ATTI DI NOTAI BENEVENTANI. Mulino Palata, Testamento di Ceppaloni, Granai su Montefusco, Chiese degli Scolopi e abati nei rogiti di Leo, Giordano e altri

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Categoria:

1. si rifondano i casali beneventani

2. Le chiese costruite dagli Scolopi

3. i rettori della valle scelti dal papa

4. Processioni e cortei in valle sabato

5. donne, mulino Palata, notaio Giordano

6. militari, granai, testamenti a ceppaloni

7. L’ultimo marchesino dei Capobianco

Description

PRESENTAZIONE

Come in una sequenza filmica si snodano i diversi atti notarili con le loro singolari figure, come nei patti nuziali, nei testamenti. Singolari documenti segnalano dunque modi di essere, costumi, usanze, tradizioni di specifici luoghi.
I panni colorati lavorati sono pregio, distinzione. Significativi a tal proposito sono in testamenti, come le ultime volontà dettate dall’uomo “seduto sulla sedia di paglia”. Dettagli questi non da trascurare. L’occhio notarile è anche attento così al contesto, al vissuto. I testamenti rivelano l’atteggiamento dell’essere umano di fronte alla morte, insieme ai culti del territorio. Nel testamento di Orazio Principe della Terra di Apice leggiamo: Raccomando l’anima mia alla ss.Trinità essendo quella fiato della Maestà… Chiamando pure ad assistermi s.Liborio, s.Matteo, s.Antonio, s.Pascale, s.Filippo Neri, miei principali avvocati, s.Vito, s.Modestino, s.Domenico, s.Andrea di Avellino”. Inoltre ordina che si celebrino “per l’anima di esso testatore due messe l’anno: una il giorno di s.Maria dell’angeli a s.Francesco… e che il suo corpo sia sepolto nella collegiale chiesa senza pompe funebri, atteso esso testatore essendo stata la più vile creatura, fosse stata nel mondo, non merita cortesia niuna, ma come mandria vile di pecorella infetta di tutti i vizi, qual confessa esservi stato commesso”. Significativo anche il testamento del 1757 dell’analfabeta Vito di Torrioni che dona “le robbe” e dichiara che esse “sono miei propri sudorii”. Questi chiede di consegnare dei ducati all’oratorio del ss.Rosario e nel medesimo luogo essere seppellito.
Scorrendo gli atti notarili, di notevole importanza, si rivelano i patti iniziali per la cultura materiale e per l’immaginario che essa suscita.
Nel 1706 il notaio Onofrio Pappone della Terra di Apice, nel registrare il matrimonio della Magnifica Teodosia Sirena, riporta tutte “le cose” consegnate come le “lenzola di seta di Bari”, i “salvietti di Fiandra”, la “veste di scottino a colore del Carminio”.
I capitoli matrimoniali così dei notai del Principato ci restituiscono una società i costumi, i modi di essere, le singolari tradizioni locali, insieme alla dote e al “notamento dei panni”. Certamente una funzione significativa, che segnala la differenza e il valore dell’oggetto, viene affidata alla varietà cromatica e alla sapiente lavorazione del manufatto. Nell’elenco delle “robbe” c’è un “vestito con struscio giallo nuovo, altro vestito sottanetto di damasco rosso di color amaranto nuovo, un busto di pioppo ricamato novigno”. Ancora in dote compaiono “camicie accannatora di tela e pizzilli, la gonnella di saia imperiale con maniche anche di saja, guarnite solamente le maniche, e il busto di trene d’argento”.
A tal proposito, significativo ed efficace è lo studio comparativo dell’autore fra i costumi dei singoli paesi come il confrontare l’usanza di Apice, nella Valle del Calore, con quella di Mercogliano e Altavilla, nella Valle di Avellino, e di altri centri del Principato. Inoltre, in un’altra documentazione di fine Settecento, possiamo leggere note di gioielli, di medaglie, di orecchini, di anelli, insieme a “una piuma di diamanti brillanti”, una scatola “e un astuchio d’oro”, una “bottoniera grande d’oro granita”. Ma un atto notarile particolare è quello redatto dal notaio napoletano Pasquale Leo fu Donato di Torrioni del 1821 che riguarda la signora donna Vincenza Bonito, figlia del fu don Domenico di S.Giorgio (del Sannio) domiciliata nel monastero salesiano, che “prima della nominazione deve avere la dote, la quale, secondo lo statuto di questo pio luogo è di ducati 800”. Da quanto scritto si evince che chi non possedeva le doti, pur possendendo la dote umana, non poteva accedere alla professione dei voti religiosi.
A questo punto occorre precisare che lo studio dell’autore è abbastanza ampio e passa alla descrizione degli edifici sacri e, in modo particolare, di Apice, dove c’è la chiesa di s.Bartolomeo, “coverta di embrici”, intonacata, imbiancata, con il cimitero benedetto nel 1690 dal cardinale Orsini. E dietro “suddetta chiesa vi resta un orticello con albero di celzo rosso”. Sempre nella medesima Terra si registra il beneficio di s.Marco Evangelista eretto nella chiesa del palazzo ducale. Altro edificio sacro importante dello stesso centro è la badia di s.Lorenzo di patronato del collegio di s.Bartolomeo di Benevento, unita successivamente all’Annunziata di Pietradefusi.
Inoltre, l’autore, non trascura l’archeologia pre industriale e pertanto segnala il molino sul fiume Sabato del Duca di Monestarace, frutto di una convenzione “con li capomastri fabbricatori”, impegnati nel costruire la “parata” e nel collocare le macine. A tal proposito, l’ingegnere, deve tener conto “del masso sotto l’acque”, delle “pareti da battitura”. Previsti anche “forti urti delle acque”, tutti così all’opera per dar vita a questo edificio che vede impegnati mastri scalpellini, capimastri e per fare ciò, sono messe in opera “tre-quattro calcare di calgie”. Altra documentazione della cultura materiale è quella relativa all’esistenza di una cartiera insieme al monte del cardinale Perrelli.
Ma su tutto spicca Eliseo Danza di Montefusco (1584-1660) giureconsulto, scrittore, avvocato dei poveri, sindaco del suo paese natio, membro di accademie, come quella degli Offuscati di Montefusco. Questi scrisse varie opere che rispecchiano i costumi e la società del tempo. Giustamente l’autore auspica la traduzione e la diffusione di queste opere giuridiche di una personalità straordinaria del periodo, come era quella di Bartolomeo Chioccarelli di Montefalcione, storico e giurista insigne.

Fausto Baldassarre
Filosofo storico

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Editorial Review

COSA' GLI ATTI TRASCRITTI DIRETTAMENTE DA ROGITI INEDITI

L’ex provincia delle Terre Beneventane, assorbita dalla provincia di Principato Ultra con sede a Montefusco dal 1541, assisterà gradualmente alla nascita dei mestieri nei comodi rioni parrocchiali nati intorno alle quattro nuove chiese di Apice, dopo lo sfaldamento dell’antica Abbazia locale e i danni provocati dai terribili terremoti.
Da una parte v’è la presenza di Montevergine con il patrimonio fondiario fra i feudi di Albino e Marcopio, dall’altra la Chiesa Beneventana che ha ricostruito il patrimonio fondiario intorno alla Chiesa Rettorale, sia quelle di San Nicolò che quelle della Chiesa sotto il titolo di San Bartolomeo, che diventano un sol corpo, amministrate dalla Chiesa Madre Collegiata, retta da un arciprete, che, a sua volta, continua a possedere principalmente l’ex feudo di Calvano, le cui terre sono concesse in enfiteusi a 29 anni. Il 23 maggio 1746 il Reverendo Epifanio Bartoli, Arciprete della Collegiata di Apice sotto il titolo di Santa Maria Assunta, ricordava a Nicola Merola come la mensa Arcipretale aveva dato un territorio in quel di Calvano ad Agostino Merola per 29 anni.1
La suddivisione fondiaria fu quindi un fatto che in origine riguardò tre chiese e, in seguito solo due, ma nella sostanza la sola mensa arcipretale che divenne amministratice di tutto, su ordine dell’arcivescovo di Benevento, vedendosi riassegnato anche il titolo badiale di S.Maria.
Una lettera del 28 agosto 1751, conservata fra gli atti notarili del notaio Pappone, è indirizzata al Signor Vicario Foraneo “perchè riferisca sui beni, che debbono sottoporsi il censo, siano franchi, e liberi, capienti in forte, e frutto, alias de proprio e a copis dovuto in Benevento dalli Arciepiscopo”. La missiva era indirizzata al priore del Collegio di Apice come intendimento al fine di restituire, come “restituisce un capitale di Ducati Novanta dati a censo fin dal 17 agosto al Signore Quintino Barone, quale ora si sono accollati da Don Rambelli, come compratore di una carrera di detto Barone, e, per non tenerlo ozioso, desidera il Collegio darlo a detto Barone alla ragione del 10%, che si intende ippotecare un territorio nel luogo detto Lo Pigno di cui sia franco, presso la via Pubblica, i beni Giovanni Cuciniello e i beni Don Nicola Serena; e un territorio a Rastrelleto che confine con beni della Badia di detta Terra.2
Stando ad un precedente inventario del 1743 risulta insomma una sola Chiesa Rettorale sotto il titolo di San Nicolò, e la Chiesa sotto il titolo di San Bartolomeo annessa, et unica...

In quello successivo si parla dell'abbazia di San Silvestro di Sant'Angelo a Scala unita a quella di San Marco...