ATTI DI NOTAI IRPINI: Palazzo Paulillo e il pianoforte di Petruro, Dileo, Zaza, cavalieri di malta a Toccanisi, la gualchiera e la badia di Campanariello

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un libro ricco di documenti inediti

1. gli sforza e i caracciolo: i padroni

2. fuga di Re Renato a pietrastornina

3. AQUINO SOBILLA DA PRATA A BENEVENTO

4. Gonzaga SU ARIANO dopo lautrec

5. I MarchesINI Piatti DI TUFO E di Carife

6. montagna di montefusco e campanaro

7. il Principe di Pietrelcina e i beni di Ischia

8. mezzo Palazzo Paulillo di PetRuro

9. i Duchi di chianche e Toccanisi

10. il Duchino cavaliere di S.Caterina

note documentarie e bibliografiche

1. Borgia, cit, pag.346. E’ menzionato nel tomo 2 del Bollario dell’Insigne ordine dei predicatori, alla pag.578, in una carta del 1420.
2. Ivi. Da: Crivelli, Vita di Sfort & Francesco, cit.
3. Borgia, cit. Da: Lorenzo Buonincontro, T.21, Rer. Ital., annali
4. Bascetta, Torrioni nel 1742, Abedizioni 2003.
5. Ibidem.
6. Borgia, cit. Da: Lorenzo Buonincontro, T.21, Rer. Ital., annali
7. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit. Cfr. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, voll.2-3, Tipografia dei classici italiani, Milano 1805, pag.75 e segg. Di Costanzo dice che il Re non vuole andarsene e le esternaziosi fossero solo un diversivo per allontanare il nemico. Che lui andava in Abruzzo a prendere soldi per pagare le truppe e che sarebbe tornato per far si che Napoli restasse sepre la città a capo di tutto il Regno.
8. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit.
9. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit.
10. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit. Cfr. Angelo di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, voll.2-3, Tipografia dei classici italiani, Milano 1805, pag.75 e segg.
11. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit.
12. 8.Archivio di Milano, Dominio Visconteo, Anno 1440. Il documento porta la data di Beneventi, in Castro, horà predictâ, die ultimo januarii, tertià indictione, 1440. Il castellano aggiunse anche un Postscripta. — Se una cosa più che un’ altra havessemo ad fare, advisatende et commandatence presto, perché farimo zo che le V. S. commandaranno. E poi i due sottoscrissero il documento come Servitores, Buezellus, castellanus, et Russus de Dyano, rector civitatis Beneyenti. L’atto fu inoltre sottoscritto dai Magnificis dominis, dominis nostris reverendis Fuscolino de Actendolis, ex comitibus Gutigniole, et domino Victori de Rangonibus, de Mutina, militi et generali locumtenenti illustris domini comitis Franciscî Sfortie.
13. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit.
14. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit.
15. Archivio di Milano, Dominio Visconteo, anno 1440. Cfr. Documenti diplomatici, op.cit.
16. Anonimo Auctore, Diaria Neapolitana. In: Duca di Montelione, Giornale, cit.
17. Flavio Biondo, in latino Flavius Blondus (Forlì, 1392 – Roma, 4 giugno 1463) scrive nel 1441. Blondi Flavii Forliviensis, Historiarum Ab Inclinatone Romanorum, Quartae Decadis Liber Secundus, ed. B. Nogara, Scritti inediti e rari di Biondo Flavio, Roma 1927, pp. 3-28. Ovvero: BLONDI FLAVII FORLIVIENSIS ‘HISTORIARUM AB INCLINATIONE ROMANORUM’ QUARTAE DECADIS LIBER SECUNDUS INCIPIT.
18. Ivi.
19. Ivi.
20. Ivi.
21. Ivi.
22. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769. Questa sorpresa spaventò la città tutta a segno, che niuno ardì sulle prime di opporsi al Mansella, onde egli libero veggendosi del suo nemico, si rimase per alcun tempo come padrone in Benevento. Il Pontefice, che a ragione temeva di mali maggiori, n’ebbe ricorso al Re Ferdinando, il quale prontamente prestandosi alle premure del Santo padre, fece intendere nel 1493 al Mansella, ed ai suoi seguaci di non mettere piu piede in Benevento.
Non per questo i Capobianco dimenticarono il grave oltraggio sofferto per la violenta morte di Bartolomeo, mentre vegliando sempre alla vendetta, non si rimasero dal farla aspramente in persona di Angelo fratello di Tirello ucciso da Antonio Capobianco nel 1497.
[Ferrante della Marra nei Discorsi delle famiglie imparentate con la casa della Marra narra questi avvenimenti nell’articolo della Famiglia Mansella, dicendo che Bartolomeo e Scipione erano figli di Lorenzo]
Dopo l’allontanamento del Mansella venne alcun poco meno in Benevento lo spirito di fazione, onde il Pontefice Alessandro VI successore d’Innocenzo con sue lettere de’ 20 Luglio 1493 ebbe a rallegrarsi col maestrato de’ Consoli per aver inteso da Giovanni Asega Veneziano suo notajo e Governatore allora della città, di essersi calmate le civili discordie, non senza speranza di dar opera ad una stabile e sicura pace (T.2 n.69 Arch.Benev.).
Composte alla meglio le cose della città, fu l’Asega in questo medesimo anno rilevato nel governo da Francesco de Massimi Romano milite e dottore, speditovi da Alessandro con breve de’ 3 Novembre dat.Viterbii apud S.Franciscum.
Nel giorno 16 dello stesso mese prese egli solenne possesso del governo in pubblico consiglio tenuto nella Chiesa dedicata a Dio in onore della Santissima vergine Annunziata, in presenza del detto Asega, de’ Consoli, e di altri nobili e popolari (R.F.)
Quiete che continuò sotto Francesco de Massimi a febbraio 1495.
23. V. Guicciardini, cit.; cfr. Riccardo de Becchisin in: Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, Bollettino della, Vol.15, Unione tipografica cooperativa, palazzo Provincia, Perugia 1909. Sulla vendita di Genzano feudo dei Colonna v. Emmanuele Lucidi, Memorie storiche dell’antichissimo municipio ora terra dell’Ariccia, Lazzarini, Roma 1796, pag.315.Riccardo de Becchis parla di Fenezzano Apiceno (Roma, 31 maggio 1496). Paolo Giovio, Scipione Barbuò, Roberto Rusca, Nella Vita di Ascanio Sforza, Meravigli-Libreria milanese, Milano 2001, scrivono che il Cardinale andò a Senezano, luogo dei Colonna, nel 1493.
24. V. Apice nel 1753, Abedizioni 2004. Cfr.. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769. “Nel 1497 Alessandro VI collo stesso titolo di Duca di Benevento, città della chiesa, viene investito, cioè infeudato, Giovanni Borgia Duca di Gandia, il quale mancato pochi giorni dopo per morte violenta non ne prese il possesso”. In questo 1497 Alessandro desideroso d’ingrandire il capitano generale Giovanni Borgia de Aragonia Duca di Gandia, tenne un concistoro secreto nel giorno 7 di giugno, nel quale, eresse Benevento in Ducato, e ne investì Giovanni, e gli diede anche le Contee di Terracina, e di Pontecorvo (che nel 1485 papa Innocenzo VIII cederà a Giovanni d’Aragona figlio di Re Ferdinando cardinal prete di S.Sabina per tutta la vita, ma il 17 ottobre morì e tornò alla Chiesa insieme al palazzo di S.Lorenzo in Lucina a Pontecorvo e pare anche il Castello di Monticelli) avendo invano il cardinale di Siena, o sia Francesco Todeschini Piccolomini, che nel 1503. per 26 giorni tenne col nome di Pio III la sede di S.Pietro, richiamato nello stesso Concistoro contro questa investitura. Odasi come Giovanni Burcardo nel suo Diario, inserito da Giovanni Giorgio Eccard nel Corpo Istorico della mezza età Tom.2, riferisce il atto all’anno suddetto Feria IV septima junii in secreto consistorio santissimus D.N. erexit Civitatem Beneventana in Ducatum, & de consensu omnium Cardinalium, qui interfuerunt nullo se opponente feudavit illustrissimus Dominum Joannem Borgiam de Aragonia Ducem Gandie, SRE capitaneum Generalem filius suum, & omnes suos ex lumbis ejius descendentes masculos legitimos in perpetuum de dicto Ducatu Beneventano, & Civitate Terracinensi, & Ponte Curvo, ac eorum Comitatibus e Terris, solo reverendissimo domino cardinali Senensi investiturae bujusmodi ne fieret, oppugnante, & ec legitimis rationibus approbante, qui tamen solus resistere, ac factum ipsum impedire non potuit. Interfuerunt autem xxvii cardinales. Ma ciò che non potè impedire lo zelante cardinale di Siena, lo dissipò ben presto colei, che ci vien dietro a gran giornate. Conciosiaché (siegue a dire Burcardo) nel dì 14 dello steso mese di giugno essendo il nuovoDuca, dopo una lauta cena fatta insieme con Cesare cardinale suo fratello alla Vannozza loro madre, andato a cavallo con un solo staffiere non si seppe in qual casa, fu in quella notte ucciso, ed il corpo suo gittato nel Tevere, il quale ritrovato fra pochi giorni accertò ognuno del funestissimo avvenimento. Continuò adunque Carlo Rocca senza alcuna innovazione di cose a governare Benevento, e la sua fortezza a nome della sede apostolica fino al mese di ottobre di questo anno 1497.
25. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769, pagg.433-439: Tal Francesco Bonafede, amico del Borgia, possedette un memoriale anonimo. “Qui ne trascriviamo la storia, sperando che piacerà ai letori di sentirla nel linguaggio suo originale….Intendendo Papa Alexandro la Ciptà de Benevento per le factione mediante le opere de messer Francesco de Aquino cavaliero de Sperondoro, & capo de squatra regio co’ el Federigo Re de’ Napoli, qual voleva così per dominar quella ciptà per indirectum andr in roina, chiamato sua santità messer Nicolò, e dictoli la importantia de’ quella citpà, & in quanta calamità se trovava il destinò ad quel governo, dove intrato addì undici de’ febbraro 1499 trovò ed dicto Francesco come tyranno dominar; Tenea in casa sua el judice de la ciptà, li notarij de le cause civile, & criminale ogni sera referiva ad lui quanto era facto”… Insomma faceva tutto in casa sua a favore del Re che gli passava 3.000 ducati all’anno per lui, soldati e uomini ‘gravi’. “e così messer Francesco le cose de la communità applicava ad se medesimo”, non mancando di far uccidere i cittadini ‘gravi’ che patteggiavano per la Chiesa e che non gli si presentassero al cospetto, sebbene fossero ben quattro le bande pronte ad invadere in regno, come ben sapeva il Re. Per tali ragioni, all’arrivo di Messer Nicolò comandò che i cosigli pubblici si tenessero nel palazzo del governatore ‘conjonto co la roccha, de la qual’ era anche lui castellano: & che el judice de la Terra stesse in el medesimo palazzo & lli rendesse rasione’. E così d’accordo il papa fu concesso agli esuli di tornare in città, considerando “la mala vita” di Francesco d’Aquino, dando vita ad una vera riforma per la città. Il messere scrisse allora al Re dicendo che il fine della riforma era quello di togliere l’autorità al sovrano e il Re ordinò ai privati di togliere l’obbedienza al Governatore “per la qual cosa levato el tumulto: & preso le arme el populo meser Francesco ordinò se facesse el consiglio no’ in palazzo, com’ già per sei mesi era facto: ma in sancta Chatherina, ad la roccha lontana: & ad messer Francesco vicina”, dove il governatore era invitato ad andare. ma i cittadini ‘gravi’ lo avvisarono di non presentarsi temendo per la sua vita. ma lui, con quindic fanti, lasciata la rocca al nipote Fortunato, nel caso il popolo avesse voluto amamzzarlo e prendere la rocca e con sei fanti andò al consiglio in S.Caterina con ‘una bachecta in mano’, ma fu ricevuto da tutti che abbassarono lo sguardo e gli andarono incontro, lasciandolom poi parlare mentre Francesco uscì dall’aula avvertendo ‘grandissimo dolor de stomacho’, timoroso che il popolo non facesse a pezzi lui.
I cittadini gridavano: – Bonafede Bonafede Chiesa Chiesa!
E così furono richiamati gli esiliati e restituiti i loro beni, restando tuta la città in pace per la soddisfazione di papa Alessandro, pensando di muovere guerra al signore di Camerino e al Duca di Urbino, richiamando messer Nicolò per breve tempo e mandando un altro castellano a Benevento.
26. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769. “Questo aumento di popolo straniero in tempo, in cui la città non godeva sicura pac per le minaccie de’ fugiaschi ribelli, fu quasi per porla a pericolo di qualche grave sconcio, se Giulio II, successore di Alessndro dopo il brevissimo Pontificato di Pio III, non accorreva tosto all’urgente bisogna con sue lettere dat.Romae ap.S.Petrum sub annulo Piscatoris die 20 Nov. 1503 ante nostram coronationeem, con le quali caldamente esortò i Beneventani a dare onesto ricovero ai Regnicoli, ed a trattarli con ogni umanità e cortesìa (To.2P.1n.9 Arch.Benev.) Nell’anno seguente venne in Benevento per governatore, e castellano Marco Antonio Regino decano della chiesa di Feltre. Erano tuttavia esuli i violatori della pace, per la qual cosa non potendo il nuovo Governatore sopra di essi esercitare il suo rigore, si rivolse ad inquisire contra di Saullo de Gregorio, Barolomeo de’ Mascambruni, Antonio Masone, e di altri patrizj, che ai tempi del Bonafede data avevano cauzione per i fugiaschi. Questa mossa turbò talmente la città per lo rimore di perdere così degni ottimatgi, e di esser quindi data di bel nuovo in preda alle dimestiche discordie, che ella fu costretta a portarne gravissime querele al Pontefice”. Benevento temette di perdere uomini così validi come questi ottimati che si lamentò col papa, che era stato cardinale e abate commendatario di S.Sofia. Così papa Giulio fece scrivere dal suo camerlengo Riario al governatore Regino di porre fine all’inquisizione in Benevento il 14 dicembre del 1504.
27. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769, pagg.451-452.
28. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pag.464; Cfr. Codice Vaticano 6420, p.183, dov’è la bolla.
29. Bascetta, Torrioni nel 1742, Abedizioni 2003.
30. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
31. Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontifica città di Benevento dal secolo VIII al Secolo XVIII, Parte III, Volume I, Roma 1769,pagg.422-425.
32. V. AA.VV., Apice: il castello, i feudi, le chiese. N.34, Comune di Apice, Abedizioni, Avellino 2007.
33. Ibidem.
34. V. Apice nel 1753, Abedizioni, cit.
35. V. Apice nel 1753, Abedizioni, cit. Si comincia dal Capitulum primum de ordine faciendo et tenendo ad ordinandum offitiales Apitij.
36. V. AA.VV, 4.Principato Ultra, Apice nel 1753, VIII Catasti Onciari del Regno di Napoli, Arturo Bascetta Edizioni, 2004, pag.138. ASNA, Capitoli dell’Università della Terra di Apice / 1546, Archivio privato di Tocco, Busta n. 32, ff.277-304, ex registro del Conte di Montaperto Leonardo di Tocco, entrato nel possesso del feudo di Apice dal 1639. V. elenco capitoli riportati in lingua originale. Al termine delle 131 norme e relative postille, segue la tabula con i titoli di tutti i capitoli con la seguente chiosa:
Explicunt municipia institutiones mores et capita universitatis terre Apitij que in eorum originali incastigata prius erant et penitus quibusdam fere chartis errata nunc vero ad unguem singulatim descripta articulatim recognita cunctisque medis expurgata; nec minus sedulo castigata per Venerabilem Virum Dopnum Dionisium Santulum apicinum apostolice sedis notarius qui quidem ex comunis consensus edicto prescripta edidit, iustis et prudentibus Viris Dominico Raneo Sindico Martino Morante Nicolao Angelo Parente presente de presente et Cicco Galluzo temporum presentiorum electis summa iustitia et equitate gubernantibus, regnante Sacratissimo et Invictissimo Carolo de Austria quinto Imperatore Romanorum ac semper qugusto anno sue incoronationis Bononie millesimo quingentesimo tricesimo die vero decimaquinta kalendas februarijas, ititem Domino nostro Illustri Carolo de Guevara Comite Apicinorum potentino magno huius Regni ascalco verum et duce gentis armonum, anno à reconciliata divinitate quinte indictionis millesimo quincentesimo quatragesimo sexto pridie idus junij laus Deo honor et gloria in secula seculorum Ame.
Fateor ego notarius Felix Palumbus suprascriptam copiam predictorum capitolorum universitatis Terre Apitij fuisse per me extractam à quondam libro dicte universitatis in carta pergamena coperto cum tabulis et coiro nigro mihi predicto notario exhibito ad finem presentem copiam exemplandi et exibenti restituto et facta collatione concordati meliori revisione semper salva Luc. e die 17 febraurij 1604. Locus signi.
Extracta est presens copia ad alia mihi exhibita per Eccellentissimum Dominum Comitem Montisaperti D.Leonardum Tocco eidemque exibenti restituta cum qua concordat meliori collatione semper salva et in fidem segnavi requisitus. Neapoli die 30 novembris 1665. Notarius Carolus Nicolaus Crotenutus de Neapoli.
51. asav, Notai di Avellino, I Versamento, notaio Gabriele de Soricello di Montefusco, B.5798, anno 1538.
52. ASAV, Notai di Avellino, Notaio Donato Danza di Montefusco, Busta 7708, fascio 230, f.87, anno 1592.
53. Ivi, f.100; f.87.
54. Ivi, B.7708, fascio 230, f.187v.
55. Ivi, f.227.
56. Ivi, B.7708, fascio 230, f.172.
57. Ivi, B.7361, Notaio Donato Leo di Torrioni, f.3.
58. Ivi, B.7366, fasc. anno 1780, inserto al f.69).

Description

GLI ATTI DEI NOTAI LEO E ALTRI

La prima parte del testo mette in relazione i fatti storici nazionali con quelli locali, facendo riferimento agli atti notarili rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Avellino. Essi danno il quadro della povertà in cui era finito l’entroterra provinciale costretto a subire le rivendicazioni di questo e di quel nobile, passato con questo o con quel sovrano. Sullo sfondo c’è sempre lo stato pontificio che perde colpi in quanto i sovrano, ora angioni ora aragonesi, rosicchiano in continuazione paesi alla Valle Beneventana per aggregarli al Principato Ultra, provincia del regno più prossima a Benevento.
Da qui la nascita dei primi ‘studi’ notarili, o meglio l’ufficio notarile, inteso come mansione dei notai che iniziarono a spostarsi da Salerno nelle vicarie di Mercto Sanseverino e Montefusco e poi a stabilirsi nei paesi dopo l’arrivo di Carlo V.
Negli anni a venire li ritroviamo stabilmente presso i comuni dove operavano, trasmettendo di padre in figlio quella che divenne lo studio della professione di queste figure ormai radicati in pianta stabile in paesi strategici.
E’ il caso dei notai napoletani della famiglia Leo che si trasferirono a Torrioni, paese a ridosso del carcere mandamentale di Montefusco, in Principato Ulteriore, futura provincia di Avellino.
Notaio Donato Leo (1717-post 1752). Probabilmente originari da una antica famiglia di notai di Ostuni, ivi presenti dopo il 1583 col capostipite notaio Donato Antonio Leo, il quale redige un atto del 1608 conservato all’Archivio di Brindisi, i Leo compaiono a Torrioni (Av), sempre con un Donato, ma alla fine del secolo.
I Leo sono infatti presenti nella Provincia di Principato Ultra, e per la precisione nell’abitazione di Sotto La Chiesa in Torrioni, con il primo ceppo settecentesco del magnifico notare Donato Leo di 25 anni il quale abita in casa propria di più stanze a Piedicasale con orto contiguo e confina coi beni della Chiesa.
Donato vive con la madre Orsola Iomminelli (1698), vedova del padre, di cui non conosciamo il nome, dai quali nacque, nel 1717, e, divenuto notaio, si unì poi in matrimonio con Agata Cinnamo, generando il notaio Pasquale nel 1751.
Famiglia che ritorna nel Provvisorio. Non sembra vi sia però un legame diretto con i forestieri di ugual cognome che abitano a Chianca e Toccanisi, di estrazione sociale meno evidente. Infatti, nel Catasto Provvisorio, compaiono: Anna abitante in Chianca con un territorio da 1.05 e Giulio abitante in Toccanisi con un incolto da 0.10.
In verità scompare anche il nome dello stesso figlio del notaio, il notaio Pasquale (1751-1847) forse trasferitosi, ricomparendo il figlio solo dopo la sua morte, quando scrive fra i battezzati Maria Concetta.
Donato, nato nel 1717, studiò quindi e divenne notaio.
Nell’Archivio di Stato di Avellino abbiamo rinvenuto un documento scritto in Torrioni, sebbene riguardi la campana dell’antica chiesa di Santa Maria dell’originaria Venticano, allora luogo dell’Università Comunale di Pietra de Fusi, ex feudo verginiano commissariato dalla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli (AGP), redatto da Donato Leo, esercitante la professione in Torrioni nell’anno 1758. Stiamo parlando del quarantunenne notaio, ancora prima che tramandasse la professione al figlio che all’epoca aveva solo 7 anni.
Il Ricca lo ricordava ancora operante nel 1752, quando Domenico Giordano divenne Barone di Toccanisi e del casale di Torrioni ed ebbe l’autorizzazione di rinnovare la platea delle rendite di questi feudi con provvisione della Regia Camera della Sommaria del 18 aprile del 1750 che ne ravvisò l’ufficio del capoluogo Montefusco. “Questo Tribunale destinò all’uopo per esperti un notaio del luogo ed il Governatore di Toccanisi, i quali, formato l’inventario di tutti i beni sia feudali che burgensatici, nel 22 ottobre del 1752 ne fecero dal notaio Donato Leo di Castel Torrione stipulare l’istrumento, che fu altresì sottoscritto da esso Barone Domenico Giordano, dal Sindaco e da molti di Toccanisi”.
Notaio Pasquale Leo (1751-1847). Sappiamo che il notaio Donato Leo, sposata Agata Cinnamo, ebbe per figlio un altro notaio, Pasquale (1751), il quale, stando al Catasto Provvisorio, continuò ad abitare in Torrioni, dove possedeva una casetta palazziata di cinque stanze soprane e cinque sottani, oltre a tre terreni. Dalla prima moglie, Colomba Sciarrillo, ebbe Agata (1797-1848) e Domenico (1782-1854); e in seconde nozze sposò Maria Saveria Dente ed ebbe Rachele (1804-1856) e Lucia (1813-1847).
Domenico Leo (1782-1854). Domenico sposò Maria Antonia Petrillo ed ebbe Giuseppe (1830-1860), Filppo Giacomo (1845-62) e Pasquale Filippo (1836).
Pasquale II Filippo Leo (1836-x). Pasqualefilippo II sposò Vincenza Donnarumma e generò Giuseppe nel 1864.
Gaetano Leo (1836-x). Gaetano Leo, di cui non si conosce paternità, sposò Agata Ciampo ed ebbe Emiddio (1822-1849), Feliciana e Donato II.
Notaio Donato II Leo. Donato II, figlio di Gaetano, sposa Maddalena de Guglielmo, dalla quale avrà Maria Concetta (1856), e in seconde nozze (1862) Maria Carmela Donnarumma, dalla quale avrà Filippo Giacomo (1863), il quale dovrebbe essere morto subito, seguito da Giacomo Filippo (1864).1

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Editorial Review

I DOCUMENTI IRPINI COMINCIANO DA QUI...
La Regina Giovanna II s’impadronì della città di Benevento nel 1414, quando “il giorno 8 di ottobre confermò ai cittadini il privilegio di Ladislao esentandoli da essere chiamati in giudiczio fuori città”. La fece città regia? Forse non fu necessario, anche perché la restituì subito al papa.
Così in un documento: - Magister Bartholomeus de Benevento Decretorum Doctor Auditor Generalis Petri Card. Diaconi S.Mariae in Domnica, ac in Regno Siciliae & Terra citra Farum Apostolicae Sedis Legati.
Sforza degli Attendoli da Cotignola della Romagna era un capitano di ventura al soldo di papi e re, sempre disponibile con i suoi uomini ad annettere territori per chiunque in cambio di una paga fissa. Chiamato a corte fu investito perciò dell’incarico ministeriale di gran Contestabile del Regno utque ingentium benemerito rum suorum praemia fe digna saltem ex parte consequerentur, Beneventi primariae in Samnitibus Urbis accessione eum Regina auctum facit, & Manfredoniae vectigalium tertiam partem in stipendia addit.2
Negli Annali di Lorenzo Buonincontro, si legge che nel 1418, chiarita la posizione con papa Martino V, Sforza tornò da Roma ed ottenne la nomina a governatore ob res in Tuscia, Roma, Benventum e Manfredonia.3
Ottenuta finalmente l’investitura ufficiale del titolo di Regina, Giovanna II, ricambiò il piacere cedendo al nipote del pontefice il Ducato Amalfi, Castellammare e il Principato di Salerno.
L’equilibrio non resse quando le cose si misero male fra la Regina di Napoli e Alfonso d’Aragona, il quale catturò il siniscalco napoletano e si rifiutò di scambiarlo con i prigionieri tenuti nella Rocca beneventana. Avutone diniego Giovanna chiese l’aiuto militare di Ludovico III Duca d’Angiò, mentre la moglie di Sforza, Caterina Alopa, nel 1418, partoriva in Benevento Bartolomeo Sforza, come dice Bonincontri nei Giornali Neapolitani, prima di passare a miglior vita, seguita dal marito.
Così: - Alli 30 de Augusto morì la moglie di Sforza madama Catella Alopa a Benevento, e Sforza se trovava a Viterbo; lassje tre figli.
Sforza moriva da governatore di Benevento lasciando tutti all’obbedienza del figlio Comes Francesco la Comunitatem vestram, ac Civitatem beneventanam, come recita un documento del 4 febbraio, al settimo anno papale di Martino. Francesco si recò piu volte a Benevento dalla madre e dal fratellino anche nel 1424, quando Giacomo, vescovo di Guardia Alfieri, sarebbe stato fatto Rettore. Tornò un governatore, Giovanni da Vico di Viterbo detto Perottino, sicuramente nel 1430.
Alla morte della Regina Giovanna, per sua adozione, subentrò Re Renato d’Angiò alla guida del regno, lasciando la moglie Isabella di Lorena sola sul trono per sette anni prima di abbandonare l’impresa per le forzose pretese dei Catalani d’Aragona che occuparono il regno nel 1440, dopo la spavalda apparizione delle truppe papali guidate dal Vitelleschi l’anno prima. All’epoca il conte Francesco Sforza, gonfaloniere papalino, non era a Benevento, ma aveva lasciato i suoi luogotenenti alla guida della città, evidentemente impegnato nella strategia che lo porterà a diventare Duca di Milano. Col titolo di marchese, cioè marchione titolare di una marca, Francesco Sforza era intanto vicario della Chiesa per l’intera provincia ecclesiastica della Marca di Fermo (1433-1446), in cui presumibilmente ricadde l’amministrazione cittadina di Benevento, da lui affidata a due governatori, fra cui il familiare reverendo Fuscolino Attendolo Sforza da Cotignola.
E’ nella provincia del Regno di Principato Ultra e Capitanata che si andava a delineare una nuova circoscrizione territoriale: da una parte Apice, Bonito, Melito e Ariano che seguivano le vicende beneventane degli Sforza; dall’altra Montaperto, Montemiletto, Torrioni e S.Giorgio aggregate sulla Montagna di Montefusco dai Caracciolo.
E l’obiettivo dei Caracciolo del Tocco era quello di unificare il territorio con feudi familiari da Avellino a Benevento, grazie anche alla munificenza che dimostrata nel 1435 dalla Regina Isabella d’Angiò, dalla quale Pippo Caracciolo ebbe in dono, per la ribellione di Ambrosina Melanotte di Benevento, il Casale di San Giorgio, la terza parte del feudo di Monterone (da qui si spiega la divisione del grande feudo e la nascita di due luoghi diversi chiamati Monterone) e il Bosco del Pino, siti nelle pertinenze di Montefusco sul confine beneventano.4
Ma la Regia Corte dividerà di fatto i feudi della Montagna affidandone una parte ai del Turco di Montefusco e una parte ai Caracciolo del Tocco, dal Casale di San Giorgio a Torrioni e Montaperto. Alla morte di Berardo Caracciolo, quindi, Antonella lasciò tutto nelle mani dei fratelli, mentre a Camillo Caracciolo appartenne la fascia fino a Benevento.5
La parte dei Caracciolo del Tocco diverrà poi dei Tocco di Montemiletto, assorbendo un immenso territorio.
Prima di allora bisognerà però mantenere i confini con gli Sforza, governatori di Benevento e veri padroni di tutti i feudi della Provincia di Principato Ultra e Capitanata lungo l’Appia Antica, da Paduli ad Ariano, da Troia a Lucera, perfino di Manfredonia, conquistati in nome della Regina angioina ma tenuti in forma privata. E’ vero anche che gli Aragonesi diedero filo da torcere a tutti, tanto che il 18 agosto del 1437 spuntò la Lega creata dal duca di Bari Giacomo Caldora presso il Ponte Valentino per cercare di fronteggiarli.
Tantomeno trovò pace il papa, due anni dopo, quando nel 1439 inviò le sue truppe al comando del legato papale, il cardinale Giovanni Vitellesco da Corneto, per ristabilire l’ordine in alcuni stati, pochi mesi prima della inattesa fuga di Re Renato d’Angiò e dell’occupazione del Regno da parte di Re Alfonso d’Aragona.6
Nel 1440, infatti, Re Renato fuggì da Napoli e, attraversando il Partenio, fu a Benevento prima di prendere l’Appia a Paduli in quanto diretto a Lucera e poi all’Aquila.
I documenti irpini cominciano da qui...