ABECEDARI di BRINDISI CAROVIGNO – Terra d’otranto: Toponomastica e Genealogia ISBN 9788872971482

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Copertina posteriore

toponomastica e genealogia
della provincia di terra d’otranto

Centinaia e centinaia di cognomi, di famiglie, di luoghi e, si può dire, di fatti, sono contenuti in questo testo dedicato alla ex provincia di Terra d’Otranto, e in particolare al Comune di Carovigno, oggi in provincia di Brindisi.
Il testo parte da Re Ruggero, il conquistatore di tutto, tranne che di Lecce, che resta con Benevento. Poi arriva Re Guglielmo II e scippa le Terre pagane e bizantine di questa Calabria salentina e nasce una Diocesi anche a Ostuni, proprio quando Re Malo e Re Buono decidono di fare guerra ai Loritello di Puglia. La storia dei Guglielmo Altavilla si complica, quando diventano quattro, ma Lecce ha un solo nemico: Re Guglielmo II Buono che si schiera contro Re Tancredi, quando Accardo ha già fondato S.Giovanni.
E’ però Tancredi fu Duca Rogero III (fu Re Ruggero II) che da Conte di Lecce ebbe la meglio e divenne Re nel 1190, allorquando sposa Sibilla sorella di Riccardo d’Acerra dei D’Aquino-Medania, subendo la ribellione di Aprutino e Bertoldo, schieratisi dalla parte di Enrico Imperatore, marito di Costanza d’Altavilla, pomo della discordia, fatta prigioniera a Salerno.
Ma l’ex Conte di Lecce conquista Terre e fiducia: Tancredi vince così Enrico a Napoli, il Ruggieri sposa Irene, Albiria va al Brienne, l’Imperatrice Costanza viene liberata dalla prigionia, quando Ruggiero di Avellino va a Salerno e Margaritone punta sui Pisani a Castellammare.
La morte di Re Tancredi, che lascia Guglielmo III senza corona e la Regina Sibilla vedova, richiama l’attenzione dei Templari che riportano l’Imperatore nel Regno. L’invasione di Enrico VI è ormai imminente quando anche gli imperiali sono alle porte e prendono Napoli, Salerno e la Sicilia, mentre i reali fuggono nel castello di Caltabellotta, subendo il tranello dell’accordo in cambio di Lecce.
Costanza, reggente dell’Imperatore, rinnega Lecce a Regina vedova Sibilla spodestata. Lecce passa al Biccari, Taranto sta con Margaritone, ma viene castrato e Re Guglielmo il piccolo castrato, dopo aver subito la prigionia in Germania.
L’Imperatore muore, lo stato è invaso dal papa, che regge le sorti dell’erede Svevo, Federico II, e fa tornare i Tancredini a Lecce, sebbene sia stato tutto sequestrato e la provincia papalina: da Lecce a Carovigno è Giustiziario Idronti, assegnato al magistro di Ostuni, per poi essere riassorbita da Napoli, con la rinascita della Contea a Lecce, poi scelta da Re Roberto d’Angiò, quando è Mesagne che accorpa Carovigno e Lecce torna ai d’Enghien.
Sotto gli Angioni spuntano gli Statuti a Carovigno, feudo di Orsini dato ai de Foix e avviene l’assoggettamento alle Terre di Bari, con i Loffreda fondatori di S.Maria Belvedere donata al vescovo di Ostuni. Stavolta è Carovigno che ripopola Brindisi, ma la confisca di Ferrante porta l’Idronti con le Terre di Bari ai Loffredo, nonostante l’invasione dei Turchi che nel 1561 sono fatti prigionieri dai Carovignesi Brindisini.
Da qui lo sbarco di Veneziani e Genovesi nel Principato e Marchesato venduti a S.Vito e a seguire la sfilza dei feudatari che diede vita al feudo principale di Carovigno con migliaia di nomi di nuovi coloni e contadini, tutti elencati in questo fantastico viaggio nella Terra d’Otrano.

Description

LA VERA STORIA DI CAROVIGNO CONFUSA CON BRINDISI E DI BRINDISI CONFUSA CON CAROVIGNO

Dobbiamo attendere l’arrivo degli Angioini, comparendo a nuovi baroni del Iustitiario delle Terre d’Otranto, Manfrido de Carvineis, Riccardo de Marzano o Martano e Guilielmo de Noha che tennero provvisoriamente a mutuo le Terre Ydronti, provisio pro exemptione a mutuo (Regesto, 1269), perchè fu nominato un reggente, Leone Scalensi de Venusio, definito altrimenti, olim mag.[istro] massario Terre Ydronti (Regesto, 1269), con sede nel Castello di Ostuni, e probabile giurisdizione su quella che era la stessa Diocesi di Ostuni.
Le Terre d’Otranto, infatti, ancora una volta, vanno distinte dal Brindisino, curato da Rogerio de Amato de Barulo (Regesto, 1269), come dall’area dei Casali di Andrani e Castilioni, su cui ebbe giurisdizione il giudice Nicolao Gargano de Baro (Regesto, 1269), come pure da Horie et Meyanei (Regesto, 1269).
Distinzione momentanea, giusto il tempo dell’assoggettamento del nuovo Re, in quanto, alle terre del Giustiziario delle Terre Ydronti, in quello stesso anno, venivano annesse le Terre Bari et Basilicate (Regesto, 1269), sedendosi i nuovi conquistatori, così come avanzava la conquista, prima nel Castello di Lagopesole, poi a Foggia, a Belvedere in Napoli, e a Capua.
Da quegli anni in poi, nei registri angioini, si ripete il nome di Manfredo de Carovineo, come Manfriducio de Carvineis, che avrebbe continuato a tenere il feudo in capite della Curia angioina, in attesa di essere venduto, venendo esentato dall’adhoamentum per i suoi servizi feudali resi in Achaya (Regesto, 1269), tassa poi pagata qualche anno dopo per il possesso dei feudi di Turlasio, Nerine e Carovigno, quando ottenne il privilegio del cingolo militare per i servigi resi (1274).
Possedimenti che lo portarono a dei contrasti con Ugo De Brienne al quale era stata concessa dagli Angioini la Contea di Lecce (1266), pretendendo, non senza l’intervento della Regia Curia, il possesso di tutti i beni feudali della Contea, e quindi anche del feudo di Carovigno. Scomparso Ugo De Brienne il 9 agosto 1269, gli successe il figlio Gualtiero alla guida della Contea di Lecce, ma non si accusano altri litigi con Manfredo, mentre il solo Giustiziario delle Terre d’Otranto, già l’anno dopo, contava decine di baroni (Regesto, 1270).
Nel 1272, al terzo anno del nuovo re, il sovrano disponeva che gli uomini di Ostuni (Villanova), Carovigno e Petrolle riparassero il Castello di Ostuni (vecchia), rivolgendosi al giustiziario cum nolimus ut officiales Curie nostre requirant ab aliquo ultra consueta iura… et quod fidelis nostri de terris et locis, que castrum Ostoni reparare tenentur, ultra debitum propterea sint gravati etc. [in forma de riparatione castrorum]… Terre autem, que tenentur ad reparationem dicti castri Ostuni sunt hec, vid.: Ostunum, Carovinea et Petrolla (Regesto, III indizione).
Già nel 1272 i baroni e i feudatari delle Terre d’Otranto si erano moltiplicati, sotto il comando del mag.[istrato] Paulus de Hostunio, l’unico con tale alto titolo (Regesto, III Indizione), quando l’anno dopo i fratelli Guglielmo de Turre e Giovanni de Carovineis, insieme ai loro familiari, erano stati mandati ad abitare il fortilizio di Lucerie (Regesto, IV Indizione).
Nel 1272, infatti, sarebbe nata l’Università di carovigno, cioè il comune per l’amministrazione della Cosa pubblica, in quanto compare il nome del primo sindaco di Carovigno, Leone de Valentino de Carovineo il quale, insieme al collega Michaele Petrarolo de Ostuni erano chiamati a riparare il Castello in Terra Petrolle, come già fecero per Ostuni, luogo da dove si scriveva l’atto a nome del Magistrato Razionale della Regia Cura, proprio per ordine del padre di quest’ultimo, magistros famosos et iuratos, come avvenuto per mano dei magistrati Giovanni de Electis e Giovanni de Carrara, che provvidero ai carpentieri, e dei magistrati Leonardo e Bartolomeo de Iuvenatio, che provvidero ai fabbricatori. Sebbene questo documento non sia chiaro, in quanto appaiono confusi i nomi di carpentieri e fabbricatori con quelli dei magistrati, similiter a mag. Iohanne de Electis et mag. Iohanne de Carrara, carpenteriis, et mag. Leonardo et mag. Bartholomeo de Iuvenatio, fabricatoribus (Vincenti, Il libro), viene citato ugualmente, come da altri (Pepe, I documenti), in quanto fu ricopiato a frammenti, senza neppure il nome del vero Magistrato Razionale (Regesto, III Indizione), dando adito a pensare che si tratti di una mera falsificazione di qualche anno dopo per obbligare i cittadini di Carovigno a ricostruire il Castello di Petrolle, ritenuto sul confine dei due feudi. Appurato comunque che Petrolle era disabitata toccò solo ad Ostuni (Villanova) e Carovigno pagare la tassa per ricostruire il Castello di Ostuni (vecchia).
Il magistrato, infatti, è la massima carica provinciale del Giustizierato dell’epoca, seguito da un sottomagistrato che, certo, non può fare il muratore o il fabbricatore, ma al massimo chiamarli per far riparare i castelli. Nel documento del 1275 sulle generali sovvenzioni imposte in Terre d’Otranto, dall’unico e vero sub magistratu Odonis de Policenis esistente nel titolo di Iustitiarii Terre Ydronti, presumibilmente seduto anch’egli in Ostuni, oltre Manfredi di Carovigno e un centinaio di baroni, si cita solo un altro magistrato chiamato Quintavalle (Regesto, VI Indizione).
La contesa fra sindaci per la riparazione del Castello di Ostuni andò avanti per diversi anni, mentre Manfredo di Carovigno, era esentato dall’adoha, cioè la tassa militare.
In questi anni, intorno al 1283, la Magistratura, anzi la stessa provincia, delle Terre d’Otranto in Ostuni, appare praticamente abolita in quanto gli uomini di Carovinei, insieme a quelli di Licii, Idronti e Brundusii, unici della zona, sono fatti rientrare in quella del Giustizierato e Terra di Lavoro, allorquando lo stesso Re sedeva in Tunisi con un cancellario addetto al Regno di Sicilia, da Sulmona a scendere giù, ma senza il Napoletano.
Manfredo de Carovineo paga infatti regolarmente l’adoha per Carovigno, sebbene in precedenza ne fosse stato esentato per i casalium suorum Carovinee et Merini de Iustituariatu Terre Ydronti (Regesto 27), continuando a litigare per il possesso del feudo, ancora nel 1305, con il cavaliere Adamo De Tremblay.
Confiscato dal Re e poi restituito perchè il barone non volle che i propri abitanti ripopolassero Brindisi, il feudo di Carovigno, morto Giovannantonio nel 1462, forse strangolato da due suoi emissari in missione segreta dal papa, vendutisi al re Ferrante d’Aragona, passò nelle mani degli Aragonesi.
Gli Aragonesi di Re Ferrante conquistarono quindi la provincia di Terra d’Otranto (1462) forse alla morte del Principe di Taranto Giovanni Antonio Orsino (Giannone, Storia), o subito dopo, quando ricevette in Lecce il giuramento di fedeltà da parte di tutti i sindaci e i baroni (Cardami). Il Principato di Taranto si consegnava nelle mani di Re Ferrante d’Aragona, seduto nel castello regio di S.Maria in Quarantana, nella speranza che diventando terra regia potesse liberarsi del baronato ed avere uno sgravio delle tasse. Cosa che avvenne anche per Carovigno il 28 novembre del 1463 per un atto con il quale il Re concedeva sgravi anche a nobili, egregi viri, università e uomini della Terra di Carovigno in provincia d’Otranto del fu illustre principe di Taranto. Non senza suppliche da parte dell’Università della Terra di Carvigna, per chiedere ulteriori esenzioni come ai tempi della Regina Maria d’Engenio, e la riconferma ufficiale dell’ufficiale Masello de Lattera.
Lo ricorda un documento che era nell’Archivio Comunale: Ferdinandus Dei gratia Rex Siciliae, Hyerusalem, et Hungariae. etc. / Universis et singulis praesentes literas inspecturis tam praesentibus, quam futuris notum facimus per praesentes, quatenus pro parte Nobilium, et Egregioum Virorum, Universitatis, et Homninum Terrae nostrae Carvignedae Provinciae Hydrunti fidelium nostrorum dilectorum, qui propter subsecutum obitum illustris quondam Principis Tarenti, decedentis absque legitima prole ad nostram obedientiam, et fidelitatem cum animi promptitudine, et eorum spontanea voluntate devenerunt, fuerunt oblata Nobis nonnulla capitula, et petitiones quas, et quae juxta, et secundum deactaciones, et responsiones nostras in fine unius cujusque capitulorum ipsorum sigillatim continuata, et continuatis, apposita, et appositas, atque declaratas admisimus, et acceptavimus gratanter, quorum quidem capitolorum, decretationum, et responsionum nostrarum in fine singulorum ipsoruni apposimus, ut profertur, et seguitur in vulgari modo.
Segue la

S.Maria del Belvedere donata al vescovo di Ostuni

A Luigi Loffreda successe infatti Pirro, hac tempestate Pirrus Loffredo Aragonicis Regibus Charvigam muneris loco habuit (Marchese, De nobilium), fondatore di S.Maria del Belvedere, chiesa inequivocabilmente da lui eretta, il 6 aprile del 1500, ad opera del maestro A.Gallo, come precisava la lapide apposta sull’architrave, e come attestato anche sul baldacchino di S.Maria del Belvedere: hoc opus cum ecclesia e. f.[ecit] eccellens dominus pirrus de loffreda de neapoli sub dominio eccellentis domini ioanis gasparis de loffreda ejus nepotim dominus terre carovineti sub ioane lombardo de hostunio sub anno 1501. Nella trascrizione di Andriani è omesso il nome Ioannis, chiamandolo direttamente Gasparis de Loffreda, asserendo che successe a Pirro (1500) e quindi fu barone di Carovigno dal 1507 al 1520, quando il feudo passò nelle mani di Giuseppe Loffredo (1520) e poi di Leonardo Loffredo (1529) fino a Scipione Loffredo (1562) e all’altro Pirro Loffredo (1589), come egli ricavava da Regesti, Quadri dei pagamenti fiscali e dalle diverse Capitolazioni esistenti nell’Archivio Comunale (Andriani, Carbina).
Di lì a qualche anno, padre Serafino Montorio, mandava alle stampe in Napoli lo Zodiaco di Maria (1715) nel quale sosteneva che Carovigno e S.Maria Belvedere, chiesa già rientrante nella Diocesi di Ostuni, era diventata abbazia.
Egli scriveva che non è sempre vero, che le Caverne sotterranee servono di ricovero ai scellerati ladroni, e di covile alle fiere rapaci in quanto lo vediamo con lunga permanenza della Gran Madre di Dio. Il riferimento è a S.Maria del Belvedere, sita a due miglia lungi da Carovigno, Feudo dei Signori Loffredo, e sotto lo spirituale dominio del Vescovo di Ostuni, era anticamente una Grotta circa cinquanta passi dentro della quale da un uomo semplice, e, come tale uomo di Dio, cittadino di Conversano, fu trovata una immagine di Maria di celebre pittura, e più oltre nel fondo di detta grotta un’altra immagine di Maria dentro una finestra. Come quel tale la trovasse se a caso, o con qualche modo prodigioso non mi vien significato, forse dispersane la memoria per l’antichità. Pubblicata la invenzione di quella miracolosa immagine fu incredibile il concorso dei popoli alla sacra Grotta: e basterà dire che non solo ci andarono i fedeli della Iapigia; ma di tutte le altre provincie del Regno, e furono così numerosi i prodigi, che per li meriti della sua Santissima Madre operò il Signore, che in poco tempo fu arricchita di donativi, di legati pii, di circa 700 vacche, di poderi, di oliveti, cli censi, di decime, e di altre entrate simili. Con tali ricchezze i Feudatarii di Carovigno allora viventi fecero ivi edificare una magnifica Chiesa con larga e grande scalinata per cui si scende alla Sacra Grotta. In quella nuova Chiesa cooperandosi li suddetti Signori Loffredo furono dai Sommi Pontefici concedute indulgenze plenarie nel giorno festivo dall’Assunta, e per la detta scalinata si fanno le stazioni come si pratica nella Scala Santa di Roma.
Furono quindi due le effigie ritrovate ed ambedue le sacre Immagini portano il titolo di Belvedere. Avanti quella che trovasi nell’Altare con due colonnette si celebra ogni giorno, non così avanti all’altra; ma solamente in tempo di grandissima necessità, e colla debita licenza del Vescovo. / Sta situata la Chiesa sopra d’un ameno poggetto d’aria assai salubre, e perfetta e di vaghissima veduta di mare e di terra.
Già prima del 1715, quindi, la chiesa di Santa Maria del Belvedere, possedimento del vescovo di Ostuni, era divenuta abbazia: i mobili donati dai beneficiari di Maria sono già divorati dalla lunghezza degli anni: dei beni stabili s’impadronì la Camera Apostolica fondandone un’Abadia, che oggi la possiede Monsignor Gavidone. Quanto ai miracoli operati quivi dal Signore a gloria della Vergine Madre, degli antichi non trovasi registrata cosa particolare. Dei moderni non vi è molto da dire, e solo abbiamo in confuso, che siano stati liberati da Maria molti ossessi da diavoli, tra i quali si narra che una donna delle Città di Brindisi, essendo stata molti anni afflitta da quei spiriti infernali raccomandatasi alla Vergine di Belvedere, questa comparvele una notte dicendole: Va alla mia Chiesa di Carovigno, ed ivi resterai libera come avvenne tre anni sono buttando dalla bocca un grosso chiodo. Abbiamo ancora, ch’abbia guarito morbi insanabili, e disperati dai medici, oltrechè molti sono stati anche liberati dalle mani dei Corsari Turchi, come in particolare si sa, ch’abbia fatto a D. Matteo Caliolo, il quale invocandola in quel pericolo, ne restò prodigiosamente liberato (Montorio, Lo Zodiaco di Maria).
E solo quando Giovan Gaspare Loffreda sposò Gennara d’Aquino, figlia di Gaspare d’Aquino signore di Rocchetta, Grottaminarda ed altre Terre, sorella di Ladislao d’Aquino, primo marchese di Corato e signore di Rocchetta S.Antonio, verrà costruita la torre “a mandorla” di Carovigno.

A far data dal 20 agosto del 1711, per atto del notaio Ernandez, Nicolò Granafei, avendo contratto molti debiti, fu costretto ad affittare i feudi di Carovigno e Serranova, riscossione delle tasse compresa, a Don Giacomo Belprado Marchese e ad Eleonora Caracciolo, principi di San Vito per 6.600 ducati ogni due anni fino al 1715, con giurisdizione civile, criminale e mista sulle cause, e i diritti secolari, dalla cazzatura alle decime sull’orzo, compresi lo jus proibendi sui trappeti, lo jus della pena del sangue, le decime del feudo del Colombo, dei tufi e della pietra gentile ed altro ancora, nominando a governatore della Terra di Carovigno il notaio Donato Antonio Calabretti, con il figlio Domenico Calabretti abitante sulla strada del Forno vecchio.
Pietra gentile che si diceva cavare solo nel territorio di Carovigno, una certa pietra bianca simile alla Leccese, ma molto più dura, della quale se ne servono nella provincia per colonne, statue, sepolcri, ed altri diversi e nobili lavori, che fanno apparenza di finissimo marmo (Marciano).
Ma la ruota della fortuna non pare girasse affatto dalla parte del Marchese Don Nicola Granasei, che scampò di morire anche a causa di un fulmine, insieme a 30 presenti e al reverendo Scipione Aregliano, come ricorda una lapide nella cappella del SS.Rosario del Castello, il 26 agosto del 1717, facendo voto a S.Oronzo. Fulmine che dovette ripetersi il 19 aprile 1724, quando si screpolarono le pareti e sussultarono pavimento e porta, come ricorda la seconda lapide apposta al castello.
Non poterono che seguire litigi con Belprato una volta scaduto l’affitto sui confini con San Vito per il pagamento della fida nella foresta di Carovigno dove i sanvitesi non rispettavano il tempo di pascolo, arrivando a mazziare, minacciare e maltrattare i carovignesi, rivolgendosi l’Università al Vicerè nel 1718, mentre il marchese Granasei sequestrava le greggi in Serranova, fino al chiarimento definitivo dei confini avvenuto il 17 gennaio 1725, benchè i danni continuassero quando il principe di San Vito ammazzò con i cani 16 cinghiali nel feudo di Serranova.
Nè secondo il Brandi Lotti mancarono le vessazioni del barone Granafei anche a danno delle fanciulle di nobili famiglie paesane, come nel caso di Pizzica, la quale, venendo infastidita, fu difesa dai fratelli che picchiarono e legarono in un sacco il barone. Lo liberarono i suoi giannizzeri solo il mattino seguente, quando rinvennero il sacco davanti al cancello. Per evitare la vendetta, alla ricca famiglia locale non restò che scappare a Brindisi, mentre il barone si sfogava recidendo tutti gli alberi che possedevano.
Fu poi la volta di Beatrice Granasei detta Cicericiotta la quale teneva continua prattica scandalosa con molte persone, perfino con un religioso di un convento di Ostuni, con il governatore della Terra Don Giuseppe Chiesa, allietandoli con i suoi canti, spesso nella casa fittata al Trappitello, dove l’accudivano due serve, fra cui Pinnetta. Da qui lo sfratto (1744) notificatole dal governatore della Terra, Don Nicolò Palma.
Si assiste, in questi anni, a un certo rinnovamento con il restauro della chiesa di San Michele Arcangelo ad opera della Congregazione dell’Immacolata (1722). Le Congreghe divenivano un fatto di prestigio, mettendosi anche in competizione fra loro, quando nacque la Confraternita della Vergine Immacolata (1722) ad opera di padre Bruno Gesuita, con tanto di regole scritte stampate in Napoli (1732) per confratelli senza sacco e senza mozzetta, ma comunque riconosciuti con il regio assenso (1779), col permesso di portare in processione la statua dell’Immacolata, in una festa da tenersi alle ore 21 dell’8 dicembre di ogni anno.
Una fonte importante quella dei registri parrocchiali dove (1710) si possono trovare diverse spigolature e particolarità, come quella riguardante un certo Donato de Biasi che, senex decrepitus, visse 112 anni, rendendo l’anima a Dio in Communione Sanctae Matris Ecclesiae, mihi domino Petro Caliolo Archipresbytero confessus, et Sancta Communione refectus, ac S.Olii untione roboratus, cujus corpus a me tumulatum fuit in hac Maiori Ecclesia (AEC).
La famiglia religiosa di questi anni ingrossava le proprie fila, essendo sempre più numerosi gli ecclesiastici, un po’ per vocazione, un po’ per evitare le tasse, un po’ per accrescere i propri beni. Comunque sia i sacerdoti contribuirono alla crescita culturale dell’Università.
Prendeva piede in questi anni il sacerdote Giovanni Brandi (Carovigno 1723-Bari 1802), educato da padre maestro Nicola Sacchi nel Contevento del Carmine Maggiore. Questo frate carmelitano divenne uno dei più eruditi prendendo la via di Napoli (1760) come precettore del Principe di Santa Teodora, stringendo amicizia con il Quarano e il Conforti, e poi di Roma, dove divenne uno degli esaminatori dei vescovi, avendo fatto notevoli progressi nel campo delle lingue e della filosofia, al punto che veniva chiamato anche per le lapidi votive, come quelle che si vedono nelle chiese del Gesù e Maria al Pontecorvo e di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone, finendo anche in polemica con Francesco Daniele, e specie per quella composta alla morte di Carlo III e per la Memoria storico-politica sopra la Città, e Regno di Napoli, compresa un’opera sul modo di fare orazione, stampata per la nipote Suor Maria Vittoria di Gesù Crocifisso, Signora Monaca nel Convento di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi di Ostuni, finendo i suoi giorni a Bari, in casa del suo discepolo, Giuseppe Capriglia.
Forestieri aggiunti fra cui il Notaro Giuseppe Vito Franco Carella, il dottore fisico Filippo Lannicandro di Mola, il dottore Carmine di Leo proveniente da San Vito.
Questi i nomi dei forastieri abitanti laici: Angelantonio Lo Rizzo di Ostuni, Carlo Andriano di San Vito che abita alla strada del Pozzillo, Catalfo Gioja di Ceglie che abita in Casa della Barolal Corte, Carlo Maria d’Ippolito di Fra[cavi]lla che sta a casa della suocera Vittoria Leo, Carmelo Ferrara di Ostuni che abita in casa di Giuseppe Capriglia, Donatantonio Anglano di Ostuni, Domenico Pipino di Ceglie, Franco di Tommaso di San Vito, Filippo Faragone di Ostuni, Franco La Fornara di Martina sulla strada del Forno Vecchio, Giuseppe Giovanni di Moda di Francavilla che abita al vicinato di San Nicola, Giorgio Perrino di Fasano al vicinato del Castello Baronale, Giuseppe Carriere di Francavilla, Giuseppe di Milato di Francavilla, Giacinto Sorrentino di Cava, Giacomo Bruno di Francavilla del vicinato di Sant’Angelo, Giovanni Pasino di Ceglie al vicinato di San Martino, Ignazio Giannattasio di Napoli alla strada di San Martino, Luca Prudentino di Ostuni al vicinato dell’Ospedale, Leonardo Galasso di San Vito alla strada delli Pilella, Lonardo Verna di Ostuni alla strada del Paradiso, Nicola Minnelli di Francavilla, Nicola Piccolomini di Montecalvo al vicinato del Campo Sibilia, Nicola Castagnero di Savignano al vicinato di Campo Sibilia, Oronzio La Quintana di Ostuni al Campo di Sibilia, Orazio Saponaro di Ostuni alla strada del Soccorso, Oronzio Tingaro di Ostuni alla strada delle Case Nuove, Oronzio Stanca di Solito alla strada di Campo di Sibilia, Pietro Li Noci di Ostuni alla strada della Pizzica, Pasquale Castagnero di Brindisi, Pascale Barrella di Latiano al vicinato delle Case Nove, Paulo Pevrino di Fasano al vicinato del Castello, Pascale Aniello di Ostuni alla strada di Santo Stefano, Salvatore Ciano di Calviello alla strada del Soccorso, Santo di Latte di Novoli al vicinato del Castello, Salvatore di Latte di Novoli alla strada di Sant’Angelo, Vito Inzano di Squinzano al vicinato di San Martino, Vito Catanerò di San Vito al vicinato di San Nicola.
Risultano forastieri bonatenenti laici: l’Illustre Principe Don Giuseppe Marchese che possiede la Massaria oggi chiamata Poggioreale di tumola centossessanta di terre, serrate ed aperta.
Antonio Spagnolo, Antonio Spagnolo, Angelo Franco Pizzigallo, Ambrogio di Petto, Antonio Pippa, Antonio di Domenico commerciante a San Vito, Angelo Ruggiero, Anna d’Errico, Antonia Maria di Vito, Carmenia Memmola, Carmela Memmola, Caterina dell’Imbrici, Crescentia Sardelli, Donato di Tommaso, Domenico Sarracino, Donato di Luca, Domenico Oronzio, Domenico Carrone, Elisabetta Mingolla, Emanuele Catamarò, Francesco Pavolo Mingolla, Federico Chionna, Ferdinando d’Agnato, Francesco Maria Ruggiero, Francesco Filla, Francesco d’Errico, Francesco Pippa, Giovannantonio Preite, Giovanni Affarano, Giuseppe Ruggiero, Geronimo Sticchi, Notaro Giuseppe Vito Franco Carella, Giacomo Marrazzo, Giuseppe Cavallo, Gianbattista Ruggiero, Giovanni di Tommaso, Giuseppe Carmine Candanella, Giacomo Massaro, Giovanni Scarano, Giuseppe d’Orlando, Gloria Mingolla, Giuseppe Oronzio Memola, Giuseppe Vito Pila, Giuseppe Bianco, Gianbattista di Nisio proveniente da Netto di San Vito, Giuseppe Canta, Lorenzo Vita, Lucia Teresa Cappone, Leonardantonio Martino, Leonardo Giovanni Memola, Marcantonio Trezza, Marco d’Orlando, Marco Piccigallo, Michele Poci, Nunzia Sardelli, Nicola Cocchiara, Nicola Marazzo, Nicola Caggiulo, Orsola Maria di Luca, Onofria Sardelli, Pascale Scarano, Paulo Roma, Palma Valente, Pascale ed Antonia Caliolo, Pietro Epifani, Pietro Pecoraro, Pietro di Leo, Paulo di Leo, Pietro di Leo, Santo di Leo, Stefano Scarano, Stella galasso, Sabina Bottara, Scipione Coleccio, Salvatore Piccigallo, Stella Mingolla, Teodoro Francavilla, Tommaso Michele, Vitomodesto Cavaliero, Vitogiacomo Rutigliano, Vito Cavaliere, Vito Nicola Misa, Vito Greco, Vito Saracino, Vito Galasso, Vito Elefante, Vitopietro Ruggiero, Vito Mapullo, Vito di Luca, Vitodomenico Valente, Vitantonio Ruggiero, Vittoriamaria Marazzo e Donato Ruggiero d’Angelo, Vitantonio Ruggiero, Francesco Vazano di Ostuni, Santo Carluccio di Ostuni, Domenico Caliardo di Ceglie, Felice Minore di Ceglie, Giovanni Santabarbara di Brindisi, dottore fisico Filippo Lannicandro di Mola, Pietro di Lumma di Francavilla, Pietro Oronzo Filomena di Francavilla, Tommaso Sica di Francavilla.
Risultano possedere beni a Carovigno: gli eredi del fu Domenico Chionna di San Vito, Giovanni Chionna di San Vito, Don Carmine Natto di San Vito, Giovanni Sardelli di San Vito, Vincenzo Carella e Vito Ruggiero e Don Francesco Paulo de Leonardi proprietari in comune tutti di San Vito, Elisabetta Fredi di Santovito, Maddalena e Anna Carbone proprietarie in comune entrambe di San Vito, Angelo de Leonardi di San Vito, Caterina Freda di San Vito, Francesco Cavaliero di San Vito, Vito Gatto di San Vito, Vito Leo alias Annuviato di San Vito, Francesco Sardelli di San Vito, Don Giuseppe Gaetano Sardelli di San Vito, gli eredi di Giuseppe Santo di San Vito, il beneficio deli Giandoni, Don Ignazio Catamerò di San Vito, Francesco Carella di San Vito, Giovanni Chionna e il padre Don Giulio Chionna di San Vito, Antonio d’Adamo di Carovigno commerciante in San Vito, Mastro Giro di Leo di San Vito, Sebastiano Cavaliero di San Vito, gli eredi di Oronzio Barbaro di San Vito, gli eredi di Antonio Galasso di San Vito, il beneficio di San Giacomo di San Vito, Salvatore Gaeta di San Vito, Nicola Gaeta di San Vito, il dottor Don Carmine di Leo di San Vito, Lonardo Muscio di San Vito, Vito Catarriello di San Vito, il beneficio detto di Autigno, gli eredi di Carlo Cimino di San Vito, Giuseppe Giovanni de Leonardo di San Vito, Giovanni Santabarbara di Brindisi, Mario Petrelli di Ostuni, Giovanni Greco di Ostuni e altre sedi ecclesiastiche già nominate altrove.

Dettagli

EAN

9788898817849

ISBN

8898817843

Pagine

144

Autore

Bascetta,

Cuttrera

Recensioni

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Editorial Review

 

IL LIBRO

 

Toponomastica e genealogia
della Provincia di Terra d’Otranto

Centinaia e centinaia di cognomi, di famiglie, di luoghi e, si può dire, di fatti, sono contenuti in questo testo dedicato alla ex provincia di Terra d’Otranto, e in particolare al Comune di Carovigno, oggi in provincia di Brindisi.
Il testo parte da Re Ruggero, il conquistatore di tutto, tranne che di Lecce, che resta con Benevento. Poi arriva Re Guglielmo II e scippa le Terre pagane e bizantine di questa Calabria salentina e nasce una Diocesi anche a Ostuni, proprio quando Re Malo e Re Buono decidono di fare guerra ai Loritello di Puglia. La storia dei Guglielmo Altavilla si complica, quando diventano quattro, ma Lecce ha un solo nemico: Re Guglielmo II Buono che si schiera contro Re Tancredi, quando Accardo ha già fondato S.Giovanni.
E’ però Tancredi fu Duca Rogero III (fu Re Ruggero II) che da Conte di Lecce ebbe la meglio e divenne Re nel 1190, allorquando sposa Sibilla sorella di Riccardo d’Acerra dei D’Aquino-Medania, subendo la ribellione di Aprutino e Bertoldo, schieratisi dalla parte di Enrico Imperatore, marito di Costanza d’Altavilla, pomo della discordia, fatta prigioniera a Salerno.
Ma l’ex Conte di Lecce conquista Terre e fiducia: Tancredi vince così Enrico a Napoli, il Ruggieri sposa Irene, Albiria va al Brienne, l’Imperatrice Costanza viene liberata dalla prigionia, quando Ruggiero di Avellino va a Salerno e Margaritone punta sui Pisani a Castellammare.
La morte di Re Tancredi, che lascia Guglielmo III senza corona e la Regina Sibilla vedova, richiama l’attenzione dei Templari che riportano l’Imperatore nel Regno. L’invasione di Enrico VI è ormai imminente quando anche gli imperiali sono alle porte e prendono Napoli, Salerno e la Sicilia, mentre i reali fuggono nel castello di Caltabellotta, subendo il tranello dell’accordo in cambio di Lecce.
Costanza, reggente dell’Imperatore, rinnega Lecce a Regina vedova Sibilla spodestata. Lecce passa al Biccari, Taranto sta con Margaritone, ma viene castrato e Re Guglielmo il piccolo castrato, dopo aver subito la prigionia in Germania.
L’Imperatore muore, lo stato è invaso dal papa, che regge le sorti dell’erede Svevo, Federico II, e fa tornare i Tancredini a Lecce, sebbene sia stato tutto sequestrato e la provincia papalina: da Lecce a Carovigno è Giustiziario Idronti, assegnato al magistro di Ostuni, per poi essere riassorbita da Napoli, con la rinascita della Contea a Lecce, poi scelta da Re Roberto d’Angiò, quando è Mesagne che accorpa Carovigno e Lecce torna ai d’Enghien.
Sotto gli Angioni spuntano gli Statuti a Carovigno, feudo di Orsini dato ai de Foix e avviene l’assoggettamento alle Terre di Bari, con i Loffreda fondatori di S.Maria Belvedere donata al vescovo di Ostuni. Stavolta è Carovigno che ripopola Brindisi, ma la confisca di Ferrante porta l’Idronti con le Terre di Bari ai Loffredo, nonostante l’invasione dei Turchi che nel 1561 sono fatti prigionieri dai Carovignesi Brindisini.
Da qui lo sbarco di Veneziani e Genovesi nel Principato e Marchesato venduti a S.Vito e a seguire la sfilza dei feudatari che diede vita al feudo principale di Carovigno con migliaia di nomi di nuovi coloni e contadini, tutti elencati in questo fantastico viaggio nella Terra d’Otrano.