CON NOTIZIE ACCERTATE E COMPARATE SUI FATTI DI ARIANO IRPINO
Il 22 maggio 1859 Re Ferdinando II di Borbone passava a miglior vita, forse avvelenato dal Vescovo di Ariano Michele Caputo durante il suo ultimo viaggio. Quello stesso giorno restò a bocca asciutta l’ammiraglio Principe Luigi, fratello del defunto, il quale aspirava al trono sostenuto da Maria Teresa, seconda moglie del morto e matrigna di Franceschiello. Seguendo le volontà del dipartito, il Presidente del Consiglio dei ministri, proclamò ufficialmente Re il figlio ventitreenne, acclamato dai religiosissimi sanfedisti e dai politici più anziani della camarilla.
§ — Un nuovo Sovrano sul trono, ma niente Costituzione
Francesco II, con un po’ di anticipo, già due giorni prima della nomina ufficiale dei ministri del Regno delle Due Sicilie, si fece giurare fedeltà dalle truppe a Largo Castello di Napoli.1
Il Sovrano novello, soprannominato affettuosamente dal suo popolo Franceschiello, nonostante la sua giovane età, da principe ereditario, aveva ricevuto un’educazione fatta di studi amministrativi e giuridici. Ciò faceva sperare nella istituzione di una monarchia costituzionale, sulla scia del consolidamento delle alleanze europee. Appena Napoli lo proclamò Re, Francia e Inghilterra, spedirono nella metropoli i loro diplomatici per sondare le idee del nuovo Sovrano e spingerlo sulla via della monarchia costituzionale, in contrapposizione all’ambasciatore piemontese, che non mancava di elogiarlo nelle lettere spedite a Cavour.
— E’ giovane, senza esperienza, non è un idiota, come ne hanno spesso detto, parla molto bene di tutto con un certo possesso e con molto buon senso; talvolta ha l’aria di capire l’epoca, è imbevuto dei più esagerati principi del sanfedismo: di carattere molto debole e molto timido, costantemente circondato da una camarilla furiosamente retrograda e reazionaria, la quale impedisce che la verità arrivi fino a lui.2
Francesco appariva un sovrano dalle idee aperte, ma era frenato su ogni iniziativa dalle parole del padre, Costituzione eguale Rivoluzione, divenute motto dei conservatori, nonchè dall’opposizione degli stessi zii, il Principe Luigi Conte dell’Aquila e il Principe Leopoldo Conte di Siracusa. Era grande il timore che applicando la Costituzione, ritirata nel 1848, si ripetessero i moti per togliergli il trono o anche solo la Sicilia. Nè intese discostarsi dal freno che veniva dall’Austria, avendo sposato Maria Sofia, sorella dell’Imperatrice, concessagli in moglie per i buoni rapporti intrattenuti col defunto Re. Fu per questo che Franceschiello non diede ascolto, il 7 giugno 1859, ai liberali che lo invitavano a scendere in guerra al fianco del Piemonte. Un’alleanza che non avrebbe mai fatto, sebbene fu spinto a nominare Presidente del Consiglio, e ministro della Guerra, Carlo Filangieri, che domò la rivolta della Sicilia, dove era rimasto come Luogotenente fino al 1855.
— Quel povero giovane mi ha domandato aiuto in modo che io non ho potuto negarglielo.3
Il 9 giugno, Ruggero Gabaleone, Conte di Salmour, diplomatico inviato da Cavour a Napoli, rinnovò al Re l’invito a ripristinare la Costituzione congelata dal padre, riproponendogli l’alleanza con i Piemontesi nella guerra in corso contro l’Austria. Ma l’accordo saltò perchè il Re di Sardegna aveva fomentato la nascita del Governo provvisorio a Firenze nell’aprile precedente, dichiarando decaduto il Gran Ducato di Toscana, da sempre nella sfera del parentado borbonico. Salmour così fallì.
— Almeno per il momento l’alleanza con Napoli è impossibile, poiché, vista la situazione esterna e lo stato dei partiti all’interno, il Re e il Governo si sentono perfettamente rassicurati. Il solo e unico modo di arrivare al nostro scopo è di agire qui come nelle altre parti d’Italia, ossia di provocare la caduta della dinastia e l’acclamazione di Vittorio Emanuele.4
Il 7 luglio i soldati della milizia svizzera in Napoli, senza salario adeguato, si rivoltarono, dividendosi fra favorevoli e contrari ad abbandonare il Regno. Dopo il sanguinoso scontro, nelle tasche di morti e feriti furono rinvenute monete d’oro, distribuite dalle spie inviate dai Piemontesi. Di qui l’errore di rispedire le guardie in Svizzera. Con l’armistizio franco-austriaco di Villafranca dell’11 luglio 1859, il ministro Filangieri ritenne di affrettare i tempi e chiedere ai giuristi di redigere una nuova Costituzione. Consigliò il Re di stringere amicizia con la Francia, il cui ambasciatore, il Console Conte Alessandro Brenier, aveva collaborato alla stesura delle nuove leggi, dopo aver influenzato il Principe Luigi, ormai pendente dalla sua bocca.
— Presentai al Re quel progetto di Statuto, supplicandolo di leggerlo. A tale mia preghiera Sua Maestà non si degnò far buon viso, ne’ crede’ sottomettere quel manoscritto alla disamina dei suoi ministri o al parere degli uomini politici nei quali avesse avuto più fiducia che in me.5
Alla notizia circa uno sbarco in Calabria di rivoltosi salpati da Genova alla guida di Garibaldi, Filangieri si dimise e il Re cominciò a temere nuovi moti liberali. Che fare? A costo di restare solo non avrebbe concesso la Costituzione. Il 28 settembre tenne una riunione.
— Le risposte a noi pervenute sono poche ed orientate verso la soluzione conservatrice.6
Seguì un’ondata di arresti, come ai tempi del padre, che screditò il Governo di fronte all’opinione pubblica internazionale: l’Austria lo abbandonò e l’Inghilterra, vista la mancanza di apertura costituzionale, gli tolse la garanzia di intervento in caso di rivoluzione. Franceschiello non immaginava che Comitati spontanei di liberazione, guidati da adepti repubblicani di Mazzini o da insurrezionali garibaldini, stavano per spuntare nelle province del Regno, proprio dove era più forte l’attaccamento alla Corona.
§ — Franceschiello regge col Governo retrò, lo Zio trama
Con la nascita del Comitato Centrale di Napoli i liberali del Principato Ultra ripresero coraggio, confortati dai primi successi a Campobasso. Le sette dei mazziniani di Avellino e Benevento intensificarono gli incontri segreti per fare fronte comune con gli insurrezionali, occupando Avellino ma con l’idea di nominare il Governo provvisorio provinciale ad Ariano prima del Comitato di Benevento che, una volta cacciato via il Nunzio apostolico del papa e nominato un Governo provvisorio beneventano, avrebbe sforato i confini storici. Fu l’inizio della fine degli Stati di Francesco II e del Papa, ma anche dello sfaldamento del Principato Ultra.
A Capodanno 1860 Francesco II e Maria Sofia fecero la tradizionale cerimonia del baciamano a Palazzo Reale. Seguì la gran festa del 16 gennaio per il ventiquattresimo compleanno del Re sulla fregata a vapore dell’Armata Borbone al largo di Castellammare di Stabia, mentre lo zio, il Principe Luigi, tramava per obbligarlo a concedere la Costituzione concordata sottobanco con Napoleone III e con i Piemontesi. A fine gennaio 1860, il Marchese di Villamarina, diplomatico inviato da Cavour, a Francesco II scritto da Vittorio Emanuele II.
— La Casa Savoia non è mossa da fini ambiziosi o da brama di signoreggiare l’Italia. Lungi dal volere e dal desiderare che sia turbato alla Reale casa di Napoli il pacifico possesso degli Stati che le appartengono. Non sarebbe migliore salvaguardia dell’indipendenza d’Italia che il buon accordo fra i due maggiori potentati di essa.
Era la proposta di spartizione dell’Italia fra il nuovo ed ampliato Regno di Sardegna e il Regno delle Due Sicilie a cui sarebbero state lasciate anche le Marche da strappare al Papa. Era un tranello? Invadere le Marche per dare a Vittorio Emanuele il pretesto di occupare le Due Sicilie? La risposta fu secca.
— Vuie che dicite mai. Chella è robba d’ ‘o Papa!
Il 16 marzo il Re rinnovò il Governo napoletano con un numero di ministri ottantenni, scaricando definitivamente Filangieri e altri fidi e cercando di contrastare lo Zio Luigi.
— Non poteva seguire nè i consigli di Elliot né quelli di nessun altro uomo politico perché era rimasto schiavo di un mondo nel quale lo aveva collocato la nascita, l’educazione, la Religione da un lato, l’ambiente di Corte, la struttura dell’Esercito e dell’amministrazione ereditata dal predecessore, dall’altra. La situazione internazionale, affrontata con cultura, mezzi e uomini assolutamente inadatti, lo trascinò alla rovina. Egli pure come suo padre si comportò da sovrano del XVII e del XVIII secolo in un momento in cui sarebbe stato necessario avere il coraggio di affrontare questa nuova realtà.7
Prima di Pasqua, secondo tradizione, il Re lavò i piedi ad una decina di poveri, senza che nulla facesse presagire il peggio, mentre il 2 aprile 1860 i deputati di quattro dei sei stati dell’Italia si riunirono a Torino tranne le Due Sicilie e la Chiesa. Mancava un mese al primo tracollo, quando il 3 aprile, l’altro zio, il Conte di Siracusa Leopoldo Borbone, gli inviò una missiva che lo invitava a consolidare la politica estera adeguandosi ai tempi.
Parole inascoltate, quelle del fratello del padre che preferiva essere salutato “colla bandiera allo stemma dei Savoia e non col borbonico professandosi suddito di S.M. Vittorio Emanuele II, solo Re degno di regnare sull’Italia”. Così dirà all’Ammiraglio piemontese Pellion di Persano, nel ricevere, in cambio del suo tradimento, il titolo di Luogotenente della Toscana.8
L’ultimatum a Franceschiello avvenne ad aprile, mentre le spie piemontesi erano già in Sicilia a fomentare i liberali promettendo una anomala autonomia previa annessione al Regno sabaudo. Anche gli insurrezionali di Avellino e Benevento, nati fra i banchi del liceo, erano pronti. Ma divennero sempre più mazziniani che garibaldini, sentendosi chiamati alla giusta causa della rivolution, anticipando sul campo la discussione politica post-unitaria che darà vita ad una miriade di giornali locali. 9
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