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SULLA VIA CAMPANA DI NOLA…
Un mago dalla cui testa escono a sorpresa sempre idee nuove. Così può definirsi Arturo Bascetta, attento studioso della storia e delle leggende della Campania, che riesce ogni volta a meravigliare con proposte che lasciano il segno per la loro validità e modernità.
Cent’anni di storia delle trattorie non è una trattazione qualsiasi dato che valorizza, tutela, conserva, rispetta quella parte delle tradizioni legate alla gastronomia, al buon mangiare, al bere bene.
E’ una rivisitazione culturale ed attuale in un momento in cui si è alla ricerca di tutto ciò che è genuino ed autentico, di quel retaggio della gens irpina che ha segnato il passato anche recente.
Le trattorie hanno goduto, presso di noi, di significati che vanno molto al di là del semplice ristoro. In particolare di valori di socialità e di libertà dal lavoro duro ed alienante, dalle situazioni di disagio, da una vita di stenti. E, ad un certo punto, luogo di incontro dove a tavola, in un ambiente sereno e rilassato, dimenticare guai e vita grama.
Parafrasando quanto dice Cesare Pavese nel “mestiere di vivere” si può anche affermare che la trattoria è stata “una difesa dalle offese della vita”.
A questo ha pensato Arturo Bascetta. Ma anche agli antichi sapori, alla esistenza calma di un tempo, alla dimensione davvero “umana” di vita dei nostri avi. Un pensiero al passato ed il rifiuto, sottinteso, di un mondo frenetico, in continua corsa, di tutti in lotta contro tutti.
Di queste trattorie, di queste presenze, ombre di un passato che si vorrebbe ancora presente, esistono poche tracce. Da qui una ricerca che porta il segno di riscoperta di valori di cui si sente la mancanza.
Oggi il ristoro viene trovato nel “ristorante”, freddo e asettico, ove si consuma il solo rito del cibo. Pochi sono i locali che hanno conservato l’atmosfera magica della vecchia trattoria, intesa quasi come “una seconda casa” ove mangiare e bere in armonia con gli amici o festeggiare le ricorrenze più care.
Si assiste, così, alla proposta di menù assurdi e commerciali, del tutto lontani dalla cucina tradizionale o una triste parodia di essa. E che dire degli accostamenti fra il cibo e il vino con la totale ignoranza di quanta pericolosità all’olfatto e al gusto ne può derivare dalla scelta di un vino non adatto? Vino che è stato compagno da sempre del cibo diventando, poco alla volta, una bevanda da assaporare con gusto, riconoscendovi aromi, profumi, bouquet e la capacità di chi ha saputo suscitarli, mettendo a frutto le qualità naturali dell’uva.
William Shakespeare, nell’Otello, affermava che “il buon vino è giovane creatura se ne cogli lo spirito”. Ed oggi la tendenza è di cogliere questo spirito, bevendo meno, con più gusto e qualità. Ma dove? Non certo in quei ristoranti dove la “carta dei vini” troppo spesso è una cosa oscura e sconosciuta, dove si consumano “vini della casa” pessimi e serviti ancor peggio.
Il meno che possa capitare è vedersi servire a tavola un vino rosso tirato fuori dal frigorifero, freddo o ghiacciato. La cultura dell’uomo irpino, intrisa e nel contempo avida di eteree succosità, non trova linfe nelle ombrose trattorie nè indugia più sugli splendori della propria cucina.
Tutto è perduto, allora? Non sembra, perchè, come afferma tra le righe Arturo Bascetta, oltre alle trattorie storiche, in Irpinia le aziende agrituristiche hanno i numeri per succedere alle antiche trattorie. Esse si propongono, infatti, con scelte di menù tradizionali e con l’uso di prodotti dell’azienda, in una atmosfera ove giocano un ruolo primario la pace e la tranquillità dell’ambiente campestre oltre che la sana accoglienza della famiglia colonica.
Se uno solo dei lettori partirà in questa ricerca, Arturo Bascetta avrà aggiunto un altro tassello alla riscoperta delle nostre radici di uomini della Verde Irpinia.
Prof. Carlo Laudadio †
Scuola Enologica di Avellino
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