DELITTO A SPACCANAPOLI di Carlo Gesualdo. L’assassinio di Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa EAN 9788872971086

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Copertina posteriore

IL RACCONTO DELLA STORIA CHE SPAVENTAVA GRANDI E BAMBINI

premessa.
PIOMBINO E SPACCANAPOLI
I GIALLI CHE TURBARONO L’ITALIA

— Il prolificare dei delitti d’onore
— Amanti all’acqua tofana: costumi leggiadri
— Spaccanapoli e Piombino scuotono l’Italia
— «Avvenimenti tragici e amorosi» e diversi
— La «Informazione» su una «misera morte»
— Il riassunto nel testo letto da Minieri Riccio
— La copia di Ascanio Corona diversa da Silvio

1.
la cronaca originale di corona
il manoscritto su MARIA D’AVALOS

— La Principessa di Venosa sposina di Carlo
— La spiata dello zio Giulio al nipote Carlo
— Gli amanti consapevoli di tradire
— L’imboscata di Principe, cavalieri e parenti

2.
LA storia ricostruita
sui fatti del processo

— Una famiglia nobile legata al Vaticano
— La figura del Cardinale Alfonso Gesualdo
— La casata del Principato di Venosa
— L’amore del Principe sposo di Maria
— Il Palazzo d’Andria del focoso amante
— Serenata sotto casa mentre Carlo dorme
— Carlo e Fabrizio amici, ma Laura sapeva
— Il giardino di Chiaia covo degli amanti
— Lo Zio spione amante rifiutato da Maria
— La famiglia Gesualdo vuole vendetta
— Il Principe premedita dalle serrature
— La scusa della caccia: 24 ore prima
— Fabrizio a letto e in camicia da donna
— Corna in Casa Gesualdo: levati e muori!
— L’ora della fine: le pugnalate del Principe
— La distruzione del nido d’amore
— La Sentenza e la discolpa del Cardinale

3.
LA RICOSTRUZIONE DEL PROCESSO:
cronaca DE «L’INFORMAZIONE»

— La «Informazione» tratta dalla Vicaria
— Il processo scritto sulla scena del crimine
— La cameriera che non ricorda: i testimoni
— I tre esecutori materiali, oltre i Principe
— Tutti assolti col placet del Viceré
— La storia ripresa dagli autori napoletani
— Il dolore di una madre

note bibliografiche

1. A.Ademolo, Misteri dell’Acqua tofano, Tip. dell’Opinione, Roma 1881. Vi si legge la ricetta. Vedasi anche Salvatore Marino, L’Acqua Tofana, Palermo 1882.
2. Barbone, cit. Cfr. Le Grand D’Aussi, Hist. de la vie privée des Francois, T. III. pagg.198-199.
3.Ivi.
4. Ivi
5. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de’ suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
6. Ivi, idem.
7. Ivi. «Probabilmente questa del Marini è una napoletanata bella e uona. Non si era più ai tempi in cui un libro costava tanto che per comprarlo bisognava vendere un podere, come accadde all’erudito Antonio Panormita».
8. Giuseppe Ninci, Storia Dell’Isola Dell’Elba, Portoferraio 1815. Cfr. Barbone: Dalle memorie manoscritte conservate nell’Archivio comunale di Piombino.
9. Ivi. Cfr. Francesco Inghirami, Storia della Toscana, in sette epoche distribuita, Volume 12, Tipografia Fiesolana, Firenze 1843.
10. Ivi.
11. Silvio et Ascanio Corona, Successi tragici et amorosi, MSS. in copia.
12. Silvio Corona, Successi diversi traggici, et amorosi occorsi in Napoli, et altrove a Napol[lita]ni, composti dà Silvio Corona, MSS in originale.
13. Camillo Minieri Riccio, Catalogo di MSS della Biblioteca di Camillo Minieri Riccio, vol. I e vol. II, presso Giuseppe Dura, Napoli 1868. Contenuti relativi al libro n.33
14. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de’ suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
15. Ivi.
16. Ivi.
17. Ivi.
18. Camillo Minieri Riccio, Catalogo, cit.
19. Silvio Corona, cit.
20. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de’ suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
21. Silvio Corona, cap. Successo di D.Fabrizio Carafa Duca d’Andria, e di D.Maria d’Avalos Principessa di Venosa, foll.331-356.
22. Carmine Modestino, Della dimora di Torquato Tasso in Napoli negli anni 1588, 1592, 1594, discorso II, Giuseppe Cataneo, Napoli 1863. Su questo Zio della casata Gesualdo, possessore di beni burgensatici in Calitri, Caggiano, Castelvetere, Frigento, Gesualdo, e altri paesi in provincia del Principato Ultra, scrive Modestino che «da un testamento del 1588 rogato da Giovanni Antonio Incarnato, Napoletano, giudice regio a contratto, rilevasi come D.Giulio Gesualdo compra taluni beni da un tal Fulvio Lanza, Capuano.
Da un altro istromento dei di 1 aprile 1592 emerge come D. Carlo Gesualdo comprò dal Cardinale Alfonso, non che da D.Giulio Gesualdo, suoi zii, parecchi beni burgensatici per la somma di ducati quattromila dugentotrentadue, siti in diversi paesi, dei quali la metà in ducati 2116 venne soddisfatta al Cardinale, e l’altra a D. Giulio, pel banco di Spinola, e tali beni erano pervenuti ai due venditori, comuni ed indivisi dall’ eredità del principe, avo di D.Carlo.
Tali beni burgensatici erano siti in Calitri, Caggiano, Castelvetere, Frigento, Gesualdo, ec. cc.
Finalmente da un’altra scrittura da noi osservata nel regio Archivio desumesi che D.Giulio venne a morte sotto il regno di Filippo III, mentre era in Napoli Vicerè D. Giovanni Alfonso Pimentel, conte di Benavente, ossia verso il 1603, e che lo stesso fe due testamenti nei quali contenevansi parecchie disposizioni in favore della S. Casa dell’ Annunziata, non che di D.Sveva Gesualdo, e di un tal D.Giovanni, suo figlio naturale, assegnando però tutta l’eredità a D.Carlo suo nipote. Quindi surse viva contestazione tra D. Carlo Gesualdo e detta Casa dell’Annunziata; ma finalmente le due parti vennero ad una transazione, pagando il D.Carlo all’ Annunziata ducati tredicimila con ampia rinunzia per parte della medesima in favore di esso D.Carlo di tutti i diritti che le spettavano sulla roba ed eredità del quondam D.Giulio.
L’assenso regio circa tal convenzione e passaggio dei beni del D.Giulio ad esso D.Carlo venne, giusta il solito, conceduto dal detto Vicerè addi 18 aprile 1605. (Quintern. XXXV, fol. 44). Camillo Borrelli dice che fu uomo assai ragguardevole per la perizia nelle armi, per la maturità dei consigli, e per la robustezza dell’ animo e del corpo».
23. Silvio Corona, cit.
24. Carmine Modestino, cit. Cfr. Ascanio e Silvio Corona, Successi diversi, tragici ed amorosi, MSS presso la Biblioteca Brancacciana, Napoli.
25. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de’ suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
26. Ivi.
27. Ivi.
28. Ivi.
29. Ivi.
30. Ivi.
31. Ivi.
32. Ivi.
33. Ivi. E continua: «Vi risponderebbero che ne’ giorni della repubblica, soito Gennaro Annese e dopo il fatto che narriamo, servirono per usi Doganali (V. Diario di Francesco Capecelatro, an. 1647-1650, Napoli presso il cav. Nobile) per concioni popolaresche; vi direbbero che in tempi infausti servirono di asilo a’soldati più spoetizzanti del mondo civile, i gendarmi! Parlate a quelle mura della loro origine, de’rimoti tempi del patriziato e vi risponderanno con le rime della nostra cara estinta, Laura Terracina:
In cocenti sospiri e spesse e sole
Lagrime, sparse in vece di parole.
Laura Terracina insigne poetessa napolitana pubblicò nel 1561 alcune sue rime sulle vedove di questa nostra città, titolate o non titolate. Anch’ ella va noverata fra le vittime del fiero e sospettoso secolo XVI, e merita posto tra le donne ricordate a pag. 51, 52 e 53. Sposa del Mauro, napolitano, ebbe dai re d’Inghilterra Odoardo VI il dono onorifico di una ligaccia gemmata: quel dono sdegnò il marito e sì lo acciecò di gelosa ira, che la uccise».
34. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci, cit.
35. Ivi.
36. Ivi.
37. Ivi.
38. Ivi
39. Ivi
40. Ivi
41. Ivi.
42. Ivi.
43. Ivi.
44. Ivi
45. Ivi
46. Ivi
47. Carlo Tito Dalbono, Storia di Beatrice Cenci e de’ suoi tempi, Gaetano Nobile, Napoli 1864.
48. Carmine Modestino, Della dimora di Torquato Tasso in Napoli negli anni 1588, 1592, 1594, discorso II, Giuseppe Cataneo, Napoli 1863.
49. Ivi. Cfr Giustiniani, Memorie storiche degli scrittori legali, T. I., pag. 271.
51. Ivi.
50. Ivi. Cfr. Gio. Ballista del Tufo, Cronologia della famiglia del Tufo, Napoli 1627, pag. 58.
52. Ivi. Cfr. Schinosi, Ist. P. II. Lib. I, capit.I. II.
53. Ivi. Cfr. Imhof, Hist. ad Tab., VII. pag.348.
54. Ivi. Frontespizio del Processo in copia originale letta dall’autore.
55. Ivi.
56. Ivi. V. Volpicella, Descrizione storica di alcuni principali edificii della Città di Napoli, pag. 202.
57. Ivi.
58. Ivi. Cfr. Giustiniani, Memorie storiche degli scrittori legali. T. III. pag. 184.
59. Ivi.
60. Ivi. Così l’autore: «Rammenti il lettore che in quell’età il processo era secreto ed interdetta la pubblicità ne’ giudizi penali.
Secondo il Nicolini, prima della pubblicazione fatta nel 1819 della procedura penale, non abbiamo avuto mai un’ordinata e certa legge della medesima.
La Prammatica del 1738 avea posto un freno agli scrivani e migliorati i giudizi. I magistrati non cominciarono a sentir l’importanza de’ loro doveri che per le Prammatiche del 1774 relative alla motivazione delle decisioni; nè aura di filosofia venne a temperare il rito criminale, se non quando ne’ giudizi militari s’ introdusse il Carego.
Questo consisteva nella discussione de’ testimoni e delle pruove in presenza del reo e de’ suoi difensori, alla quale non altro mancava degli attuali dibattimenti che una maggiore solennità, e la presenza del pubblico, ammesso solo alle arringhe.
Ad onta di ciò, l’Ordinanza militare del 1789, quasi coeva al Codice Leopoldino in Toscana, diede ai militari processi un ordine più semplice, e forme meno arcane e più certe.
La luce ne riverberò sui processi comuni, e per tal modo, mentre altrove l’intemperanza e quasi il furore de’ militari giudizi corrompeva l’ ordine e la saggia lentezza del rito ordinario, qui fra noi la saviezza di una legge militare ritirava le altre leggi ai principj della loro antichissima instituzione, e nella esecuzione ne correggeva i difetti. Cosi negli ultimi anni del secolo passato qui la giurisprudenza, guidata della filosofia, raddolciva tra noi e piegava il rito a forme migliori!».
61. Ivi. «Usavansi in quei tempi talune tovaglie da spalla, oggi dette mantelline, sia semplici, sia lavorate a più colori alla moresca». Cfr. Muratori, Antichità Estensi P. II, cap. XII.
62. Ivi.
63. Ivi. Testimonianza di Silvia Albana.
64. Ivi. Cfr. Capaccio, Illustrium mulierum et illustrium literis virorum elogia, Lib. 1. pag.190.
65. Ivi.
66. Ivi.
67. Ivi.
68. Ivi. Cfr. Castaldo, Dell’ istoria di Napoli, lib. I. pag. 36.
69. Ivi.
70. Ivi. Cfr. Varchi, Storia Fiorentina, Lib.XV, pag. 255
71. Ivi. Cfr. V. Mutinelli, Storia arcana ed aneddotica d’Italia, Vol. II, pag. 262.
72. Ivi. V. Ammirato, Delle famiglic nobili napoletane, P. II. pag.174.
73. Ivi. V. Costo, Supplemento alla storia del Collenuccio, T. III. pag. 434.
74. Ivi. Cfr. Aldimari, Hist. genealogica della famiglia Carafa, Lib. II. pag. 385.
75. Ivi. Cfr. Mathei, Ad leg. Iul. de adult, Tit. III, capit.I.
76. Ivi. Cfr. Foscolo, Discorso sul testo del poema di Dante, 8. 155.
77. Ivi. Cfr. Distinzione tratta dal Cortigiano del Castiglione, Lib. IV. XV. Edizione del Lemonnier. Ecco le sue parole: «Se la donna non ricerca gli abbracciamenti amorosi per isfrenata cupidità d’intemperanza, non dee ragionevolmente esser ripresa, onde anzi lode meritò che biasimo la reina Amazone, la quale, come racconta Giustino, venne volonta riamente a sottoporsi ad Alessandro per ingravidarsi di lui: e forse dalla medesima cagione fu mossa la reina Saba a venire a trovar Salomone; perciocchè è opinione che i re dell’Etiopia da lei e da Salomone siano discesi; quelle ancora che non per cupidigia d’intemperanza ma per amore cercano gli abbracciamenti, con questo possono essere accompagnate, nè possono in alcun modo essere giudicate infami e disonorate; perciocchè l’infamia e il disonore seguita il vizio, e dove non è vizio, non può essere infamia, nè disonore; ma il vizio è abito confermato, onde se l’intemperante è vizioso, in conseguenza può essere disonorato; ma l’incontinente non deve ragionevolmente essere riputato o vizioso o disonorato. L’intemperante senza contrasto si lascia vincere, e vinto non si pente della perdita sua, nè dello scorno, nè ha rimordimento o vergogna, ma l’ incontinente combatte cogli affetti, e dopo lunga tenzone è vinto; e vinto da chi? da amore potentissimo sopra tutti gli affetti. Chi disonorata può stimare la re« gina Didone, sebbene all’amor di Enea si sottomise? Prima ripugna all’ amore, e brama di essere fulminata piuttosto, e dalla terra inghiottita che di violar le leggi della vergogna vedovile; poi dopo lungo contrasto aggiungendosi alle forze d’amore le persuasioni della sorella, che con efficacia dice: placitone etiam pugnabis amori? a poco a poco si lascia vincere. È l’amore potentissimo affetto, in modo che ci lascia dubbi se egli sia divino furore o piuttosto affetto di concupiscenza carnale; e sebbene pare che Aristotile non conosce altro amore che quel di benevolenza’, e quel di concupiscenza, nondimeno non si può dubitare che un terzo non ne sia forse di questi due misto, a cui si aggiunge molte fiate un non so chè di celeste e di divino veramente».
78. Carmine Modestino, Della dimora di Torquato Tasso in Napoli negli anni 1588, 1592, 1594, discorso II, Giuseppe Cataneo, Napoli 1863. Cfr. Il discorso della virtù femminile e donnesca.
79. Ivi. Engenio, Napoli sacra.

Description

Cronaca originale di 2 delitti, di 3 assassini e di 1 mandante

La collana sugli omicidi del secolo si arricchisce con la ricostruzione del doppio omicidio di Spaccanapoli, un altro giallo che turbò l’Italia dell’epoca, per chiuso velocemente per ammissione dei colpevoli assolti dal Viceré.
Ma l’epoca in cui assistiamo al prolificare dei delitti d’onore è pregna di amanti uccisi dall’acqua tofana, per via dei costumi leggiadri che imperversano non solo a Spaccanapoli e Piombino, luoghi dei primari omicidi, ma in tutti i posti che si rinvengono fra copie e originali di manoscritti diversi, da quelli dei Corona alle sentenze, ma anche negli studi di tanti storici.
Certo è che la via alla «Informazione» ufficiale sulla «misera morte» degli amanti D’Avalos—Carafa viene spianata da una miriade di indizi sulla bellissima Principessina di Venosa, corteggiata perfino da Giulio Gesualdo, zio del marito prossimo assassino, padrone di una miriade di feudi, da Gesualdo a Calitri, poi ereditati dal musico-assassino dopo la sua morte. Carlo infatti non possedeva che poco, essendo il genitore ancora padrone del Principato di Venosa. E fu proprio lo zio spione, amante solitario della bella moglie del nipotino, a spianare la via della vendetta, confinando al consanguineo il posto di Chiaia dove gli amanti copulavano.
Carlo appare smarrito, benché spesso a riposo nel suo stesso palazzo, dove il corpo della moglie veniva di nascosto posseduto dal Duca d’Andria. Almeno fino a quando ebbe predisposta l’imboscata, in accordo con altri cavalieri e parenti, pronto a profanare la reputazione della nobile famiglia nobile legata al Vaticano, e non solo per la figura dello zio del Cardinale Alfonso, finito anch’egli additato per istigazione alla tragedia.
La casata, l’amore focoso, il Palazzo d’Andria e le serenate di Fabrizio sotto casa mentre Carlo dorme, fanno delle cronache e degli atti ufficiali riportati in questo testo una ricerca degna di tal nome che annulla l’amicizia fra le famiglie e punta a spiegare la storica vendetta del giovane che trascorreva le sue serate col prete musicista e la sua corte di armigeri, erari e servitori, pronti a uccidere per il padrone.
Le serrature bloccate, la scusa di andare a caccia, l’amante a letto e in camicia da donna, e le grida sulle corna in Casa Gesualdo: gli elementi del giallo napoletano ci sono tutti per offrire al lettore l’ora della fine: le pugnalate del mandante sui corpi senza vita.
La «Informazione» tratta dalla Vicaria, il processo scritto sulla scena del crimine, i testimoni, i tre esecutori materiali, e l’assoluzione finale di tutti, col placet del Viceré, riassumono questa storia nel dolore di una madre, costretta a spegnere la sua gioia davanti alle atrocità commesse dal nipote assassino della fanciulla più bella di Napoli.
Sabato Cuttrera

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Editorial Review

L’attentato del Secolo che sconvolse gli stati italiani

 

«A quelle mense, com'è naturale, sedevano pure le damigelle prendendo così le prime lezioni di morale per servirsene quando fossero state chiamate alla dignità di spose e di madri di famiglia! Ce la dica questa morale Maria d'Avalos, che già vedova due volte nella verdissima età di venti anni, sottoscrisse la propria condanna di morte sposandosi a Carlo Gesualdo principe di Venosa».
Nell'intenzione di magnificare lo sguardo potentemente magnetico della duchussa, il Pignatelli dette la via a questo verso: — Escon dagli occhi tuoi ruine e morti.
«La sfolgorante bellezza di questa donna cantata dalle muse, compresa quella d'Ascanio Pignatelli e di Torquato Tasso, accese fieramente d'amore Fabrizio Carafa duca d'Andria, marito di Maria Carafa dei principi di Stigliano, amicissimo e quasi fratello al Gesualdo; ragione tanto più forte perchè un giorno o l'altro lo avesse a tradire».13
Così Barbone: — Il caldo amatore cominciò con le serenate sotto le finestre di Maria, nè gli ci volle molto perchè una bella notte una porticciola segreta si aprisse pian piano invitandolo a salire per cogliere il premio dei suoi canti e dei suoi strimpellamenti.
Poi, per essere più sicuri, d'allora in là i due adulteri si davano la posta nella casetta del giardiniere di villa Gargia sulla riviera di Chiaia, e ciò per tre giorni della settimana, come riferisce il processo.
Avvenne intanto che Giulio Gesualdo, zio carnale di Carlo, fra un baciamano e l'altro rivolgesse un giorno proposte ardite a Maria. Fu respinto. Tornò all'assalto, ma fu ancora respinto.
Allora una vampa d'odio gli accese il sangue; cominciò a fare spiare la sdegnosa, non parendogli punto schietta quella sua fierezza d'onestà, e in poco tempo potè vederla co' proprii occhi penetrare furtivamente col Carafa nella villa Gargia.
Il tristo vecchio chiamò subito a sè il nepote e gli svelò la cosa, concludendo con queste precise parole:
— Voi siete dunque un marito ingannato, e vi conviene togliere memoranda vendetta !
Pochi giorni dopo, Carlo Gesualdo sconficcava di sua propria mano le serrature di tutti gli usci del quartiere nuziale del proprio palazzo, ne guastava i congegni e le rimetteva al loro posto, poi ricercava la moglie, l'abbracciava amorosamente e l'avvertiva che per tre giorni non l'avesse aspettato, dovendo uscire di Napoli per missione urgente.
Fu un tripudio per Maria d'Avalos e Fabrizio Carafa che non attendevano nulla di meglio.
Favorito da Laura Scala, cameriera della principessa, l'amatore fu, sull'imbrunire, fatto entrare in palazzo dalla porticciola segreta da dove l'abbiamo visto penetrare altra volta.
Una particolarità comicissima, registrata nel processo, si è che, essendo egli sudato fuor di maniera, la Maria cavò tosto dai suoi armarii una camicia da donna, di tela finissima, ricca di merletti, profumata, e la fece infilare al Carafa, il quale aveva già buttato in un canto la sua, fradicia da strizzare.14
Lo storico: — Fu bello vedere il bruno volto, i neri occhi e la folta barba del nobile adultero uscir fuori da un candido avviluppamento.15
«I due colpevoli avevano preso sonno da pochi istanti allorchè furono destati da alte grida e suono di passi precipitosi. Era il marito tradito che veniva a sorprendere i traditori e menavasi dietro uno stuolo d'archibusieri. Mentre il Carafa, avvolto nella sua camicia da donna, balzava dal letto e inutilmente tentava chiudere gli usci guasti nelle serrature, Carlo Gesualdo gli è addosso, se lo rovescia sotto i piedi, e menandogli un tremendo colpo con un lungo stile, lo passa da parte a parte e lo inchioda nell'impiantito di legno».
Così: — Fabrizio, è fama che si dimenasse alquanto e si agitasse convulsivamente intorno all'asse di quello stile.16