Il territorio venticanese nel periodo romano. La famiglia Cethegi della Gens Corneliana di Eclano
I monti campani dell’Appennino Napoletano, secondo il testamento di Heracli Siracusano, sotto il nome di provincia di “HS”, erano appartenuti ai Sicani Siciliani stanziatisi nel Golfo, allorquando combatterono Cuma. Durante le guerre puniche anch’essi vennero conquistati dai Romani e divisi in due sottoprovince: Picentina dell’ex Picentia e Veleiate dell’ex Veleia.
Infatti, durante la II guerra punica, diversamente da Paestum e Salerno (Oppido Taurento), Picentia si schierò a favore dei Poeni di Annibale Barca detto Il Cartaginese. Quando questi fu sconfitto Picentia fu distrutta ed i suoi abitanti sottomessi.
La provincia che anticamente era stata dei Sicyliani poi detta Picentina fu quindi occupata dai veterani Romani che se la divisero sulla carta in fondi da far coltivare agli schiavi riuniti intorno a delle ville rusitiche. Ogni veterano ebbe un fundum. Su ogni fondo, prima dell’eventuale accorpamento, nacque una villa.
L’Appennino del Beneventano appartenne quindi all’Ager Veleiate, l’Appennino dell’Avellinese si ritrovò in Ager Picentino.
Non c’entrano quindi con la storia dell’attuale Irpina le Colonie di Liguri deportati altrove da Bebio e Cornelio, cioè nei tre agri in cui fu diviso il Sannio Antico (Campi Flegrei o Taurasini, Campi di Laboro e Alifano).
Si affaccia invece un’altra verità, seguita all’annessione della Sicilia come provincia dell’Impero: quella di coloni siciliani fatti sbarcare dai Romani nell’ex Lucania di Paestum, facendo nascere i due agri della nuova patria di Sicilia, futuro Cilento, che si estesero oltre i Monti Picentini coinvolgendo molti paesi dell’avellinese. Su questi territori incolti sarebbero poi nate nei primi secoli le ville rustiche dei veterani e poi le prime celle delle abbazie dell’Alto Medioevo, cioè delle aree agricole circoscritte di proprietà dell’ordine religioso che vi erige un’omonima chiesa che lo rappresenta.
Le Colonie di Liguri deportati dai Romani furono così divise: gli Apuani nei Campi Flegrei, i Bebiani nel Tammarense e i Corneliani nell’Alifano.
La regione consacrata al Taurus sabino, a cui Tito Livio fa riferimento quando annota la deportazione di Liguri Apuani nei Campi Taurasini, da quanto appare dai rari riscontri, è infatti la zona dei Campi Flegrei, di quei Campi chiamati Taurasini dai popoli Italici, poi occupati dai Sanniti e per questo integrati nel Sannio Antico, insieme a Capua e Cuma.
Quando il Sannio Antico fu conquistato dai Romani venne diviso in più agri, da Cuma a Capua, in ognuno dei quali fu deportata una diversa colonia di Liguri o Liburi, da cui la futura corruzione di Liburia prima e Terra di Laboro dopo. La Liburia sembra essere il futuro Castaldato di Patria, proprietà del Principe Atenolfo: un immenso bosco (dove si ritrovano i fondi che vanno dal confine con le terre dei Napoletani di Lago Patria e Cuma, includendo Polvica, Macerata e così via), dopo il 950 lasciato in eredità al monastero di San Vincenzo Volturno di Loco Samnia per centinaia di anni. Nel 964 le terre del Principe Atenolfo sono al confine con il Lago Patria, “nella Liburia dei Napoletani”, con Paterno, Polvica, Macerata Campania e San Sossio di Pantano (Bacoli o Fratta?) eredità di San Vincenzo Volturno. In quell’anno i principi di Capua offrono a San Vincenzo terreni che possono in comune con gli eredi di Atenolfo, in finibus Patriae, cioè con i Napoletani della Liburia. I luoghi nominati nella pergamena vanno da Teborola e Paterno (Teverola e Paterno) in loco Polbeca e Sparani (Polvica e Sparanise) a Tauro in loco Macerato (Macerata Campania)- (Doc.n.140, Vol.II, pag.216).
Nel 1059 la Liburia resta di proprietà del monastero di San Vincenzo al Volturno ed è identificabile col fondo della chiesa di San Sossio a Loco Pantano del Gualdo in Bacoli
Nel 1059, Papa Nicola II su richiesta dell’abate Giovanni V conferma al monastero di San Vincenzo i monasteri e le chiese di San Pietro Apostoli sul fiume Sabbati (Arpaise?) Sant’Adeodati intra Beneventum, chiesa di Santo Stefano, cella di Santa Maria in Loco Sano, cella San Giorgio in Civitate Salernitana, cella San Giovanni de Lucere, cella San Giovanni de Lisine, cella Santa Maria de Planisi, cella Santa Maria in Castanieto, cella San Pietro de Vipera con Casale Leoni, cella del Castello di San Vincenzo de Tocco, cella Santi Appollinaris in Boiano, Cella Sanctae Luciae, cella San Salvatore in Alife, Cella San Vincenzo in Neapolim, cella Sancti Sossi in Liburia in Loco Pantano del gualdo, cella San Vincenzo de Cuma, cella San Vincenzo de Capua, cella San Petro in Oliveto, cella Omium Sanctorum, Sancti Iuliani in Calvo e San Vitaliani, in Calinole Santa Maria, San Cosma e Damiano, Sant’Ylari, cella Santa Croce, Cella San Martino in Marsico, cella Santa Maria de Fauciano, Cella San Vincenzo in Suessa, Santa Maria in Foro presso Santa Maria in Civitate Tiano, cella San Petro e San Vito in Bairano del bosco, cella San Vincenzi in Telese, cella Sant’Agata e San Petri in Torcino, cella Santa Maria in Oliveto e Santa Cristina, cella Sant’Eleuterio in Fundiliano, cella Santa Colomba in Sora, cella San Donato in Comino, cella San Mauri in Anglone, cella San Petri de Tontole, Cella San Vincenzi de Tremoiola (Chronicon Vulturnense del Monaco Giovanni a cura di Vincenzo Federici, Vol.I,II,III, Roma, Tip. del Senato, 1925).
L’insediamento romano ritrovato nel territorio di Cassano potrebbe rientrare nel confine del cippo terminale graccano, una sorta di termine scoperto nel 1986 in territorio di Lioni. Su di esso si legge il nome di Caio Gracco che fa pensare ad un coinvolgimento del territorio nella riforma agraria promossa dai Gracchi, come limite dei fondi privati ai terreni demaniali.
La riforma agraria dei Gracchi, avvenuta poco prima della nascita di Cristo, destinava l’agro pubblico alla ripartizione fra i privati. Ma non del tutto. Alcuni fondi infatti dovevano restare in quota a cittadini romani meno abbienti. I fondi, suddivisi in lotti quadrati secondo un reticolo regolare di stradine intersecantisi ad angolo retto (decumani e cardines), erano delimitati con regolarità da cippi terminali, come quello rinvenuto in contrada Civita di Lioni, in cui viene citato Caio Gracco, della famiglia Sempronia, componente della commissione agraria romana fra il 131 e il 121 a.C..
Già l’altro cippo ritrovato fra Lioni e Caposele, in un certo senso, indica delle ville rustiche e i nomi dei fondi dei Romani del I Secolo con nuovi toponimi coloniali in quanto in origine fa parte del grande fondo di Galliciano: Giuniano, Lolliano, Percenniano e Statulliano.
Si tratta di poche famiglie coloniche al servizio di un veterano proprietario del fondo. Ogni proprietario possedeva una villa o presidio, ogni villa rustica rappresenta un antico paese.
Non è fuori luogo puntualizzare che i Romani, come prima avevano fatto i Lucani, qui giunti risalendo il Sarno e spingendosi alla occupazione degli altri fondi sul Calore fino a raggiungere i veterani che avevano risalito il Sele. Lì, nel punto più estremo, cioè in Lioni-Caposele, decisero di erigere un tempio sacro al Dio Silvano e, ad esso, dedicare i quattro fondi terrieri dell’intera zona assegnati a quattro cittadini romani: “Iunianum et / Lollianum et Percennianum et / [S]tatuleianum” (La trascizione della scritta del cippo-stele di Caposele è in Mommsen, CIL 0, 00444 = Inscrit-03-1, 007).
Sui frammenti di lapidi rinvenuti a Cassano si citano i Corneli della gens Cornelia, non la Colonia Ligure di P.Cornelio. Ma la scoperta più strabiliante è stata la comparazione fra la lapide di Cassano che cita i fratelli Avilli con l’antico fondo del I Secolo chiamato Cassianum descritto proprio sulla tavola di Circello dov’è scolpito sia il toponimo “Cassianum” che “fratelli Avilli”.
L’edicola ritrovata a Cassano raffigura due personaggi con il classico rotolo in mano a testimoniare l’esercizio su quel luogo della magistratura municipale. Nel caso, come già accennato, si citano M.Avillio / Massimo Cesiano e la madre Cesia, liberta di Gavio, che dedicano la lapide ai fratelli Publio e Oristo.
Ciò significa che a quel tempo il fondo di Cassano aveva a che fare con un Avillio, la liberta Caesia e il figlio Caesano.
M.AVILLIUS
MAXIMUS CAESIANUS P.
AC ORISTO FRATRIBUS
CAESIA G. L. MATER
La lapide fu dedicata da Marcello Avillio (e non Marco), a Massimo Caesianus Publius e al fratello Oristo, e dalla madre Caesia liberta di Gavii.
Lucius Granius Priscus per Victorem servum suum
professus est praedia rustica deducto vectigali !
CXLIIXmilium CDXX accipere debet HS XImilia
DCCCCXII nummum et obligare
fundum Iunianum pro parte dimidia et IIItertia qui est
in Veleiate pago Floreio adfinibus Petronio Epimele et
Avilis fratribus et populo et fundum Latinianum qui est in
Veleiate pago Iunonio adfinibus Dellio Senino Publicio
Sene et populo quos duabus summis professus est HS
XXIIImilibus CCCC nummum in HS IImilia
item fundum Metilianum in Veleiate pro parte dimidia et
IIItertia pago Floreio adfini fundo Iuniano et fundos
Summetis Valeriani! in Veleiate pago Statiello pro parte …..
……et fundum Cassianum pago supra scripto adfinibus Avillis fratribus
et silvas Suffitanas …T.MOMMSEN, CIL 11, Paragrafo 19:
Per cui gli Avilli abitarono una villa in Cassianum, allora fondo ricadente in una delle due province di Picentia e Veleia(te), insieme ai tanti altri scolpiti sulla tavola, già letti e riportati nel Cil del Mommsen che pochi fino ad oggi hanno comparato (A.Bascetta, Cassano Irpino, 2001).
2. I fondi romani scolpiti sulla Tavola Alimentaria del I Secolo rinvenuta a Circello giungono fino a Picentia
La Tabula Alimentaria scoperta a Macchia di Circello (Bn) è una tavola di bronzo databile 101 d.C. rinvenuta durante gli scavi del 1831 nelle terre del cavalier Giosuè De Agostini. Spesso tre centimetri, largo due metri e lungo un metro e venticinque, il tabellone elenca i nomi dei proprietari e dei fondi per coltivare i quali, per volontà dell’imperatore Traiano, erano state concesse somme di denaro in prestito all’interesse del 2,5% che sarebbe andato a favore dei fanciulli poveri per assicure loro gli alimenti. Tali fondi ricadenti in territorio di HS, nei due agri di Picentia e Veleia. “HS” appaiono essere le lettere del testamento di Heraclii Syracusani, dove si accenna ai Renuntiati e Metello, al foro della civitas Syracusana, distrutto dai Romani che fecero divenire anche la Sicilia una Provincia, deportandone lontano gli abitanti, come consuetudine, in un agro chiamato a sua volta Sicilia, sicuramente in territorio dell’attuale Regione Campania.
I Syracusani avrebbero abitato anche la Segestana e Centuripina civitas, fino a cadere nelle mani dei Romani quando l’Insula divenne provincia di Sicilia, come avrebbe testimoniato P.Gravium che aveva eretto il municipio Consanum. L’attuale Sicilia fu quindi una Provincia dell’impero; quella fondata (o rifondata) dalle Colonie strappate alla loro terra d’origine, l’ex piccola regione Sicilia dei popoli italici continuò a vivere nell’Alto Medioevo, ritrovandosi nel Ducato Apulia. A Circello è attestata una tipologia a celle risalente al I e il II secolo a.C., proprio presso il tempio, che si ripete nei territori dell’Alta Irpinia e comprende l’intera regione dei Monti Picentini fino ad Ascoli Satriano a monte, e nel Vallo di Diano e nel Cilento verso Sud.
3. La famiglia dei Cethegi della Gens Cornelia abitava presso l’attuale Venticano il cui territorio non rientrò nè nella regione colonica di Liguria nè in quella di Liburia ma in una municipalità
I due romani che deportarono i Liguri si chiamavano Bebio e Cornelio. Bebio avrebbe deportato i Liguri dall’area flegrea fino a Circello, Cornelio nell’Alifano.
Secondo alcuni uno di questi agri si estendeva fino al territorio di Circello (Bn), che fu quindi compreso nell’ex Sannio Antico. Qui si sarebbero stanziati i Liguri deportati nel 180 a.C. da M. Baebius Tamphilus, perciò chamati Liguri Baebiani.
In un altro agro furono deportati da P.Cornelius Cethegus, i Liguri poi detti Liguri Corneliani.
I Ligures Bebiani si sarebbero quindi ritrovati fino nella valle del Tammaro, affluente del Calore, a nord del territorio di Benevento.Nella valle fra il Tammarecchia e il Tammaro, presso Circello, furono rinvenuti i resti di un oppido e varie iscrizioni che testimonierebbero la presenza di Liguri Bebiani in quelle località dove, in verità, altre lapidi riferiscono della tribù Velina presso San Bartolomeo in Galdo. Nel territorio di Macchia di Circello (divisa in Macchia Saracena, Forcellata e Casaldianni, presso Campanaro, Fontana La Spina, il torrente Chiusolano e la valle del Tammarecchia) sarebbe proprio nato il centro di una tribù dei Liguri Bebiani deportati nel 181 a.C. da Bebio. Ai Liguri si sarebbero aggiunti i veterani delle varie guerre per l’assegnazione dei territori ancora liberi. Alcuni concordano che la cittadella romana che sorse a Circello fu distrutta dai Saraceni tra VIII e il IX Secolo d.C. per cui gli abitanti presero a scappare in massa. Si ha poi un nuovo ripopolamento sul promontorio roccioso protetto tra le valli del Torti e Tammarecchia che diede origine al centro di Circello. Ben poco si conosce dei Liguri Corneliani. Essi paiono essersi stanziati, leggendo una lapide scoperta presso Alife, nel territorio alifano (Regione Campania, Progetto Ricerca “Sperimentazione di didattica integrata nei sistemi telematici e multimediali”).
Dalle iscrizioni rinvenute ad Eclano di Mirabella si può affermare che in questo municipio romano si insediò una famiglia della gens Cornelia, una delle più potenti e numerose delle genti patrizie di Roma.
Essa era suddivisa in molte famiglie fra cui i Lentuli, i Cethegi, i Maluginenses e, più illustre fra tutte, gli Scipioni.
Il limite trovato a Venticano fa riferimento ai Corneliani Cethegi. Ciò significa che la lapide conferma una presenza nella zona – in direzione di Eclanum o di (V)eretum (V)aris (verso Benevento) – della famiglia dei Cethegi. Ciò fa quindi includere il territorio in una zona municipale e lo esclude dall’area in cui furono deportati gli schiavi Liguri e Liburi che fecero nascere quei funda assegnati direttamente ai militari veterani, quale ricompensa per il loro impegno di soldati.
Quindi i Cethegi Corneliani, pur essendo una delle famiglie che deportarono i Liguri nell’entroterra, non poterono trasferirli presso l’attuale territorio venticanese essendo esso inserito fra le zone che già abitavano.
Genti Corneliane e non Liguri Corneliani si insediarono nei territori di Eclano e della media Valle del Calore (Felice Pescatore, paternopolionline.it., felice@wappi.com).
Fra Avellino e Conza figurano stanziate la tribù Galeria e la Gens Corneliana, e non Colonie di Liguri Corneliani
I coloni trasferiti fra l’Avellinese e il Conzano appartennero alla tribù Galeria, gli stessi che abitarono l’omonima regione del Lazio a Nord di Roma, attraversata dal torrente che ne porta il nome.
Gli Irpini presero per l’ultima volta le armi contro Roma nel corso della guerra sociale (nell’anno 90 a.C.), ma con la conquista di Eclano ad opera di Silla nell’89 a.C., accettarono di sottomettersi ai Romani. Su proposta di Plauzio Silvano Marco e Gaio Papirio Carbone fu adottata con plebiscito la Lex Plautia Papiria che, estendendo i benefici previsti dalla Lex Julia dell’anno precedente, concedeva a quei gruppi di Italici che avessero rinunciato alla ribellione la possibilità di ottenere la cittadinanza romana.
I Liguri da Pozzuoli a Circello, gli Irpini a Benevento, i Picentini in Irpinia
Il popolo dei Liguri ancora esisteva con tal nome nell’area di Circello al tempi di Plinio, indipendentemente dalle vicende degli Irpini. Strafforello, rifacendosi a Plinio, indica gli Irpini quali abitatori delle città di Beneventum, Aeclanum, Abellinum, Compsa, Aquilonia, Romulea, Trivium, Equus Tuticus, Murgantia, tenendo comunque fuori le cittadelle dell’Alto Calore e dell’Alto Sele che, a sostegno della nostra tesi, appartennero ad altro territorio, cioè all’agro di Picentia (Pontecagnano), è quello stesso territorio già occupato dai coloni di Gracco, poi dai Coloni (Siciliani) dell’agro di Picentia.
Quando i coloni furono spinti verso il Tammaro per altre questioni storiche, si sarebbero quindi ritrovati anche in territorio di Circello, sovrapponendosi a quegli originari fondi Bebiani, ritrovandosi tutti scolpiti sul bronzo, da Picentia a Velia.
La tavola alimentaria lì rinvenuta cita infatti fondi, vici e pagi ricadenti nei due agri di Velia e Picentia nei quali, almeno per ora, abbiamo individuato per certo i fondi che si riferiscono agli originari toponimi di Cassano, Lioni, Caposele, Laviano e Satriano.
1. Villa Magna Trita in Amiterno e Balba del Bosco della Liburia presso Lago Patria citata a partire dal 745 d.C.
Intorno al 745 Savino e Amiterno in Valle Amiternese erano vicinissime anche all’ex Villa Trita in Balba (o Barba o Balvense) presso la Valle di Amiterno dove sarebbe sorta S.Pelligrino in Septefonte.
Fra il 745 e il 752 i “servi ex Villa Trita” erano divenuti coloni nei territorni e nelle case di Amiterno et Savino in possesso di San Vincenzo Volturno (CV, Doc.9, Vol.III, pag.130).
Parliamo di Villa Trita, sita in finibus Balvense, donata da Re Desiderio, fra il 756-74, a San Vincenzo Volturno (CV, doc.14, Vol.III, pag.132).
Nel 774-814 Carlo Magno racconta che in seguito ad una visione aveva costruito la chiesa di S.Pellegrino (poi offerta al monastero di S.Vincenzo) loco Septifonte, “Amiternense Valvense partes” intesa erroneamente in Pescara (CV, Vol.I, pag.186) e non in agro aversano.
In tale territorio fu l’originaria Villa Trita dei Franchi, uno dei principali luoghi del Bosco, il Vualdo della Liburia di Lago Patria e Acerra, che confinano con il territorio dell’Urbe Benafrana di Arcora a cui appartiene Pomigliano d’Arcora e S.Agata assoggettato dal Principe Sicardo e chiamato Provincia Beneventana, sita nella circoscrizione di Lago Patria, da non confondersi con quella di Urbe Beneventana.
Nel 779 a Trita nacque la Corte di Trita appartenente al guastaldato, con sede nel Castello San Lorenzo (Aversa), presso la sede della Chiesa di S.Cipriano della Balba del Bosco Lebore, o Loboro, o Robore, che è sempre quello della Liburia, lo stesso bosco della Villa Magna (la Magna Villa di Trita) sita nel luogo di Serra appartenuta al Duca Spoletino.
In Trita, guastaldato Balvense, vi fu l’invasione degli uomini di Carapelle in Bosco Robore e in Castello San Lorenzo della chiesa di San Cipriano il gualdo Robore. Qui è Villa Magna ad Serra, dove, nel 779, sovrintende il giudice Dagari che, per ordine di Ildebrando Duca del Ducato Spoletino, fece restituire tutte le terre a San Vincenzo Volturno. (ivi, pag.194).
Vero o falso dell’epoca, anche Carlo re dei Franchi nel 787 conferma la donazione di Villa Trita fatta da Re Desiderio a San Vincenzo (CD, doc.25, Vol.III, pag.136).
Anche Suppone, duca di Spoleto, nell’822-24, assistito dai castaldi Benedetto, Ilpiano e Ausfredo e da scabini conferma l’obbligo del servizio dovuto a San Vincenzo dai coloni di Villa Trita (CV, Doc.33-34, Vol.III, pag.139).
2.La Curte Tritana, S.Cypriani sopra il Castello di S.Lorenzo e Colle Bonioli del Gualdo Robore (Labore), con la S.Agata e Sabinianum fra 779 e 782
Il Monte Bonioni descritto nelle pergamene sofiane non è lo stesso di quello descritto nelle pergamene del Beato Vincenzo Martire appena l’anno prima.
Quest’ultimo è precedente e non fu proprio un Monte e non si chiamò Bonioni, bensì Colle Bonioli della Silva in Colle Bonioli appartenente al Gualdo de Robore et in Castello super Sanctum Laurencium, dov’è la chiesa di S.Cypriani, oltre plaia (quartiere, distretto) S.Pancratis e montem Super Villa Magna (CV, Doc.24, Vol.I, pag.196).
Sono le terre del Bosco sulla Via della Corte di Carapelle, il Gualdo qui dicitur Robore, restituite al Monastero di S.Vincenzo nel 779 (Doc.23, CV, Vol.I, pag.194), quando le avevano invaso gli uomini di Carapelle, così come deciso dal giudice Dagari su comando del Domni Duca Spoletino Ildeprandi, glorioso e summi ducis ducatus spoletini.
Gli uomini di Carapelle si erano spinti anche presso terre del Castellum super Sanctum Laurencium, dov’è la chiesa (poi detta in atrio) di S.Cypriani (tutte terre che erano della chiesa di San Pietro in Trita?) di pertinenza del monastero di S.Vincenzo.
In quel 779 il Castaldo Anscauso e il vescovo Sinualdo rispondono dell’invasione dei coltivatori della Corte di Carapelle in Silva di Colle Bonioli e plagia S.Pancrati il cui magisterio e pensione, cioè l’amministrazione dei villani spediti a coltivare la Corte Trita eVilla Magna Trita, era stata affidata dal Duca Ildeprandi ai Gualdatori Lupari, Paldulus e Ambrosiolus, che sono i Vuardatori a cui subentrarono Rodulu, Albu ed Erispus i quali dicevano di non aver usurpato nulla in quanto la terra circondava l’intero bosco come ai tempi del Gualdo e del Preposito Gaidualdo.
L’invasione, di cui ne rispondevano Anscausus o Anscauso castaldeus e Sinualdus o Sinualdo episcopo, era avvenuta ad opera di Tribunus, Citulus, Paulus, Alpari e in A(c)quarico con Teudemari e Sinderadus per la silva invasa in Colle Bonioli e in plagia S.Pancrati.
L’amministrazione, cioè Magisterio e Pensione dei villani della Corte che il Duca Domino Ildeprandi aveva affidato a Lupari e Paldulus, Ambrosiolus, così come pure super Villa Magna: Vualdatores ante nos Rodulu et Albu et Erispus, qui ab antiquis giratores fuerunt, dicevano che l’episcopio girava su questi luoghi che sempre de Vualdo fuerunt, come ai tempi del preposito Gaidualdo, quindi prima del 779.
Nel 782 Villa Trita viene descritta come “in ipsa curte Tritana” altrimenti detta “in Tritas” presso colle Bonioli.
Le ultime ricerche effettuate dagli studiosi locali di Aversa confermano la presenza nel proprio territorio dell’antico Casale di Sabiniano, più vicino ad Aversa che non ad Atella. Nel 919 si sarebbe già modificato in Savignano, mentre restava integro S.Agathe nel 1002 (G.Parente, Vol.I, pag.210-12). Vale la pena di ricordare che il cenobio benedettino di S.Lorenzo di Aversa era solcato da un fiume, probabilmente il Clanio proveniente da Avella, in quanto ivi furono rinvenute delle grosse barche durante gli scavi (Aldo Cecere, Aversa… consuetudini aversane, n.1, pp.7-20, 1987).
854: l’ultimo documento di Curte Trita in Plaito del Castaldo Fransid
Nell’854 si parla invece di Villa Ofene presso cella Trite dell’ex monasterio Sancti Vincenzi i cui uomini pretendono di essere liberi e non servi del nuovo San Vincentio in quanto sono già sotto il Castaldo Fransido (o Framsidu) giunto in Tritas curte in plaito (CV, Doc.37, Vol.III, pag.142).
Sono i tempi in cui i duchi di Benevento insistono con le donazioni alla chiesa di Santa Maria di Isernia.
3.L’originaria Corte di Vetticano presso Piano Pantano di S.Sossio di Bacoli, Villa Avellino di Pozzuoli e la donazione di Leo a S.Benedetto di Castrocasino
Una pergamena interessante è sicuramente quella della charta offersionis che riguarda un lascito più conosciuto con il nome di Donazione di Leo. Essa è databile 764-770 e riguarda l’Abbazia del Beato San Benedetto a cui Leone, figlio di Unoaldo, si concede unitamente al suo patrimonio dentro e fuori Civitate Beneventana, tranne il Casale Pantanum dato alla zia, sorella di Unoaldo, insieme agli schiavi della corte de Abellino altrimenti detta Corte de Trasmonte, e alla sua chiesa già donata al signore Domnus Arichis. I servi, dal canto loro, pur essendo stati già resi liberi, sono obbligati a prestare servizio nei confronti del monastero, non potendosi alienare i loro possessi.
E’ un documento finito e tramandato nel Registrum Petri Diaconi di Montecassino redatto al tempo di Arichis II.
…Dominum se sequentibus suaque omnia relinquentibus pollicitus esse centuplum redditurum, insuper et vitam eternam daturum divina testantur eloquia. Ideoque ego Leo filius quondam Unoaldi, huius mandati non surdus auditor, evangelicum illum negotiatorem imitari cupiens, qui inventam pretiossissimam margaritam vendidit omnibus, emit eam, ut Christus lucri faciam, non tantum meam, sed memetipsum illi tradere magno cum desiderio studui. Quamobrem amodo et deinceps offero tam me quam et omnia que iuris mei esse noscuntur ob remedium anime mee parentumque meorum abolenda facinora in cenobio egregii Christique confessoris Benedicti, ubi vir reverentissimus Thomichis abba regimen tenere videtur, ut prephatus sum, omnes res meas tam mobilia quamque immobilia, domos, tam in civitate Benebentana, et ecclesia, quam et foris per singula loca: domo cultas, vineas, olivetas, pascuas, prata, silvas, omnia et in omnibus, quicquid habere visus sum, in dicto sancto cenobio trado possidendum, excepto casam et curtem et ecclesiam infra civitate Beneventana quam domni dedi Arechis. (/)
Servos vero et ancillas omnes liberos constituo, qui per cartulas manus mee scriptas liberi esse videntur, in tali vero ratione, ut nec puerum nec puellam ad manum alicui tribuant ad serviendum; operas vero per menses quattuor dent per singulos, ubi visum fuerit, vel in loco, quo manserint; res vero suas vel substantias nulli liceat donare vel vendere seu alienare nisi ad conlibertos suos, et su paruerit datum, a supradictis monachis requiratur. De fundora vero mortuorum, si sine herede mortui fuerint, in providentia monasterii dicti redeant vel sint. (/)
Sed hoc statuo: unum casalem meum situm erga Beneventum, qui dicitur Pantanum, volo ut habant amita mea in usum proprium diebus vite sue cum servis meis, qui sunt ad ipsam curtem pertinntes, idest de Abellino seu de Transmonte; post discessum vero eius sit in cenobio Sancti Benedicti sicut cetere falcultates mee. Ita ut nulli umquam homini cuiuslibet dignitatis vel potestatis aut consanguinitatis mee sit licentiam de omnibus supradictis aut immutare aut alienare in aliquo, nec michi liceat aliquando quod semel volo iterum nolle, nec de his omnibus supradictis aut immutare aut alienare in aliquo, nec michi liceat aliquando quod semel volo iterum nolle, nec de his omnibus quod semel optulit Deo et beato Benedicto, subtrahere de hoc loco sanctissimo. Quod si quis aliquando contra hanc nostram offertionem contraire temptaverit, in die tremenda iudicii Dei sit anathema maranatha, et cum Iuda traditore Christi habeat consortium. hanc vero offertionem propria manu scribens, me me et omnia mea proprietatem tradens supra sanctissimum corpus eius coram Deo et presentibus testibus optuli semper habendum. [Actum….].
Ego Tomichis indignus abbas presens fui et permisi et testis sum.
Ego Thomas indignus presbiter presens sum.
Ego Iohannes indignus presbiter presens sum.
Ego Martinus indignus diaconus testis sum.
Ego Angelarius monachus testis sum.
Ego Benedictus manu mea subscripsi
Ego Albulo manu mea subscripsi
Curtium autem nomina sunt: (/)
Curte Ersemari (o Erfemari): Boni, Adelgisi fili duo, Maio, Bonolo, Iohanne, Urso, isti toti cum uxoris et filiis; Rocci cum quattuor filiis suis, idest Leo, Stephano, Sellittolo, Ciminolo; isti cum uxoribus et filiis suis; Adelgari cum uno filio suo et cum duobus generis suis. (/)
Curte Gaideper(t) presbiteri: Adelperto cum quattour filiis cum uxoribus; Bonecauso cum quattour filiis suis; Grimoaldo cum quattuor filiis suis, cum uxoribus et filiis suis; Ciminolo cum uxore et filiis suis; Fuscari cum uxore et filiis. (/)
Curte Grisi: Landolfo cum Arniperto filio suo et cum duo filiastri; Bonito cum quattuor filiis suis et cum uno alio filio, et Stefano. (/)
Curte Cerbuli (o Corbuli) presbiteri: Leoaldo cun quattuor filiis suis et cum uxoribus et filiis suis; Agenolfo nepote suo et cum filiis suis; Desideri cum tres filiis suis; Bassaci cum tres filiis suis et unum gener. (/)
Curte Lupi: Sadiperto cum uno filio suo et generum eius; Sico cum uno filio cum uxore; Stefano cum duobus filiis suis; Fermoso cum .iii. filiis suis (/).
Curte Lupi Pictari: Mauro cum quttuor filiis suis; Iohanne cum tres filiis suis. (/)
Curte Dulciperti: Bonerosi (o Bonerisius) cum uno uno filio suo cum uxore sua et filiis suis, et tres filii Raienolfi cum uxoribus et filiis suis.
4. Il Duca Gisulfo II eredita il Patrimonio del Duca Godescalco e lo affida ad Alahis che avrà beni a Mazano di Urbe Benafro, Civitate Salernitana chiamata Villa Forana e res in Capua, Patenaria e Monte Calbo in Benevento (742-50?) dove si rifugia
Quando ereditò il patromionio del suo predecessore Duca Godescalco, il nuovo Duca Gisulfo II lo distribuì ai sui Gastaldi.
Godescalco ed Anna venivano messi in fuga e Anna si faceva monaca (CV, Vol.III, pag.131) donando in fretta e furia tutto a S.Maria in Oliveto di Isernia, salvando in tal modo il patrimonio di famiglia. L’intenzione era quella di non disperdere il territorio conquistato ed i suoi beni per concentrarli sempre nelle sue stesse mani col farsi nominare badessa e recuperare il potere.
Il successore del Duca Godescalco, però, si allontanò dal raggio d’azione di Isernia. Gisulfo II infatti concesse solo ad Alahis l’ex patrimonio, i beni in Massano di Urbe Venafro presso la terra di Arechi, come Villa Forana dal lato di Vero, chiamata Civitate Salernitana, la res di Capua, le condome di Patenaria e Monte Calbo in Benevento.
Nel 766, per la res di Capua, s’innesca la causa fra i tre figli di Alahis e il monastero di San Vincenzo ereditario dei beni di S.Maria Oliveto di Isernia.
Per questa res di Capua si tenne la causa dei figli di Alahis, cioè Radoino, Ermeperto ed Eufemia la monaca nel 766 rappresentati dal Gastaldo Radoaldo davanti al domini Duca Arichi per il castagneto e le condome in Patenaria e quelle di Monte Calbo in Benevento offerte al monastero di Isernia da Godescalco poi confiscate e donate da Gisulfo ad Alahis i cui figli le danno a San Vincenzo, trattenendosi solo le condome di Crissano, Missano e Vetticano (CV, ivi, pag.322).
5.Quando Arechi siede nella nuova Benevento si riprende i territori di Benevento Veroli sul Colle Bonioni della Corte di Vetticano dell’ex Urbe Venafro
Una corte in Vetticano viene citata come esistente nella seconda metà dell’anno 700, quale bene appartenuto ai coloni del Gastaldo Radoaldo, a lui donata dal Duca Gisulfo (II).
Con questo patto di conciliazione il monastero di San Vincenzo Apostolo ottiene un castegneto, due corti e relativi servi in Patenaria, ed il monastero di S.Pietro al Monte Calvo presso Benevento. I privati si accontentano ciascuno di una corte e servi a Missano, Crissano e Vetticano. Tutti gli altri beni dell’ex patrimonio del Duca Godescalco restano al monastero di San Vincenzo Apostolo. Sentenze e disposizioni precedenti di Re Astolfo, ritenute non valide, vengono distrutte (Roma, Biblioteca Vaticana, Chronicon Vulturnense, Cod.Barb. lat. 2724, cc.116v-117v, 1130 circa (C); in Federici, Chronicon Vulturnense, I, pp.321-324, Doc.69; in CDL).
Si tratta di una charta convenientiae, l’unica di questo periodo inserita nel Chronicon Vulturnense scritto dal monaco Giovanni. La pergamena del giugno 766 è purtroppo un documento perduto (in Federici, Documenti perduti, p.127, Doc.4). Essa riferiva di un patto di conciliazione fra l’abate Giovanni dell’Abbazia altomedioevale di San Vincenzo Apostolo ed il Gastaldo Radoaldo quale rappresentante di Raduino ed Ermeperto, delle loro mogli, e della sorella Eufemia, figli di Alahis, in riferimento al alcuni beni contesi ad Isernia.
Il Duca Godescalco aveva infatti donato numerosi beni a San Vincenzo in origine destinati al monastero di S.Maria di Isernia.
Deposto Godescalco, il suo successore Gisulfo (II) aveva confiscato il patromonio di Godescalco distribuendolo ai suoi uomini. Una di queste terre aveva dato luogo alla contesa fra i nuovi proprietari, Alahis e il monastero di San Vincenzo. Lite che non fu possibile risolvere neppure al cospetto di Re Astolfo (in Pavia), fino a quest’accordo portato al giudizio del Duca Arichis (II).
In nomine domini Dei et Salvatoris nostri Iesu Christi. Temporibus gloriosissimi [Arichis] summi ducis gentis Longobardorum, anno .viiii°. gloriosi ducatus eius, mense iunio, per indictione quarta. Sicut non sunt obmittenda, ut cotidie non defleantur preterita peccata, ita reminiscenda sunt retroactas versutias, et unde proposuimus questionem, licet necesse est retexere ordinem. Ideo ad clarum deducenda sunt eo quod Godescalcus, qui fuit quondam dux, per cartulam offertionis contulerant in monasterio Sancte Dei genitricis Marie, quod situm esse videtur in Ysernia, in quodecreverat Annam coniugem suam regulariter vitam degere, et de sua substantia per singula loca nominative dare, qualiter ipsa, dum adviveret, vel eiusdem monasteri famuli nullam in posterum necessitatem paterentur sed nec patiantur occulto Dei iudicio minime compleverunt suam devotionem, nam res illa, vivente ipso et Anna, ad monasterium Sancti Vincentii sunt per ipsius preceptum devolute. Sed dum ipsis in fugam posit perierunt, tunc Gysulfus quondam dux impuplicavit omnes res eorum et concessit per singulis fidelibus suis, etiam et illas, quas monasterium Sancti Vincentii habendi dixerunt. Unde postmodum per iudicatum domne Scaniperge et domni Liudprandi ad monasterium sunt recepte, sed non omnes. Pro quas vero res surrexerat Alahis adversus monasterium cum precepto Gysulfi quondam ducis et cepit agere contra monasterium, qualiter ipsas res in suo iure defenderet. Et dum multe exinde cause emerissent, convenerat inter Alahis et monasterium, quid quisque per scriptas habere debuisset. Sed nec in hoc contentus fuit, pertraxit causam, ut ad iudicium domni Aystulfi regis Ticino pariter coniungere debuissent, sicuti et factum est; et ipse per suum iudicium confirmaverat manum illam, quam Alahis consignaverat, qualite inter ipsum et monasterium convenerat. Sed nec sic potuit monasterium in omnibus suam invenire iustitiam, iterum commota causa cum Radoaldo gastaldeo per plures vices in presentia domni Arichis intentionando pro causa de filiis et noras suas seu germana eorum Eufimia ancilla Dei, filia quondam Alahis, de prenominata substantia, vix tandem per ipsium iudicium ad nostram pervaluimus pervenire iustitiam. His expletis et obmissas omnes retroactas causationes, inter Iohannem abbatem et Radoaldum gastaldeum, qui procurabat causas de filiis et noras suas vel de Eufimia predicta germana eaum, causas pactuationis de suprascripta substantia, quid habere debeat Raduhin et Ermepertus cum coniuges suas, idest Altruda et Ermetruda necnon et Eufilia germana earum vel quid monasterii Sancti Vincentii et eius congregatio; ideoque convenit, ut pars monasterii haberet castanietum illum in Patenaria per designata loca: idest fine via puplica usque in castanietum Brincoaldi, per carrariola usque in rivo ad Caprufici signatum, et deinde erga ipsum rivum usque in finem de servi Ultiani gastaldei, et deinde per ipsos fines servi Ultiani usque in sepe Fusculi, servo Theodoracini, qualiter reconiunget in finem monasterii in integrum; simul et in eodem loco condomas duas, una qui regitur per Crispulo, Mauriculo et Maurisso germanis cum uxores, filiis et filiabus et omnia eorum pertinentia, et… Rocculo cum duos filios suos, idest Soppulo et Cisulo et noras ipsius cum omnia, quantum ad manus suas habere visi sunt in ipsum locum Patenaria; similiter et ad Monte Calbo propre civitatem Beneventanam, er(g)a monasterium Sancti Petri, qui fuit de quo(n)dam Tatuni, in integrum vineas petias duas et campora duo, unde nobis nichil reservavimus. Unde convenit, ut haberet par Raduhini et Ermeperti cum coniuges suas vel Eufimia germana eoum in primis condoma in Missano, idest Lagari et Alari seu Munulfus cum uxores, filiis et filias et omnia eorum pertinentia; condoma in casale Crissano: Maroaldus cum uxore, filiis et filias et omnia eorum pertinentia; et condoma in casale Venticano: Iubiolu, Trasoaldus, Guettulus cum uxoribus, filios et filias et omnia eorum pertinentia, qualiter hec omnia superius scripta a Godescalco duce in monasterio offertum fuerat. Reliquas vero res quoddam Godescalci, qualiter eius offertio continet, habeat pars monasterii Sancti Vincentii absque ulla contraddictione istorum vel heredes ipsarum. Et si qua pars parti contra hec omnia scripta ire quandoque temptaverit vel removere presumpserit, componat pars parti fidem servanti pene nomine auri solidos mille, et presens cartula convenientie in sua maneat firmitate. Et hoc stetit inter eos, ut unus alteri ab omni homine defensare deberet; et si defendere minime valeret et probata fuerit causa, in dupplum unus alteri restituet, in quantum defensare minime potuerit. Similiter et sint amodo cassate vel corrupte, nullum in se habentes roborem, neque manusconscriptas nec per iudicata vel preecpta, que Aystulfus rex emisit de suprascripta convenientia, sed tantum iste amodo conscripte stabilis et inviolate suum debeant conservare roborem. Quas enim duas cartulas convenientie uno tinore conscribtas sibi ad invicem tradideruntbet me Aldelfrid notarium scribere rogaverunt. Actum Benevento, mense et indictione suprascripta, feliciter.
[….]
Questa stessa pergamena conservata a San Vincenzo è ricopiata con la data del giugno 776 con il toponino di Vetticano, ma è evidente l’errore di trascrizione.
E’ identica in quando riguarda il Duca Arechi II di Benevento nella causa trentennale fra il monastero di San Vincenzo e gli eredi di Alahis per il possesso di alcuni beni di Isernia, già offerti al monastero dal defunto Duca Godescalco e dal successore Gisulfo II confiscati e donati al suo fedele Alahis, conferma la sopraggiunta convenzione fra il Gastaldo Radoaldo rappresentante dei figli di Alahis Radoino ed Ermeperto, ed Eufemia monaca, e l’abate di San Vincenzo Giovanni I, con la quale venivano assegnati al monastero il castagneto e le due condome in Patenara, due vigne e due campi a Monte Calvo presso Benevento; e agli eredi di Alahis le condome in località Missano, Crissano e Vetticano. Cioè l’unica differenza è che anzichè trascriversi Venticano si è scritto Vetticano (Chronicon Vulturnense, I, pag.321-24).
Divenute di proprietà di San Vincenzo Apostolo rebus e condome di Patenaria, Monte Calbo propre civitatem Beneventanam e Casale Vetticano tornano in un documento databile l’anno 853 o 856 in cui l’abate Giovanni di San Vincenzo cita un precetto del Duca di Benevento e Domno Grimoaldo relativo al Casale chiamato Casa Summi scambiato con il Principe Salernitano Ademari in cambio di rebus, corte e casa in Civitate Salernitana.
I toponimi hanno già subito una sostanziale modifica in quanto Monte Calbo non si dice più nei fini di Civitate Beneventana ma in Benevento e Venticano è detta Vetticano.
Iohannes abbas Sancti Vincencii. iste preceptum accepit a domno Grimoaldo, duce beneventano, de casale, qui dicitur Casa Summi. commutacionem quoque fecit cum Ademari, principe Salernitano, de quibusdam rebus, pro quibus accepit curtem et casam, infra Salernitana Civitatem. iudicatus quoque definicionem accepit de altercacione quadam, que exorta fuera(t) de rebus et condomis in Patenaria, et in monte Calvu, propre Beneventum, et in casale Vetticano. descripciones quorum ita continere videntur (Chronicon Vulturnense, I, pag.318).
6. Il Duca Spoletino occupa il Monastero di S.Vincenzo e le sue terre nel 831
Nel 831 qualcosa si inceppa e la Provincia Beneventana sta per lasciare il testimone al Duca Spoletino che ha occupato il monastero del Beato S.Vincenzo Martire, mentre i monaci e il Principe scappano, rifondano il monastero e una diversa sede Beneventana.
L’intera Liburia delle Valli di Amiterno, Valva e Acerra viene assoggettata infatti in Ducato Spoletino nelle mani del Comitis Supponi e dei Gastaldi Benedetto UIlpiano e Ansffrid.
Nel 831 Lupo Duca Spoletino in San Vincenzo Martire possedeva 24 case in Amiterno e Savino. Anno in cui si citano il Comitis Supponi e i Gastaldi Benedetto Hilpiano e Ansffridi.
Nel 831 Teupertum preposito S.Maria in Loco Sano e l’arcipresbitero Iusto della chiesa di S.Felicis appartenuta all’episcopio beneventano scrivono che Ludovico il Pio conferma la donazione di 24 case in Amiterno ed in Savino fatta da Lupo Duca Spoletino in S.Vincenzo Martire a S.Vincenzo.
Conferma inoltre i 4 giudicati del Comitis Supponi e Benedicti Hilpiani e Ansffridi gastaldorum relativi ai servi dell’ex Villa Trita che rifiutavano il servizio. Vengono quindi nominati gli uomini che posseggono le venti case. (ivi, pag.290).
Riportato fra i documenti perduti anche il precetto con il quale il fu Duca del monastero, cioè il quondam dux Lupo Duca Spoletino confermava ad Epifanio abate di S.Vincenzo le 24 case e i coloni in Amiterno e Savino, “casis in Amiterno et Savino”, oltre quanto deciso dal giudizio relativo “servis ex Villa Trita”, que in presencia Supponi comitis ac Benedicti, Hilpiani et Ansfridi gastaldorum ceterumque scabinorum de predictorum hominum” (CV, Vol.III, pag.130).
Con la dominazione dell’imperatore Ludovico si riconferma la donazione dell’ex Ducato Spoletino in Sancto Loco, Marsi e Libuia compresa, al secondo monastero di S.Vincenzo.
Fra i documenti perduti v’è un precetto con il quale Ludovico imperatore conferma la donazione di animali che si faceva ai tempi dei Duchi Lupus e Ildeprando del Ducato Spoletino con la quale Lupus Duca Spoletino insediatosi in Santo Loco (di San Vincenzo) vi rinunciava. Come pure la donazione in Marsi ed in “Vualdo Liburiano” (Documenti perduti, in CV, Vol.III, pag.130).
7. Sicardo nel 831 è il Principe del Bosco della Liburia di Lago Patria, Ravennola presso Arcora, Benafro, casale Alderissi, che costituiscono la Provincia Beneventana, diversa dal Principato di Benevento
Nell’831 Sicardo viene definito Principe del Vualdo, il bosco sito in Liburias di Lago Patria, di S.Secundino finibus Acer(r)entinis (Acerra), di Ravennola (Avella o Nola?) e Arcora (Pomigliano) in finibus Benafranis e del Casale di Alderissius (donato al monastero di S.Maria in Loco Sano), cioè a Cusano Mutri.
Alderissi, come anticipa il monaco Giovanni, donò al monastero S.Maria in Loco Sano il suo Casale in finibus Capue, ad Pontem Pozzolanum, et casale in Monte Mariano, super fluvio Calore, e Casale S.Valentino e Casale in Maccla in Samnius, scritto da Teupertum preposito S.Maria in Loco Sano e dall’arcipresbitero Iusto della chiesa di S.Felicis dell’episcopio beneventano (CV, Vol.I, pag.288).
Nel 833 la Liburia viene assoggettata dal Principe Sicardo che la dichiara Provincia Beneventana donandola al nuovissimo monastero di San Vincenzo costruito in Samnia.
San Vincenzo ha una nuova sede in Samnia a cui Sicardo principe della Beneventana Provincia dona le terre della Liburia di Lago Patria e Acerentum (Acerra), riagine Ravennola, a cui si aggiungono Monte dell’Urbe Benafro e Monte di Arcora appartenute a S.M. in Oliveto, il Casale di Alderissi e, raggiunta la nuova sede di Benevento nel 839, anche l’ex Basilica di S.Felicis (Cimitile).
Al primo anno di principato di Sicardo, in actum Benevento, nell’833 viene conferma col precetto di Sicardo principe della Beneventana Provincia che concede a San Vincenzo in Samnie la cella di S.Sossio ed un bosco a Pantano in partibus Liburie ubi dicitur Pantanum, fra la via Antiqua che viene da Ducenta e il Vualdo Liburiano dello stesso monastero di S.Vincenzo, con all’altro lato il confine della via publica che va a Maciana e Scarafena, la terra degli uomini di Centora, diretta a loco Cree dove esce l’acqua diretta nel suo stesso lacum Patriense sulla via di Cumas (ivi, pag.292).
Dell’833 è la conferma, dal sacro palazzo in actum Benevento, del principe Sicardo che si definisce sempre principe della provincia Beneventana relativa alla donazione della chiesa di S.Secondino in Acerentum
Idem nel 833 (ivi, pag.293) è la donazione di Sicrado di terre e monti nel benafrano, riagine Ravennole e terre concesse da Domino Arechi Principe al cenobio sul Monte intorno ad Urbem Benafro, non lontana da loco Campiniano (ivi, pag.295) andando sul ciglio dell’altro monte di Arcora quale eredità di S.Maria Genitrice Dei in Oliveto.
Così Sicardo dalla Beneventana provincia per il Casale Alderissi figlio di Alderissi del 833. Cambia la scena con altra formula in Benevento nel marzo del 839 quando Sicardo dona la Basilica S.Felice episcopio di Gisulfo (?) donata a S.Vincenzo da Scaniperga e Lidprando (ivi, pag.298).
8.Nasce la Condoma di Casale Venticano di Civitate Beneventana diversa dalla preesistente Corte di Vetticano in Provincia Beneventana
Nel 815, il fratello di Grimoaldo, Alahis (cioè il Gastaldo?) figlio e quindi erede di Arechi, donerà a S.Vincenzo i beni in Mazano e Civitate Venafro, S.Maria sul fiume Sexto, cioè il Monte del fu Principe Arechi confinante con la zona di Riagine di Ravennola e i beni del (Gastaldo) Iohannis Radoaldi.
Così si viene a sapere che il Monte del fu Principe Arechi, cioè il Monte Calvo della precedente Civitate Beneventana che diverrà di proprietà di San Vincenzo, era in effetti accanto ai beni del Gastaldo Radoaldo.
Il Monte di Arechi confinava infatti con i beni di Venticano dell’altro premiato con la concessione dei territori, Giovanni Radoaldo. Una delle condome, cioè le case abitata in comune da una famiglia di servi legati ad un solo proprietario e quindi comprati e venduti con il suo stesso fondo agricolo, prese a formare il Casale Venticano (gruppo di poche case rurali) che era ai piedi del Monte Calvo di Civitate Beneventana.
Grimoaldo e il vir Alahis erano figli di Arechi nel 819
Nel 819 Grimoaldo figlio di Arechi confermerà al (fratello?) vir Alahis i possedimenti in finibus Benafrani, la Corte S.Maria sul fiume Sexto, S.Maria a Mazano (Loco Maczano di Urbe Benafro del 817; ivi, pag.254) fino alla terra del fu principe Arechi; eppoi in Civitate Vero Salernitana chiamata Villa Forana e la res in Capua, quanto in Alife, Silva Nigra in Telesia, l’orto in Benevento e l’oliveto sul fiume Tensa (CV, Vol.I, pag.238).
Si sposta l’asse: Distrutta Urbe Vena si rifonda Urbe Benafrana
Fra il 963 e il 1038 viene distrutta una prima Urbe chiamata Vena o Venafro e se ne rifonda un’altra con nome di Venafrana o Benafrana, così come è facile intuirlo leggendo le pergamene di San Vincenzo al Volturno.
963
Il 3 settembre 936 (Doc.88, Vol.II, pag.44) si svolge la causa fra Rambaldo abate di S.Vincenzo e Maione che si contendevano il possesso di venti terre presso Teano: …nonadecima pecia est ad Torcinu in finibus Benafro, ubi ecclesia Sancte Agathe edificata ets, subiecta suprascripti sui monasteri, habente fines: ab una parte ipsu flumicellu, qui vocatur Torcinu; de alia parte Vallis, que est inter ipsum montem, ubi edificatum fiut castellum, quod vocatur Casi, et colle qui vocatu Fallascuse; de III parte Cacumine Montis, qui dicitur Maiore; de IIII parte Via Antiqua, que descendit da predicta valle, et pergit circa ipsum molimentum usque in predictum flumicellum.
Vicesima pecia ibique coniucta est, ubi est predicta ecclesia Sancte Agathe, habente fines: de una parte fine suprascripto flumicellu, et terra seu et predicto monte; de alia parte padule, de III parte Cacumine de predicto Monte Maiore, et quomodo pergit usque (colle) in Forcella, que vocatur (Colle) Corvuli, et quomodo descendit in suprascripta padule, et terra eiusdm monasteri.
Et dixerunt quod essent mensurat ad passus de mensura Landonis senioris castaldei. de his autem supranominatis terris causabat ipse Maio contra supradictum Raymbaldum venerabilem abbtem dicendo…
965
Un’altra conferma è dei principi di Capua nel 965. Di fiume Sangro ai piedi del monte Azze sul fiume Melfa che si congiunge al Mellarino al vertice del monte Balvola, sui cui cigli sono montem Alchanum, monte Marthe e monte Casale, in ortum riaginis detto Ravennola ai piedi di Monte Benafrano, super Urbe. Monte che revolve sul ciglio dov’è la terra di Arcora, dov’è la chiesa ereditata da Santa Maria Genitrice Dei, chiamata Olivetum, soggetta a San Vincenzo, come la chiesa nichilominus di Santa Cristina con le sue reliquie circondata dal fiume Vulturno. Dall’altra parte, “nam ex alia parte iterum inchoante a prima fine cum iam dicto fiuvio Sangro”, a Parum colle, c’è rivo di Foruli in fiume Bantra che decurre in altro fiume, quod Bulturnus vocatur.
La conferma quindi al monastero di San Vincenzo in Monte Aceru, qui est super territorio Cummanense (tradotto in Cominense, Vol.II, pag.158).
983
Nel 983 Ottone II conferma a San Vincenzo i beni ricordati nella donazione di Ottone I del 962. Dalle parti di Samnie, il Monte nuncupatur di Azze sul fiume Sangro, che gira sul fiume Melfia che si congiunge al fiumicello Mellarino, dell’ex loco in Cacumine monte, a Barbola, fino al vertice del Monte Archano, Monte Marte, Monte Casale, nell’orto di Ravennole, super Benafranam Urbem. Dal vertice del monte revolve quindi ad Arcora dicitur, eredità della chiesa di Santa Maria ad Olivetum suddita di San Vincenzo Volturno, fra le terre del fiume Volturno, Arcora, colle Aparum, rivo Foruli, fiume Vantra.
983
Del 983 è il documento succesivo, il 144, in cui si recita il Sangrum del Monte Malum, Monte de Azze sul Melfam, il fiume Mellarino dove l’acqua di Bantra si congiunge al Volturno, il fiume Forulo sulla via Antiqua, e il rivo Gizzoli, la cella di Santa Maria in loco Olivetum con le sue pertinenze che sono le celle di: cella Sant’Agata (e Sancti Petri nel1059, doc.204, Cv.Vol.III, pag.94) di loco Turcino, cella San Pietri di Bairano, da quella di San Vincenzo in Civitate Neapoli a quella di Santa Colomba in Sora, a quelle di San Donatu in Cominu a San Pietri iuxa Civitatem Beneventana sul fiume Sabbati, Castaneto, Castro Pinianu (cella di Santa Maria in Castanieto che è in Castro Piniano, da doc.187 del 1038, Vol.III, pag.22), San Giovanni de Lucera (nel precetto dell’imperatore Corrado II, doc.187 del 1038 è chiamata San Giovanni “de Nucera”), Santa Maria in Quinque Milia, San Vincenzo de Telese, cella e mulino di San Giovanni de Lisine, Sant’Eleuterio in Fundiliano, Santa Maria de Loco Sano, San Vincenzo de Tocco con tutto ciò che comprendono, dai castelli alle valli. Eppoi la cella infra Salernitata Civitate costruita in onore di San Giorgio ed altre (Doc.143, vol.II, pag.243).
Nel 1014, è l’imperatore Enrico II, a confermare i beni già assegnati da Desiderio, Carlo, Ludovico e Lotario (doc.185, Vol.III, pag.10).
1014
In montem qui nominatur Tauri era a Benafro. Monte Tauro, monte Caballum, Montem Casale e Montem Malu congiunto al Monte Acze (o Azze) in fiume Melfia (o Melfa in doc.185 dell’anno1014), affacciavano sulla Valle della chiesa di Sant’Eleuterio e San Cosma e Damiano di Monte Arcanum e Monte Marte sull’orto di Ravennola. Dove il Melfia si congiungeva con il con il fiume Mellarinus ci si trovava sul ciglio di tutti questi monti, detti di Barbola, che affacciavano sull’Urbe, citandosi altri fiumi essendo l’orto di Ravennola sul fiume Vulturno (del monte Puplicos in monte Benafrana, sulla terra di Arcora con la chiesa ereditata da Santa Maria Genitrice Dei di Olivetum, la chiesa nichilominus di Santa Cristina, in doc.185) che si congiunge al Vantra (Vuantra in doc 185) che si congiunge al Foruli e al Gyzoli in Sangro.
Nel documento seguono le chiese di Beato Pietro Apostolo in loco Trite (territorio Vualvense in doc.185), Santa Maria in Canneto, Santa Maria in Quinquemilia e altre (nel doc.185 vengono aggiunte decine altre chiese del 1014). Tutte località donate dal Principe Arechi II in Benevento nel 758/760 al monastero di San Vincenzo Volturno, donazione confermata quasi contemporaneamente da Carlo Magno (Chronicon Volturnense, doc.12 e 19, Vol.1, pag.154 e pag.183).
Conferma che si rinnova risponverando le donazioni di Desiderio, Carlo Lodovico e Lotario nel 1014 fra cui Barbola, Monte Arcano, Monte Marte e Monte Casale, Orto della Riagine di Ravennola, Monte dell’Urbe Benafrana (CV, Vol.III, pag.10). E che si ripete nel 1038 in un atto di S.Vincenzo e scritto in “Actum Vetere Capua”, l’imperatore Corrado II conferma a S.Vincenzo il privilegio di Enrico II (n.185) fra cui la Cella S.Sossi nel suo bosco di Liburia dove si dice Pantanum, oltre la Cella di S.Agathe in loco Turcino e la cella di S.Petri in Vayrano (CV, Vol.III, pag.22-25).
Ai piedi di Civitate Beneventana del Monte Calvo rinasce come Condoma di Venticano quella che si chiamava Corte di Vetticano, donata dal Duca Gisulfo al Gastaldo Raodoaldo sul confine del monte di Venafro appartenuto ad Arechi.
Capitolo III
La Condoma del Casale chiamato Venticano
Monte Bonioli di Civitate Beneventana e la sua Mellito
1.Venticano del Monte Bonioli di Nova Beneventana Civitate in Monte Calvo dove è stata fondata l’abbazia di S.Sofia col monastero di San Pietro a cui si donano le chiese e le terre del Medio Calore
A tornare sulla chiesa di San Martino, costruita alla località di Monte Bonioni in Venticano dallo sculdascio Trasemundo su una sua proprietà, è una charta absolutionis del marzo 781 scritta in episcopio di Benevento con cui quel vescovo di nome Alfano gli conferma che vi può esercitare l’attività solo il prete consacrato dallo stesso vescovo, insediato da lui o dai suoi eredi. E’ una pergamena che si trova in Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Chronico S.Sophiae, nel Codice Vaticano la.4939, parsI, n.21, cc.47v-48v, del 1120 circa. E’ il terzo ed ultimo documento non ducale inserito nel Chronicon S.Sophiae della prima metà del 1100. L’unico documento vescovile del periodo al punto da essere studiato dai più grandi esperti.
Si cita Venticano con il nome di Bentecano, toponimo dell’omonimo paese conservato dagli anziani fino all’inizio del secolo scorso.
In nomine omini Dei Salvatois nostri Iesu Christi et eius sancte genitricis. Temporibus domni vir gloriosissimi arichis summo dux gentis Langubardorum, anno vicesimo quarto gloriosissimi ducati eius domnus vir beatissimo huius sacratissime sancte sedis Beneventane Alfanus reverentissimo episcopio absolutionem ecclesie Sancti Martini tibi Trasemundi sculdahis, qualiter tu nominate Trasemunde ipsa sepius dicta ecclesia a novo fundamine usque ad culmine (o culmen) consecrationis perducere visu his in tuo proprio territorio, loco qui vocatur Monte Bonioni (o Monsbonionis), qui esse videtur in Bentecano. In ea vero ratione absolbimus ipsa predicta ecclesia, ut no presbiter, diacuno vel subdiacuno abeas potestatem eam dominando in plebetana pars aut subtrahendo per qualibet titulo, excepto presbitero quem tu nominate Trasemunde vel tuis heredibus per tempora ordinare volueritis in ipsa iam fata ecclesia, a nos vel a nostros successores in nominata sancta sede nostram pervenia consecrandam secundum canonica sanctionem; nam alia nullam rerum haba potestate dominandum.
Et neque a me Alfanus Dei gratia episcopo neque ex posteris meies nunquam habeas aliquando aliqua requisitione aut reprehensione de hanc mea absolutione, sed ex nunc et usque in perpetuis temporibus, qualiter superius legitur, in ipsa ratione permanere valeas ipsa nominata ecclesia.
Quod vero membrano absolutionis tibi Maiuni notario nostro ut scribere precepimus, et anulo nostro effigiem sancte crucis affiximus roborandum. Acto Benevento in episcopio, mensi et indictione nominata, feliciter. […]
Ego Maio archipresbiter me teste subscripsi astantibus sacerdotibus nostris vel cunto clero.
Ego Aripaldus […]
Beneventana Civitate con il primo monastero di Santa Sofia citata nell’anno 785 è al confine con chiesa e terre di San Martino di Venticano del Monte Bonioni, nello spicchio più estremo che giunge nel Demanio, cioè al Ponte Rotto, fra i territori di Apice, Mirabella, Bonito e Monte Calvo. Anzi, Civitate Beneventana, è già nata nello stesso luogo del Monastero di San Pietro in Monte Calbo nel 776.
2.Scompare Colle Bonioli e compare San Martino del Monte Bonioni di Venticano donato a Santa Sofia a partire dal 785
L’ultima charta offersionis del periodo in esame è dell’aprile del 785 e riguarda sempre lo sculdascio Trasemundo fu Costantino che, a causa di una malattia, offre al monastero di S.Sofia della badessa Eusoffronia, fondato in Benevento dal Duca Arichis (II), la chiesa di San Martino da lui costruita alla località del Monte Bonioni, insieme ai beni comperati da Lupone e Grisio, attrezzi ed animali, riservandosi l’usufrutto vita natural durante. Quando lo colse la morte tutti i suoi averi furono incamerati da Santa Sofia.
E’ un documento su pergamena scritta intorno all’anno Mille, la nr.1, tt.1-21, conservata a Roma, presso la Biblioteca Vaticana, nel Fondo Aldobrandini, nel Codice Vaticano lat.13491.
+ In nomine domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Temporibus domni nostri vir gloriosissimi Arichis summi ducis gentis Langubardorum, anno b[ig]esimo octabo filicissimi ducati eius, mense aprile, per indictione .viii. Ego Trasemundis sculdais filius quondam Constantini, dum bedisset corporis meis posi[tis] in infirmitate et reiacente me in lectulo meo, dum recte loquere potuit, et a me iso eligente consilio: ideoque cum arduo adque be[ni]gno desiderio incitato Dei amore, per huius mee cartule conscriptionis offeruit atque subdedit in monasterio Sancte Suffie, ubi [m]ulta corpora Sanctorum condit[a] esse [no]sc[unt]ur, quem nominato domno nostro vir gloriosissimo Arichis infra hanc Beneventana civitatem edificabat, ubi Deo auxiliante Eusoffronia abbatissa regiminis cura peraget: primitus quidem offeruit in predicto monasterio ecclesia mea cuius bocabulus est Sacntus Martinus, ui situs esset noscuntur in Bentecano, quem ipse (Tr)Asendus in proprio territorio meo a noba fundamenta usque ad culmen tectis sacrationis perduxit, insimul cum casas, vineis, territoria, pratis, campis et silbis, culto vel inculto, omnia et in omnibus de quanto ad Monte Bonioni mihi pertenuit in integrum, vel quod a Lupo t Grisione filio eius in eodem loco emptum habuit, et puero nomine Marsulu cum uxore sua nomine Rattiperga et cum una filia eorum nomine Rattola, et puero nomine Caztiunu, et puero nomine Urso, et alio puero nomine Lioderamo (o Hoderamo), carro ferrato uno, vobi pario uno, caballo uno, caldaria una, catena una, sappis duas, potaturia dua, gallegas duas, arato cum homere suo, iugo conciato uno, cuniaria una, dolturia una, fressuria una, ronca una. Hec omnia que superius nominatibe scriptum est, eo tinore in ipso monasterio offeruit adque confirmavit, ut dum Dominus omnipotens mihi conscripto Trasemundi spatio vite donaverit, omnia que superius legitur, in mea sit potestate ordinandi, regndi et gubernandi, nam non me liceat in alia benerabilia loca offerendi aut per quavis titulo alienandi. Et posto bero disscessum cuncta que superius legitur, in predicto monasterio Sancte Suffie remaneant in possessionem; et iterur de reliqua meam faculta, si aliquod iniudicatum reliquero tam mobilibus adque immobilibus, bolo enim ut omia et in omnibus in nominato monasterio debeniat in possessionem, ut neque a parentibus meis neque [a null]us quempias homine numquam habeas aliquando aliqua requisitionem aut molestationem, set sicut superius diximus, in ipso monasterio avere et possedere baleaminis.
Quam enim cartula offertionis rogatus a nominato Trasemundo scripsi ego Aufrid notarius. Actu Beneventi, mense et indictione nominata, feliciter.
+ Signum manus Trasemundi (cioè Trasemundius) qui hanc offertionem taliter fieri rogavet.
+ Ego Racausu filius Rattenundi rogatu a nominato me teste et subscrtipsi.
+ Ego Atrianu filius Maiuni me teste subscripsi.
+ Ego Aio filius Maioni me teste subscripsi.
+ Ego Tindo notarius filius Iohannis [glauca] nominato Trasemundi me teste subscripsi.
+ Ego Anseri filius Uuilerufi me teste subscripsi.
+ Ego Maio archi presbiter me teste subscripsi.
+ Ego Barbatus diaconus me teste subscripsi.
+ Ego Ursu filius Persi aurifici me teste subscripsi.
+ Signum manus Pesi aurifici.
+ Ego Iohannis notarius rogatus a nominatus Trasemundo me teste subscripsi.
3.Nel marzo del 781 Duca Arechi ha rifondato l’altra S.Sofia chiamata sacratissima santa sede dell’Episcopio di S.Sofia in Civitate Beneventane
Nel 781 Arechi II, Duca di tutti i Longobardi con sede nell’episcopio di Benevento, luogo dove si scrivono gli atti che riguardano il nuovo episcopio di Benevento, cioè quello chiamato Santa Sofia in Civitate Beneventana del vescovo Alfano.
Uno dei suoi sculdasci è Trasemundo di Venticano nominato nelle pergamene di Santa Sofia di Civitate Beneventana nel marzo del 781, ai tempi di quello che si definisce Duca Domno Vir e gloriosissimo Arechi, al suo 24esimo anno di Ducato in un atto in cui si parla di tibi Trasemundi sculdahis scritto in episcopio di Benevento (Cod.cc.47b-48b (I, 21). -U.col.432 e seg.).
Da questo momento gli atti si diranno sempre scritti in Episcopio della Sacratissima sede della Civitate Beneventana per un altro quinquennio.
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