CENTINAIA DI BENI DELLA CHIESA
Andiamo alla riscoperta di qualche notizia sulle chiese estratta dal libro. Del monastero di S.Michelangelo sappiamo poco. Nel Catasto si dice solo che il possidente che vive del suo pre. de’ poveri, il Dottor Don Giuseppe Marchesano, aveva una casa propria avanti il Monastero di S.Michelangelo e possiede casa avanti il Parlatorio di San Giorgio e territori a La Calcedonia e La Valle. Uno dei pochi a mandare a scuola il figlio studente clerico Nicola di 15 anni (once 222).
—Monache titolari della Parrocchiale di S.Michele di Serino
Il Convento di S.Michele aveva il patronato sulla Chiesa parrocchiale di San Michele di Serino risalente al 1275, secondo cui, per eredità dei feudatari da Serpico, la Badessa pro tempore possedeva il titolo di Baronessa in quanto proprietaria feudale del Casale, con regolari diritti, dall’obbedienza dei vassalli alla nomina del parroco locale, della ricezione dell’obbedienza dagli abitanti del feudo. Con la riforma papale del 1589 le monache del San Michele, come quelle benedettine di Santa Sofia, furono unite a quelle del monastero di San Giorgio, lasciando la sede ad altre benedettine del Santa Maria Monialium e, 1619, arriva l’invito del papa al vescovo per farvi nascere una nuova comunità monastica dell’ordine francescano di Santa Chiara alle quali era consentito di assistere alle celebrazioni guardando dal fondo della chiesa attraverso una grata. La tela della Pentecoste di Michele Ricciardi (1672-1753) era stata già affrescata nel 1748.
In genere il toponimo di Ristretto cittadino, cioè Distretto, viene associato ad una parrocchia ecclesiastica dando vita al ristretto parrocchiale.
Nel caso del Vicolo dei Cicari, però, non abbiamo riscontro di una parrocchia, ma viene ben definito come distretto, nel senso di circoscrizione e non, almeno pare, di restringimento e quindi di vicolo, sebbene quello dei Cicari fosse proprio l’area sud della Piazza del Campo, aquisita, nel 1744, da Matteo Genovese, Barone di Montecorvino, che vi fece nascere Palazzo Genovese. Questo nobile Barone di 58 anni, citato nel Catasto anche per il possesso dell’oliveto al Castello, si dice proprietario sia della Palazziata a Il Campo che di una casa proprio al Vicolo Li Cicari.
In ogni caso nel Distretto dei Cicari abitava il custode di grano Andrea Rosa coi figli Pascale, custode di grano, e Francesco, lavorante orefice, col nipote Matteo Lamberti, garzone di orefice. Luogo dove risiedeva anche il possidente Notar Francesco Picillo con casa propria il quale possedeva altresì un comprensorio di case, botteghe e speziaria medicinale e territori con case e cellaro a Il Ponte della Fratta e una massaria con case e cellaro e bosco a Pastorano e S.Andrea (da 302 once).
In quello che viene definito come Ritretto di S.Andrea de Lavina vive del suo Don Saverio Amato che abita in casa propria coi fratelli Sacerdoti Don Bartolomeo e Don Felice.
E’ questo il quartiere della Chiesa parrocchiale di Sant’Andrea de Lavina (quella che da quattro cappellani curati delle quattro cappelle in essa presenti passò, nel 1625, a solo due cappellanie), la cui antichità è però rappresentata solo dal Campanile a quattro ordini che, col tamburo cilindrico coperto dalla calotta, ci riporta ai primi secoli dopo il Mille. Ad essa fu aggregata la precendete parrocchia di S.Maria de Lama detta di Sopra, perchè a sua volta inglobò una precedente Chiesa di S.Andrea de Lama.
Davanti alla chiesetta c’è il Largo di S.Andrea, dove Vive del suo, invece, il Dottore Don Francesco Perito in casa propria a Santa Trofimena e possiede casa a Il Largo di S.Andrea.
Questa chiesa di S.Maria della Lama era detta di Sopra perchè fu costruita integrando una probabile S.Andrea de Lama, rappresentata da una Cappella inferiore detta di S.Stefano, ma restò nelle mani di due cappellani diversi già nel 1309. Una consuetudine proseguita nel 1581, quando si conferma che un cappellano attendeva alle funzioni parrocchiali nella chiesa superiore e l’altro a quelle della chiesa inferiore che, sconsacrata nel 1625, si vide aggregare il titolo di S.Stefano all’altare maggiore di S.Maria della Lama.
Da proprietà privata della famiglia de Iudice dal 1500 passò quindi al patronato dei Capograsso, come attestato nello Stato delle anime del 1692 del parroco canonico D.Gennaro Basile che fece abbattere il vecchio l’altare.
Dopo la chiusura del 1725 era stata riaperta al culto nel 1730.
L’antichità della Cappella di S.Stefano è testimoniata da dipinti a muro raffiguranti S.Andrea, San Bartolomeo e un altro santo. Questi ultimi due recano rispettivamente il nome di un Ursus di un Johannes C.
Va quindi detto che nel quartiere vi era una S.Maria, ma prima ancora vi era stata una Cappella di S.Stefano con S.Bartolomeo e S.Andrea, forse vero titolare della Chiesa di S.Andrea sempre citata in questo fondo detto “in Lama” a cui forse si riferisce il documento del 1084, scritto nel suo cortile, e quello dell’ottobre 1091 del Conte di Giffoni Guaimario, il quale donò alla Badia di Cava la sua porzione di patronato (appartenuta ai genitori) su alcune luoghi pii, fra cui quella su S.Andrea de Lama.
C’è da aggiungere che suo cugino Gregorio, figlio del Conte di Capaccio Pandolfo, nel maggio 1092, donò la sua porzione del patronato a San Nicola de Casa Vetere di Capaccio, che addiverrà alle dipendenze della stessa Badia di Cava, che non andrebbe confusa con la dipendenza dell’episcopio di Paestum, chiamata S.Andrea in Orto Magno fra il 970 e il 1317.
In ogni caso, prima di essere aggregata a S.Andrea de Lavina (1854), S.Maria della Lama è attestata come luogo nel Catasto, ove abitavano il calzolajo Aniello di Filippo e il merciarolo Matteo Ragone che vi aveva eretto una bella casa Palazziata ed era possessore di un altro comprensorio di case sito nel Ristretto di Sant’Andrea de Lavina e altre case a San Benedetto (413 once).14
Prima di essere trasformato in Real Liceo, così la Piazza in Largo Real Liceo (1814), il convento di Santa Maria Maddalena (Convitto) ospitò le donne monache.
Di 6196 once era la dichiarazione dell’altro ricco Monastero delle Donne Monache di S.Maria Maddalena, non tanto per la casa sita nel Distretto di S.Maria alias di S.Andrea à Lavina, quanto per i due comprensori di case: uno a Casa Rosa, l’altro al Conservatorio Vecchio. Oltre a ciò, altri frutti, erano quelli provenienti dai prestiti e dai territori a Il Magazzino, la Maddalena, la Piana e l’Acquasanta.
La loro chiesa appare appunto la Chiesa parrocchiale detta di S.Maria delle Donne in quanto sappiamo che il possidente che vive del suo il Magnifico Giuseppe Murano di 18 anni abita in casa propria nella Parrocchiale di Santa Maria delle Donne e possiede massaria con casa vicino al Ponte di Cagnano. Vive con il padre Sacerdote Don Matteo di 43 anni producendo un reddito da 260 once.
Ma anche il Negoziante Domenico Marchese di 74 anni abita in casa propria dirimpetto alla Parrocchiale di Santa Maria delle Donne e possiede territorio, oltre un comprensorio di case alla Strada di Portanova da 302 once.
Di fronte S.Maria Maddalena era l’antica chiesa di San Grammazio che, diruta col tempo, si vide assorbire i beni dal vicino convento che ne possedeva l’Incarto. A demolirla sarebbero stati i Gesuiti, nel 1640, incamerando anche un comprensorio di case che ad essi resterà.
Il possidente che vive del suo, il Magnifico Domenico Antonio Benno, abita in casa propria a Santa Maria delle Donne, ma possiede comprensorio con cellaro e botteghe e comprensorio per Incarto della Parrocchia di San Gramazio ed altri beni da 420 once. Secondo gli atti notarili, quindi, le case erano appartenute alla Parrocchia di S.Gramazio nella cui circoscrizione abitava anche il pintore Nicola Giardullo (57 once).15
Trasferite le monache da S.Sofia in San Giorgio dopo il decreto di papa Sisto V (1589), i Gesuiti, furono autorizzati dal Re ad aprire una loro Casa in Salerno e, il 22 febbraio 1590, presero possesso dell’ex monastero benedettino sofiano intitolato al S.Salvatore (citato nel 1251 se era dedicata a Sancti Salvatoris de Coriariis (coirari=conciatori) oppure nel 1309, se trattasi di San Salvatore de plano montis, o anche solo de Monte).
Intendendo costruire un grande complesso in Piazza, i Gesuiti, hanno due necessità: acquisire altro territorio e demolire i frontali ruderi di S.Gramazio.
Fu così che nel giardino di un complesso di case vendutogli da Donna Zenobia Santomango e dal figlio Don Matteo Rascica il 20 agosto 1596, i Gesuiti, poco prima del 1640, edificarono la Chiesa del Gesù (giunta a noi col nome di Addolorata dopo l’aggregazione del 1868 a tale Confraternita).
Per la demolizione di San Gramazio, servirà un decreto dell’arcivescovo Carafa che giungerà solo nel 1670, il cui incartamento andò a finire in S.Maria delle Donne.
Non passeranno che cent’anni e (1767) la soppressione toccò loro con la sostituzione del Carmelitani che giungeranno dalla paludosa contrada del Carmine in S.Lorenzo a questo ex complesso di Gesù che fu detto Carmine Nuovo (1778), aggiungendo al titolo di S.Salvatore, quello della Maria SS. del Carmelo, fino alla abolizione del Francesi nel 1806, indi di Addolorata (1868). Prima di allora, cioè prima dello spostamento dei Carmelitani, all’epoca del Catasto, essi restano al Carmine vecchio e, in S.Salvatore, ci sono ancora i Gesuiti che si godono il crollo di San Gramazio e il nuovo complesso del SS. che ha inglobato S.Sofia.
Vediamo i luoghi delle case circostanti i Gesuiti descritti nel Catasto. Avanti la Chiesa del Collegio dei Padri Gesuiti avevano preso casa il bottegaro Antonio Russo, e l’officiale della Contadoria Don Nicola Maria di Marco abitava proprio Sopra il Collegio de’ PP.Gesuiti, oltre a possedere un orto fuori le porte detto Le Ciccole (once 119). Anche il ricco possidente che vive del suo il Dottore Don Matteo Francesco Gaeta abita in casa propria, ma Sotto la Chiesa dei Gesuiti (possiede un comprensorio con stalla sotto, un cellaro a Casa Cecere e una masseria nella Piana detta Siglia), con il fratello Dottor Don Domenicantonio (once 1.642).
Si contendevano il primato per le ricche proprietà, i Padri Gesuiti di Salerno, perchè in primis esiggono dalla Città di Salerno 1.666.20 once in perpetuum. Una rendita perenne la cui origine andrebbe approfondita. Ma erano fin troppo benestanti per il possesso dei comprensori di case a San Gramazio con magazzini, a la Galera alla Strada de’ Mercadandi, a Casa Cecere e di una casa al Ristretto della Parrocchia di San Giovanni. Possedevano inoltre tre magazzini alla Dogana del Grano, 400 pecore, 11 vacche e 8 giumente dichiarando in tutto 2.572.
§ — Strada della SS.Annunziata e Largo S.Antonio Abate
Anche l’Annunziata era diventato un luogo, raggruppando le case nate intorno ad esse, con tanto di Strada della Santissima Annunciata che ivi conduceva.
La confraternita dell’Oratorio di Giesù era stata elevata nella Cappella costruita dentro la Chiesa di S.Antonio Abbate che, per il possesso di un magazzino alla Regia Dogana, dichiarava 145 once.
Quello della piccola Chiesa di S.Antonio era un luogo indicativo proprio per via dello spazio antistante detto Largo di S.Antonio Abate.
I monaci benedettini di San Benedetto, nel 1301, avevano avuto in dono dal papa il suolo edificatorio su cui fecero nascere il castello di Terracena detto Castelnuovo (museo provinciale) dove nel 1412 era stato rogato l’atto di donazione di Margherita di Durazzo a favore della Cappella di S.Giovanni (nel Duomo). Seguì la commenda dell’abate Giovanni d’Aragona, fra l’altro amministratore apostolico di tutta la Diocesi di Salerno, finchè, nel 1581 San Benedetto passò dalla congregazione benedettina dei Cassinesi e poi degli Olivetani. Ed è nelle mani degli Olivetani quando nel Catasto risulta essere il ricco Monastero di San Benedetto de’ Padri Olivetani, che per i soli crediti perpetui dichiaravano un reddito da 1.916 once……
E’ il custode de’ grani Matteo Rapoano che abita in casa propria al Largo delle Chianche e tiene a incarto dalla Chiesa di Santa Maria 4 Mani della Cava la massaria di Santa Apollinare e due bovi (130 once), mentre il capitano di campagna Don Orlando Ferrara abita in casa propria a Le Chianche e possiede casa alla Strada di Portanova (215 once).
Altre piazzette, detti larghi, erano: Largo della Piantanova col suo vicolo del Monastero delle Monache della Pietà, un largo frontale alla Porta, e Largo di S.Agostino.16
Essendo ristretto a poco più di 300 famiglie il centro storico, racchiuso fra le mure, non contava che una manciata di strade principali.
Spicca fra tutte la Strada della Dogana Regia dove abitavano il possidente Pasquale Tisi (223 once), il magnifico notaio Simone Antonio Fenza, il ricco Don Giovanni Battista Bottiglieri con suo Palazzo (976 once), il merciaiolo Matteo Greco (64 once) e il guardiano della stessa Dogana, Nicola Granato, non lontano, si presume, dallo scrivano della Gabella del Pesce Nicola Matteo de Santis. Dalla Dogana si giungeva alle Botteghelle, dove svettavano il Palazzo del possiedente Matteo Pastore (741 once), titolare di 8 opere di riso nella Piana, e quello del Signor Marchese Don Antonio Cavaselice con i suoi 4 cavalli per la carrozza. Questi, fra stalla e botteghe, in realtà doveva buona parte del suo sostentamento al bestiame, in quanto possedeva 300 pecore e 12 giumente, e al molino nel Casale di Giovi, nonchè alla massaria di Forni dove non mancava di recarsi con la moglie, la Marchesa Donna Teresa Lembo……
Fra Dogana e Botteghelle non è lontana la Strada dei Mercadanti, dove ci si imbatteva principalmente con il caseggiato del negoziante Crescenzo Russo (496 once) e l’abitazione degli orefici, il magnifico Francesco Luciano e figlio, che però tenevano bottega alla Strada dei Canali (270 once). Qui aveva sede forse una prigione, detta la Galera alla Strada de’ Mercadandi.
Siamo esattamente nel corpo di Salerno, cioè dentro la città, come si indicava in genere il centro storico quando non ci si riferiva ad un luogo, una strada, una Casa o una Parrocchia vicinissimi alla casa dove si abitava, sebbene dovrebbe riferirsi al circondario di S.Antonio, in quanto sappiamo che il falegname Castellano avesse casa propria Dentro Salerno Sotto la Chiesa di S.Antonio. Dentro la città viveva per esempio il dottor Francesco Alfano (228 once), mentre a Li Pasino abitava l’architettore Don Giovanni Battista Notargiacomo (212 once), con territorio a Fajenzera (evidente luogo dove si realizzavano maioliche), fra i cui fratelli possono riconoscersi Don Pietro Antonio, officiale della Regia Dogana, il sacerdote Don Ferdinando e l’abate Don Alessandro.
Non arrivavano a 2.000 once (1.918) i monaci del Monastero di San Francesco di Paola per il comprensorio ad uso di Locanda fuori la Porta della Catena, la casa a Porta di Ronca e la casa alle Fornelle.
Il Convento de’ Padri Celestini, per diversi crediti perpetui, dichiarava 788 once, mentre il Monastero de’ Padri Conventuali di San Francesco d’Assisi, solo per le numerose esigenze di crediti, giungeva a 893 once.
Un altro conservatorio era quello di Montevergine che possedeva la casa dove abitava il servidore Andrea Matteo Rispolo. I Verginiani vi misero le mani intorno al 1646, ma nel 1653 fu soppresso da Innocenzo X. Da qui la denominazione laicale del conservatorio che, dal 1716 ospitò vergini e donne bisognose, finchè, nel 1900, non fu delle monache dette Figlie di Sant’Anna, trasformandosi in orfanotrofio.
Degli arredi della fatiscente chiesa resta poco, fra cui la statua lignea della Vergine col Bambino di fine 1500 e la tela della Madonna in trono che raffigura l’originaria icona di Montevergine…..
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