Un’abbazia all’origine della Fiera di Venticano
Nei tempi in cui il paese era Casale di Montefusco

L’Antica Corte Venticano di Montefusco, appartenuta a Civitate Beneventana, compare per la prima volta nella storia dopo la distruzione dell’originria Vetticano, quando venne rifondata insieme al nuovo Principato di Civitate Beneventana dal Principe Arechi II. La corte terriera di Vetticano viene citata per la prima volta come luogo esistente nella seconda metà dell’anno 700, quale bene appartenuto ai coloni del Gastaldo Radoaldo, a lui donata dal Duca Gisulfo (II).
Con questo patto di conciliazione il monastero di San Vincenzo Apostolo ottiene un castegneto, due corti e relativi servi in Patenaria, ed il monastero di S.Pietro al Monte Calvo presso Benevento. I privati si accontentano ciascuno di una corte e servi a Missano, Crissano e Vetticano. Tutti gli altri beni dell’ex patrimonio del Duca Godescalco restano al monastero di San Vincenzo Apostolo. Sentenze e disposizioni precedenti di Re Astolfo, ritenute non valide, vengono distrutte (Roma, Biblioteca Vaticana, Chronicon Vulturnense, Cod.Barb. lat. 2724, cc.116v-117v, 1130 circa (C); in Federici, Chronicon Vulturnense, I, pp.321-324, Doc.69; in CDL).
Si tratta di una charta convenientiae, l’unica di questo periodo inserita nel Chronicon Vulturnense scritto dal monaco Giovanni. La pergamena del giugno 766 è purtroppo un documento perduto (in Federici, Documenti perduti, p.127, Doc.4). Essa riferiva di un patto di conciliazione fra l’abate Giovanni dell’Abbazia altomedioevale di San Vincenzo Apostolo ed il Gastaldo Radoaldo quale rappresentante di Raduino ed Ermeperto, delle loro mogli, e della sorella Eufemia, figli di Alahis, in riferimento al alcuni beni contesi ad Isernia.
Il Duca Godescalco aveva infatti donato numerosi beni a San Vincenzo in origine destinati al monastero di S.Maria di Isernia.
Deposto Godescalco, il suo successore Gisulfo (II) aveva confiscato il patromonio di Godescalco distribuendolo ai suoi uomini. Una di queste terre aveva dato luogo alla contesa fra i nuovi proprietari, Alahis e il monastero di San Vincenzo. Lite che non fu possibile risolvere neppure al cospetto di Re Astolfo (in Pavia), fino a quest’accordo portato al giudizio del Duca Arichis (II).
…monasterii Sancti Vincentii et eius congregatio; ideoque convenit, ut pars monasterii haberet castanietum illum in Patenaria per designata loca: idest fine via puplica usque in castanietum Brincoaldi, per carrariola usque in rivo ad Caprufici signatum, et deinde erga ipsum rivum usque in finem de servi Ultiani gastaldei, et deinde per ipsos fines servi Ultiani usque in sepe Fusculi, servo Theodoracini, qualiter reconiunget in finem monasterii in integrum; simul et in eodem loco condomas duas, una qui regitur per Crispulo, Mauriculo et Maurisso germanis cum uxores, filiis et filiabus et omnia eorum pertinentia, et… Rocculo cum duos filios suos, idest Soppulo et Cisulo et noras ipsius cum omnia, quantum ad manus suas habere visi sunt in ipsum locum Patenaria; similiter et ad Monte Calbo propre civitatem Beneventanam, er(g)a monasterium Sancti Petri, qui fuit de quo(n)dam Tatuni, in integrum vineas petias duas et campora duo, unde nobis nichil reservavimus. Unde convenit, ut haberet par Raduhini et Ermeperti cum coniuges suas vel Eufimia germana eoum in primis condoma in Missano, idest Lagari et Alari seu Munulfus cum uxores, filiis et filias et omnia eorum pertinentia; condoma in casale Crissano: Maroaldus cum uxore, filiis et filias et omnia eorum pertinentia; et condoma in casale Venticano: Iubiolu, Trasoaldus, Guettulus cum uxoribus, filios et filias et omnia eorum pertinentia, qualiter hec omnia superius scripta a Godescalco duce in monasterio offertum fuerat. Reliquas vero res quoddam Godescalci, qualiter eius offertio continet, habeat pars monasterii Sancti Vincentii absque ulla contraddictione istorum vel heredes ipsarum. [….]
Questa stessa pergamena conservata a San Vincenzo è ricopiata con la data del giugno 776 con il toponino di Vetticano, ma è evidente l’errore di trascrizione.
E’ identica in quando riguarda il Duca Arechi II di Benevento nella causa trentennale fra il monastero di San Vincenzo e gli eredi di Alahis per il possesso di alcuni beni di Isernia, già offerti al monastero dal defunto Duca Godescalco e dal successore Gisulfo II confiscati e donati al suo fedele Alahis, conferma la sopraggiunta convenzione fra il Gastaldo Radoaldo rappresentante dei figli di Alahis Radoino ed Ermeperto, ed Eufemia monaca, e l’abate di San Vincenzo Giovanni I, con la quale venivano assegnati al monastero il castagneto e le due condome in Patenara, due vigne e due campi a Monte Calvo presso Benevento; e agli eredi di Alahis le condome in località Missano, Crissano e Vetticano. Cioè l’unica differenza è che anzichè trascriversi Venticano si è scritto Vetticano (Chronicon Vulturnense, I, pag.321-24).
Divenute di proprietà di San Vincenzo Apostolo rebus e condome di Patenaria, Monte Calbo propre civitatem Beneventanam e Casale Vetticano tornano in un documento databile l’anno 853 o 856 in cui l’abate Giovanni di San Vincenzo cita un precetto del Duca di Benevento e Domno Grimoaldo relativo al Casale chiamato Casa Summi scambiato con il Principe Salernitano Ademari in cambio di rebus, corte e casa in Civitate Salernitana.
I toponimi hanno già subito una sostanziale modifica in quanto Monte Calbo non si dice più nei fini di Civitate Beneventana ma in Benevento e Venticano è detta Vetticano.
Iohannes abbas Sancti Vincencii. iste preceptum accepit a domno Grimoaldo, duce beneventano, de casale, qui dicitur Casa Summi. commutacionem quoque fecit cum Ademari, principe Salernitano, de quibusdam rebus, pro quibus accepit curtem et casam, infra Salernitana Civitatem. iudicatus quoque definicionem accepit de altercacione quadam, que exorta fuera(t) de rebus et condomis in Patenaria, et in monte Calvu, propre Beneventum, et in casale Vetticano. descripciones quorum ita continere videntur (Chronicon Vulturnense, I, pag.318)..
La sottile differenza di Nova Beneventana Civitate in Monte Calvo dove è stata fondata l’abbazia di S.Sofia col monastero di San Pietro a cui si donano le chiese e le terre del Medio Calore a cominciare da Venticano del Monte Bonioli.
A tornare sulla chiesa di San Martino, costruita alla località di Monte Bonioni in Venticano dallo sculdascio Trasemundo su una sua proprietà, è una charta absolutionis del marzo 781 scritta in episcopio di Benevento con cui quel vescovo di nome Alfano gli conferma che vi può esercitare l’attività solo il prete consacrato dallo stesso vescovo, ma insediato da lui o dai suoi eredi.
E’ una pergamena che si trova in Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Chronico S.Sophiae, nel Codice Vaticano la.4939, parsI, n.21, cc.47v-48v, del 1120 circa. E’ il terzo ed ultimo documento non ducale inserito nel Chronicon S.Sophiae della prima metà del 1100. L’unico documento vescovile del periodo al punto da essere studiato dai più grandi esperti.
In nomine omini Dei Salvatois nostri Iesu Christi et eius sancte genitricis. Temporibus domni vir gloriosissimi arichis summo dux gentis Langubardorum, anno vicesimo quarto gloriosissimi ducati eius domnus vir beatissimo huius sacratissime sancte sedis Beneventane Alfanus reverentissimo episcopio absolutionem ecclesie Sancti Martini tibi Trasemundi sculdahis, qualiter tu nominate Trasemunde ipsa sepius dicta ecclesia a novo fundamine usque ad culmine (o culmen) consecrationis perducere visu his in tuo proprio territorio, loco qui vocatur Monte Bonioni (o Monsbonionis), qui esse videtur in Bentecano.
[…]
Beneventana Civitate con il primo monastero di Santa Sofia citata nell’anno 785 è presso San Martino di Venticano del Monte Bonioni, nello spicchio più estremo che giunge nel Demanio, cioè al Ponte Rotto, fra i territori di Apice, Mirabella, Bonito e Monte Calvo. Anzi, Civitate Beneventana, è già nata nello stesso luogo del Monastero di San Pietro in Monte Calbo nel 776.
Quando scompare Colle Bonioli, compare San Martino del Monte Bonioni di Venticano donato a Santa Sofia a partire dal 785. L’ultima charta offersionis del periodo in esame è dell’aprile del 785 e riguarda sempre lo sculdascio Trasemundo fu Costantino che, a causa di una malattia, offre la monastero di S.Sofia della badessa Eusoffronia, fondato in Benevento dal Duca Arichis (II), la chiesa di San Martino alla località del Monte Bonioni, che a suo tempo aveva costruito, insieme ai beni comperati da Lupone e Grisio, attrezzi ed animali, riservandosi l’usufrutto sui beni vita natural durante. Alla sua morte tutto ciò che gli è appartenuto sarà di Santa Sofia. E’ un documento su pergamena scritta intorno all’anno Mille, la nr.1, tt.1-21, conservata a Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Fondo Aldobrandini, nel Codice Vaticano la.13491.
………….domno nostro vir gloriosissimo Arichis infra hanc Beneventana civitatem edificabet, ubi Deo auxiliante Eusoffronia abbatissa regiminis cura peraget: primitus quidem offeruit in predicto monasterio ecclesia mea cuius bocabulus est Sacntus Martinus, ui situs esset noscuntur in Bentecano, quem ipse (Tr)Asendus in proprio territorio meo a noba fundamenta usque ad culmen tectis sacrationis perduxit, insimul cum casas, vineis, territoria, pratis, campis et silbis, culto vel inculto, omnia et in omnibus de quanto ad Monte Bonioni mihi pertenuit in integrum, vel quod a Lupo t Grisione filio eius in eodem loco emptum habuit, et puero nomine Marsulu cum uxore sua nomine Rattiperga et cum una filia eorum nomine Rattola, et puero nomine Caztiunu, et puero nomine Urso, et alio puero nomine Lioderamo (o Hoderamo), carro ferrato uno, vobi pario uno, caballo uno, caldaria una, catena una, sappis duas, potaturia dua, gallegas duas, arato cum homere suo, iugo conciato uno, cuniaria una, dolturia una, fressuria una, ronca una. Hec omnia que superius nominatibe scriptum est, eo tinore in ipso monasterio offeruit adque confirmavit, ut dum Dominus omnipotens mihi conscripto Trasemundi spatio vite donaverit, omnia que superius legitur, in mea sit potestate ordinandi, regndi et gubernandi, nam non me liceat in alia benerabilia loca offerendi aut per quavis titulo alienandi….
Nel marzo del 781 Duca Arechi ha rifondato l’altra S.Sofia chiamata sacratissima santa sede dell’Episcopio di S.Sofia in Civitate Beneventane. Nel 781 Arechi II è sempre Duca di tutti i Longobardi in episcopio di Benevento, da dove scrive gli atti. Atti che riguardano il nuovo episcopio di Benevento, cioè quello di Santa Sofia in Civitate Beneventana del vescovo Alfano.Uno dei suoi sculdasci è Trasemundo di Venticano nominato nelle pergamene di Santa Sofia di Civitate Beneventana nel marzo del 781, ai tempi di quello che si definisce Duca Domno Vir e gloriosissimo Arechi, al suo 24esimo anno di Ducato in un atto in cui si parla di tibi Trasemundi sculdahis scritto in episcopio di Benevento (Cod.cc.47b-48b (I, 21). -U.col.432 e seg.). Da questo momento gli atti si diranno sempre scritti in Episcopio della Sacratissima sede della Civitate Beneventana per un altro quinquennio.
A tornare sulla chiesa di San Martino, costruita alla località di Monte Bonioni in Venticano dallo sculdascio Trasemundo su una sua proprietà, è una charta absolutionis del marzo 781 scritta nell’episcopio della sede detta [Civitate] Beneventana con cui quel vescovo di nome Alfano gli conferma che vi può esercitare l’attività solo il prete consacrato dallo stesso vescovo, ma insediato da lui o dai suoi eredi.
E’ una pergamena che si trova in Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Chronico S.Sophiae, nel Codice Vaticano la.4939, parsI, n.21, cc.47v-48v, del 1120 circa. E’ il terzo ed ultimo documento non ducale inserito nel Chronicon S.Sophiae della prima metà del 1100. L’unico documento vescovile del periodo al punto da essere studiato dai più grandi esperti.
In nomine domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi et eius sancte genitricis. Temporibus domni vir gloriosissimi arichis summo dux gentis Langubardorum, anno vicesimo quarto gloriosissimi ducati eius domnus vir beatissimo huius sacratissime sancte sedis [Civitate] Beneventane Alfanus reverentissimo episcopio absolutionem ecclesie Sancti Martini tibi Trasemundi sculdahis, qualiter tu nominate Trasemunde ipsa sepius dicta ecclesia a novo fundamine usque ad culmine (o culmen) consecrationis perducere visu his in tuo proprio territorio, loco qui vocatur Monte Bonioni (o Monsbonionis), qui esse videtur in Bentecano…
Nel 784 lo sculdascio Trasemundo compra Casale de Mellito a Ponte Piano sul Calore di Venticano quando Arechi è summo dux della Gente Longobardorum da 27 anni. Qui vi costruisce o ricostruisce la chiesa di San Martino sul Monte Bonioli in Venticano che l’anno dopo, nel 785, dona alla nuova S.Sofia col nome di Corte di Trasemundo.
E’ una charta venditionis dell’aprile 784 scritta sempre in Benevento e conservata a Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Fondo Aldobrandini del Codice Vaticano lat.13491, n.1, una pergamena databile intorno all’anno 1000, rr.22-40, proveniente dall’ex archivio del monastero di Santa Sofia di Benevento (in CDL, pag.385).
Da questo documento veniamo a sapere che lo sculdascio Trasemundo, figlio del fu Costantino, compra dal gasindio Grisio del fu gasindio Lupone abitante nel luogo di Venticano, quella sua corte chiamata Mellito sul fiume Calore Tra Ponte Piano, oltre ad altre terre, di cui due situate a Caballari.
+ In nomine domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Temporibus domni nostri vir gloriosissimi Arichis summi ducis gentis Langobardorum, anno . xxvii°. filicissimi ducati eius, mense apreli, per indictione .viia. Constat me Grisio gasindium filium quondam Luponi qui fuit gastaldi, habitatore ad Bentecano, vendere atque presentis bendedi tibi Trasemundi sculdais, filio quondam Constantini, casale meum quem habere visus fui tra ponte Piano super flubio Calorem, quem dicitur de Mellito, hoc est vineas, territoria, silbis, campis, pomiferis vel impomiferis, cultum et incultum, in quanto mihi ibidem habui de Mellito in integrum, tibi conscripto (Tr)Asemundi vindedi possidendum. Simul et alia terra tibi Trasemundi vindedi, hec est petias duas, unam capiente modia sex, qui coniunctum est cum terra Aoremoni (o Aretidine), de alio latere fine da terra Raudi, et de supra fine bia publica,d einde usque in palude, unacum propri ulmi sui; ipsa alia petias coniunctam est de latere uno cum terra Aoremuni, de alio latere fine terra de fili Wilerami, de duas capite fine bie publice qui badunt ad Bentecanu. Que nominata esse videtur istas duas petias de terra in locum qui bocatur Ad Caballari, et capientem est ipsa nominata secunda petias modia nobem; et iamdicatam res quem de Mellito dicutur, coniunctam esse videtur cum rebus de filii quondam Teodoaldi; mihi de predictam rebus que superius legitur, nullam reserbabi, sed in integrum tibi conscripto vindedi possidendum. Et accepi pretium ego vinditor a te emptore meo pro ipsa mea biniditionem auri solidi Beneventani numerum trigintam; finitum vero pretium, ad a presentis dies abeas et possideas tam qui supra Trasemundus quam et filiis filiorum tuorum…..
E’ l’ultima charta offersionis del periodo in esame datata aprile del 785. Riguarda sempre lo sculdascio Trasemundo fu Costantino che, a causa di una malattia, offre la monastero di S.Sofia della badessa Eusoffronia, fondato in Benevento dal Duca Arichis (II), la chiesa di San Martino alla località del Monte Bonioni, che a suo tempo aveva costruito, insieme ai beni comperati da Lupone e Grisio, attrezzi ed animali, riservandosi l’usufrutto sui beni vita natural durante. Alla sua morte tutto ciò che gli è appartenuto sarà di Santa Sofia. E’ un documento su pergamena scritta intorno all’anno Mille, la nr.1, tt.1-21, conservata a Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Fondo Aldobrandini, nel Codice Vaticano la.13491.
+ In nomine domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Temporibus domni nostri vir gloriosissimi Arichis summi ducis gentis Langubardorum, anno b[ig]esimo octabo filicissimi ducati eius, mense aprile, per indictione .viii. Ego Trasemundis sculdais filius quondam Constantini, dum bedisset corporis meis posi[tis] in infirmitate et reiacente me in lectulo meo, dum recte loquere potuit, et a me iso eligente consilio: ideoque cum arduo adque be[ni]gno desiderio incitato Dei amore, per huius mee cartule conscriptionis offeruit atque subdedit in monasterio Sancte Suffie, ubi [m]ulta corpora Sanctorum condit[a] esse [no]sc[unt]ur, quem nominato domno nostro vir gloriosissimo Arichis infra hanc Beneventana civitatem edificabet, ubi Deo auxiliante Eusoffronia abbatissa regiminis cura peraget: primitus quidem offeruit in predicto monasterio ecclesia mea cuius bocabulus est Sacntus Martinus, ui situs esset noscuntur in Bentecano, quem ipse (Tr)Asendus in proprio territorio meo a noba fundamenta usque ad culmen tectis sacrationis perduxit, insimul cum casas, vineis, territoria, pratis, campis et silbis, culto vel inculto, omnia et in omnibus de quanto ad Monte Bonioni mihi pertenuit in integrum, vel quod a Lupo t Grisione filio eius in eodem loco emptum habuit, et puero nomine Marsulu cum uxore sua nomine Rattiperga et cum una filia eorum nomine Rattola, et puero nomine Caztiunu, et puero nomine Urso, et alio puero nomine Lioderamo (o Hoderamo), carro ferrato uno, vobi pario uno, caballo uno, caldaria una, catena una, sappis duas, potaturia dua, gallegas duas, arato cum homere suo, iugo conciato uno, cuniaria una, dolturia una, fressuria una, ronca una…..
Abbiamo la certezza che il Monastero Santa Sofia era e resterà in Beneventana Civitate negli anni a seguire (nel 817) per cui non esisterà un’altra S.Sofia oltre quest’ultima.
La Curte di Venticano apparterrà a Petrus Maripahis che, nel 817, la donerà al monastero di S.Sofia che si dirà sempre costruito in Civitate Beneventana.
Sempre nelle pergamene di San Vincenzo Apostolo ne compare una datata in Benevento nell’anno 817 (o forse 813) in cui Pietro Marepahis offre al monastero di Santa Sofia in Civitate Beneventana, la Corte di Benticano con il toponimo di Bentecano.
[A San Vincenzo sul Volturno] dona inoltre quanto è nei finibis Licinianenses: la Corte con servi ed ancelle del fu fratello di Petrus Mariphais chiamato Giovanni Lucanea con la sorte in Cameriano. Ma anche in Aquiluni presso l’altro fratello Audone in Ficiniano, Tribiliano, in Paterno(li), in Cupuli (Castelvetere sul Calore).
In nomine Domini. Undecimo anno principatus domni Grimoald, mense marcio, decima indiccione. Ideoque ego Petrus maripahis, filius quondam Vosonis, per hunc brevilegium disponere previdi, ut iustum Dei iudicium morte michi evenerit, volo ut in monasterio Beati Benedicti, situm castro Casino, eveniat inclitam curtem meam, quam habeo in macle Macie, finibus Apulee; et in monasterio Sancte Sophie, situs hanc Benevent.a civitatem, eveniat inclitam curtem meam, quam habeo in Bentecano: predicte curts cum omnibus suis pertinenciis, excepto servos et ancillas; de re vero, que fuit quondam Iohannis germani nostri, et inde disposuit, ut sorte eius, quantum ei a me et a germanis meis in Camerario evenit; et media curte mea in Aquiluni; et medietate de ipsa sorte ipsius Iohannis Lucanea, in que mihi ab Audone germano meo in sorte evenire debuit; quam et integra sorte eius in Ficiniano; et in Tribiliano; seu et medietatem de sorte eius in Paterno; et medietatem de sorte eius in Cupuli…. (Chronicon Vulturnense, pag.263).
Da allora la Corte gravitò sempre ai piedi della Montagna di Montefusco. Segue poi il documento della Collina di Leopardi che integra la res di Gualtrandi in loco Venticano fra 880 e 881
C’è un luogo Collina, nel 881, detto Collina di Leopardi e viene donato dal Principe di Benevento Radelchi II al monastero di S.Sofia andando ad integrare la res di Gualtrandi in loco Venticano (ASS in Ughelli, Italia Sacra), divenendo un bene ecclesiastico della Chiesa beneventana di Santa Sofia, in quanto res, quae fuerunt Gualtrandi, in loco Venticano (CSS, anno 881).
Questo documento è datato 880 dallo Zazo che scrive:
Ma a parte, queste o altre congetture, il più antico documento medioevale su Venticano – per quel che ne sappiamo – è del gennaio 880, quando salito sul trono di Benevento, Radelchi – figlio di quel principe Adelchi vittima due anni innanzi di una congiura – furono da lui concessi al celebre monastero benedettino di S.Sofia ob salutem anime nostre. I beni già posseduti da un tal Leopardo nella località detta Collina [Nota 4 a pie’ di pagina: A 5 Km. da Benevento: oggi S.Leucio del Sannio. – La chiesa medioevale edificata e dedicata ivi a S.Leucio, prese il nome di “ecclesia S.Leucii de Collina” (v.Meomartini, I Comuni della Prov. di Benevento, Benevento. De Martini, 1907, p.75). – La zona cosparsa di piccoli centri abitati, è indicata nei doc.medioevali anche col plurale “de Collinis”. (v.Necrologium S.Spiritus nella Bibl. Cap. di Benevento, c.30 b. – Su di una chiesa dal titolo: S.Marcello de Collinis unita al capitolo metropolitano di Benevento nel 1418, v.Sarnelli, Memorie cronologiche dei vescovi ed arcivescovi della S.Chiesa di Benevento ecc., Napoli, Roselli, 1695, p.134).] e quelli di un Gualtrando posti “in loco Venticano”, devoluti al patrimonio regio, perchè senza eredi [Nota 5 a pie’ di pagina: v.Chronicon beneventani Monasterii S.Sophiae, in Italiae sacre, t.X. Venetiis, Coleti, 1722, coll.422 e 436]. Nessun’altra notizia si sarebbe avuta sino al XIV secolo, se in seguito a mie ricerche non fossero venuti alla luce alcuni documenti, fra i quali un mutilo privilegio di Federico II del 1° febbraio 1221 che richiama una precedente concessione del 1196 fatta dai suoi “divi parentes”, Enrico VI e Costanza d’Altavilla, a Guglielmo abate di Santa Sofia di Benevento [Nota 6 a piè di pagina: Arch. Stor. Prov. di Benevento, Fondo S.Sofia, vol. 28, (II), perg. 15 e 17.]
In Samnium, Alfredo Zazo, “Per la Storia di Venticano, Ricerche e Documenti”, Anno XXVI, Napoli, Istituto della Stampa, 1952, pag.58.
Casale de Mellito e Ponte Piano sul Calore appartenuti a Venticano
Segue poi una charta venditionis dell’aprile 784 scritta sempre in Benevento e conservata a Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Fondo Aldobrandini del Codice Vaticano lat.13491, n.1, una pergamena databile intorno all’anno 1000, rr.22-40, proveniente dall’ex archivio del monastero di Santa Sofia di Benevento (in CDL, pag.385).
Da questo documento veniamo a sapere che lo sculdascio Trasemundo, figlio del fu Costantino, compra dal gasindio Grisio del fu gasindio Lupone abitante nel luogo di Venticano, quella sua corte chiamata Mellito sul fiume Calore Tra Ponte Piano, oltre ad altre terre, di cui due situate a Caballari.
+ In nomine domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Temporibus domni nostri vir gloriosissimi Arichis summi ducis gentis Langobardorum, anno . xxvii°. filicissimi ducati eius, mense apreli, per indictione .viia. Constat me Grisio gasindium filium quondam Luponi qui fuit gastaldi, habitatore ad Bentecano, vendere atque presentis bendedi tibi Trasemundi sculdais, filio quondam Constantini, casale meum quem habere visus fui tra ponte Piano super flubio Calorem, quem dicitur de Mellito, hoc est vineas, territoria, silbis, campis, pomiferis vel impomiferis, cultum et incultum, in quanto mihi ibidem habui de Mellito in integrum, tibi conscripto (Tr)Asemundi vindedi possidendum. Simul et alia terra tibi Trasemundi vindedi, hec est petias duas, unam capiente modia sex, qui coniunctum est cum terra Aoremoni (o Aretidine), de alio latere fine da terra Raudi, et de supra fine bia publica,d einde usque in palude, unacum propri ulmi sui; ipsa alia petias coniunctam est de latere uno cum terra Aoremuni, de alio latere fine terra de fili Wilerami, de duas capite fine bie publice qui badunt ad Bentecanu. Que nominata esse videtur istas duas petias de terra in locum qui bocatur Ad Caballari…
Pontepiano è un toponimo che sopravvive ancora nel 1300.
Nel 1273 Iacoba eredita dal padre Guerriero di Montefuscolo molte terre che vanno dal Castello con la Terra di Zungoli a San Pietro a Saliceto, dal Casale di San Martino a quello di Lentace, Festulari dov’è la chiesa di Santa Maria a Vico. Spicca fra essi anche il Casale di Carpignano, la valle, i castagneti e due molini a Pontepiano (Reg.Ang.1268A; Reg.Ang.3, fol.127).
Vi fu Vetticano o Venticano nel Pantano della Baronia Feniculo (di Montefusco o Villa Literno?) concesso da Enrico VI e Costanza d’Altavilla a S.Sofia di Benevento nel 1196, e il suo feudo di Gambatesa
Di Venticano si torna a parlare nel 1196 e 1221 in documenti che la considerano inclusa nella Baronia Feniculo che fu concessa da Enrico IV e Costanza d’Altavilla all’abbazia di Santa Sofia di Benevento.
Da qui la confusione se trattasi della prima Vetticano del Pantano della Terra di Laboro oppure di Venticano di Montefusco.
Il documento si riferisce a fatti accaduti nel 1196 ed è datato 1221 dallo Zazo che scrive:
Nessun’altra notizia si sarebbe avuta sino al XIV secolo, se in seguito a mie ricerche non fossero venuti alla luce alcuni documenti, fra i quali un mutilo privilegio di Federico II del 1° febbraio 1221 che richiama una precedente concessione del 1196 fatta dai suoi “divi parentes”, Enrico VI e Costanza d’Altavilla, a Guglielmo abate di Santa Sofia di Benevento [Nota 6 a piè di pagina: Arch. Stor. Prov. di Benevento, Fondo S.Sofia, vol. 28, (II), perg. 15 e 17.]
Da questo privilegio apprendiamo, pertanto, che già nel XII secolo, il monastero sofiano possedeva nel tenimento di Montefusco i casali di Venticano e di Pereccla insieme al territorio di Leoncelli. Durante il governo dell’abate Guglielmo, la Badia, a quanto pare, aveva sofferto gravi danni per la causa imperiale, ed Enrico e Costanza, in ricompensa, avevano assegnato al cenobio la baronia già di Tommaso di Feniculo [Nota 7 a pie’ di pagina: v.Catalogus Baronum in Borrelli, Vindex neapol. nobil, animadversio ecc.. Neapoli, ap.Longum, 1653, p.36] e con essa Venticano. Abbiamo sulla cessione preziose notizie [Nota 8 a pie’ di pagina: Atrch. Prov. di Benevento, Fondo S.Sofia. Platea di notizie del feudo del Covante e territori annessi, vol. XI, c.121 v. e segg.]. Nel 1196, in virtù del privilegio ora ricordato, il discendente di Tommaso, Ugo de Feniculo, si riconosceva vassallo dell’abate di S.Sofia essendosi convenuto dover possedere “dictum patrimonium, ipse et filii eius masculini sexus tantum, pro part ipsius abbatis, et praestare eidem abbati ius iurandum fidelitatis et homagii, et omni anno dare et facere cursitare eidem abbati et monasterio, palafrenum unum, valoris sex unciarum”. Ugo conservò in piena proprietà solo il “dotarius” della moglie Adelizia e i castelli di Caprara e di Torre Palazzo [Nota 9 a pie’ di pagina: Su questi due castelli, v. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento eccc.., Roma, Salomoni, 1764, II, p.241 e segg.], salvo che un nuovo rpivilegio non avesse immesso anche questo patromonio fra i beni della Badia. E pare che egli abbia mantenuto i suoi impegni, compreso quello di far scorrazzare ogni anno per la proprietà sofiana, il palafreno del volore di sei once d’oro, a lui imposto come omaggio feudale.
In Samnium, Alfredo Zazo, “Per la Storia di Venticano, Ricerche e Documenti”, Anno XXVI, Napoli, Istituto della Stampa, 1952, pag.58-60.
La località Gambatesa di Venticano
Che Gambatesa fosse poi un antico feudo di Venticano viene anche dal fatto che proprio in Venticano fu scritto un atto che parla di questo luogo. E’ il feudo di Gambatesa attestato nel settembre del 1251 in un istrumento del notaio Roberto, sottoscritto da Bartolomeo giudice di Montefuscolo in cui parecchi testimoni attestano che Giovanni de Felice, nel suo testamento, lasciò a Nicola, figlio del fu Pietro Corvo, suo consobrino, una casa in Montefuscolo nella parrocchia di San Matteo, con una vigna nel luogo detto Gambatesa, col l’obbligo di donare qualcosa ai poveri. La pergamena viene custodita a Montevergine (AMV, Vol.LXXV, fol.12).
8. I De Anglona della Baronia Feniculi, Venticano e Pereccla della Baronia di Montefuscoli, e la parrocchia di S.Ianuaro de Ventecano confusa con S.Martino sul fiume Calore oltre Ponte Arenola fra il 1225 e il 1295
Nel 1225 la Baronia di Feniculo finisce nelle mani degli eredi di Riccardo de Anglona che prestarono giuramento di vassallaggio all’abate di Santa Sofia.
Ma ecco che, trascorsi appena 19 anni, nel 1254 nacque la prima grande lite per il possesso della Baronia Feniculo quando “domina Pellusiana mater dictorum heredum” se la prese con Rogerio de Ponte per i possessi baronali di “Leoncelli et duorum casalium. videlicet Venticani et Pereccla in territorio Montefusculi”.
La seconda chiesa a comparire è la parrocchia di S.Ianuaro, cioè San Gennaro di Venticano, oggi in territorio di Pietradefusi, il cui rettore, nel 1294, risulterà essere il canonico capuano Ronaldo Pandone, quando in quello stesso mese di giugno fu spogliata di libri, arredi e campane. I documenti la citano come “Parrocchia Sancti Ianuari de Ventecano appartenuta alla Confraternita beneventana di S.Spirito (Necrologium, in A.Zazo, op.cit., pag.60).
Giunto Re Manfredi, fattosi Comite ed appellatosi Camerario, in favore del monastero, spogliò i due casali di “Venticulanum et Pereccla” (Arc.Sto.Napo; in Zazo, op.cit., pag.61).
Ed è poi sotto gli Angioini che si riparla di un nuovo espolio per la chiesa di S.Martino di Venticano “posita super flumine Caloris cum terris cultis et incultis”.
Secondo alcuni S.Martino e S.Gennaro sarebbero la stessa chiesa appartenuta al monastero di S.Sofia. Di S.Martino o di S.Gennaro, ricordava Zazo, nel 1600 non esistevano se non i ruderi “sopra un monticello di là del ponte dell’Arenola (Platea, cit., 103-4, ivi), trattandosi della solita chiesa di S.Martino ricordata nella bolla di Pasquale II, die sexto, kal, nov., 1102 (Ughelli, cito, col.492 e 495; in zazo, op.cit.).
Fino al 1308 inoltre, il Casale di Venticano, continuò ad essere conteso fra la famiglia de Sus e i monaci sofiani di Benevento.
Il Casale di Venticano si trasforma in Castrum Venticani fra 1350 e 1351 in territorio diretto della chiesa di Roma ma sempre sul confine storico di Benevento. Venticani ricompare nella storia del basso Medioevo come “Castrum Venticani”. A tirarlo fuori nuovamente dal buio è infatti una bolla di Clemente VI scritta da Avignone il 25 maggio 1350 che assegnava “Castrum Venticani” al territorio Beneventano che restava di pertinenza della chiesa, “pleno iure” (Borgia, Breve istoria del dominio temporale della Sede Apostoloca nelle Due Sicilie, II Edizione, Roma, 1789, Appendide Doc., pag.73; in Samnium, Alfredo Zazo, “Per la Storia di Venticano, Ricerche e Documenti”, Anno XXVI, Napoli, Istituto della Stampa, 1952, pag.58). Una bolla del papa Clemente VI del 1351 attesta che Castrum Venticani era sui confini del territorio di Benevento: “Castrum Apicii cum suis casalibus, Castrum Moroni, Castrum Venticani, Castra Montis Militum…”.
Venticano viene poi distrutta dagli Aragonesi fu consegnata nelle mani dell’abate di Montevergine, ingolfando i confini fra S.Sofia di Benevento e Morroni appartenuta ad Ariano
Ad ogni modo fu concessa per i meriti ottenuti a Petraccone Caracciolo, maresciallo e maggiordomo della Regina Giovanna II, imprigionato durante la guerra fra Angioini ed Aragonesi da Marino della Leonessa, da cui fu liberato dopo aver consegnato la sua Rocca di Pietrastornina quando fu costretto a cedere il Casale di Venticano a Montevergine (B.Candida Gonzaga, Memorie delle Famiglie Nobili delle Provincie Meridionali, Napoli, De Angelis, 1876, III, p.53; Vedi anche A.Mastrullo, in Zazo, pag.63).
Fu quindi l’abate verginiano Guglielmo IV del Monastero di Montevergine che vi edificò la successiva chiesa chiamata S.Maria di Venticano che prese a contrastare e ad assorbire i beni del diruto Monastero sofiano di Benevento.
La rettoria delle parrocchie di S.Stefano e della diruta San Nicola in Bonito appartenuta nel 1300 a Castro Apici e nel 1400 ad Ariano
Nel 1300 sia Bonito che Morroni appartenevano al Castro Apici. Nel “Libro delle decime” per gli anni 1308-1310, al foglio 212 n. 4728 del capitolo “In castro Apicii” si legge:”Clerici castri Boneti solverunt tar. XII” e al numero 4758:”Clerici castri Morroni solverunt tar.XII”, cioè tanto i chierici di Bonito quanto quelli di Morroni, entrambi dipendenti da Apice, pagarono 12 tarì come decima dovuta alla S. Sede.
Intanto la sede del Palazzo Vescovile fu confermata ad Ariano il 4 aprile 1488 con una bolla di Papa Innocenzo VIII il quale nomina rettore della chiesa Renzo De Rogerio, che subentra a Coluccio. La nomina era quindi papale a domostrazione che la chiesa era “libera collazione vescovile, cioè nè il clero, nè il barone hanno il diritto di presentare il loro candidato al Vescovo”.
Infatti:
“Paolo De Bracchiis, per grazia di Dio e della Sede apostolica vescovo di Ariano, al signor Renzo del castro di Bonito della diocesi di Ariano,salute eterna nel Signore. Essendosi resa vacante la chiesa rurale di Santo Stefano (ruralis ecclesia Sancti Stefani) per la morte del Signore Coluccio, ultimo ed immediato rettore, ed essendo stata a noi legittimamente devoluta (ad nos legitime devoluta), perchè a noi spetta per legge la collazione di essa (cuius collatio ad nos legitime pertinet), assegnamo questa chiesa con la terra detta “Ischitella” presso il fiume e tutte le altre terre che ad essa appartengono al predetto signor Renzo, con l’autorità ordinaria che gli spetta, con l’anello, ed ordiniamo ai coloni di dette terre di considerarlo come rettore legittimo”.
Nella Visita Pastorale del 10 maggio 1517 nel territorio bonitese erano rimaste solo le chiese di S. Angelo e S. Stefano del rettore e arciprete Renzo De Rogerio), oltre le chiese di S. Nicola e S. Giovanni dirute e unite alla chiesa parrocchiale. Alcuni beni della parrocchia furono infatti la “un pede de terra de tomola 9 sub vocabulo Sancti Stephani iuxta lo terretorio de Merrune da un lato Apice iuxta la terra de Bonito” e anche “un pede de terra a le Feletta di tomola quattro sub vocabulo sancti Nicholae circa le robe de la Corte”.
Le sorti di Casale Venticano seguono quelle della Baronia di Montefusco del 1400 poi assoggettato a Pietradefusi. Nel 1497 Federico d’Aragona aveva concesso la Baronia di Montefusco a Giovanni Borgia duca di Candia. Ma già a partire dal 1413 nelle pergamene di Montevergine compare anche Pietra de fusi (AMV, XCIC, f.219). Nel 1503, Casale Venticano che, insieme a Cucciano, Terranova, San Martino di Montefusco, Festulari, Ospedaletto e Mercogliano sono dichiarati esenti dai pesi fiscali ad istanza del cardinale di Napoli, perpetuo commissario del monastero di Montevergine (Part.Sum., vol.53, fol.62).
Nel 1507 Ferdinando Il Cattolico la donò la Baronia di Montefusco al gran capitano Consalvo Ferandez di Corduba.
Questo fino all’occupazione francese del 1528 e le ulteriori successioni. Ma le distruzioni per Venticano non erano finite. Nel 1528 ad affacciarsi sul monticello fu l’esercito francese di Lautrec, restando in piedi, secondo alcuni, solo la chiesa di S.Maria, le cui entrate furono affidate alla Biblioteca Vaticana.
Comunque andarono le cose, al capitano del Corduba successe la figlia Elvira che vendette Montefusco e i suoi Casali a Nicolantonio Caracciolo marchese di Vico per 24.000 ducati il 12 giugno del 1545.
Espropriata ai Caracciolo per troppi debiti, la Baronia, per pagamento di 30.000 ducati, passò a Federico Tomacelli che, acquistanto anche il vicino fondo del Cubante, provocò una ulteriore protesta da parte dell’abate commendatario di S.Sofia.
L’intera Baronia divenne quindi di proprietà di Fabrizio Gesualdo principe di Venosa il 21 agosto del 1589.
In questo periodo non mancano le liti per il pascolo nel feudo dei Merruni separato dalla terra di Bonito. Nel 1590 Claudio Pisanelli ricorre contro l’università di Pietradefusi che col pretesto dell’erbaggio comune con la terra di Bonito pretende esercitare il pascolo nel suo feudo di Merruni (Part.Sum., vol.1133, fol.260t).
Dopo il 1589 la Baronia di Montefusco fu sempre dei Principi di Venosa e poi dei suoi discendenti Principi di Piombino.
Il 17 dicembre 1682 G.B.Ludovisio Principe di Piombino e di Venosa vendette alla Duchessa di Flumeri, Antonia Della Marca, per la somma di 65.000 ducati, Montefusco col Passo di Dentecane.
Posseduto da Luzio Caracciolo di San Vito, nel 1722, il feudo passò poi ad un suo nipote, Nicola Maria Caracciolo, che lo cedette al Monte della Misericordia di Napoli per 145.000 ducati (in A.Zazo, op.cit.).
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