31. TAURASI. Castello di Torase confuso con Taurasia Urbe

12,00


Copertina posteriore

Il territorio di Taurasia in Samnibus: La deportazione dei Liguri di Bebio

Nella Periocha, il sommario al Libro XXXIX, Tito Livio spiega che il territorio dei Liguri faceva da divisorio fra la Via Flaminia e la Via Placentia-Ariminum. Una volta conquistato permise di giungere a Placentia velocemente, permettendo all’Urbe Roma di tradurre lussuria dall’Asiatico. I Liguri occupavano quindi l’Asiatico, o un territorio prossimo ad esso. Essi erano stanziati al di qua del terzo e ultimo tratto dell’Appennino, cioè in Appennino Citra.1
Intorno all’anno 187 a.C., i consoli guerreggiavano in Liguribus, stimolando lo spirito combattivo dei soldati. Infatti l’Asia era ricca di allettamenti, con città che permettevano abbondanti rifornimenti per via terra e per via mare, soprattutto in Thracia dove si era dato alla razzia Gneo Manlio. Nel territorio dei Liguri non mancava nulla che non incitasse i soldati: territori montuosi, vie strette per agguati che non consentivano alcuna tranquillità, con bottini scarsi: c’erano soltanto armi per compiere incursioni nelle campagne.2
Costrinse alla resa i Friniatibus Liguribus il console Gaio Flaminio che scampparono in montem Auginum fino a giungere all’altro versante dell’Appennino. Ma furono presi e le legioni passarono a combattere gli Apuani, sempre in un altri agri dei Liguri, gli Agri Pisanum e Bononiense dove furono debellati. Fu quindi tracciata una strada da Bononia ad Arretium.
L’altro console, Marco Emilio, devastò i vici dell’Agro Ligurum costringendoli ad insediarsi su due montagne: Ballistam e Suismontium, costringendo quelli dei monti a scendere a valle dove furono sconfitti ed eretto un tempio a Diana.
Sconfitti tutti i luguri al di qua dell’Appennino, si passò al cis Appennino dov’erano i Friniantes Ligures che Gaio Flaminio non era riuscito a raggiungere. Emilio ottenne una grande sottomissione facendoli discendere in pianura e togliendo loro tutte le armi. Pacificati i Liguribus erigendo un tempio a Iunoni regina, Emilio portò l’esercito in Agro Gallicum, tracciando la Via da Placentia ad Ariminum per raggiungere la Flaminia. Questi sono tutti i fatti accaduti in Liguribus in quell’anno.3
Quinto Marcio si portò in Ligure Provincia con 3.000 fanti e 150 cavalieri e coi rinforzi. Insieme al collega prese in consegna l’esercito che era stato agli ordini dei consoli Gaio Flaminio e Marco Emilio da condurre in Hispaniensis. Effettuata la leva partì per primo Quinto Marcio giungendo in Ligures Apuanos, inseguendoli in gole snascoste dove furono messi in fuga. Marcio ripartì per altra strada, ma la sconmfitta fu ricordata ai posteri col nome nuovo dato a quei luoghi dai Liguri di Salto Marcio.4
Altre notizie tristi giungevano dall’agro Hastensi dove i romani erano stati battuti dai Lusitani. In Asiam era stato spedito invece Valerio Anziate per dirimere la controversia fra re Eumene e re Antioco sconfitto a Thermopylas.
Portate a termine le operazioni di leva i consoli condussero gli eserciti in Ligures Provinciam Sempronio mossosi da Pisis fu in Apuanos Ligures devastando l’agro, castelli e vici aprensodi un salto fino al fiume Macram e al porto di Lunae facendo rifugiare i nemici sul monte dei loro antenati, costretti poi ad abbandonarlo quando Appio Claudio fu in Liguribus Ingaunis espugnando sei cittadelle.5
A Roma, all’inizio di quell’anno, il 184 a.C., quando si discusse dei pretori e dei consoli da assegnare alle province, ai consoli fu assegnato il territorio dei Ligure, unica provincia ancora in guerra. Si divisero poi altri territori i pretori.6
Il 15 marzo entrarono in carica Marco Claudio e Quinto Fabio che riferirono al senato circa le competenze. Ai consoli fu assegnata la Provincia dei Ligures, con gli stessi effettivi già agli ordini di Publio Claudio e Lucio Porcio, mentre le Extra Spagne furono mantenute ai pretori degli anni precedenti.7
In Liguribus fu poi il console Quinto Fabio senza però concludere nulla, conclude Livio il 39° Libro.8

Il libro XL contiene anche i successi ottenuti sui Liguri, come accennato nella periochea.9
Ai principi del 182 a.C. consoli e pretori si spartirono per sorteggio le diverse competenze, ma non rimaneva altro che da assegnare se non la Provincia dei Ligures.
Quinto Massimo, dal canto suo aveva inviato rapporti dal territorio degli ex Liguribus, per informare che gli Apuanos erano in procinto di ribellarsi e di occupare l’Agro di Pisanum. Anche dalle ex Hispanie. Dalla ex Hispania Citeriore era arrivata notizia che si era in armi per il conflitto con i Celtiberis, dalla ex Hispania Ulteriore, per la malattia del pretore, si erano dati tutti alla lussuria e all’ozio.
In considerazione di ciò fu deciso di arruolare due eserciti: quattro legioni da destinare al territorio, cioè in Ligures, (ognuna con 5.200 fanti e 300 cavalieri) cui si dovevano aggregare 15.000 fanti e 800 cavalieri forniti dagli alleati Latini. I consoli dovevano aggreggare altri da inviare in Gallia a Marco Marcello, al quale era prorogato l’ex comando del consolato.
Altri soldati furono arruolati per le due Spagne. A Quinto Fabio Labeone fu prorogata per un anno la magistratura in LIguribus.10
I consoli Gneo Bebio Tanfilo e Lucio Emilio Paolo ripresero la partenza nella loro provincia consolare, mentre i Liguri si portavano sull’estremo confine della Provincia Galliae dove aveva il campo Marcello per chiedere la loro sottomissione. E il Senato accolse la resa dei Liguri.11
Nessuna altra campagna vi fu in Liguribus, in quanto i Liguri si ritirarono sui loro salti. Un console tornò a Roma, l’altro svernò a Pisis.12
Le navi dei Ligurum ebbero a far lamentare i Massiliensi. Partì da Roma la difesa delle zonme costiere tenendo presente come asse mediano il Promontorio di Minerva (la Penisola Sorrentina alla cui punta c’è l’isola di Capri). Così uno avrebbe difeso la parte destra fino a Massilia, l’altro il settore di sinistra fino a Barium.13
In Primavera Luicio Emilio Paolo portò l’esercito in Ligures Ingaunos che assaltarono l’accampamento romano. Verso sera si ritirarono e Paolo inviò dispaccio al console Gneo Bebio a Pisas che avvisò il Senato. scrivendo a Marco Claudio Marcello, che era nella Provincia più prossima, per vedere se ritenesse opportuno di portare il suo esercito dalla Gallia in Ligures liberando Lucio Emilio dall’assedio. I Liguri intanto tornarono il giorno dopo, ma Emilio preferì attendere Bebio che doveva venire da Pisis.14
Occupato Marcello, i senatori proclamarono che i consoli dovevano incontrarsi a Pisas. Gaio Matierno, la cui zona si estendeva fino al Golfo Gallico, e Gaio Lucrezio organizzarono anche delle navi. Matierno doveva condurre la flotta fino alla costa dei Ligurum.15
I Liguribus, considerati ladroni, erano pronti ad attaccare, mentre i romani si organizzavano.16
I Ligurum avevano due accampamenti al di qua, cis monte dai quali uscivano con la speranza che i nemici non sarebbero riusciti a dispiegare il loro schieramento fuori del vallo, venendo all’attacco disordinatamente. Non tardarono ad essere presi in un’imboscata e ricacciati nei loro accampamenti. Tre giorni dopo tutti i Ligurum Ingaunorum consegnarono gli ostaggi e si arresero. Furono catturate anche le loro navi lungo la costa, la ora Ligustina. I romani avevano avuto la vittoria.17
Il proconsole Lucio Emilio Paolo celebrò il trionfo sugli ex Liguribus Ingaunis facendo sfilare il corteo con 25 corone d’oro, ponendo davanti al carro molti capi Ligurum. La gente Ligurum chiedeva ora la pace tramite gli ambasciatori.18
Il senato dispose che la Provinciam Ligures divenisse zona di operazione di più consoli: ad Aulo Ostilio toccò la pretura urbana, a Tiberio Minucio la giurisdizione delle cause, etc.19
I consoli decisero poi di portare guerra agli Apuanis Liguribus. A Publio Cornelio e Marco Bebio fu prorogato il comando con l’ordine di controllare le zone di operazioni fino all’arrivo dei consoli. Un altro era l’esercito romano che già si trovava e controllava il territorio in Liguribus.20
All’inizio di Primavera, Publio Cornelio e Marco Bebio, che nel loro consolato non avevano fatto nulla degno di nota, condussero l’esercito in Apuanos Ligures.21
I Ligures, prima che i consoli arrivavano in Provincia, non si aspettavano di dover riaprire le ostilità. Cornelio e Bebio decisero di farli scendere dall’ex agro campestre dei monti, per chiduere definitivamente le ostilità con i Ligustini. I Romani possedevano una porzione di agro pubblico in Samnitibus, che fu dei Taurasinorum. Lì intendevano tradurre i Ligures Apuanos. Bandirono quindi un editto obbligandoli a scendere dalle montagne, con mogli, bambini e beni. I Ligures scongiurarono più volte Bebio e Cornelio e non farli lasciare i loro Penates, la patria, i sepolcri, impegnandosi a consegnare armi e ostaggi. Non avendo risorse, a risposta negativa, non gli restò che accettare l’editto. E a spese dello stato furono trasferite 40.000 persone (quadraginta milia) e assegnate 150.000 libbre d’argento per le nuovi sedi. Alla divisione e all’assegnazione dell’agro provvidero gli stessi Cornelio e Bebio. Riportarono quindi a roma il vecchio esercito che stava in Liguribus. Furono i primi a celebrare un trionfo a Roma senza aver combattuto alcuna guerra.22
Due consoli fecero entare i loro eserciti in Ligures dalla parte opposta. Postumio sui monti Ballistam e Letum sbarrando il salto e impedendo il rifornimento diretto ai Liguri dopo averli privati di ogni cosa. Fulvio portò il suo attacco partendo da Pisis agli Apuanos Ligures che abitavano lungo il corso del fiume Macram accogliendo la resa di 7.000 uomini che imbarco verso l’Etrusci Maris trasferendoli a Neapolim. Da qui furono tradotti in Samnium dove ebbero un ager fra i loro connazionali. Aulo Postumio tagliò le vigne dei Montanorum Ligurum e ne bruciò le scorte di frumento, finchè non si sottomisero. Postumio avanzò anche con le navi per una ricognizione sull’oram, cioè la litoranea, il litorale dei Ligurum Ingaunorum e Intemeliorum. I duec onsoli raggiunsero l’esercito che era a Pisas, in precedenza comandato da Aulo che era a Placentiam. Censurato dal senato, Marco Fulvio fu relegato a Ultra Novam Carthaginem in Hispania.23
Quinto Fulvio, partito per raggiungere il territorio in Ligures, trasferì l’esercito attraverso il Monte Ballistae vincendo e occupando gli accampamenti Si arresero 3.200 nemici e tutta la Regio(ne) Ligurum, trasferendoli in pianura, facendo giungere a Roma il rapporto dalla ex Provincia. In Liguribus, l’altro console, Lucio Manlio, non fece nulla.24
Uno dei due consoli, Quinto Fulvio, celebrò il trionfo sugli ex Liguribus.25

Description

I discendenti di Taurasia in Samnio: La città del 280 a.C. confusa con Torino

La questione relativa alla città di Taurasia dei Campi Taurasini è un po’ simile a quella del territorio di Caudium delle Forche Caudine (o Phorche Caudinae) che tutti cercano in Valle Caudina e nessuno trova, perchè sono rappresentate dall’intera catena montuosa del Partenio, appunto ancora oggi dette Phorche di Avella, che termina nello stretto di Barba, fra Torrioni e Prata. Taurasia viene da tutti ricercata in territorio di Taurasi, mentre in realtà appare nella Valle di Taurano. Alle pendici di Montaperto e Taurasi sarebbe invece stata tradotta una colonia romana dei Tauri, da cui sarebbe nato il Castello di Taura (o Tora), abitato dai Taurii, cioè dei Tauraji, malamente tradotta nelle pergamene come Taurasi, errandosi la lettura della “j” in “s”, cioè a Prata, essendosi esteso il nome di quel tenimento.
Tauràsia, cioè Taura, era il capoluogo della piccola ma fertile regio romana di Asia (da non confondersi con la grande provincia dell’Asia). I campi di Taurasia furono teatro di lotte passate alla storia, come quella fra Pirro ed i Romani del 275 avanti Cristo. Altri la ricordano anche per l’invasione di Annibale, nel 215 a.C..
Quando a Tauràsia furono trasferiti 40000 coloni apuani, fanciulli e donne comprese, sconfitti da C.P.Cornelio e M.Bebio, i consoli che comandavano l’esercito Romano le mutarono il nome. Lapidi, sepolcri, ruderi e monete ritrovati nel territorio dell’attuale Taurasi non conefrmano affatto un collegamento con Tauràsia, ma solo con una antichità più recente legata per certo alla Fossa Eclana delle Forche Caudine, oltre che alla via Appia Antica di cui ancora oggi si conserva un ponte sul Calore. Gli scritti di Tito Livio e Plinio, infatti, nella realtà concreta dei fatti, non hanno alcun riscontro concreto con Taurasi.
Si fanno forza su questo gli studiosi degli ultimi anni che, sfidando le brevi note dei primi traduttori del 1800, ormai sparano fandonie a zero collocando Taurasia nientemeno che a Torino, ritrovando in quel toponimo l’origine della città. Anche se la radice torna ovviamente al “toro” è impossibile identificare Taurasia con Torino, cullandosi su altri riferimenti ai Liguri Bebiani o a Genua.
Nella realtà dei fatti le, Colonie Apuane di Bebio e di Cornelio, portate a Tauràsia, pur non ricadendo nel territorio di Taurasi, sono ben identificate in successione nel Sannio Antico da tutti gli studiosi più accreditabili.
Scipione fu in Etruria, la capitale della cui dodecapoli era stata Capua, e da lì prese infatti in successione Taurasia, Cisauna e Samnio, e poi Lucania (Elogium), con Fulvio che ebbe vittorie in Etruria e Samnio (Act. Tr.). Fulvio si diresse poi a Boviano e Aufidena in Sannio. Taurasia in questo caso non appare una città, ma l’intero territorio dei Tauri di Taurasia.
Tesi un po’ discordanti quelle relative alla paternità delle singole conquiste, ma che comunque tolgono a Torino ogni illusoria identificazione con il territorio del Piemonte. Ipotesi che cade nel vuoto leggendo il testo in latino dell’epigrafe ritrovata sulla tomba di Cornelio:

Cornelius Lucius Scipio Barbatus, Gnaivod patre | prognatus, fortis vir sapiensque, quoius forma virtutei parisuma | fuit, consol, censor, aidilis quei fuit apud vos. Taurasia, Cisauna | Samnio cepit, subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit.
Illusioni che crollano definitvamente riportando il testo originario trascritto dall’università di Oxford dove non compaiono le virgole e Taurasia, Cisauna e Samnio vengono esattamente identificate come tre città prese una dopo l’altra da Cornelio Lucio Scipione Barbato che certo non poteva essere in Piemonte:

[L. Corneli]o Cn. f. Scipio
Cornelius Lucius Scipio Barbatus Gnaivod patre | prognatus forits vir sapiensque quoius forma virtutei parisuma | fuit consol censor aidilis quei fuit apud vos Taurasia Cisauna | Samnio cepit Subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit.

Qualcuno lo ha già chiamato il “Mistero Di Scipio Barbatus”. Il riferimento è proprio all’epigrafe ritrovata nella tomba dei Corneli Scipione, una delle famiglie più importanti di metà di Repubblica. In esse vi è un certo numero di sarcofagi elebato sui quali sono riportate iscrizioni commemorative. Alcune scritte, precedute da lettere sottostanti, appaiono aggiunte in una data ulteriore. Uno di queste è quella che appartiene a L. Cornelius Scipio Barbatus, datata generalmente al secondo secolo a.C., dove si dice che abbia preso Cisauna, Taurasia e Samnium, sottomesso tutto la Lucania ed abbia tolto gli ostaggi. Presupposti generali per far dichiarare agli studiosi che si tratti della tomba del Console che effettuò operazioni militari nel 298, insieme al collega Cn. Fulvius Maximus. Il sarcofago indica che Barbatus ha intrapreso la guerra contro Samnium e Lucania. Purtroppo altre sorgenti non sono conconrdi. Livio dice che mentre Barbatus era in Etruria, Fulvius aveva avuto Samnium come sua provincia. Ancora il Capitoline Fasti dall’età di Augustus assegna a Fulvius un trionfo sopra sia il Samnites che Etruscans e non accenna affatto a Barbatus. Le varie prove vanno indicando che le famiglie nobili hanno registrato le attività pubbliche dei loro antenati in seguito e che quindi questi record risultano spesso inesatti in quanto tramandati per via orale e poi trascritti. È quindi possibile che la tomba riferisca in modo errato le gesta dell’avo.

Questa spiegazione risulta maggiormente credibile se si considera che l’iscrizione sarebbe stata aggiunta in una data successiva (Roman Conquest of Italy / Provides the history of the three Samnite Wars and the gradual conquest of the entire Italian peninsula by Rome./ Directory Match: Roman Expansion ).

Come se non bastasse vi è anche chi, non contento delle follie torinesi, ci mette un tocco di colore portandosi Taurasia in Calabria, in provincia di Cosenza. Anche qui l’ignoranza è spaventosa. Ignari del fatto che i romani non si sono mai sognati di modificare alla rinfusa i nomi delle città: o li univano prendendo l’inizio della prima parola e la fine dell’altra, o li lasciavano immutati, o li modificava no in colonia col nome del Console. Appare quindi fantasiosa la trasformazione di Taurasia in Tarsia (Cs), quando nel sito ufficiale della Provincia di Cosenza di scrive che Tarsia “si vuole che fosse l’antica Taurasia o Caprasia chiamata poi con l’attuale nome in omaggio alla famiglia Tarsia che l’aveva infeudata”. A ragione, invece, si aggiunge in seguito che “altri ritengono che furono gli stessi Tarsia che la fondarono ai tempi normanni”.
Con sempre maggiore convinzione, cioè, storici locali, ritengono sia stata l’antica Caprasia, un villaggio che, in prosieguo di tempo, venne chiamato Tarsia, proprio come l’omonima famiglia cosentina che vi ebbe titolarità feudale. E ancora, scrivono che “presso la stazione ferroviaria, nel 1886 sono emerse vestigia dell’età classica forse appartenenti alla già citata Taurasia. In località Mandoleto, tra i vari reperti archeologici, è stata ritrovata una statuetta di Hirakles e un notevole pythos frammentario ionico-arcaico, decorato a rilievo su cui è riprodotto il mito di Eirakles e Pholos, ascrivibili al VI secolo a.C. e tuttora custodito al Museo Civico di Crotone”.
La confusione sulle conquiste romane regna sovrana se si tiene conto delle citazioni storiche come l’Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae (Firenze, 1965), 178:

Taurasia, Cisauna / Samnio cepit, subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit.

[16] See S.M. Goldberg, Epic in Republican Rome (Oxford 1995) 78-79. Cf. Cicero Fam. 2.10.3, a parody of the military bulletin, and Julius Caesar’s famous “veni, vidi, vici”, uttered in 47BC after his victory over Pharnaces. The aphorism was inscribed on stone and carried in the triumphal procession: see Suetonius Divus Julius 37.2, Appian BC 2.91, and Cassius Dio 42.48.1. Note the plain style of Scipio’s elogium in A. Degrassi (ed.).

La deportazione dei 40.000 Liguri a Taurasia, in un territorio confiscato agli Irpini a conclusione della guerra di Pirro ci riporta a Tito Livio con “ager qui Taurasinorum fuerat” (XL,38) e alla “Taurasia” del CIL (2,2,6,7) che quasi tutti gli studiosi collocano nella zona di Circello, cioè a Nord di Benevento, come ricorda Antonio Salvatore (in “Aeclanum, mille anni di storia irpina, Edizioni L’Amico del terziario, Foggia 1982”).
Tutto a sostegno di Taurasia=Taurasi si è invece schierato D.Silvestri (D.Silvestri, Taurasia, Cisauna e il nome antico del Sannio, in “La Parola del Passato”, XXXIII, 1978, pp.172-180), ma con congetture del tutto filologiche.
Nel CIL (CIL, IX,1085) si legge:
M(arcus) Vergilius, C(aiae) l(ibertus), / Gallus, aug(ustalis) / quinq(uennalis).
Tradotto in: Marco Virgilio Gallo, liberto di Caia, augustale quinquennale. Il prenome della donna è generico e determina l’appartenenza di Gallo ad una donna della gens Virgilia.
Epigrafe che il Mommsen non vide di persona in quanto ricopiata dal Dressel, ma pubblicata invece dal Guarini che, avendola vista, la riportò nella forma corretta della “C” capovolta di “Caiae” e non di “Cai”.
Nel testo del 1656, Bellabona, scriveva che l’iscrizione era presso la chiesa parrocchiale di Taurasi. Errò il Lupoli dicendo che si trovava a Frigento messo all’indice dal Guarini. L’iscrizione si trovò sempre a Taurasi fino a quando non fu portata nei giardini del Museo Irpino orsono qualche lustro, catalogata col n.29.
Secondo il Di Fronzo il territorio di Taurasi, unitamente a quello di una ventina di comuni, per un totale di 700 chilometri quadrati, apparteneva all’antica Eclanum, da Volturara a Sant’Agata di Puglia (P.Di Fronzo, Breve storia delle Diocesi dell’Alta Irpinia, Lioni 1971). Idea ovviamente fantastica, in quanto sono almeno una decina le città romane in 700 chilometri.
Il territorio di Taurasi è sicuramente interessato alla dominazione Romana, per via del ponte che si trova presso la stazione ferroviaria, oggi chiamato Ponte Sant’Anna, a testimoniare la presenza di una strada romana che da Avellino porta verso Eclano (Avanzi di una costruzione rurale di età romana, ponte romano sul Calore e tratto di una via romana, in NS, XXVI, 1901, pag.333-336).

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Bascetta

Editore

ABE Napoli

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Editorial Review

Taurasi nel Bosco di Coriliano: Torgisio e la Contea di Montaperto

Solitamente i monaci che vissero da queste parti intorno all'anno 1000 d.C. erano liberi di eleggersi l’abate del loro monastero, in seguito pare però che non fu più così. A San Vincenzo, per esempio, viene spedito il domino ecclesiastico Ambrogio Auteperto che sarà anche il primo cronista dell’abbazia di San Vincenzo, oltre che signore di quella terra. Autperto è un uomo di chiesa inviato dai francesi a gestire il territorio divenuto franco-longobardo entrando direttamente anche nella stessa comunità monastica e divenendone quindi egli stesso abate pochi mesi dopo, dal 777 al 778. L’abbaziato di Autperto durerà giusto un anno, prima di essere dimesso, dal 777 al 778. Morirà tre anni dopo. All’arrivo di Autperto, che ha scritto tutte le notizie che ricaviamo sui tre santi rifondatori Patone, Tasone e Tatone, San Vincenzo viene dunque assoggettato al dominio del nuovo signore ecclesiastico della Terra di San Vincenzo presso il Monte Cora che si rivelerà essere nella zona di Prata.
Sul frontespizio di una delle prime opere di Autperto è scritto: “Incipit expositionis Autperti presbyteri de lectione evangelii secundum Matthaeum, qua Dominus in monte coram tribus discipulus transfiguratus perhibetur”. Quindi Autperto, prima di diventare abate-domino nel 777-778, era già dominus, cioè feudatario, della Terra di San Vincenzo, intorno alla quale, data la sua religiosità di professione, predicava il Vangelo di Matteo esattamente con i tre discepoli Patone, Tatone e Tasone, che ivi aveva trovato nell’abbazia, in questo feudo del Monte Coram presso Prata. Che Autperto fosse diventato e poi rimasto abate-domino della Terra di San Vincenzo è attestato anche nel titolo di un’altra omelia da lui scritta, quella sulla Purificazione: “Sermo de lectione S.Evangelii editus a domino Auberto presbytero atque abate in Purificazione S.Mariae”.
Il monte Coram dove ha il dominio Autperto, a San Vincenzo, è lo stesso Monte Cora che ritroviamo come luogo di confine del guastaldato beneventano di Furcolo, fra il casale Caramano e Villa Maina, dopo essere passato per il Casale del monastero di San Pietro. Villa Maiorana e Caranni sono ancora oggi due frazioni di Montorsi. “...fine pede de monte qui dicitur Cora et rebolbente per pede de eodem monte usque in loco qui nominatur Finita et ab inde trans ipsa strata maiore directum per via illa qui descendit ad ipse Plancelle...” (BAV, Vat.lat. 4939, ff. 116r-116v in Bove, Partenio, pag.15).
Il monte ha mantenuto il nome quindi fino al Basso Medioevo. Anche Pietro Piperno, nel suo “Il noce di Benevento” edito nel 1640, descrivendo i confini del territorio di Benevevento, parla del Monte Coro: “Dalla parte occidentale e di Coro vaghissime pianure e deliziosi colli di San Vitale e Francavilla”. E’ Francavilla, la Villa dei Franchi, Villa Maiuri di Montorsi oppure la villa dei Franceschi di San Leucio? Lo stesso aggiunge poi “per la via che da Benevento tira in Puglia verso Coro” (Piperno, Il noce, 1640).
Il bosco del Monte Cora non potè che chiamarsi Corigliano. Non prima del 1097, dalle nostre parti, c’è un bosco di Coriliani, dove esercitavano usi civici Altrude (Tassone), contessa del Castello di Montaperto (De Lellis, 1097), Jacopo Greco, Hugo de Grosso e il figlio Mattia (De Lellis, 1100). E Corigliano è il nome di parte di un grande bosco che ancora oggi esiste nell’attuale Taurasi.
C’è anche un luogo, in una pergamena beneventana di San Vittorino, “dicto Monterone, ubi proprie Curiliano dicitur”, donato nel 1016 da Flaviam, moglie del fu Madelfridi Comitis (San Vittorino, Museo, pag.31). Un conte Madelfrido fu conte Adelferio era ancora vivo nel 1038 ed aveva il comando allorquando alcuni territori di Vico Pennole sono posseduto. Monterone è sicuramente anche una contrada di Fragneto Monforte e di San Giorgio del Sannio. Ma quella del 1016 appare proprio di San Giorgio, come conferma il Catalogo dei Baroni che afferma Monteronem, parlandone subito dopo di Ferraram, MontemCalvum e Genestram, che è tenuta dal Comes Rogerius Bonialbergi (CBJ, 344), che ha in demanio le terre beneventane di Apice, e ha affidato Monterone a Goffridus filius di Pagani di Montisfusculi (CGJ, 352).
Il Bosco di Coriliano dove ritroviamo Taurasi finì col ricadere nel guastaldato di Montaperto, a sua volta appartenuto all'Abbazia di Cava.
In un documento dell'anno 979, pur parlandosi di altri fondi cavensi di questa zona, non si fa accenno a San Pietro in Delicato. L’abbazia di cava affidava, nel 979, dei fondi ad Ademario fu Sassi (o Sassone) e Diletto fu Lupi di Montaperto, confinanti con quelli di Dauferio figlio di Leone, con la fontana d’acque minerali detta "rebolbente" e con Aldo figlio di Orso. Ciò significa che San Pietro in Delicato potrebbe essere nato dopo il 979, tra il 979 e il 1088, quando il distretto di Montaperto e quel lembo di terra del fu Delicato passarano dal Principato Citeriore di Salerno, a quello riunito di Capua e Salerno, una volta scacciati i Bizantini ad opera del Principe di Salerno. Poi, comparsi sulla scena i principi Landolfo e Pandolfo, si riuscì a riunificarne addirittura tre: Benevento, Salerno e Capua erano un solo territorio dei principati riuniti.
San Pietro quindi, era sito in distretto (acta, iudicaria o guastaldato che sia) di Monte Aperto, ricadente a quei tempi (1088) nel Principato Salernitano, ove era stato redatto l'atto, come conferma anche la lettura delle pergamene fatta da Musto.3
Non è difficile immaginare che una chiesa altomedioevale di tale importanza si possa identificare nientaltro che con le paleocristiane scoperte ai piedi di Montaperto, cioè a Prata e Pratola.
In quel gradino o poggetto che ricorre a piè dell'abside mi sembrava vedere un presbyterium, e nella nicchia, ove poscia fu dipinta la Vergine orante, il luogo della sede del vescovo (Taglialatela, Dell'antica, 1878). Taglialatela aveva proprio ragione. Ed è a Prata, tra Abellino e Trasmonte appunto, che affiorano i resti di un’antica città, dove c'era proprio un vescovo.
Nel 979 in Monte Aperto abita Ademario figlio di Sassone afferma una pergamena dell’abbazia di Cava (CDC, 979).
Nel 1008 Montaperto è un loco dove si scrivono gli atti (De Lellis) di Cava relativi al monastero di San Pietro. Il luogo dove si scrivono gli atti è sempre una sede, un palazzo, principale o subordinato che sia.
Prima del 1047 la Contea di Monte Aperto appartiene al Conte Tassone. Nel 1047 Monte Aperto era ancora longobarda sotto la contessa Altrude, “domina et rectrix”, figlia del Conte longobardo Tassone.
Nel 1047 il conte di Ariano è Eriberto il quale, sposando la contessa Altrude estende i territori fino al Sabato (Musto, Montis).
Ma nel 1047 (o 1097?) Monte Aperto è una Contea a sè, sotto Altrude “domina et rectrix”, allorquando essa dona all’abbazia di Cava la chiesa di San Nicola in Cibaris, chiesetta in territorio di Montaperto.
La seguiva Torgisio di Montemiletto donando nel 1101 due terre in località Cerbaro (Cervaro è un terreno del priorato di San Leonardo di Av dopo il 1150, come sostiene Bove) all’abate Machenolfo, sempre della Trinità di Cava e, nel 1113, venivano donati anche gli uomini dei casali di San Mauro, Fiumicello (Fiumitiello è frazione di Manocalzati) e Marittima nel Cilento.
Torgisio di Montemiletto, secondo recenti studi, parrebbe essere proprio Torgisio di Taurasi.
San Mauro è nel Comitato del Monte Caveoso (CBJ, 135).Santo Mauro, confinante con Santa Maria de Pau (CDV, 1170). Pau è un casale importante (nel 911) nella storia di Nocera (Annalista), che nel 963 appartiene all’abbazia di Cava (CDC). E' LaPio col casale di Campomarino?
Non prima del 1097, da queste parti, nel bosco di Coriliani, esercitavano usi civici la contessa Altrude di Montaperto (De Lellis, 1097), Jacopo Greco, Hugo de Grosso e il figlio Mattia (De Lellis, 1100).
La Contea di Ariano e la Contea di Montaperto passano in eredità al figlio del Conte Eriberto e della Contessa Altrude, Giordano, che diventa conte della grande contea di Ariano che possiede diversi castelli, come Montemiletto e Montaperto, estendendo i confini fino al Sabato, e dona terreni a Santa Sofia di Benevento.
1079 Girardus è Comes (di Ariano?) ha due figli: Eriberto e Roberto (Prg n.166, Archivio Santa Sofia).
I Conti Eribbertus e Rubbertus fratelli sono figli a Girardus de Alipergo e Comitissa Adelizia.
Nel 1100 il Conte (di Ariano?) è il figlio Erberto o Eribbertus, fratello di Conte Rubbertus (è Conte di sicuro nel 1100 (Prg n.167, Archivio Santa Sofia).
Nel 1112 il figlio Conte Giordano è il padrone assoluto della Contea di Ariano (Prg n.169, Archivio Santa Sofia).
Giordano entra in guerra con Guglielmo duca di Puglia.
Nel 1119 Monte Aperto e Monte Miletto furono dati alle fiamme.
Di sicuro a quei tempi Taurasi appartenne ad un feudo che ebbe altro nome da ricercarsi, con ogni probabilità, fra i feudi di Ugo(ne) Marchese figlio di Acti descritti dal Catalogo dei Baroni, affidati a Mateo figlio di Justasine, fra cui compaiono Civitate Campi Marini (zona Lapio), Casale Mirabellum (Mirabella), Castellum Jonathe, Fontem Sanam, Roccam Sassonam. E' però difficile allo stato delle ricerche identificare il feudo di Taurasi nella prima parte del Catalogo, cioè identificando il primo feudatario del territorio, ma non impossibile sviluppando i dati provenienti dai Casali e i toponimi relativi all'intero territorio.
Più facile l'identificazione nella seconda parte, quando si accenna al grande feudo dei figli del Domino Mathei de Sancto Acapito che posseggono Civitellam de Geldone, Gibiczam, Quadranum,Goffianum, Bisacciam, Alexina, Percina, Ripaltum, Casale Sancti Trifonis, Sant'Agata, Castellionem, “Letterem Sancta Sophiam in Marmore di Muro, Planctano, Pulcino, Nuscum, Montellam, Olivetum, Bersentinum, Vulturariam. A cui appartennero i territori di Montem Apertum, Castellovetere, Torasium, Sanctum Felicem, Cursanum, Tropaldum, Melitum.
Nel Rescritto di Carlo II d'Angiò, spedito il 9 agosto 1299 a Gregorio Filomarino, Giustiziere del Principato Ultra, sono elencate le Terre che erano nella provincia di Ultra Serra, comprendente, in pratica, la maggior parte dei paesi che fanno parte delle odierne Province di Benevento e di Avellino:

Nomina ergo terrarum et locorum quae tuam ultra serras provinciam sapiunt, et distinguunt sunt hae, videlicet. Consia, Calestrum, etc fino ad arrivare a Castellum vetus (Castel Vetere sul Calore), Petra Aczardi (Chiusano, anzi località Lomone di San Mango detta Castello Azzardi), Tuppanum (Poppano di San Mango Sul Calore), Taurasium (Taurasi), santa Maria del loco sano (Luogosano), sanctus Angelus ad escas (Sant'Angelo all'Esca), paternum (Paternopoli), fontana Rosa, Gisualdum (Gesualdo), etc etc.

Di sicuro Taurasi fu poi feudo dei Filangieri e dei Latilla col titolo di marchese di Taurasi. Ma già siamo ad un periodo del feudalesimo ormai avanzato. Ma prima di tutto questo, dalle pergamene custodite nell'abbazia di Montevergine, possiamo ricavare un quadro più completo di ciò che fosse il territorio di Taurasi fra il 1100 e il 1200.