La Provincia di Conza: 50 feudi soggetti all’arcivescovo
A succedersi nella proprietà fondiaria della Cattedra di Conza dal 1196, cioè titolare del potere temporale, oltre che spirituale, è quindi Pantaleone definito Domino nel 1203, ma investito del titolo, su concessione regia, per mano del papa. Questo perchè, a partire dal 1200 era nata la Provincia di Conza, Dominio metropolitano dell’arcivescovo, su cui nessun Conte o Barone del Comitato Conzano, poteva interferire, come recita una bolla di papa Innocenzo III, per concessione regia: Prohibemns praeterea, ne quis Comitum, vel Baronum ad Comitatuum Compsanum quomodolibet pertinentium contra immunitatem Ecclesiae tuae Regia liberalitate collatam ante.
Conza, per dirla in soldoni, alla stregua delle Terre di Benevento, ebbe la sua provincia fatta di Terre di Conza affidate ad un Comitato militare ma che appaiono, se non di proprietà, almeno amministrati dall’arcivescovo feudatario. Si tratta di una cinquantina di feudi che vanno da Pescopagano a Persano lungo il fiume Sele, appartenuti alla Provincia della metropolìa di Conza, soggetta ad un arcivescovo ivi insediato, che aveva giurisdizione anche sui vescovi di Satriano, Muro, Monteverde, Lacedonia, Bisaccia e Sant’Angelo dei Lombardi: Episcopatus quoque inferius adnotatos Ecclesiae tuae metropolitico iure subiectos, tibi, tuisque successoribus nihilominus confirmamus, videlicet S.Angeli de Lombardis, Bisacien, Laquedon, Montis viridis, Muran, et Satrian. Quale fu il patrimonio dell’arcidiocesi di Conza lo si ricava da un rescritto dell’11 novembre 1200 di papa Innocenzo III indirizzato all’arcivescovo Pantaleone, in cui si cita anzitutto l’Abbatiam S.Laurentii de Tophara fuori le mura di Pescopagano (Pz). La sua fondazione è precedente al 1160. Apparteneva alla Terra di Pietra Pagana e da essa dipendevano le due gracie di S.Maria della Mattina in Andretta e S.Nicola extra moenia di Calitri, come dalla Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, per testo del Di Ambrogio, Per lo padronato feudale dell’Abbadia di S.Lorenzo in Tofara e delle due di lei grangie S.Maria della Matina di Andretta S.Nicola di Calitri. Fra le macerie adiacenti il portale di San Lorenzo fu rinvenuto un frammento lapideo con la scritta: roberti regis at / leonis temporii (haec Ecclesia) aedificat fuit… Dalla lapide è difficile capire chi fossero Roberto e Leone, ma dell’inventario Bardaro, proveniente dall’Archivio di Conza, fanno parte due manoscritti (riferiti alla visita di Monsignor Pescara) in cui sono riportati due istrumenti in pergamena che si riferiscono al 1160: Della donazione della Chiesa di S. Potito nel casale di Ilicito fatta al Monasterio di S. Lorenzo della Tofara per Beigara Contessa, la Signora Iletta et Ionata Conte di Conza, sub die 5 martiis 1160; Donationis facta Monasterio Santi Laurentii in Tofaria per Rosatam filiam Ioannis Campanariis de Caletro de voluntate Comitis Ionata sub anno Domini 1160, riportati da Zanella e Laviano ne La Basilicata nel Mondo.
Oltre San Lorenzo di Pescopagano, nel 1200, risultano dipendenze dell’arcivescovo conzano l’Abbatiam S.Mariae Magdalenae cum omnibus pertinentiis suis e l’Ecclesiam S.Angeli in Murice che è la chiesa di Muro Lucano (Pz).
V’è poi l’Ecclesiam S.Andreae, et S.Mennae, l’originaria chiesa di S.Andrea, già in territorio conzano, che a dire dell’Ughelli divenne di proprietà della Chiesa di S.Maria dell’Episcopio di Conza per il sostentamento del clero della Cattedrale che pregava da mattina a sera. E’ il documento conosciuto come “Donazione di Gionata”, quella che il Conte fece nel 1161, insieme al Castello di Pescopagano: S.Andrea “inter territorium Compsanae civitatis et Castri Petrae Pagane”.
Idem per S.Menna identificabile con l’omonimo comune.
Alla Cattedrale di Conza appartennero l’Ecclesiam S.Martini de Silere di Calabritto, l’Ecclesiam S.Mariae de Silere di Caposele. E’ l’antico toponimo della Chiesa che sorgeva e si sporgeva a picco su fiume Sele in Caposele poi mutato in Santa Maria Mater Domini dopo il 1527.
Ancora l’Ecclesiam S.Mariae de Oliveto, et S.Nicolai de fabrica, l’Ecclesiam S.Luciae de Capite Sileris, l’Ecclesiam S.Petri de Pistiniano di Oliveto. Identificabile con la prima Chiesa in Pestiniano di Oliveto Citra secondo la Cronista Conzana.
E poi l’Ecclesiam S.Salvatoris, l’Ecclesiam S.Angeli in Monte Nigro, l’Ecclesiam S.Petri de Venatore di Oliveto. Identificabile con la Chiesa di San Pietro crollata in Oliveto Citra, da cui, nel 1517, furono traslati i resti di San Macario nella nuova chiesa di S.Maria del Paradiso o della Misericordia divenuta Chiesa Madre. A proposito delle ricognizioni delle Reliquie di San Macario, il 10 gennaio 1845, il sindaco dell’epoca, Nicola Cappetta, chiese all’Arcivescovo di Conza, Monsignore Leone Ciampa, di autorizzare l’Arciprete o un altro sacerdote ad eseguire la ricognizione del corpo di San Macario. Il 18 gennaio dello stesso anno, l’Arcivescovo, autorizzava l’Arciprete, unitamente a due altri sacerdoti scelti a suo piacimento, a “rivisitare le ossa del glorioso San Macario”. Finalmente il 25 gennaio l’Arciprete Giuseppe Nicastro, assistito da Don Giovanni Pietro Greco e Don Gaetano Cappetta, eseguirono la tanto richiesta ricognizione delle Reliquie. Il documento citato scende nei particolari di questa delicata operazione affermando che vennero ritrovate due cassette, una di legno, consumata dal tempo, con un osso dell’avambraccio, la testa, e l’omero e un’altra cassetta di ottone ermeticamente chiusa all’interno della quale vi era una veste di guanciale contenente parte della tibia e altri resti non meglio identificati. Però fu trovato un documento che verbalizzava la precedente ricognizione avvenuta il 24 luglio 1652 alla presenza del guardiano dell’epoca, Padre Francesco di Torella.
Altra dipendenza fu l’Ecclesiam S.Mariae de Spelunca che appare essere Maria SS.di Sperlonga in Palomonte (Sa). In essa vi sono affreschi della Madonna di Costantinopoli e di S.Cosma risalenti all’anno 1000. Il toponimo di Palomonte, prima chiamata Palo con il suo luogo di Pietrafissa, con la sua chiesa retta dal Domino Ugo risultava nell’orbita di Montevergine, sebbene viene confuso nelle pergamene con Palo del Colle, a partire dal 1157, ma pervenne a Conza nel 1200.
La pergamena più antica che si rifà a Palomonte è la n.362 di Montevergine, una cartula venditionis del settembre 1157/58, indizione VI, in cui “Nicola, figlio del fu Giovanni, ed i figli Elia, Giovanni e Filippo, quest’ultimo assistito dal proprio avvocato, vendono allo stratigoto Leone, figlio di Maraldo, un pezzo di terra, sito fuori l’abitato di Palo, per il prezzo di 28 ducati”.
E cioè: Nicola, figlio di Giovanni de Cominiano, e i figli Elia, Filippo e Giovanni di Loco Palo vendono allo stratigoto di Palo, Leone figlio di Maraldi, un territorio presso la via che va a Atricarrum”.
La 528 è del 1171, IV indizione, in cui il Milite Simone detto di Soro, Dominatore dei Castelli di Palo e Balenzano e di Loco Campoli, cede in perpetuo al vassallo Leone figlio di Maraldizzo un territorio presso il Castello Palo, che va da signaidis Petris Fixis, un pastinato detto S.Angelo e la terra di Nicola fratello di Leone. Simone è presente nel 1181 ad una curia tenuta a Bari da Tancredi Domini Ducis f. dei et regia gratia comes Licii magnus comestabulus et magister iustitiarius totius Apulie et Terre Laboris. Oltre lui c’erano due giustizieri di Terra di Bari e cinque regii barones descritti nel Codice delle pergamene di Bari.
La confusione con Palo del Colle è ripetuta più volte dai verginiani, anche qualche anno prima, nella cartula oblationis dell’agosto 1185, indizione III, in cui, come legge Tropeano nel CDV, “Simone de Sora figlio di Simone, nella sua qualità di signore dei castelli di Valenzano e di Palo nonché del logo detto Campoli, d’accordo col figlio Simone, offre al monastero di Montevergine, nelle mani del monaco Ugo che agisce a nome dell’abate Giovanni, un oliveto e due altri pezzi di terra contigui coperti da altre nove piante d’olivo, sito nelle pertinenze del castello di Palo, liberi da ogni gravame e con facoltà di utilizzare gratuitamente i frantoi del castello di Palo; in cambio chiede che i monaci non solo preghino per lui, per la moglie Solina e per gli altri suoi parenti, ma anche per l’anima del gloriosissimo re Ruggiero e del magnifico re Guglielmo I come pure per l’esaltazione di Guglielmo II”.
Simone, figlio del Domino Sora, e il figlio Simone II, Domino del Castello di Valenzani, Pali e Loco Campuli, per l’anima dei defunti Re Domino Ruggiero e del magnifico Re Domino Guglielmo, e per eseltare l’invincibile Re Guglielmo II, loro rispettivo figlio e nipote, e per l’anima del padre e della moglie Solonia e dei parenti, donano al monastero di S.Maria Montis Virgilii e per essi al Domino venerabile Ugo, vicario del Domino Abate Giovanni, un oliveto chiuso che fu di Birardi in territorio del Castello di Palo, sita presso la chiusa dell’oliveto che fu di Angelo Lupone, la sorte di siri Giovanni Converso, quelli di Giovanni Simeone, e un altro pezzo di Monte Virgili, le olive di Petracco Basilio, ai confini con le makam (macchie) di Giovanni Angelo Xisti, Iacone Berzario figlio di Maione Corki. Fra gli altri firmano i siri Giovanni figlio di Luca milite e Simone Sturmine milite.
Così nella pergamena cartula oblationis del maggio 1188, indizione VI, in cui- “Leone Maraldizio e la moglie Santora, col consenso dei loro parenti e del signore Signore de Sora, offrono se stessi ed i loro beni stabili, siti fuori e dentro il castello di Palo alla chiesa di Santa Maria di Montevergine, nelle mani dell’abate Giovanni, riservandosene l’usufrutto loro vita natural durante ed impegnandosi a vivere nell’obbedienza dell’abate Giovanni e dei suoi successori e non vendere i beni donati; precisano inoltre che dalla donazione va escluso un palazzotto e nove piante d’olivo, già concessi al nipote Giacomo alla condizione che questi intraprenda la carriera ecclesiastica, e comunque anche questi beni alla morte di Giacomo dovranno passare di proprietà della chiesa di Santa Maria di Montevergine”.
Anche questa donazione è a S.Maria del Monte Virgilio col consenso di Giovanni de Leta fratello di Santora sempre per l’abate Domino e Rettore Giovanni e il suo vicario Giovanni donano un casalino con orto in Loco Pali e uno in Terra Leuci.
Palomonte, confusa con Palo del Colle, è citata nel preceptum concessionis custodito a Montevergine, datato 3 settembre 1188, indizione VII, in cui, leggendo la traduzione che ne fa il Tropeano nel CDV, “Il milite Simone de Sora, nella sua qualità di signore dei castelli di Palo e di Valenzano nonché della località Campoli, alla presenza dello stratigoto Giovanni e di altri testi qualificati, dona a Leone di Maraldizio, suo uomo ligio, una terra coperta da boscaglia e da altri alberi ad alto fusto, sita nelle pertinenze del castello Palo dove si dice Pietrafitta”.
Ovviamente si tratta di terre a Pietrafitta, divenuto un luogo del Castello di Palomonte in possesso, insieme al Castello Valenzano e a Loco Campoli, del Milite Simone de Sora, il quale, con Giovanni stratigoto, Iacopo e Luca Aurubandi dona a Leone figlio di Maralditii di Castello Palo una terra macchiosa con uomini e alberi che è in Loco ubi Petra Ficta dicitur in territorio di Palo, fra la vigna che fu di Mele Salseminas tenuta da Mele Rubecce, la terra di Leone e una in capite a Gualtiero e suo fratello fino alla terra domnica per atto del Notaio Risonis. Se ne ricava che Corchi ebbe per figlio Maraldizio che ebbe Leone sposato a Santora e Nicola. Nicola ebbe Giacomo.
Seguono inoltre altre dipendenze conzane come l’Ecclesiam S.Ioannis inter duo flumina, l’Ecclesiam S.Mariae in terra Victimosa, et S.Mauri, l’Ecclesiam S.Spiritus, l’Ecclesiam S.Nicolai de Culiano, l’Ecclesiam S.Nicolai de Palatio, Ecclesiam S.Ioannis de Ceraso, l’Ecclesiam S.Nicolai de Cirioto cum omnibus earum pertinentiis.
Dipesero dalla provincia ecclesiastica conzana tutti i feudi descritti dopo la Terram de Sarda, quae est dimensa, Cisternam, Cirrutulum, Castellum de Comitissa (Castello fra Calitri, Ruvo e Rapone), Caletrum (Calitri), Carpanum, Lormaro, et Turricellum, Castellion de Murra (Castiglione di Morra), Maurellum, Petrampaganam (Pescopagano), Castellum novum, Malinventre, Tugurium Biarum, Caput Sileris (Caposele), Calabretum (Calabritto), Senerchiam (Senerchia), Quagliettam (Quaglietta di Calabritto), Olivetum (Oliveto Citra), Lavianum (Laviano), Balvam (Valva), Culianum (Colliano), Palum (Palomonte), S.Nicandrum (o S.Licandro di Sicignano), Contursium (Contursi), Pulcinum (Buccino), Aulettam (Auletta), Salvitellam (Salvitelle), et Vetrum (Vietri di Potenza)
Ed ancora: [/] cum omnibus earum pertinentiis, Ecclesiam S.Mariae de Pasano, S.Agathae, S.Gregorii (S.Gregorio Magno ex Casale di Buccino poi con Sicignano), S.Nicolai de Erinio Calabretti, S.Mariam de Grensi, S.Angelum Castellionis (S.Arcangelo a Castiglione di Calitri), S.Petrum de Insula, S.Aegidium Castellionis, S.Mariam de Sanctis (era in territorio di Calitri, oggi di Rapone; fu fondata da San Guglielmo nel 1131), S.Antoninum Petraepaganae, Ecclesiam S.Thomae de Culiano (Badia di S.Tommaso a Cerrutolo dell’ex Casale S.Tommaso oggi Ruvo del Monte; Sancti Thome de Rubo del 1242).
E così termina la bolla. Ecco il testo integrale: Innocentius Episcopus servus servorum Dei. Venerabili fratri Pantaleoni Ecclesiae Compsanae Archiepiscopo, eiusdemque successoribus canonice instituendis in perpetuum. In eminenti Apostolicae Sedis specula, disponente Domino, constituti, fratres nostros Episcopos tam vicinos, quam longe positos fraterna debemus charitate diligere, et Ecclesiis sibi a Domino concessis paterna sollicitudine providere. Ea propter, venerabilis in Christo Pantaleo Archiepiscope, tuis iustis postulationibus clementer annuimus, et praefatam Compsanan Ecclesiam, cui auctore Deo praeesse dignosceris, ad exemplar felicis recordationis Alexandri, et Lucii Praedecessorum nostrorum Romanorum Pontificum sub Beati Petri, et nostra protectione suscipimus, et praesenti scripto privilegio communimus. Statuentes, ut quascumque possessiones, quaecumque bona eadem Ecclesia in praesentiarum iuste, et canonice possidet, aut in futurum concessione Pontificum, largitione Regum, vel Principum, oblatione Fidelium, seu aliis iustis causis, praestante Domino, poterit adipisci, firma tibi, tuisque successoribus, et illibata permaneant. [/] In quibus haec propriis duximus exprimenda vocabulis: Abbatiam S.Laurentii de Tophara, Abbatiam S.Mariae Magdalenae cum omnibus pertinentiis suis, Ecclesiam S.Angeli in Murice, Ecclesiam S.Andreae, et S.Mennae, Ecclesiam S.Martini de Silere, Ecclesiam S.Mariae de Silere, Ecclesiam S.Mariae de Oliveto, et S.Nicolai de fabrica, Ecclesiam S.Luciae de Capite Sileris, Ecclesiam S.Petri de Pistiniano, Ecclesiam S.Salvatoris, Ecclesiam S.Angeli in Monte Nigro, Ecclesiam S.Petri de venatore, Ecclesiam S.Mariae de Spelunca, Ecclesiam S.Ioannis inter duo flumina, Ecclesiam S.Mariae in terra Victimosa, et S.Mauri, Ecclesiam S.Spiritus, Ecclesiam S.Nicolai de Culiano, Ecclesiam S.Nicolai de Palatio, Ecclesiam S.Ioannis de Ceraso, Ecclesiam S.Nicolai de Cirioto cum omnibus earum pertinentiis, et Terram de Sarda, quae est dimensa, Cisternam, Cirrutulum, Castellum de Comitissa, Caletrum, Carpanum, Lormaro, et Turricellum, Castellion de Murra, Maurellum, Petrampaganam, Castellum novum, Malinventre, Tugurium Biarum, Caput Sileris, Calabretum, Senerchiam, Quagliettam, Olivetum, Lavianum, Balvam, Culianum, Palum, S.Nicandrum, Contursium, Pulcinum, Aulettam, Salvitellam, et Vetrum cum omnibus earum pertinentiis, Ecclesiam S.Mariae de Pasano, S.Agathae, S. Gregorii, S.Nicolai de Erinio Calabretti, S.Maria inde Grensi, S.Angelum Castellionis, S.Petrum de insula, S.Aegidium Castellionis, S.Mariam de Sanctis, S.Antoninum Petraepaganae, Ecclesiam S.Thomae de Culiano. Episcopatus quoque inferius adnotatos Ecclesiae tuae metropolitico iure subiectos, tibi, tuisque successoribus nihilominus confirmamus, videlicet S.Angeli de Lombardis, Bisacien, Laquedon, Montis viridis, Muram, et Satrian…
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