COSE DI CASA NOSTRA. Favole e racconti

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PREFAZIONE

Il lavoro si apre con un’ode di notevole pregio e di grande rilievo in cui sono espresse emozioni e sentimenti con un ermetismo che racchiude un gran numero di ferite dell’animo e tante inquietudini di uno spirito paterno, il tutto trasmesso con riservatezza e discrezione, quasi a non voler turbare l’emotività di chi legge.
E’ rilevante intuire che non esiste dicotomia tra poesia, narrativa e novellistica: gli argomenti si compenetrano per il loro spiccato e ricercato contenuto introspettivo e questo altro non è che dilatazione concettuale delle parole componenti l’ode rendendo così tutt’uno questi capolavori.
Viene spontaneo notare che alla caratteristica strutturale, generata da una cultura scientifica, è unita umanistica esercitando una conversione letteraria da mettere a frutto un trattato in piena regola rendendo così più esteso ed assimilabile il senso dei sentimenti in relazione al tempo in cui viviamo.
E come non notare la genialità avuta nel cambiare il paradigma della narrativa lasciando al lettore un’oscura ed enigmatica chiusura degli scritti tanto da indurlo a trarne la morale che gli è più consona, sia in relazione al contenuto dell’agire umano, sia scegliendo argomenti a contorni perfetti e pieni di calore umano.
Mi ha stupito non tanto il contenuto, in quanto è ben nota la prestigiosa formazione professionale dell’autore, ma il fatto che ha superato se stesso, compreso il settore ambìto e prestigioso dei letterati: secondo me non si inserisce ma si distacca dai novellisti e dai narratori consacrati dalla storia letteraria, proprio per il linguaggio chiaro, conciso, allusivo ed innovativo che il Velli usa, lontano dagli ismi dei movimenti di genere, ottenendo, così, risultati di estrema sintesi, non certo di minor pregio e potenza di stile.
Milano, 24 giugno 2019
Domenico Lepore

 

Description

Il “Prof” Velli, per decenni in servizio nelle Scuole dello Stato, ci consegna il frutto della sua fatica letteraria, una ricca scelta di novelle, favole, espressioni letterarie frutto di una personalità interessante, in grado di raccontare in semplicità e in estrema naturalezza. La specificità di queste storie è agevolmente riconducibile a quei “cunti” che i nostri nonni, liberi dalle molestie del “mezzo televisivo”, scambievolmente offrivano lasciandosi andare ai ricordi, ma anche alla fervida fantasia della gente semplice, segnatamente, nell’ambito di quel fortunato “filone” degli “spiriti”, storie improbabili di fantasmi, di spaventi, di emozioni forti che inevitabilmente sortivano l’effetto dirompente di terrorizzare i bambini.
Velli scrive con naturale fluidità, in forza di una singolare capacità di raccontare avvincendo il lettore, senza sconvolgerlo con particolari artifici letterari o attraverso complessi sustrati filosofici.
Racconta in libertà, ora prendendo in prestito dal mondo degli animali, emulo di Esopo, Fedro, La Fontaine, situazioni in grado di ammaestrare il lettore, con tanto di massima finale, ora attingendo a situazioni tratte dalle vicende della vita di tutti i giorni.
Scrive da educatore, da docente avvezzo a parlare nello sforzo, avvertito quale autentico imperativo categorico (che col tempo diventa automatico), di farsi, comunque, capire.
È la vecchia regola che ha fatto della scuola primaria italiana, prima degli incredibili sforzi per rendere soltanto più complesse le cose moltiplicando i docenti, la migliore in Europa e nel mondo.
Il trionfo del maestro unico, mitico eroe che sapeva raccogliere lo scibile che possedeva, ma sempre attento a farsi capire e a trasmettere l’elemento fondante di ogni azione educativa: la comprensione del testo, chiave di volta dei futuri successi nell’arco della scuola dell’obbligo e fino all’Università.
Tutto questo rivelano i racconti del nostro autore, il quale tra le pieghe di trame comunque avvincenti, offre anche una carrellata di dati circa la società del nostro tempo: la sanità, il mondo della scuola, le disavventure di docenti impegnati in tempi difficili nelle “frazioni” dei centri irpini.
Decisamente pregevole e tenerissimo, se pur “infuocato” da una efficacissima descrizione di un momento di passione, trattato attraverso immagini della migliore vulcanologia… letteraria, un passaggio, che, probabilmente, è tra i “pezzi di bravura” della raccolta.
Qui Velli racconta da scrittore consumato la bella storia d’amore nata nelle frazioni dell’arianese tra due maestri, quando le famiglie colmavano di doni gli insegnanti, doni in natura, quando poteva accadere che tra le mura della scuola si cucinasse e si mangiasse e, ancora, poteva verificarsi una godibilissima situazione nella quale l’arrivo del Direttore Didattico, lungi dal diventare un infortunio, sortiva soltanto l’effetto di un naturalissimo “aggiungi un posto a tavola”. Bei tempi, ben raccontati con una partecipazione emotiva che si avverte e che diventa valore aggiunto dei racconti stessi.
Difficile, intanto, non pensare alla storia d’amore come momento autobiografico…
Decisamente scrivere fa bene a Vincenzo Velli.
La vita non gli ha risparmiato momenti di acuto dolore, che ha saputo stemperare (non cancellare) in questa pratica letteraria della quale occorre avere grande rispetto, non fosse altro che per il successo di questa sua funzione “terapeutica” nella fase più matura di una vita decisamente difficile.
Montefredane, luglio 2017
Antonio Polidoro

Dettagli

EAN

9788872970997

ISBN

8872970997

Pagine

80

Autore

Velli Vincenzo

Editore

ABE Napoli

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Editorial Review

La volpe e l'aquila...

 

LA VOLPE E L’AQUILA

Una volpe e un’aquila erano sempre sole, non avevano neppure un amico. Un giorno, per caso, s’incontrarono al limitar del bosco e, spinte da reciproco desiderio, diventarono amiche. Per rafforzare quella loro amicizia si fecero anche comari. Da quel giorno non si separarono più ed erano così contente di compiere insieme tutte le loro avventure. Cercavano il cibo e lo mangiavano insieme, si facevano continuamente regali, andavano alle feste insieme, spesso dormivano anche insieme, sullo stesso letto di foglie.
Poi venne la primavera e l’aquila cominciò a preparare il suo nido sulla cima di una rupe, ma continuava ad incontrarsi spesso con la volpe.
Dal giorno in cui depose il suo bell’uovo, però, perché doveva covarlo, trascurò la sua cara amica. Ma la volpe, che non sapeva star sola, continuava ad aggirarsi presso la rupe e spesso procurava un po’ di cibo all’amica, che non si allontanava più dal suo nido.
Poi nacque un bell’aquilotto e la mamma felice, festeggiata dalla volpe e da tutti gli animali del bosco e della montagna, volava dalla mattina alla sera in cerca del migliore cibo per il suo piccolo. Come gli voleva bene a quel picciolo essere senza piume e tutto pancia e quanto mangiava! La povera aquila non trovava più un poco di tempo libero per incontrarsi con l’amica. L’aquilotto, però, cresceva sano e robusto e la mamma era veramente felice: quello era il suo primo figliuolo.
Un giorno la regina degli uccelli non riuscì a trovar cibo per il suo piccino nelle vicinanze e dovette allontanarsi molto dalla rupe della sua gioia. Quando tornò, con i robusti artigli avvinti al corpo d’una tenera lepre, l’aspettava un’amara sorpresa: l’aquilotto era sparito dal suo nido. “Dove sarà andato?”, pensò la mamma preoccupata, “Non sapeva ancora volare e non era capace di difendersi dai nemici”. Cercando di darsi coraggio pensò: “Si sarà allontanato in cerca di cibo e starà tra i cespugli qui attorno”, e cominciò a chiamarlo ad alta voce ed a cercarlo in ogni luogo.
Chiese a tutti gli animali che incontrò se avessero visto il suo piccino; allargò sempre più il suo giro di ricerca e a lei si unì, l’unica amica, la volpe. Cercarono per giorni e giorni, inutilmente! L’Aquila era disperata, non mangiava più, non dormiva più e non sopportava nemmeno la vista degli animali che si aggiravano nelle vicinanze.
Un giorno, era diventata magra magra ed aveva gli occhi così infossati da far paura, stava appollaiata su un ramo d’una grossa quercia e piangeva in silenzio mormorando il nome del suo aquilotto. Alcuni scoiattolini saltavano tra i rami o rosicchiavano le loro ghiande, cercando di non disturbare l’aquila.
Ma l’aquila, diventata troppo sensibile e nervosa, ad un certo punto non sopportò più quel sommesso vociare ed emise un grido così forte che tutti gli scoiattolini si rifugiarono nei loro buchi impauriti.
Uno solo non si mosse e continuò a rosicchiare col suo musetto appuntito, guardando fisso fisso l’aquila.
L’aquila, innervosita per quella disubbidienza, gridò di nuovo ed aprì le sue grosse ali in segno di minaccia.
Lo scoiattolo, però, continuò a non muoversi, anzi, fattosi coraggio, rivolse la parola all’aquila: “Perché te la prendi tanto con noi? Cosa ti abbiamo fatto? È vero che tu hai sofferto e soffri un grosso dolore, ma noi che c’entriamo?”.
L’aquila guardò con interesse lo scoiattolo e disse: “Hai ragione non ho niente contro di voi in particolare, ma è mai possibile che nessuno sappia dove è andato a finire il mio aquilotto?”.
Lo scoiattolo raddrizzò allora le sue piccole orecchie, alzò la sua lunga coda e disse: “Perché non chiedi notizie di lui alla tua amica volpe?”.
L’aquila non poteva credere a quello che aveva sentito ed esclamò: “Cosa? La comare! Ma lei l’ha cercato insieme a me!”. “Povera cieca”, rispose lo scoiattolo, “vai da lei e fatti raccontare come fece per arrivare fino al nido”.
L’aquila allora capì: la migliore amica era stata la causa del più grande dolore della sua vita e decise di punirla.
Sebbene avesse il cuore straziato, l’aquila si vestì a festa ed andò in cerca della comare volpe.
In breve tempo la trovò e, cercando di essere calma il più possibile, facendo finta di niente, la invitò, come aveva fatto sempre, ad una festa tra i monti. La volpe contenta, sapessi quant’era affamata, accettò l’invito e corse alla sua tana a prepararsi.
Quando fu pronta salì in groppa all’amica e l’aquila si alzò dolcemente in volo.
Pochi istanti bastarono per arrivare al di sopra delle cime degli alberi più alti, ma l’aquila continuò a salire nel cielo, sempre più su, sempre più su, senza parlare. Quando fu tanto in alto da vedere gli alberi come formiche si sospese nell’aria immobile. La volpe era aggrappata con tutte e quattro le zampe alle piume dell’aquila e tremava dalla paura sebbene pensasse che l’amica aveva voluto farle uno scherzo. All’improvviso, però, l’aquila fu scossa da improvvisi singhiozzi e, mentre la volpe le si stringeva al corpo più forte, le disse piangendo: “Eh, comare, chissà che morte brutta ha fatto quel povero figlio mio!” e pianse più forte.
La volpe restò di stucco a quelle parole e cominciò a sospettare che l’amica avesse scoperto qualcosa sul suo conto. Si aggrappò così forte da farsi male alle zampe e rispose: “Povera comare mia, proprio a te è dovuta capitare questa grande disgrazia. Sapessi quanto dolore ho provato anch’io!”.
“Brava”, disse allora l’aquila, “hai ancora il coraggio di mentire: sono sicura che quando addentasti il mio piccino non soffristi tanto quanto soffro io in questo momento per te”. Così detto diede un improvviso colpo d’ali, si capovolse e la volpe precipitò giù. Mentre si avvicinava velocemente al suolo la volpe gridava, piangeva e pregava: “Dio, ti prego, acqua o paglia, acqua o paglia, acqua o…”. Cadde invece su una pietra dove restò schiacciata.
La giusta punizione per una traditrice.