Candide fiamme. 1556-1598

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L’INDAGINE DI BASCETTA SULL’INQUISIZIONE A NAPOLI

Presentare un testo storico di Arturo Bascetta è sempre una emozione. Colpisce innanzitutto la ricerca certosina delle fonti, le più svariate e miracolosamente rinvenute dalla pazienza infinita. Si sa. La storia è ricerca, continua e costante. E quella di Arturo è una vera e propria indagine, attenta e scrupolosa, dei fatti e degli avvenimenti storici, analizzati in modo diligente, esaminati con quella curiosità che è la base per conseguire risultati fecondi e fruttuosi.
Tale tipo di ricerca, affrontata con grande cura e impegno, è caratteristica precipua del Nostro. Il suo è un vero e proprio scandaglio tra le numerosissime fonti esistenti nei luoghi più impensati che la sua sagacia riesce a scoprire, perchè guidato da un fiuto storico invidiabile e che sbircia nei cunicoli degli archivi e delle biblioteche delle varie città d’Italia e dell’Europa, testimonianze spesso sfuggite anche a storici di professione.
Arturo, in tutti i suoi scritti storici, è il primo ad assaporare la vera cognizione della storia per trarne un nuovo sapore e trasmetterlo in tutta la sua intensità ai lettori. Le azioni, i fatti, gli eventi sono dei veri ritratti che evidenziano una visione della storia precisa e attuale. Tratta il tutto senza alcuna pietà. Senza alcun falso moralismo. La sua storia è come una ventata di aria fresca, aperta, quasi violenta. Attira e sconvolge.
Tutto ciò si coglie in questo brillante volumetto dall’emblematico titolo “Candide fiamme”. Un caleidoscopio di persone e fatti, non facilmente rinvenibili in storie di “spessore”. Troviamo innanzitutto notizie precise e documentate, insieme a quelle sull’intero Mezzogiorno d’Italia e di Napoli in particolare, su luoghi, vicissitudini e fatti di diverse province.
“Candide fiamme” pone in rilievo, con onestà intellettuale e scavo delle fonti, interrogate sui loro più terribili segreti, tirando fuori fatti e personaggi da altri abbandonati all’incuria del tempo, all’oscurità, se non proprio alla morta gora, la palude dell’Inferno. Fatti, avvenimenti, personaggi trattati in modo chiaro e, a volte, con linguaggio aulico, derivante direttamente dall’opera originale consultata, sia nei loro pregi che nei loro difetti, sia nelle loro ragioni che nei loro torti, sia negli atti di valore che in quelli meschini.
Sfilano dinanzi ai nostri occhi vicerè, conti, baroni, marchesi, nobili cardinali che fanno il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei sudditi, dei più deboli e miseri della società. E nello stesso tempo ribellioni eroiche del popolo oppresso dalle angherie, dalle ingiustizie e dallo sfruttamento feroce che riducevano la gente alla miseria e alla fame.
Assistiamo sbalorditi alla furia popolare, finire in immensa tragedia, di contro all’ottusità di chi è al potere. Don Pedro di Ossuna, vicerè di Napoli, mandò nel 1582 in Spagna tutto il grano del Regno di Napoli. Donde una terribile carestia per lo scarseggiare della farina e per l’aumento del prezzo del pane. Dopo tre anni di stenti, insopportabili anche dal più paziente e tranquillo popolo, scoppiò nel 1595 una terribile rivolta. La ribellione era diretta contro il loro rappresentante Starace, accusato di essere la causa della misera condizione. Costui, non comprendendo la situazione, alla vista della furia della plebe osò addirittura minacciare quelli che egli considerava “miserabili popolani”. La folla esasperata, non solo dalle privazioni ma soprattutto da queste offensive ed arroganti parole, lo afferrò, lo denudò e, percuotendolo, lo ferì a morte. Infine, non contenta, lo trascinò in strada, lo fece a pezzi e gli mozzò la testa dinanzi al Palazzo del Governo. Per tutta risposta, Ossuna, prendendo a pretesto tale morte, fece giustiziare i capirioni della rivolta. Non pago ancora, arrestati 500 popolani, fece eseguire 31 esecuzioni capitali. E proseguì la sua offensiva con altri atroci atti. Mozzate la testa e le mani ai cadaveri, le fece esporre appese in un gabbione davanti al palazzo di Starace.
Sfila dinanzi ai nostri occhi la grande flotta della “Lega Santa” di 99 galee e 20.000 uomini (veneziani, spagnoli, romani, piemontesi, maltesi e il gruppo più numeroso dei napoletani), che il 7 ottobre del 1571 diede una poderosa batosta all’Impero Ottomano, sconfiggendo sonoramente i Turchi a Lepanto.
Osserviamo le scorrerie nel Regno di Napoli del banditismo, in particolare quella del brigante “Re Morcone”, come si faceva chiamare, con una banda di ben 1500 uomini che inflisse molte perdite alle truppe spagnole di Pedro Afan de Livera, vicerè che, durante tutto il suo governo, si distinse per l’indifferenza verso le sofferenze dei cittadini colpiti dalla carestia e da tre terremoti. La sua malvagità proruppe contro gli eretici valdesi presenti in Calabria di cui fece 2.000 vittime e nei processi che, nella Piazza Mercato di Napoli, portarono al rogo alcuni eretici di Caserta e di Aversa. Osserviamo Cervantes, l’autore del capolavoro “Don Chisciotte”, imbarcato a Napoli e diretto in Spagna, dove non giunse, perchè il 26 settembre del 1575, la nave “Sol”, fu attaccata dai “pirati barbareschi” di Algeri che lo tennero schiavo per ben cinque anni.
Bascetta stigmatizza con forza la crassa ignoranza e l’incultura dei nobili che, oltre ad essere analfabeti, non sapevano niente dei grandissimi intellettuali contemporanei, come Giordano Bruno e Bernardino Telesio. In questo bel libro incontriamo scienziati, astronomi del livello di Galileo Galilei e artisti, da Tommaso Campanella e Giovanbattista Basile a Torquato Tasso e Giovanbattista Vico.
Molte sono le osservazioni acute e criticamente apprezzabili (da far proprie senza alcuno indugio), sulle cause dei drammi nelle nostre zone del tanto tormentato Seicento, da parte di un risoluto Arturo Bascetta – al quale va un incondizionato plauso – come pure è da sposare il giudizio, a volte severo, su uomini, avvenimenti e fatti di tal secolo.
Prof. Angelo Cillo +
Critico letterario

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