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La partenza della sposa carica d’oro
Costanza era nata in Sicilia, nel 1377, lasciando a bocca aperta, per la sua bellezza, tutti coloro che la videro fin dal primo giorno di nascita. Qualcosa di grandioso, per lei, fu insomma in cantiere ogni giorno che varcava la soglia della corte, dove finiva a giocare per sbaglio coi fratelli Andrea e Filippo.
Del resto non trascorsero che 9 anni da quando i genitori ebbero la lieta novella. Per Manfredi III fu un onore ricevere la delegazione di Gaeta a nome della Regina Margherita, interessata alla mano della bella siciliana per il suo Ladislao, erede del trono di Napoli, sebbene solo dodicenne, ma pronto ad un erede nel giro di qualche anno. E lei fu la prima a saperlo, davanti alla corte del Palazzo di Palermo, che presto sarebbe stata Regina.
A Manfredi III, Viceré della Sicilia, non restò che ricambiare la visita degli ambasciatori e di inviare un po’ di doni alla Regina madre per il pensiero avuto, sognando la conquista di tutta l’isola pronta a passare col partito durazzesco. Lui stesso fu molto chiaro con il Viceré di Ladislao e il resto dei deputati napoletani sbarcati a Palazzo, ospiti in pompa magna, come se fossero anch’essi attesi, o forse solo per farli sentire a casa.
Costanza partirà con la sua governante, accompagnata dalle sue dame e dai forzieri carichi di doni, forte della sua dote, già a settembre del 1389, con quattro galee, in risposta alla richiesta della Regina vedova già pronta col bastimento di benvenuto, attraccato nel Porto di Gaeta.
A quanto pare dovettero tornare più galee a Palermo, stavolta con Cecco del Borgo, Viceré di Ladislao, accompagnato da Luigi de Capua, Principe di Riccia dal Conte d’Alife e da molti baroni e cavalieri.
Una gran folla si era adunata al porto a guardare con interesse e curiosila le galere battenti la bandiera dei reali di Durazzo. Da una di esse partì lo scafo diretto verso la banchina al comando del Viceré Cecco del Borgo Marchese di Pescara, vestito in pompa magna crogionadosi fgra i baroni giunti a prelevare la sposa in trionfo, fino al palazzo di Manfredi. Gli ambasciatori vennero ricevuti «con quella pompa e dignità che convenivasi a siffalta circostanza; il quale trattenutili alcuni giorni, e festeggiatili, alla fine, apprestate quattro galere, perchè facessero orrevole corteo alla sposa, e ne trasportassero i grandi tesori assegnatile in dote, loro consegnò la figlia, e coi più lieti auguri li accommiató».41
Manfredi, dopo di averli tutti mirabilmente accolti, onorati e mantenuti per varii giorni «in festeggiamenti e banchetti, consegnò al Vicere la figliuola Costanza, ed in compagnia di lei mandò quattro galee che, oltre la vistosissima dote, portavano gran copia di argento lavorato, di gioie e di tapezzerìe».42
La sventurata Costanza trattata come la viltima al sacrifizio, sola dolorala ed afflitta fra tanto giubilo che la circondava, guardava intorno a sé, quasi trasognata, e non credendo pur vero che vedesse per l’ultima volta quei luoghi della sua infanzia, pieni di tante dolci memorie e rimembranze soavi….
Sabato Cuttrera –
§ — Fu il papa ad annullare il matrimonio
Il papa, ligio in tutto ai reali di Napoli, su richiesta di Margherita, annullò il matrimonio del secolo. Ladislao, non contento di contrarre altre nozze, volle altresì costringe la Costanza a toglier per secondo marito Andrea di Capua, conte di Altavilla.
Guastella così riassume: — L’altera donna, terminatra appena la cerimonmia n unziale, celebrata a Gaeta, rivoltasi ad Andrea presenti il re e i cortigiani, proruppe in queste fiere parole: Messer Andrea, vi potete tener il più avventurato cavaliere del regno, perché avete per concubina la moglie legittima di re Ladislao, vostro signore”.60
Ed ecco lo stornello che, a dire di Guastella, «ha perduto il significato storico, e si canticchia tra i denti quando si vuol mettere in burla la resistenza inattesa o protratta di una donna del vulgo»:
Viola viulina,
Cunsidira la nostra paisana!
Lu papu ca la sciòisi di rrigina
Ci rissi: Figgia mia fa la buttana.61
Costanza Chiaramonte è detta ‘paesana’, concittadina (lo stornello è stato raccolto a Chiaramonte Gulfi); e il parteggiare per le sue ragioni contro la sentenza papale è di così esatta e sferzante ironia quanto la battuta di Costanza, forse addirittura da quella battuta suscitata (e dice ancora il Guastella che «l’ironia contro il papa s’informa a sì fiero concetto, che certo può andare del pari alla terribile pennellata con la quale dante delinea la morte di san Tommaso d’Aquino, per opoera di carlo d’Angiò»). Così è anche nel distico di cui si era certamenmte smarrito, quando lo si ripeteva per il matrimonio di un’orfana che qualcuno aveva beneficato di una dote, il senso originario: e non c’era riferimento alcuno alla città di Venezia, ma memoria di una Venezia Palizzi, maritata a Simone Chiaramonte, che aveva istituito per le orfane del paese una dote. Ai Chiaramonte successero dunque, nella signoria della contea, i Cabrera, o Caprera.
Vinezia, l’armi santi fannu festa
C’addutàstivu a tutti l’urfaneddi. 62
Morto che fu il Conte di Modica la prima a pentirsi di quello ‘sciagurato’ matrimonio, fu la Regina Margherita, in quanto, «scelta per nuora una dama, benchè di nobilissimo sangue, troppo disuguale, com’ella diceá, a quello del re suo figlio, lo consigliò a ripudiarla, come segui non senza grandissima nota d’ingratitudine e non senza biasimo di tutto il regno».63
«L’anno successivo alla m orte di Manfredi, Margherita madre di Ladislao, mise in piedi una tresca atta a dimostrare che la madre di Costanza aveva una relazione col fratello del Re d’Aragona, in tal modo ebbe una scusa per sbarazzarsi della nuora e spingere il figlio ad altre alleanze matrimoniali più proficue. Costanza fu così costretta a sposare Andrea, conte di Altavilla, con lo stratagemma narrato dall’ambasciatore spagnolo». Si disse che fu il Re stesso a congiungere la sua mano con quella del figlio di messr Luigi di Capua nella Chiesa della Trinità, danzando poi con lei durante il banchetto e subendo le cattiverie dette per strade e piazze, almeno fino a quando non ebbe dei figli da Andrea.
La bella siciliana restò Regina di Napoli per tre anni, fino al luglio del 1392, quando venne ripudiata da Ladislao, interessato a contrarre più convenienti nozze, dopo la caduta in disgrazia della famiglia Claromonte.64