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La piccola università comunale dei baroni Bellizzi e la contrada Alipergo
Secondo il professore Francesco Scandone, la contrada rurale, che attualmente comprende la frazione di Bellizzi, durante il Medioevo veniva chiamata “Alipergo” (o nelle varianti Ipergo, Ripergo, Alabergo).
Questo strano toponimo potrebbe derivare dalla fusione di: Albarus,Albulus= piobbo bianco + Berg = monte, colle (voce germanica), ed avere quindi il significato di “Colle di betulle”.
In realtà, i diversi documenti medioevali, che citano la località Alipergo, non consentono di identificare con certezza il sito. Probabilmente l’ipotesi dello storico irpino era basata su di un documento del 1100, nel quale si cita un territorio sito nella località “Alipergo” e confinante con la “ via pubblica Salernitana “1.
Questa via pubblica, muovendo dalla Porta Maggiore della città di Avellino, dopo aver attraversato la fondovalle del Fenestrelle e la collina di S. Tommaso, in prossimità di Aiello, si innestava sulla “Via antica Salernitana” che collegava l’Abellinum romana (civita di Atripalda) con Salerno . E’ interessante notare che uno degli ultimi documenti in cui viene citata la “Contrada Alabergo” risale al 1568 ,cioè ad un periodo in cui già si era affermato il toponimo “Bellizzi”. Il documento, comunque , lascia intendere che la “contrada” era posta ai confini tra le pertinenze dell’attuale Bellizzi e Atripalda 2.
In conclusione ci sembra ragionevole supporre che la località “Alipergo” fosse nel Medioevo una zona molto vicina all’attuale contrada Bellizzi.
Non meno “strano” è il toponimo “Bellizzi”, che , secondo gli storici del passato, era sinonimo di “luogo di piaceri, di bellezze, di diporto etc..” .
Essi ipotizzarono l’esistenza di antiche ville dove risiedeva la “nobiltà avellinese”. In realtà non esiste alcuna documentazione o testimonianza archeologica che possa fare da supporto a queste ipotesi. 3 Meno misteriosa è invece la nascita del “Casale di Bellizzi”, avvenuta a metà del secolo XVI. L’insediamento fu voluto dalla nobildonna italo-spagnola Maria de Cardona, feudataria di Avellino, per favorire lo sviluppo agricolo di quelle zone 4. Il progetto venne realizzato con l’immigrazione di 16 nuclei familiari, provenienti da Aiello, e tutti appartenenti alla famiglia “Iannaccone”.
Nella numerazione dei Fuochi del 1561, il casale di Bellizzi risultava essere di 18 fuochi (famiglie), per un totale di circa 90 persone 5
Non trascorsero molti anni dalla sua “fondazione”, che il casale venne elevato al rango di “Universitas” . Infatti già nel 1578 è documentata la “parvula Universitas” di Bellizzi. In quell’anno gli amministratori del piccolo centro rurale furono costretti ad aprire un contenzioso con il Portolano di Avellino, che pretendeva una contribuzione troppo onerosa per le modeste finanze della comunità 6.
Nel 1581, la città di Avellino con il casale “delle Bellezze”, veniva acquistato da Marino Caracciolo, a nome di sua moglie Crisostoma Carafa 7.
Agli inizi del ‘600, la “Baronia” venne concessa dal principe al conte veneziano Maiolino Bisaccioni, un personaggio di spicco della Corte dei Caracciolo: cavaliere, poeta, letterato, storico, animatore di rappresentazioni teatrali, eseguite nella suggestiva cornice del castello avellinese, ormai ristrutturato in palazzo rinascimentale.
Nel 1626, con l’assenso del principe, la “Baronia” venne venduta al magnifico Giovanni Balzarano di Sarno 8.Questa famiglia conservò la “baronia” per più di un secolo: infatti ancora nel 1740 è documentato, come barone di Bellizzi, l’illustrissimo Signor 9 Giovanni Balzarano (junior), il quale, già da tempo trasferito a Napoli, in previsione di cedere la baronia, mise in vendita cospicui beni fondiari 10. Nel corso degli anni ’40, “Bellizzi” venne ceduta all’ Ill.mo Dott. Sig. D. Giuseppe Antonio Brescia11 ed a questa famiglia rimase fino all’eversione della feudalità………
Ultimamente proliferano le fantasie sul ritrovamento delle reliquie di S.Modesto venerate ad Avellino…
§ — Il sito archeologico di Atripalda si chiamava Tritonia e non Abellinum
A dire del libello, anticamente, Avellino trasmigrò da un capo all’altro del fiume Sabato, cioè verso la collina della Terra comunale, cioé un pezzo degli abitanti restarono “dall’altra parte del fiume Sabato quando si abitò il Colle lasciando i padri presso il Tempio di Pallade dove è sita Tripalda e perciò anticamente detta Tritonia” e fece sempre parte del vescovado di Avellino. “Che detta Terra fusse parte della Città d’Avellino, oltre l’opinione comune dei paesani, quel che poco anni fa si costumava dai canonici del Vescovato di detta Città di deputare il Sacerdote in detta Terra, accoché amministrasse i sacramenti à gli uomini di essa, chiaramente ci dimostra, che nei tempi passati l’uno e l’altro fussero stati una medesima cosa, e l’uno, e l’altro popolo havuto havessero la prima origine dalla distrutta città, della quale hoggi si veggono le reliquie nel mezzo dell’una, e l’altra Terra”.
“Non solo negli antichi tempi di Romani era questa Città, assai maggiore di quel che hoggi essere vede, ma anche nei tempi a noi più vicini, cioè dopo che fu ella la seconda volta edificata, il che si scorge d’alcune antiche scritture”.
§ — Avellino medioevale prese forma nel 1209 sul feudo di Abellinum Diodato
L’antica Avellino nacque alla fine del tempo dei Normanni. Lo si evince da una bolla di papa “Celestino III sommo pontefice dell’anno 1197”, seguita da un privilegio del 1209 di papa Innocentio III. Allorquando iIl Capitano Iacopo Caracciolo fu “spedito nel Castello d’Avellino” nel 1457, si ha memoria, in quelle scritture, delle chiese ivi esistenti. Infatti “si fa mentione delle Chiese di S.Benedetto, di S.Antonio, di S.Bartolomeo, del Monastero delle monache di S.Paolo, e delle chiese di S.Giuliano, e S.Thomaso Martire, di S.Matteo, di S.Nicola, di S.Damiano, e di S.Giovanni, e delle Pieve di S.Lorenzo, e altre chiese per la maggior parte à questi tempi rovinate, e distrutte, finché à pena di loro si veggono alcuni piccioli vestigi”. Si intuisce che non v’è alcun riferimento alla Madonna di Montevergine. Cioè non vi furono chiese che ne ricordassero il culto.
§ — La liquefazione del duro Grasso di S.Lorenzo
L’antico vescovado: “più d’ogn’altra è riguardevole la Chiesa del Vescovato d’antica architettura, il cui tetto vien sostenuto da grosse colonne, che la dividono in tre nave, ove oltre al suo vescovo vi è il capitolo di canonici, & il seminario, da quali viene ella di continuo officiata”.
A dire del libello, “conservansi in questa chiesa molte reliquie, e in particolare il legno della santissima Croce di N.S. parte della spugna, e una delle spine della sua corona, il grasso di S.Lorenzo martire, che il giorno della sua festività, essendo prima duro si liquefa miracolosamente”.
§ — Le teste: S.Modestino, e SS.Flaviano e Fiorentino
Fra le reliquie primarie vi erano “la testa di S.Modestino-vescovo d’Antiochia protettore di detta Città, e di SS.Flaviano, e Fiorentino Martiri suoi compagni, poste tutte in argento, e altre, che per brevità lascio di nominare”.
Pervenuto poi il Regno e il suo dominio in potere della dinastia angioina con Carlo d’Angiò “fu da quel Re donata la Contea d’Avellino a Simone di Monforte, che ne divenne Conte VII il qual essendo morto senza heredi”.
§ — Vendita di 2 monti per erigere il Duomo (1258)
Erano trapiantate in questi anni in Avellino molti nobili e non solo i Caracciolo. Nel 1626 si faceva menzione ad “alcune famiglie principali, e nobili fra le quali di quella d’Arminio, in una scrittura fatta nell’anno 1258 si legge, che Blasi d’Arminio, e Monforte lasciò herede Costanza dell’Aquila sua moglie con peso, che dovesse vendere due montagne, che possedeva nella città d’Avellino per doverne edificare la Chiesa Cathedrale di detta città”.
§ — I Monfonti dell’armellino Conti di Avellino
Stando al libello, dalle “scritture non solo si scorge, che l’antichità di questa casa s’appresta al numero di trecentosessantanove anni, ma ancora la sua grandezza, e pietà,e quel che più importa che chiamandosi il detto Blasi, non solo Arminio, ma Monforte medesimamente, e facendo la casa d’Arminio l’Armellino per insegna, si deve credere, che ò per parentado, ò per concessione havessero havuto dalli Monforti detto cognome, e insegna”.
Questo perché “i Duchi di Bretagna ancorché dalla casa Reale di Francia, si chiamano Monforti, e portavano per armi nello loro scudo le code d’Armellino si come usarono li Monforti, che vennero in Regno, che oltre al Leone portavano un picciolo scudo con dette code per dinotare, che discendevano da detti Duchi, li quali medesimamente facevano per impresa l’Armellino, e ne fundarono un ordine militare”.
Almeno così “scrive Andrea Favia nel suo Teatro di Honore, e di Cavallaria; ma sia ò per parentado, ò per concessione necessariamente è, che detto Blasi fusse stato persona di molta stima, e conto, mentre apparentò con casa dell’Aquila; la quale Famiglia, come di sopra harem detto, prima delli Monforti medesimamente padrona della città di Avellino, e che in detta città fusse venuto con Simone di Monforte conte d’essa”.
Morto senza eredi Monforte e “ricaduta di nuovo detta Contea alla regia Corte fu da Carlo donata à Bertrando del Balzo, che ne fu Conte VIII. Raimondo di costui figliuolo dopo la morte di suo padre fu Conte VIIII d’Avellino, e hebbe due mogli, la prima fu Giovanna figlia di Giovanni Conte di Bertagna, e un’altra chiamata Stefania, dalle quali nacque Hugo X Conte à cui succedette Rinaldo del Balzo Conte XI. Elisabetta, ò vero Lisetta fu XII Contessa d’Avellino e ultima della famiglia del Balzo”.
L’Autore del libello seicentesco ricorda anche il primo periodo angioino e aragonese. “Nel tempo che il Re Carlo II era prigione del Re d’Aragona fu fatto in Avellino parlamento di prelati, e baroni del Regno, e furono in detto parlamento creati ambasciatori Riccardo di Moblas Arcivescovo d’Otranto, e Gentile di San Giorgio al Re di Francia, perché egli mandasse loro in difesa del Regno Roberto Conte d’Artois”….
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