ATTI DI NOTAI SANNITI. Palazzo d’Aquino sede del generale, Rione S.Eustachio a Vetere, il vaiolo di Telese, viri, siri, poeti e vicari

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INDICE

1. D’AQUINO A S.EUSTACHIO RIONE VETERE

2. Borgia Duca di Benevento: il Sannio BIS

3. ariano Vicaria di benevento

4. NOTAI PROVINCIALI DEL RINASCIMENTO

5. il cronista della Valle di Vitulano

6. il patto franco-spagnolo del 1501

7. LA PESTE DEI FRANCESI SU MONTEFUSCO

8. FEUDI OMONIMI SU VIE NUOVE DIVERSE

 

9. PAPA ORSINI E IL GOVERNATORE BOSCHETTO

Nel 1599, come da Concilio provinciale, l’arcivescovo di Benevento ottenne la facoltà di riconferire le insigne badiali mitrate dentro lo stesso Regno di Napoli.
La provincia ecclesiastica chiamata Nuovo Sannio aveva 18 vescovi su 25, sebbene fossero stati 32, perché in antico comprendeva tutta la Puglia ed era chiamata Metropoli Campania: latissima est ejus Provincia decem et octo Episcoporum, licet non multum sit temporis, cum viginti quinque esset, ut in valvis aereis ipsius Ecclesiae et nomina Episcoporum, et effigies monstrant. Olim vero triginta due habuise, et Metropolim Campaniae, totiusque Apuliae appellatam esse antiquissima ipsius documenta testantur.99
L’arcidiacono Nicastro confermò l’uso di mitra e pastorale alle 12 abbazie antiche recensite: usum Mitrae habent; nempe
[1.] S.Mariae de Strata (Matrice di Limosani),
[2.] S.Mariae de Fasolis (Faifolis di Montagano di Limosano – ma nel dubbio è Foglianise),
[3.] S.Mariae de Eremitorio (Campolieto di Limosani),
[4.] S.Petri de Planisio (S.Elia a Pianisi – Cb),
[5.] S.Laurentii de Apicio (Apice-Bn),
[6.] S.Maria a Guglieto (Vinchiaturo di Boiano),
in presentiarum Collegio beneventano Societatis Jesu unitae,
[6.bis S. Maria de Rocca prope Montem
Rotanum (Monterotaro, lungo il Fortore]
[7.] S.Mariae de Decorata (Riccia-Gildone),
[8.] S.Maria de Campobasso (di Boiano),
[9.] S.Maria de Ferraria prope [Oppidum] Sabinianum,
[10.] S.Mariae de Venticano Bibliothecae Vaticanae unitae, et /
[11.] S.Silvestri in Oppido S.Angeli ad Scalam.
[12.].100
V’erano altre 4 abbazie et S[anta] R[omana] E[cclesia] cardinalibus commendatur, cioè che risultavano commisariate perché sono finite in Commenda:
– S.Sophiae Beneventi,
-S.Joannis in luco Mazzocca,
-S.Maria de Cripta in Oppido Vitulani,
-et S.Fortunati in oppido Paulisiorum.
Erano poi le 3 Commende Equitum (prefettizie):
– S.Joannis Hierosolymitani Beneventi,
– Montisfusci,
– et in Oppido Montisherculis enumerantur.
E ve n’erano altresì 2 esistenti in Benevento:
– Collegiatas Ecclesias S.Bartolomae praecipui Patroni,
– et S.Spiritus.
Furono invece 6 quelle costruite o da costruire in Diocesi:
– nempe S.Joanuis in Balneo praefatae Civitatis Montifusci,
– SS.Annunciationis Altavillae,
– SS.Assumtionis Montiscalvi,
– S.Salvatoris Morconi,
– S.Bartholomei Padulii,
– et SS.Trinitatis in Oppido Vitulani anno 1716 eretta.
Nella nota seguono i dati sui 178 luoghi, compresi quelli con le grancìe ex dipendenze delle abbazie beneventane, così come descritto negli atti dei Concili. Si tratta di Terre, Casali e feudi compresi in due province del Regno:
– Montefusco (in Diocesi di Benevento dipendente dall’Arcidiocesi Metropolitana di Benevento)
– Lucera (Diocesi dipendente dalla Metropolia beneventana).101
In passato, il distretto diocesano del vescovo della Montagna, si chiamava Valle Beneventana. De Lellis ricorda di Guevara di Guevara Signor d’Arpaia che era stato Governatore della Valle Beneventana prima che nascesse la nuova provincia del Principato con confini e capoluogo più volte modificate.102
Con l’ultimo riassetto provinciale la Valle Beneventana e la Montagna ricaddero in diocesi di Benevento, cioè sotto un vicario dell’Arcivescovo e i paesi si ritrovarono con alcuni casali elevati ad Università comunali ed altri ancora in regime feudale coi vassalli schiavi dei loro baroni. Capitò quindi, come nel caso di Torrioni, che una parte dei Casali raggiungessero l’agognata meta della libertà, con l’istituzione amministrativa propria, e un’altra parte dei Casali restasse invece sotto la potestà feudale. Questo a prescindere che si costruissero oratori del Rosario e chiese di San Michele un po’ ovunque, nonchè si ricostruissero chiese badiali come da convezione Vescovo-Viceré del 1599.103
In un volumetto dato alle stampe dal Capaccio nel 1635 si elencano le parti del Regno con Napoli come Metropoli che rende felicissime le sue provincie che sono in numero di 12: Terra di Lavoro, Contado di Molisi, Apruzzo Citra o Sannio, Apruzzo Ultra, Principato citra che sono i Picentini, Principato ultra che sono gli Irpini, Capitanata o Daunia, Terra di Bari o Peucetia, Terra d’Otranto o Iapigia, Basilicata o Lucania, Calabria citra o Brutij, Calabria ultra o Magna Grecia. A suo dire le province sono contigue quasi tante membra rendono unito così bel corpo del Regno e ognuna dipende da un proprio Viceré, un’ex Capitano fatto Governatore, che non può essere paragonato agli ex Viceré di Napoli, paragonabili ad un Duca perché sono secondarij padroni per dipendenza avendo qualche preeminenza nell’esser Maestri di Soldati. I Duchi-Viceré centrali, quelli seduti al posto del Re a Napoli, differivano da questi Viceré provinciali nel titolo ma anche nella milizia: come il fantaccino sta ad un Capitano, se considerate un Viceré come Capitan Generale di Sua Maestà, come nel caso del Duca d’Alva che possedette la cavalleria e più di ventiduemilia pedoni, un terzo di tutta milizia del Regno.104
Pubblicato in Napoli nel 1614, e poi ripubblicato nel 1620, nel 1629 e nel 1671, con il quadro definitivo delle 12 province del Regno e l’aggiornamento sul censimento delle famiglie, c’è un volumetto che fa luce sull’ubicazione provinciale dei paesi. All’epoca a Napoli c’era il Re, ma esistevano anche 7 Vicarie con 7 Udienze rispettivamente rette da Viceré Vicari ed uditori in Principato Ultra (Montefusco), Calabria Ultra e Citra (Cosenza e Catanzaro), Terra d’Otranto (Lecce) e Terre di Bari (Trani), Abruzzi (Chieti) e Capitanata (Lucera), il cui Viceré governava anche il Contado di Molise.105
Nella provincia di Principato Ultra vi sono “undici Città, delle quali Benevento, e Consa sono Arcivescovadi, e li vescovadi sono Ariano, Avellino, Bisaccio, Sant’Angelo de’ Lombardi, Cedogna, Montemarano [nell’edizione del 1614 e del 1620 c’è anche Monteverde], Nusco, Voltorara, Vico della Baronia dai moderni detto Trivico, S.Agata delli Goti. Vi sono 140 [erano 160 nel 1614] tra Terre, e Castella che sono in tutto 171”.106
L’opuscolo segnala che “nel territorio di Prata di questa provincia sono le miniere dell’oro, e dell’argento. In questa provincia risiede la Regia Audientia nella Terra di Montefuscolo con il Viceré; con provisione di ducati seicento l’anno, con alcuni emolumenti; e Sua Eccellenza li ha due auditori, con provisione di ducati trecento e quaranta per ciascuno, con l’avvocato fiscale Trombetta, e quindici alabardieri tutti provisionati con trentasei ducati per uno l’anno”. Ricapitolando, Montefusco, non è una metropoli, perché le sedi metropolitane arcivescovili sono quelle di Benevento e Conza; ma non è neppure una città, perché non ha un vescovo, essendo la stessa Benevento anche sede del vescovo vicario della diocesi in cui ricade Montefusco. Nè c’entrano più le città di Avellino ed Ariano.
Però, pur essendo Benevento la sede ecclesiastica provinciale, la giustizia è invece amministrata dai delegati del Regno in cui ricade il territorio. Quindi Montefusco è sede dell’Udienza del tribunale provinciale e relativo carcere che è così composto:
– 1 viceré
– 2 giudici
– 1 avvocato del fisco per sequestrare i beni
– 15 soldati alabardieri.
Per tornare alla prima edizione del volumetto c’è da aggiungere che non manca di citazioni e, nel ricordare l’amicizia di Re Carlo d’Angiò con Simone Mascambruni di Benevento, ne attesta la discendenza in loco fino all’ultimo erede, Gasparro Mascambruni, diventato rivoltoso. Questi, “fu sì ardito, e bellicoso, che posta insieme una gran massa di gente forastiera, datali da alcuni Signori dei luoghi convicini suori parenti, tentò d’impadronirsi di Benevento; come si legge in un indulto di sua santità fatto a Gasparro Mascambruni, governando la Città il Conte Buschetto”………
Il Conte Roberto Boschetto di Modena era Signore di San Cesario sul Panaro. La figlia sposò Giovan Francesco della Mirandola,mentre la sorella impalmò Gherardo Rangoni per volere del padre Albertino Boschetti, famoso condottiero di ventura.
Ai tempi della scoperta dell’America viveva alla corte napoletana, inizialmente come paggio, indi come gentiluomo, affiancando poi il padre a San Giovanni Rotondo nel Gargano, caduto poi in disgrazia, quando lasciò il Regno. Tornato a Mantova, partecipò alla battaglia di Fornovo e combatté agli ordini del Marchese di Mantova, Francesco Gonzaga trattando la pace con Gian Giacomo da Trivulzio su Vercelli, facendo ufficialmente parte della corte gonzaghesca e partecipando a numerose giostre.
Nel 1500 fu a Roma, in occasione del giubileo, al seguito della duchessa di Urbino Elisabetta Gonzaga, difendendo poi Bologna per conto di Giovanni Bentivoglio, e ammalandosi a Mirandola.
Gli estensi, a causa del padre, gli confiscano tutti i suoi beni e gli tolgono San Cesario sul Panaro, ma nel 1510 è nominato governatore di Mirandola da Francesca da Trivulzio. Il papa Giulio II gli fa anche restituire il suo feudo.
L’anno dopo è «assediato in Mirandola dai pontifici; avvia trattative con Giovan Francesco della Mirandola per un’eventuale resa nelle mani di Marcantonio Colonna: i colloqui non hanno alcun esito a causa di Alessandro da Trivulzio. Fatto prigioniero quando il castello è espugnato, si riscatta e si offre al servizio del marchese di Mantova. Il pontefice gli impone di non ritornare più al servizio dei da Trivulzio; non obbedisce. Quando i francesi recuperano Mirandola viene nominato loro luogotenente. E’ segnalato nella sfilata delle truppe francesi che si svolge davanti al re Luigi XII».
Nel 1512 partecipa alla battaglia di Ravenna; viene armato cavaliere per il valore dimostrato nello scontro e l’anno dopo è inviato da Trivulzio «presso l’imperatore Massimiliano d’Austria al fine di ottenere il riconoscimento di Mirandola a loro favore. La signoria della città è, invece, assegnata a Giovan Francesco della Mirandola, mentre al pupillo di Roberto Boschetti, Galeotto della Mirandola, è assicurata quella di Concordia. Passa al servizio di Giuliano dei Medici. A Modena per fungere da paciere tra le fazioni dei Rangoni, dei Tassoni, dei Carandini e dei da Fogliano, divisi tra partigiani del pontefice e sostenitori dell’ imperatore e degli estensi. Sempre in Modena presenzia ad una cerimonia religiosa con il nuovo governatore pontificio Fabiano Lippo. Prende parte al successivo consiglio generale cittadino. Viene inviato dal luogotenente di Piacenza Goro Gheri presso Giuliano dei Medici. Alla morte di Giuliano dei Medici si trasferisce agli stipendi del papa Leone X, sempre di casa Medici».108
Nel 1516 ancora combatteva al fianco di Francesco Maria della Rovere nel ducato di Urbino al comando di 2000 fanti, di cui 800 fra corsi e spagnoli. Ottenuto per accordo Maiolo, assediò San Leo e si impadronì del monte sopra la rocca.
«Nel 1517 si porta ad Ancona come commissario pontificio. Ha il compito di provvedere all’ approvvigionamento di tutto l’esercito pontificio nella guerra provocata dal della Rovere……………..
E’ inviato a Roma dal cardinale di Bibbiena Bernardo Dovizi per perorare la causa dei Bentivoglio che desiderano rientrare in Bologna.
Gli viene concessa la cittadinanza di Ancona. Si sposta in Toscana e controlla nel Casentino i movimenti del della Rovere. Al termine del conflitto è scelto dal duca di Urbino Lorenzo dei Medici come viceduca e suo luogotenente nel ducato.
Nell’esercizio della sua carica si comporta in modo esoso; perseguita i simpatizzanti del della Rovere.
Alla morte di Lorenzo dei Medici viene confermato nel suo incarico dal papa. Si porta a Gubbio; a Cagli scopre una congiura ai suoi danni: i complici del complotto sono catturati e strangolati.
Si incontra a Perugia con Gentile Baglioni, dopo che questi è potuto rientrare nella città a seguito dell’ esecuzione in Roma di Giampaolo Baglioni.
Viene nominato dai pontifici conte di palazzo ed è confermato nel feudo di San Cesario sul Panaro.
Nel 1521 su ordine di Leone X confisca ai Fregoso i loro beni nei contadi di Urbino, di Senigallia e nel Montefeltro perché fautori della causa francese. Nello stesso anno delibera di migliorare le difese della cinta muraria di Pesaro.
Alla morte del pontefice è riconfermato nelle sue cariche dal collegio dei cardinali. Non è in grado di opporsi all’avanzata del della Rovere. Gli abitanti di Fano gli conferiscono la loro cittadinanza».109
Nel 1523 rimasto al servizio dei Medici (ora di Alessandro) e nominato viceduca e di governatore di Penne e di Campli, passò al servizio del papa Clemente VII (anch’egli di casa Medici). Convalidati gli incarichi di cui godeva negli Abruzzi, fu inviato nel pavese presso il viceré di Napoli Carlo di Lannoy al fine di persuaderlo a non venire a battaglia campale con i francesi.
Ammalatosi si ritirò a San Cesario sul Panaro, ma ritornò nei ducati di Penne e di Campli per riformarvi gli statuti. Gli furono concesse alcune entrate nel regno di Napoli per 1000 ducati l’anno……………………….

Description

STORIE VERE TRATTE DAGLI ARCHIVI
DI STATO DI AVELLINO, BENEVENTO E NAPOLI ISBN 9788872974797

D’AQUINO A S.EUSTACHIO RIONE VETERE

Il 26 novembre 1444, sotto il pontificato di Papa Eugenio, tre civili di Civitate Beneventana, i signori domini Del Pesce, Rapinella e de Vipera, vengono citati nel primo atto notarile cartaceo dell’attuario pubblico, il chierico Nicola Russo, oggi conserato, restaurato e custodito presso l’Archivio di Stato di Benevento e inserito fra i notai anonimi vari: Nicola Russi clerici et civis beneventanj publici aptica ante notarij et testibus infrascriptores presentia Domino Goffredo de Piscibus, Thoma Rapinella et Nicolaj de Vipera civium et habitatorum beneventanorum ad infrascripta moratorjum ad hibitorum personaliter et rogatorum.
Siamo sicuramente nella Benevento attuale, in quanto l’atto è sottoscritto apud Civitatem Beneventana, precisamente in S.Sofia, in quello che viene definito venerabilis monasterio Sancte Sofie et proprie in Camera Reverendi inxpo Abatis dicti monasterii. Ma i tre beneventani citati in precedenza da Russo erano solo i testimoni che vi si sono recati al seguito del nobile cittadino Roberto d’Aquino fu Giacomo, perché constituitus personaliter Robertus de Aquino nobilis huius Civitatis filius condam Domini Jacobi agens et intervenienti ad infrascripta. Roberto è il fratello del ‘ministro’ del regno di Napoli Francesco d’Aquino, o meglio del Magno Siniscalco del Regno di Alfonso Re di Napoli, che è anche Conte di Loreto e che restò in carica quattro anni, dal 1438 al 1442. Roberto e Francesco si ritrovavano ambedue eredi del Palazzo, quello appartenuto al padre Giacomo e alla madre Orsolina de Gioia, nel quartiere della Parrocchia di S.Eustachio, ubicato poco distante, nell’ex Civitate Beneventana, cioè nel borgo antico distrutto dal terremoto del 1348, quando nacque poi la nuova urbe arcidiocesana che integrò le diocesi molisane e pugliesi.1
Nello stesso atto notarile del clerico Russo, Roberto d’Aquino parla anche a nome del consanguineo Francesco, conte di Laureto e Satriano, in quanto dichiara possedere con domino Francisco de Aquino suo fratre Comite Laureti et Satriani at magno siniscalco serenissimi Alfonso domini regis Aragonie et Neapolis nonnulla bona stabilia et feudalia iusdem perventam ej hereditate condam Jacopi et Orsoline de Jola paternum et spetialiter domum paterne habitationis dictj condam Jacobi sitam et positam in hac Civitate in parrochia sancty eustachij justa suos. Il discorso cade sui soldi perché si rende necessaria parecchia pecunia, che Roberto non ha, in quanto necessitano 4000 ducati de monetis argentis per il restauro del Palazzo, già diviso dagli eredi in quanto l’appartamento di Roberto situato in detta domus è separato dall’altro che appartiene al ramo d’Aquino e pare abitato, o solamente difeso, da un certo Mascambroni canonico della Chiesa Madre beneventana, per intermediam personam Dominj Meulj de Mascambronibus canonici majoris ecclesie beneventane, in quanto anch’egli civium et habitatorum beneventanorum ad infrascripta moratorj.
L’istrumento del 26 novembre 1444 viene citato in un atto successivo scritto di mano del medesimo notaio e inserito nello stesso rogito ricomposto e conservato presso l’Archivio di Stato di Benevento. Questo secondo atto di quattro anni dopo è datato 2 ottobre 1448, sotto Papa Nicola, citandosi sempre Roberto de Aquino filius Domini Jacobo e Orsolina de Jola, cioè dell’ex Comitibus Acerre et Lauretj, ma stavolta nel documento si riesce a leggere anche il nome di Don Lorenzo Capobianco, in quanto si legge heredi nobilis Domini Laurentius Capobiancus. Anche quest’atto è scritto apud in Civitatem Beneventana, anzi proprio nel Palazzo d’Aquino, ubicato lungo la Via Pubblica, nel quartiere della Parrocchia di S.Eustacchio, ereditato quattro anni prima quando si accennava ai 4.000 ducati d’argento necessari al restauro.
Il notaio riunì direttamente i testi in domo proprie habitationis nobilis familie de Aquino sita e posita intus Beneventij in parrochja Sancty Eustachij justa bias publicas et alios suos fines. Oltre Roberto c’è sempre anche il fratello Francesco. Sono infatti j constitutj nobilis D.Franciscus de Aquino figlio fu Giacomo ex comitibus Acerre comes Lauretj et Satrianj et magnus Siniscalchi serenissimi Alfonsi Domini regius Aragonie et Neapolis ad presente in hac Civitate, cioè quando Alfonso era Re del Regno di Napoli.
Un atto successivo di due anni dopo, del 17 aprile 1450, parlerà di un civile beneventano nobile e domino chiamato Bartolomeo de Aquino. Dal testamento del 19 dicembre 1444, senza più guerriglie, sembra che l’amministrazione della politica e della giustizia cominciasse ad essere stabile, con i baroni pronti all’assegnazione degli incarichi stabili.
Da qui la parvenza che fu ufficializzata una iniziale ripartizione politica delle province.
In quei giorni, Giovanni Sanseverino, così dettava allo scrivano in quel di Castellabate: Item legavit eidem Loysio filio suo Terram, et Castrum Abbatis de Provincia Principatus.2
Era tornata in vigore, almeno nel Cilento, l’indizione riferita alla Provincia di Principato e non di Principato Citra. In effetti, con l’Incoronazione di Alfonso d’Aragona, il regno si stabilizzò e quindi anche le province ebbero un riassetto. Dopo la soppressione del 1407, la diocesi diaconale a cui apparteneva il titolo di urbe, in quanto Civitate vecchia sede del Principato, fu inglobata e continuò a vivere come territorio soggetto alla chiesa beneventana. Il definitivo assorbimento avvenne nel 1450, quando, a proposito del Capitolo beneventano, Niccolò V unì a Benevento la Terra di una antica San Lupo, con giurisdizione spirituale da nullius diocesis, sopra 1400 anime e ben regolato clero, instituendo un vicario indipendente come Governatore dei beni della ex sede dell’Abbazia S.Lupo.
Difficile dire quali paesi appartennero alla soppressa diocesi che forse ebbe fulcro presso Ceppaloni, prima con un suo vescovo e poi solo con un governatore dipendente dall’arcivescovo di Benevento. Ma comincia a delinarsi il quadro della Montagna-Distretto della ex diocesi di Civitate S.Lupo, che aveva giurisdizione su un proprio omonimo feudo di provenienza, detto “di San Lupo”, e ubicato molto lontano, a Colle Petroso.
Nel 1450, infatti, interpretando Nicastro, si legge che Nicolò V unì ufficialmente tutti i beni della Badia di S.Lupo al Capitolo beneventano: il Capitulum Episcopalem habet juridictionem in Oppido S.Lupi de Monte Petroso, ubi et generalem adjungit Vicarium, ibique, et Ceppaloni in Oppido, vel temporalem Olim dictionem habebat….

note documentarie e bibliografiche

1. Archivio di Stato di Benevento, ASB, Atti notarili, Variorum, I, notai di Benevento, f.4, f.8, f.10 e segg.
2. Domenico Ventimiglia, Difesta Storico-Diplom., in: Notizie storiche del castello dell’Abbate e de’suoi Casali nella Lucania. Sugli Statuti v.Borgia, Memorie di Benevento, cit. Non fu che sotto il regno di Ferdinando I di Aragona che Pio II ebbe Benevento: abusando egli dell’influenza che allora avevano le opinioni, non volle accordargli l’investitura del Regno senza il sagrifizio di Benevento e di Terracina”, quando il Papa si prese anche Pontecorvo, “e da quel tempo il dominio dei Papi non fu interrotto in Benevento e in Pontecorvo fino al 1768: in quest’anno il nostro Sovrano riprese ambedue queste città”, secondo la prammatica sotto il titolo di “Beneventi & Pontiscurvi ricuperatio”, ma furono restituite per “motivi politici” nel 1774.
3. Nicastro, Compendio delle Memorie di Benevento, f.12; Nicastro, Illustribus Beneventi, cap.13.
4. AMV, Archivio di Montevergine, pergamene diverse. Cfr. Placido Tropeano, CDV, Codice Diplomatico Verginiano, perg.anno 1127. Cfr. Falcone Beneventano, cit.
5. Alfonso Silvestri, La baronia del Castello di Serra nell’età moderna (parte prima), Volume 1, Istituto di Studi Atellani, 1993, Appendice dei documenti. ASNA, Vol. di Cautele, in Museo 99, A.84, carta n.382. Su Toccanise, Torrioni e Tocco V. ASNA, Banchieri antichi, v.77, in data 22 marzo 158; ASNA, Petizioni e Significatorie di relevi – Prima serie, v.22, f.84; ASNA, Notai del ‘500, 46/198, f.67 e segg; ASNA, Sommaria Partium, v.24, f.246; ASNA, Relevi di Principato Ultra e Capitanata, v.287, f.15; ASNA, Sommaria diversi – Prima numerazione, v.175/2, f.71., ASNA, Relevi di Principato Ultra e Capitanata, v.292, f.354: in Cocozza, cit. Acquistati successivamente da Claudio Capece furono da questi venduti nel 1581 a Costanza Caracciolo che nella quietanza di pagamento dichiarò di averli comprati con i suoi propri denari a nome del marito, per la somma di 2.000 ducati. E’ singolare il fatto che la somma coincida con quella ricevuta un mese prima dal fratello Carlo, debitore di un legato lasciatogli dalla madre, ivi, in data 23 febbraio 1581.
6. V.Duca di Monteleone, op.cit.
7. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg. Cfr. Gio.Bernardino Tafuri, Cronache del Coniger (con note di). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampa ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.471 e segg.
8. M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
99. Lorenzo Cardella, Memorie Storiche De’ Cardinali Della Santa Romana Chiesa, Pagliarini, Roma 1797, pagg. 140, 230, 267, 310. Queste le 17 diocesi e relativa distanza da Benevento:
1. S.Agata dei Goti che è a 14 miglia.
2. Alife, raggiunta per la via di Guardia e Cerreto, è a 30 miglia.
3. Ariano, via Isca Longa, è vicina ad Apice, a miglia 16.
4. Ascoli, per la via Nuova di Adriano e Ponte di Bovino, è a 46 miglia.
5. Avellino, via Altavilla, è a 12 miglia.
6. Boiano, via Morcone e Sepino, è a 24 miglia.
7. Bovino, via Nuova del Passo di Mirabella ed Ariano, è a 40 miglia.
8. Guardia Alfiera, via Morcone, Campobasso e la Lupara, è a miglia 41.
9. Larino, per la medesima via (Morcone, Campobasso-La Lupara), è a miglia 48. I confini originari della Diocesi di Larino erano quelli descritti nella sentenza emessa dal cardinale Lombardo, arcivescovo di Benevento, emanata dalla residenza di Laterano da papa Lucio III nel 1181, in cui si diceva che la Diocesi di Larino, comprendente 42 luoghi, andava fra questi fini: fiume Fortorii in Adriatico mare, mare, Biferni flumine in cui sfocia il rivolo Majo che sale a Torum qui Cippa dicitur, scendendo nel vallone Cinghi che scorre nel Fortore. Ragioni e privilegi di quella chiesa furono confermati in altra bolla di Innocenzo IV, dalla residenza di Anagni, nel 1254, citandosi Fortore, Adriatico, rivo Majo, Toro, Cippa, Vallone e fiume Cingla. V. Memorie Storiche Civili ed Ecclesiastiche, Libro III, cap.3, pag.183-183. Nella bolla del 1181 si elencavano i 42 luoghi a cui abbiamo affiancato i luoghi del 1254 [in parentesi quadra]:
-1. Larino, [1. Larino, 2. Olivola, 3. Monticello, 4. Canale]
-2. Campo marino,
-3. Porto cannonis,
-4. S.Martino in pensili,
-5. Olivola,
-6. Ruffo,
-7. Canalis,
-8. Cellemonticello, [5. Collegrimaldo seu Monticello]
-9. Murrone, [6.Murrone]
-10. S.Johanne de Ruffis, [7. San Johanne de Ruffis]
-11. Ripabrunualdo, [8. Ripabrunualdo]
-12. S.Vito, [9. San Vito]
-13. Ficarola, [10. Ficarola], è la Badia di S.Maria di Ficarola che appartenne nel 1713 a S.Elia e che il cardinale Orsini nel 1729 la indica come feudo diviso dal fiume Cigno, fino all’Oppido Collistorti, S.Giuliano e Bonefri iusdem Diocesi Larinensi.
-14. S.Pietro in Valle, [11. S.Pietro in Valle]
-15. Laureto, [12. Laureto]
-16. S.Helena, [13. S.Helena]
-17. Montecalvo, [14. Monte calvo]
-18. Casale alto, [15. Casale alto]
-19. Millanico, [16.Millanico]
-20. Fara, [17. Farato]
-21. Serra [18.Serra]
-22. S.Leucio, [19.S.Leucio]
-23. Venaquosa, [20.Venaquosa]
-24. Civitate Marina, [21. Civitate Marina]
-25. Vena Majori, [22. Vena majori, 23. Campo marino, 24. Porto cannonis, 25. S.Martino in Pensili], poi con Ururi e S.Agata di Tremiti, Chieuti, Serra Capriola.
-26. Cornito, [26. Corneto]
-27. Ordeario, [27. Ordeario]
-28. Pleuto, [28.Pleuto]
-29. Porticulo, [29.Porticulo]
-30. Lorotello, [30.Lorotelli], è Loritello.
-31. Ilice, [31.Ilice]
-32. Monte lungo, [32.Montelongo] è Montelongo.
-33. Monte Aureo, [33.Monteaureo] è Montorio.
-34. Girone, [34.Girone, 35.Rucola]
-35. Ovellana, [36.Ovellana]
-36. Casacalenda, [37.Casacalenda] è Casacalenda.
-37. Providenti, [38.Providenti] è Providenti, Morrone.
-38. S.Barbato, [39.S.Barbato]
-39. Venafro [40.Venafro]
-40. S.Juliano, [41.Juliano] è S.Giuliano, S.Croce, Colletorto, Bonefro, Ripabottoni che ora si chiama Ripafrancona.
-41. Civitella, [42.Civitella]
-42. Malianello [43.Mallianello].
10. Lucera, via Paduli e del Boccolo, è a 36 miglia.
11. Monte Marano, via Monte Miletto e della [La]Pia, è a 16 miglia.
12. S.Severo, via Paduli, Castel Franco e Castel Nuovo, è a miglia 48.
13. Telese, via Ponte e S.Maria della Strada, è a 14 miglia.
14. Termoli, via del Colle, Riccia, Macchia e Serra Capriola, è a 63 miglia.
15. Trivico, via Passo di Mirabella e Grotta, è a 23 miglia.
16. Volturara, via Baselice, è a 28 miglia.
17. Troia, via Ponte di Bovino, è a 40 miglia (è esente e interviene solo al Concilio)
17 bis. Trivento (soggetto a Troia), via Morcone Campo Pignano, è a 39 miglia.
10. Cit., Memorie Storiche Civili ed Ecclesiastiche, Libro III, cap.3, pag.183-183.
11. Nicola Vivenzio, Delle antiche, cit. Il discorso di Simonetto è ne Trattato del Pontano, Il discorso di Simonetto prima della battaglia, pp. 58-62. Cfr. Summonte G.A., op. cit., Tomo III, p.285.
12.M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
13.M.Lucio Cardami, Diarii (con note di Tommaso Tafuri) in: Tommaso Tafuri, Diarii di L.Luio Cardami colla di oui vita, e note (composte da Tommaso Tafuri). In: Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Gio.Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò. Ristampat ed annotate da Michele Tafuri, Vol.II, dalla stamperia dell’Iride, Napoli 1851. Pagg.540 e segg.
14. S. Degli Arienti, op.cit.
15. Leone, De Nola. Nel XVI capitolo del De Nola, il Leone scrive che la Cattedrale di Nola: “…incepta est a Raymundo Ursino finita ab Urso, atque Episcopio Nolano J.A. Tarentino…”.
16. Pietro Dusinelli-Nicolò de Bottis, Privilegii et Capitoli con altre gratie concesse alla fidelis Città di Napoli, & Regno per lo Serenissimi Rì di Casa de Aragona, Venetia 1588, pag. 5v.
17. ASNA, Monasteri Soppressi, fascio 4233, fascicolo 9, cc.325-28. Estratto della Regia Camera della Sommaria di Napoli del 1693. Nel 1465 avviene la concessione della Baronia del Castello di Serra al Magnifico Viro Antonello Poderico del fu Milite Rinaldo Pulderico di Napoli (a sua volta figlio di Costanzella Grilla di Salerno). Re Ferdinando sottoscrive la successione del Castello e le Terre di Serra coi casali di Salsa e Malecalzati (comprese le loro pertinenze, distretti, vassalli animali e quant’altro) che sono de Provincia Principatus Ultra, come da consegna del luogotenente e Vicario generale Alfonso Duca di Calabria al quale deve prestare giuramento del ligio omaggio, come sottoscriveva Onorato Gaietano Conte di Fondi, all’epoca Logoteta e protonotario del Consiglio Collaterale del Regno di Sicilia il 1 agosto 1465.
18. Erasmo Ricca, vol.1, pag.478
19. ASNA. Nel vol. 83 dei processi antichi della Sommaria, 6, il processo 665 del Regio fisco col magnifico Francisco Puderico super potitiono tituli mercati S.Laurentir. In esso trovasi un diploma di Ferrante I d’Aragona datato 6 settembre 1491, col quale, al fol. 14, leggesi che habentes premaaibus casale et feudum Cannicchi situm. et positum in pertinentiis Terre Cilenti de provintia Principatus Citra.
20. Notar Giacomo, Cronica, in: Paolo Garzilli, Cronica di Napoli di Notar Giacomo, cit., pagg.153 e segg.
21. Camillo Porzio, La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I. In: F.Bertini (a cura di) La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I raccolta da Camillo Porzio, Tipografia di Francesco Bertini, Lucca 1816. Ristampa della ‘operetta’ rinvenuta dall’autore a Lucca, essendone state fatte in precedenza solo due ristampe, la prima nel 1565 in Roma, la seconda nel 1724 in Napoli a cura di Giovanni Andrea Benvenuto. Ma questa del Bertini, a suo dire, si troverà di quelle due antecedenti molto migliore.
22. Camillo Porzio.
23.Francesco Ceva Grimaldi, Memorie storiche della città di Napoli, Stamperia e calcografia, Napoli 1857., pag.266.
24. Archivio virtuale del monastero dei SS. Pietro e Sebastiano ASPS, 117. 1480 Il 29 ottobre 1481, Nicola de Petrutiis, reggente della Magna Curia Vicarii, incarica il capitano di Acerra di costringere Angelillo de Pistasa cittadino di Acerra a restituire, pena quattro once d’oro, entro due giorni una botte di vino sottratta da una casa sita nel casale di San Nicandro di proprietà dei SS. Pietro e Sebastiano.
25. Pergamente di Atella. Diffida del reggente della Magna Curia Vicarii a non violare una terra ed una masseria in Melito (Il monastero femminile domenicano dei SS. Pietro e Sebastiano di Napoli, doc. 526)
26. Guicciardini, cit.; cfr. Riccardo de Becchisin in: Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, Bollettino della, Vol.15, Unione tipografica cooperativa, palazzo Provincia, Perugia 1909. Sulla vendita di Genzano feudo dei Colonna v. Emmanuele Lucidi, Memorie storiche dell’antichissimo municipio ora terra dell’Ariccia, Lazzarini, Roma 1796, pag.315.Riccardo de Becchis parla di Fenezzano Apiceno (Roma, 31 maggio 1496). Paolo Giovio, Scipione Barbuò, Roberto Rusca, Nella Vita di Ascanio Sforza, Meravigli-Libreria milanese, Milano 2001, scrivono che il Cardinale andò a Senezano, luogo dei Colonna, nel 1493. V. Apice nel 1753, Abedizioni 2004. Cfr.. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769. “Nel 1497 Alessandro VI collo stesso titolo di Duca di Benevento, città della chiesa, viene investito, cioè infeudato, Giovanni Borgia Duca di Gandia, il quale mancato pochi giorni dopo per morte violenta non ne prese il possesso”. In questo 1497 Alessandro desideroso d’ingrandire il capitano generale Giovanni Borgia de Aragonia Duca di Gandia, tenne un concistoro secreto nel giorno 7 di giugno, nel quale, eresse Benevento in Ducato, e ne investì Giovanni, e gli diede anche le Contee di Terracina, e di Pontecorvo (che nel 1485 Papa Innocenzo VIII cederà a Giovanni d’Aragona figlio di Re Ferdinando cardinal prete di S.Sabina per tutta la vita, ma il 17 ottobre morì e tornò alla Chiesa insieme al palazzo di S.Lorenzo in Lucina a Pontecorvo e pare anche il Castello di Monticelli) avendo invano il cardinale di Siena, o sia Francesco Todeschini Piccolomini, che nel 1503. per 26 giorni tenne col nome di Pio III la sede di S.Pietro, richiamato nello stesso Concistoro contro questa investitura. Odasi come Giovanni Burcardo nel suo Diario, inserito da Giovanni Giorgio Eccard nel Corpo Istorico della mezza età Tom.2, riferisce il atto all’anno suddetto Feria IV septima junii in secreto consistorio santissimus D.N. erexit Civitatem Beneventana in Ducatum, & de consensu omnium Cardinalium, qui interfuerunt nullo se opponente feudavit illustrissimus Dominum Joannem Borgiam de Aragonia Ducem Gandie, SRE capitaneum Generalem filius suum, & omnes suos ex lumbis ejius descendentes masculos legitimos in perpetuum de dicto Ducatu Beneventano, & Civitate Terracinensi, & Ponte Curvo, ac eorum Comitatibus e Terris, solo reverendissimo domino cardinali Senensi investiturae bujusmodi ne fieret, oppugnante, & ec legitimis rationibus approbante, qui tamen solus resistere, ac factum ipsum impedire non potuit. Interfuerunt autem xxvii cardinales. Ma ciò che non potè impedire lo zelante cardinale di Siena, lo dissipò ben presto colei, che ci vien dietro a gran giornate. Conciosiaché (siegue a dire Burcardo) nel dì 14 dello steso mese di giugno essendo il nuovoDuca, dopo una lauta cena fatta insieme con Cesare cardinale suo fratello alla Vannozza loro madre, andato a cavallo con un solo staffiere non si seppe in qual casa, fu in quella notte ucciso, ed il corpo suo gittato nel Tevere, il quale ritrovato fra pochi giorni accertò ognuno del funestissimo avvenimento. Continuò adunque Carlo Rocca senza alcuna innovazione di cose a governare Benevento, e la sua fortezza a nome della sede apostolica fino al mese di ottobre di questo anno 1497.
27. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769, pagg.433-439: Tal Francesco Bonafede, amico del Borgia, possedette un memoriale anonimo. “Qui ne trascriviamo la storia, sperando che piacerà ai letori di sentirla nel linguaggio suo originale….Intendendo Papa Alexandro la Ciptà de Benevento per le factione mediante le opere de messer Francesco de Aquino cavaliero de Sperondoro, & capo de squatra regio co’ el Federigo Re de’ Napoli, qual voleva così per dominar quella ciptà per indirectum andr in roina, chiamato sua santità messer Nicolò, e dictoli la importantia de’ quella citpà, & in quanta calamità se trovava il destinò ad quel governo, dove intrato addì undici de’ febbraro 1499 trovò ed dicto Francesco come tyranno dominar; Tenea in casa sua el judice de la ciptà, li notarij de le cause civile, & criminale ogni sera referiva ad lui quanto era facto”… Insomma faceva tutto in casa sua a favore del Re che gli passava 3.000 ducati all’anno per lui, soldati e uomini ‘gravi’. “e così messer Francesco le cose de la communità applicava ad se medesimo”, non mancando di far uccidere i cittadini ‘gravi’ che patteggiavano per la Chiesa e che non gli si presentassero al cospetto, sebbene fossero ben quattro le bande pronte ad invadere in Regno, come ben sapeva il Re. Per tali ragioni, all’arrivo di Messer Nicolò comandò che i cosigli pubblici si tenessero nel palazzo del governatore ‘conjonto co la roccha, de la qual’ era anche lui castellano: & che el judice de la Terra stesse in el medesimo palazzo & lli rendesse rasione’. E così d’accordo il Papa fu concesso agli esuli di tornare in città, considerando “la mala vita” di Francesco d’Aquino, dando vita ad una vera riforma per la città. Il messere scrisse allora al Re dicendo che il fine della riforma era quello di togliere l’autorità al sovrano e il Re ordinò ai privati di togliere l’obbedienza al Governatore “per la qual cosa levato el tumulto: & preso le arme el populo meser Francesco ordinò se facesse el consiglio no’ in palazzo, com’ già per sei mesi era facto: ma in sancta Chatherina, ad la roccha lontana: & ad messer Francesco vicina”, dove il governatore era invitato ad andare. ma i cittadini ‘gravi’ lo avvisarono di non presentarsi temendo per la sua vita. ma lui, con quindic fanti, lasciata la rocca al nipote Fortunato, nel caso il popolo avesse voluto amamzzarlo e prendere la rocca e con sei fanti andò al consiglio in S.Caterina con ‘una bachecta in mano’, ma fu ricevuto da tutti che abbassarono lo sguardo e gli andarono incontro, lasciandolom poi parlare mentre Francesco uscì dall’aula avvertendo ‘grandissimo dolor de stomacho’, timoroso che il popolo non facesse a pezzi lui. I cittadini gridavano: – Bonafede Bonafede Chiesa Chiesa!
E così furono richiamati gli esiliati e restituiti i loro beni, restando tuta la città in pace per la soddisfazione di Papa Alessandro, pensando di muovere guerra al signore di Camerino e al Duca di Urbino, richiamando messer Nicolò per breve tempo e mandando un altro castellano a Benevento.
Dice Borgia: – “Questo aumento di popolo straniero in tempo, in cui la città non godeva sicura pac per le minaccie de’ fugiaschi ribelli, fu quasi per porla a pericolo di qualche grave sconcio, se Giulio II, successore di Alessndro dopo il brevissimo Pontificato di Pio III, non accorreva tosto all’urgente bisogna con sue lettere dat.Romae ap.S.Petrum sub annulo Piscatoris die 20 Nov. 1503 ante nostram coronationeem, con le quali caldamente esortò i Beneventani a dare onesto ricovero ai Regnicoli, ed a trattarli con ogni umanità e cortesìa (To.2P.1n.9 Arch.Benev.) Nell’anno seguente venne in Benevento per governatore, e castellano Marco Antonio Regino decano della chiesa di Feltre. Erano tuttavia esuli i violatori della pace, per la qual cosa non potendo il nuovo Governatore sopra di essi esercitare il suo rigore, si rivolse ad inquisire contra di Saullo de Gregorio, Barolomeo de’ mascambruni, Antonio Masone, e di altri patrizj, che ai tempi del Bonafede data avevano cauzione per i fugiaschi. Questa mossa turbò talmente la città per lo rimore di perdere così degni ottimatgi, e di esser quindi data di bel nuovo in preda alle dimestiche discordie, che ella fu costretta a portarne gravissime querele al Pontefice”. Benevento temette di perdere uomini così validi come questi ottimati che si lamentò col Papa, che era stato cardinale e abate commendatario di S.Sofia. Così Papa Giulio fece scrivere dal suo camerlengo Riario al governatore Regino di porre fine all’inquisizione in Benevento il 14 dicembre del 1504.
28. ASAV, Busta vol.78, al f.78, anno 1497.
29. ASAV, Busta vol.78, anno 1499, f.118v.
30. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v., e segg.
31. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anno 1501, il 20 giugno 1501, f.178.
32. Ibidem, 22 luglio 1501.
33. Ibidem, f.179, die 2 agosto 1501.
34. Ibidem, f.182.
35. Ibidem, f.184.
36. Ibidem, f.190.
37. Ibidem, f.206.
38. Ibidem, f.209.
39. Ibidem, f.235.
40. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, p.50 r. e v.
41. Ibidem, frontespizio.
42. Ibidem, frontespizio.
43. Ibidem, frontespizio.
44. ASAV, Protocolli notarili di Ariano Irpino, b.78, Notaio Angelo Tantaro, anni 1501-1507, Al f.294v. Il sonetto e una trascrizione tratta da Petrarca Francesco Petrarca, XXII, AD ITALIAM [III, 24].
45. Ibidem, ultimo foglio.
46. Ibidem, ultimo foglio.
47. ASAV, Busta 78 notai di Ariano, Tartaro Angelo, f.84, anno 1503 (dopo il 10 giugno e prima del 20 luglio)
48. ASAV, Anno 1504, f.139v dopo dicembre e prima del 7 febbraio 1505.
49. Ibidem, f.239.
50. Ibidem, frammento.
51. asav, Notai di Avellino, I Versamento, notaio Gabriele de Soricello di Montefusco, B.5798, anno 1538.
52. ASAV, Notai di Avellino, Notaio Donato Danza di Montefusco, Busta 7708, fascio 230, f.87, anno 1592.
53. Ivi, f.100; f.87.
54. Ivi, B.7708, fascio 230, f.187v.
55. Ivi, f.227.
56. Ivi, B.7708, fascio 230, f.172.
57. Ivi, B.7361, Notaio Donato Leo di Torrioni, f.3.
58. Ivi, B.7366, fasc. anno 1780, inserto al f.69).
59. Dionisio Pascucci, Pietradefusi nel Regno di Napoli, Abedizioni, Avellino 2011.
60. Ivi, Busta 7708, fascio 230, f.47,
61. ASAV, Notai di Avellino, notaio de Vito di Sanseverino, Busta 5845, f.1, f.93 e segg.
62. Ivi, B.7708, fascio 230, f.185v.
63. Ivi, Busta 7708, fascio 230, f.47,
64. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7420, Nuntio Cerulus di Vitulano, vari anni dal 1554 in poi.
65. Ibidem.
66. Busta 7420, Nuntio Cerulus, vari anni dal 1554 in poi. Al f.3v di questo Nunzio Cerulo si cita Filippo Dei di grazia Rex in suo regno anni primi feliciter.
67. Ivi, anno 1578. Del mese di novembre in dì de Santa Catterina l’Illustro Signor Marchese di Pescara come procuratore di detto Rej, pigliò la possessione in Napoli di detto Regno di Sicilia nell’anno 1554.
68. Ibidem. Anno 1578 a seguire.
69. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus, anno delli 1583, alla xi indizione
70. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus. Nel 1585 xiii indizione .
71. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, dall’autografo Marciano Ital. cl. VII codd. CDXIX.CDLXXVII, a cura di R.Fulin-F.Stefani-N-Barozzi-G.Berchet-M.Allegri, La deputazione veneta di storia patria, Vol.I, pubblicato per cura di F.Stefani a spese degli editori, Venezia 1879., v.878 e segg.
72. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit.
73. Pacienza, Lo Balzino…, cit. Libro, Versi 0-300.
74. Ibidem.
75. Ibidem.
76. Geronimo Curita, Historia del Rey Don Hernando el Catholico, Domingo de Portonarijs, Saragozza 1580, pag.130.
77. Marino Sanuto (1496-1533), I Diarii, cit, v.871
78. Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli cosi Italiani, Vol.1.
79. La vita di Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano, scritta per Monsignor Paolo Giovio Vescovo di Nocera, & tradotta per M.Lodovico Domenichi, Lorenzo Torrentino, Fiorenza 1552.
80. Bascetta, Torrioni nel 1742, Abedizioni 2003.
81. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
82. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pagg.422-425.
83. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
84. Ibidem.
85. V. Apice nel 1753, Abedizioni, cit.
86. AA.VV., Apice nel 1753, Abedizioni, cit. Si comincia dal Capitulum primum de ordine faciendo et tenendo ad ordinandum offitiales Apitij. V. AA.VV, 4.Principato Ultra, Apice nel 1753, VIII Catasti Onciari del Regno di Napoli, Arturo Bascetta Edizioni, 2004, pag.138.
87. V. Pietradefusi, Abedizioni 2010.
88. Dionisio Pascucci, Pietradefusi. Il Settecento, l’Onciario, i Notai. Comune di Pietradefusi. ABE, Avellino 2011. Cfr. MASSAFRA A.,Campagne e territorio nel Mezzogiorno fra Settecento e Ottocento, Ed. Dedalo, 1984. Cfr. D.Pascucci, cit. La costruzione della nuova strada risulta dall’Istoria Civile del Regno di Napoli di Pietro Giannone, Tomo VII del 1821, che nel capitolo V, dedicato al Conte di Miranda, alla pag 308 così dice.
89. MASSAFRA A., Il Mezzogiorno preunitario:economia,società e istituzione, Ed. Dedalo, 1988.Cfr. D.Pascucci, cit.
90. D.Pascucci, cit.
91. CARUSO M., Monografia del Comune di Pietradefusi, Biblioteca del Corriere, 2004. Cfr. D.Pascucci, cit.
92. G.Mongelli, Regesto delle pergamene di Montevergine, anno 1139, Reg. n° 253, dicembre, Ind. III – Ruggiero Re anno 10°, Desiderio notaio e Matteo giudice. Il sunto parla di un Costantino f. di Ruggiero che dona al monastero di Montis Virgilii una vigna presso il Castello di Tufo e una casilina dentro lo stesso castello e la metà di un fondo che teneva da Don Runcimaro… e mediatatem temipsius ipsius persone Runcimerii familicque sue e dona inoltre un uomo di nome Urso Maleincapu, abitante nel Casale di Turrisaionis.
93. ASAV, B.7384, fasc.anno 1824, notaio Pompeo Rivello di Tufo, anno 1591. Castro Preturi, 8 dicembre 1591.
94. ASAV, B.7384, fasc.anno 1824, notaio Pompeo Rivello di Tufo, anno 1591.
95. ASAV, Notai di Avellino, I versamento, notaio Giordano Gaita di Monte Fusco, B.3703, al f.114 c’è lo stemma dl Principe Caracciolo in una nota di notaio. Il principe Caracciolo cede al sindaco di Avellino la fiera di S.Modestino. A giugno del 1603 il Principe Marino Caracciolo permetteva al sindaco e agli amministratori di esercitare la giurisdizione sulla fiera del patrono San Modestino.
96. Pietro Giannone, Opere postume, Vol.3, pag.431
97. De Lellis, Discorsi sulle Famiglie Nobili, Napoli 1664
98. Giulio Cesare Capaccio, Il forastiero, Rocagliolo, Napoli 1635, pagg.396-397.
99. Pietro Giannone, Opere postume, Vol.3, pag.431.
100. Cfr. da altri appunti sulle chiese beneventane: S. Maria de Strata (Matrice, diocesi di Limosano), S. Maria de Faifolis (Montagano, ma diocesi di Limosano), S. Maria de Heremitorio (Campolieto, diocesi di Limosano), S. Petrus de Planisio (S. Elia a Pianisi, diocesi di Benevento), S. Laurentius de Apicio, S. Maria de Guilleto (Vinchiaturo, diocesi di Bojano), S. Maria de Rocca prope Montem Rotanum (Monterotaro, lungo il Fortore, diocesi di Benevento), S. Maria de Decorata (tra Riccia e Gildone, diocesi di Benevento), S.Maria de Campobasso (Campobasso, diocesi di Bojano), S. Maria de Ferrara prope Oppidum Sabinianum, S. Maria de Venticano, S. Silvestre in Oppido S. Angeli ad Scalam.
101. Ivi.
102. De Lellis, Discorsi sulle Famiglie Nobili, Napoli 1664
103. Giulio Cesare Capaccio, Il forastiero, Rocagliolo, Napoli 1635, pagg.396-397.
104. Giulio Cesare Capaccio, Il forastiero, Rocagliolo, Napoli 1635, pagg.403.
105. N. Diodato, in Rivista storica del Sannio, Febb. 1999. In Pascucci, Pietradefusi, cit.
106. Enrico Bacco Alemanno, Opera ampliata da Cesare d’Engenio Caracciolo con un nuovo discorso di Gioseffo Mormile. Nuova, e perfettissima descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici provincie, Lazzaro Scoriggio, Napoli 1629.
107. L’aggiunta di Cesare d’Engenio è del 1622, la numerazione dei fuochi e anime è riferita anche al 1614.
108. Sitografia: https://condottieridiventura.it/roberto-boschetti.
109. Sitografia: https://condottieridiventura.it/roberto-boschetti.
110. Ivi.
111. Società Tipografica, Opuscoli religiosi, letterarj e morali, Serie IV, Tomo VIII, Antica Tipografia Soriani, Modena 1880. Archiv. Boschetti, Lettera all’ ill.mo S. Conte Roberto Boschetto viceduca del Ducato di Civita di Penne e Governatore di Benevento ec. Placentiæ vel ubi sit. datata in ex ducali civitate Penne, die ult. Septembris 1526. Servitor et compater Hector Factibonus.
112. P. Balan, Roberto Boschetti e gli avvenimenti italiani dei suoi tempi (1494-1529): memorie e documenti, Dalla Società tipografica, Antica tipografia Soliani, Modena 1877.

 

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Editorial Review

L’arcidiacono Nicastro confermò l’uso di mitra e pastorale alle 12 abbazie antiche recensite: usum Mitrae habent; nempe
[1.] S.Mariae de Strata (Matrice di Limosani),
[2.] S.Mariae de Fasolis (Faifolis di Montagano di Limosano - ma nel dubbio è Foglianise),
[3.] S.Mariae de Eremitorio (Campolieto di Limosani),
[4.] S.Petri de Planisio (S.Elia a Pianisi - Cb),
[5.] S.Laurentii de Apicio (Apice-Bn),
[6.] S.Maria a Guglieto (Vinchiaturo di Boiano),
in presentiarum Collegio beneventano Societatis Jesu unitae,
[6.bis S. Maria de Rocca prope Montem
Rotanum (Monterotaro, lungo il Fortore]
[7.] S.Mariae de Decorata (Riccia-Gildone),
[8.] S.Maria de Campobasso (di Boiano),
[9.] S.Maria de Ferraria prope [Oppidum] Sabinianum,
[10.] S.Mariae de Venticano Bibliothecae Vaticanae unitae, et /
[11.] S.Silvestri in Oppido S.Angeli ad Scalam.
[12.].100
V’erano altre 4 abbazie et S[anta] R[omana] E[cclesia] cardinalibus commendatur, cioè che risultavano commisariate perché sono finite in Commenda:
- S.Sophiae Beneventi,
-S.Joannis in luco Mazzocca,
-S.Maria de Cripta in Oppido Vitulani,
-et S.Fortunati in oppido Paulisiorum.
Erano poi le 3 Commende Equitum (prefettizie):
- S.Joannis Hierosolymitani Beneventi,
- Montisfusci,
- et in Oppido Montisherculis enumerantur.
E ve n’erano altresì 2 esistenti in Benevento:
- Collegiatas Ecclesias S.Bartolomae praecipui Patroni,
- et S.Spiritus.
Furono invece 6 quelle costruite o da costruire in Diocesi:
- nempe S.Joanuis in Balneo praefatae Civitatis Montifusci,
- SS.Annunciationis Altavillae,
- SS.Assumtionis Montiscalvi,
- S.Salvatoris Morconi,
- S.Bartholomei Padulii,
- et SS.Trinitatis in Oppido Vitulani anno 1716 eretta.
Nella nota seguono i dati sui 178 luoghi, compresi quelli con le grancìe ex dipendenze delle abbazie beneventane, così come descritto negli atti dei Concili. Si tratta di Terre, Casali e feudi compresi in due province del Regno:
- Montefusco (in Diocesi di Benevento dipendente dall’Arcidiocesi Metropolitana di Benevento)
- Lucera (Diocesi dipendente dalla Metropolia beneventana).101
In passato, il distretto diocesano del vescovo della Montagna, si chiamava Valle Beneventana. De Lellis ricorda di Guevara di Guevara Signor d’Arpaia che era stato Governatore della Valle Beneventana prima che nascesse la nuova provincia del Principato con confini e capoluogo più volte modificate.102
Con l’ultimo riassetto provinciale la Valle Beneventana e la Montagna ricaddero in diocesi di Benevento, cioè sotto un vicario dell’Arcivescovo e i paesi si ritrovarono con alcuni casali elevati ad Università comunali ed altri ancora in regime feudale coi vassalli schiavi dei loro baroni. Capitò quindi, come nel caso di Torrioni, che una parte dei Casali raggiungessero l’agognata meta della libertà, con l’istituzione amministrativa propria, e un’altra parte dei Casali restasse invece sotto la potestà feudale. Questo a prescindere che si costruissero oratori del Rosario e chiese di San Michele un po’ ovunque, nonchè si ricostruissero chiese badiali come da convezione Vescovo-Viceré del 1599.103
In un volumetto dato alle stampe dal Capaccio nel 1635 si elencano le parti del Regno con Napoli come Metropoli che rende felicissime le sue provincie che sono in numero di 12: Terra di Lavoro, Contado di Molisi, Apruzzo Citra o Sannio, Apruzzo Ultra, Principato citra che sono i Picentini, Principato ultra che sono gli Irpini, Capitanata o Daunia, Terra di Bari o Peucetia, Terra d’Otranto o Iapigia, Basilicata o Lucania, Calabria citra o Brutij, Calabria ultra o Magna Grecia. A suo dire le province sono contigue quasi tante membra rendono unito così bel corpo del Regno e ognuna dipende da un proprio Viceré, un’ex Capitano fatto Governatore, che non può essere paragonato agli ex Viceré di Napoli, paragonabili ad un Duca perché sono secondarij padroni per dipendenza avendo qualche preeminenza nell’esser Maestri di Soldati. I Duchi-Viceré centrali, quelli seduti al posto del Re a Napoli, differivano da questi Viceré provinciali nel titolo ma anche nella milizia: come il fantaccino sta ad un Capitano, se considerate un Viceré come Capitan Generale di Sua Maestà, come nel caso del Duca d’Alva che possedette la cavalleria e più di ventiduemilia pedoni, un terzo di tutta milizia del Regno.104
Pubblicato in Napoli nel 1614, e poi ripubblicato nel 1620, nel 1629 e nel 1671, con il quadro definitivo delle 12 province del Regno e l’aggiornamento sul censimento delle famiglie, c’è un volumetto che fa luce sull’ubicazione provinciale dei paesi. All’epoca a Napoli c’era il Re, ma esistevano anche 7 Vicarie con 7 Udienze rispettivamente rette da Viceré Vicari ed uditori in Principato Ultra (Montefusco), Calabria Ultra e Citra (Cosenza e Catanzaro), Terra d’Otranto (Lecce) e Terre di Bari (Trani), Abruzzi (Chieti) e Capitanata (Lucera), il cui Viceré governava anche il Contado di Molise...
E’ inviato a Roma dal cardinale di Bibbiena Bernardo Dovizi per perorare la causa dei Bentivoglio che desiderano rientrare in Bologna.
Gli viene concessa la cittadinanza di Ancona. Si sposta in Toscana e controlla nel Casentino i movimenti del della Rovere. Al termine del conflitto è scelto dal duca di Urbino Lorenzo dei Medici come viceduca e suo luogotenente nel ducato.
Nell’esercizio della sua carica si comporta in modo esoso; perseguita i simpatizzanti del della Rovere.
Alla morte di Lorenzo dei Medici viene confermato nel suo incarico dal papa. Si porta a Gubbio; a Cagli scopre una congiura ai suoi danni: i complici del complotto sono catturati e strangolati.
Si incontra a Perugia con Gentile Baglioni, dopo che questi è potuto rientrare nella città a seguito dell’ esecuzione in Roma di Giampaolo Baglioni.
Viene nominato dai pontifici conte di palazzo ed è confermato nel feudo di San Cesario sul Panaro.
Nel 1521 su ordine di Leone X confisca ai Fregoso i loro beni nei contadi di Urbino, di Senigallia e nel Montefeltro perché fautori della causa francese. Nello stesso anno delibera di migliorare le difese della cinta muraria di Pesaro.
Alla morte del pontefice è riconfermato nelle sue cariche dal collegio dei cardinali. Non è in grado di opporsi all’avanzata del della Rovere. Gli abitanti di Fano gli conferiscono la loro cittadinanza».109
Nel 1523 rimasto al servizio dei Medici (ora di Alessandro) e nominato viceduca e di governatore di Penne e di Campli, passò al servizio del papa Clemente VII (anch’egli di casa Medici). Convalidati gli incarichi di cui godeva negli Abruzzi, fu inviato nel pavese presso il viceré di Napoli Carlo di Lannoy al fine di persuaderlo a non venire a battaglia campale con i francesi.
Ammalatosi si ritirò a San Cesario sul Panaro, ma ritornò nei ducati di Penne e di Campli per riformarvi gli statuti. Gli furono concesse alcune entrate nel regno di Napoli per 1000 ducati l’anno.
A gennaio del 1526 fu eletto Governatore di Benevento e castellano della relativa rocca per un anno.110
Il 30 settembre 1526, l’uditore papalino dell’ex città ducale di Penne, Ettore Fattibono, scriveva al Governatore di Benevento, informandolo della mancata rivolta dei regnicoli che volevano occupare la città per riportarla nelle mani del Re.
Così la missiva: — Essendo successo quello che in Roma è successo, il nostro M. Celio non è stato senza fastidi, essendogli fatto intendere per lo Giustiziere di Montefoscolo in nome del S.r Colletterale Cons.re di Napoli che volesse dargli Benevento in mano e cedergli il governo atteso lo assedio fatto per il Signor Don Ugo contra la Santità di N. S. e la obbedienza la quale gli aveva levato in Roma, con molte altre pacie (sic) secondo per una di Messer Lelio mi è stato scritto, la quale ho mandata a Roma in mano del R.mo Arcivescovo teatino, acciò la Santità di N. S. sia capace di quanto si tentava in Regno contro S. B.ne e questo fu alli 23 di Settembre.
Di piú mi avvisava come nella città vi era maneggio per alcuni gentiluomini della città in favore degli imperiali contro N. S. e che pensava stare nel maschio della rocca dove aveva vettovaglia per un mese.
Di poi alli 25 del detto mi scrive che essendo venuto il Vicerè della provincia presso Benevento a due miglia con molta gente da piede e da cavallo per fare la impresa di Benevento, ebbe detto Vicerè una staffetta che se ne ritornasse e più non molestasse Benevento attenta la buona concordia la quale trattava fra la Cesarea Maestà e la Santità del Nostro Signore per mezzo del Signor Don Ugo; così se ne ritornò e licenziò tutta la gente; scrivendo tutto questo a M. Lelio e offerendosi al suo governo e pregandola a non volere procedere contro a quelli che si fossero esibiti in favore dello Imperio per il che apertamente si comprende che dentro avevano maneggio. Fu Dio non ha voluto vedere tanto male e al tutto ha posto fine, cosi.111
Nel 1529 il Conte Roberto Boschetto morì a San Cesario sul Panaro e fu pianto dalla moglie Susanna della Mirandola, figlia naturale di Giovan Francesco.
Così l’epitaffio posto sulla sua tomba: - D.O.M.S./ Roberto Buscheto viro ingenio atque animi magni/ tudine singulari qui cum Ferdinando Aragonum regi Leoni/ et Clementi pontificibus maximis carissimus fuisset ac sibi/ ab illis commissa Beneventi Pinnae et Urbini gubernacula/ fide ac virtute summa tenuisset receptus postremo in/ Alphonsi Ferrariae ducis intimam familiaritatem huma/ norum honorum cursu confecto caelestos vitae praemia/ appetiit. Filii pientissimi p. o. m. p. p. / Vixit annos 57, mens. 6, dies 15. Obiit anno a Christo nativitate 1529.112