse pian piano invitandolo a salire per cogliere il premio dei suoi canti e dei suoi strimpellamenti.
Poi, per essere più sicuri, d'allora in là i due adulteri si davano la posta nella casetta del giardiniere di villa Gargia sulla riviera di Chiaia, e ciò per tre giorni della settimana, come riferisce il processo.
Avvenne intanto che Giulio Gesualdo, zio carnale di Carlo, fra un baciamano e l'altro rivolgesse un giorno proposte ardite a Maria. Fu respinto. Tornò all'assalto, ma fu ancora respinto.
Allora una vampa d'odio gli accese il sangue; cominciò a fare spiare la sdegnosa, non parendogli punto schietta quella sua fierezza d'onestà, e in poco tempo potè vederla co' proprii occhi penetrare furtivamente col Carafa nella villa Gargia.
Il tristo vecchio chiamò subito a sè il nepote e gli svelò la cosa, concludendo con queste precise parole:
— Voi siete dunque un marito ingannato, e vi conviene togliere memoranda vendetta !
Pochi giorni dopo, Carlo Gesualdo sconficcava di sua propria mano le serrature di tutti gli usci del quartiere nuziale del proprio palazzo, ne guastava i congegni e le rimetteva al loro posto, poi ricercava la moglie, l'abbracciava amorosamente e l'avvertiva che per tre giorni non l'avesse aspettato, dovendo uscire di Napoli per missione urgente.
Fu un tripudio per Maria d'Avalos e Fabrizio Carafa che non attendevano nulla di meglio.
Favorito da Laura Scala, cameriera della principessa, l'amatore fu, sull'imbrunire, fatto entrare in palazzo dalla porticciola segreta da dove l'abbiamo visto penetrare altra volta.
Una particolarità comicissima, registrata nel processo, si è che, essendo egli sudato fuor di maniera, la Maria cavò tosto dai suoi armarii una camicia da donna, di tela finissima, ricca di merletti, profumata, e la fece infilare al Carafa, il quale aveva già buttato in un canto la sua, fradicia da strizzare.14
Lo storico: — Fu bello vedere il bruno volto, i neri occhi e la folta barba del nobile adultero uscir fuori da un candido avviluppamento.15
«I due colpevoli avevano preso sonno da pochi istanti allorchè furono destati da alte grida e suono di passi precipitosi. Era il marito tradito che veniva a sorprendere i traditori e menavasi dietro uno stuolo d'archibusieri. Mentre il Carafa, avvolto nella sua camicia da donna, balzava dal letto e inutilmente tentava chiudere gli usci guasti nelle serrature, Carlo Gesualdo gli è addosso, se lo rovescia sotto i piedi, e menandogli un tremendo colpo con un lungo stile, lo passa da parte a parte e lo inchioda nell'impiantito di legno».
Così: — Fabrizio, è fama che si dimenasse alquanto e si agitasse convulsivamente intorno all'asse di quello stile.16