21. ENZO I RE DI SARDEGNA PRIGIONIERO A BOLOGNA: ENZIO DI SVEVIA, IL FIGLIO DI FEDERICO II NATO A CREMONA. könig Heinrich VII di Hohenstaufen ISBN 9788872974902

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Copertina posteriore

SI CHIAMAVA ENRICO, MA POI FU DETTO ENZO, ANZI RE ENZIO DI SARDEGNA

prologo.

il re-poeta di casa sveva
dai lunghi capelli biondi

prologo.
il re-poeta di casa sveva
dai lunghi capelli biondi
note prologo

testamento.
oggi, domenica 6 marzo 1272,
io, «enrico», faccio testamento
note testamento

capitolo i
il figlio «segreto»
DELL’IMPERATORE

—L’erede del Regno che non c’è
— Federico II di Svevia: il padre Imperatore
— Il nome del nonno imperatore mutato in Enzio

capitolo ii
la mano di adelasia per essere
re dei giustizierati di sardegna

— Signore di Sardegna per le nozze turritane
— Incoronato in Aquisgrana e nozze di Enrico
— Le nozze con sposa Adelasia nel 1238
— La conquista dei Giustizierati di Sardegna

capitolo iii
al servizio di federico ii
per annettere la lombardia

— L’invasione della Marca di Ancona
— La ribellione delle città agli Svevi
— Da Cremona a Bologna contro i Guelfi
— Nella Marca contro Azzo: le scomuniche
— Battuta la flotta Genovese, prelati prigionieri

capitolo iv
l’assedio di parma
e altre imprese sfiancanti

— Le imprese di Enzo fra 1242 e 1243
— I fatti dell’anno 1245
— Il Re assedia Parma ma è fugato

capitolo v
la trappola di bologna
mentre soccorre modena

— In aiuto ai Modenesi, ma resta prigioniero
— La Battaglia di Fossalta e l’errore del Re
— Alla conquista di Nonantola
— Un Re per bottino biondo, con occhi azzurri
— Nessuna trattativa: il Re resta in carcere
— Federico cerca di liberare Enzo il figlio
— Enzo tenta di fuggire, ma è acciuffato
— L’ultimo anno di vita del Re di Sardegna
Enzo mi sembra essere stato di quei di gran talento, ma di poca fortuna. Imprenditore d’ogni più difficile azione non considerò la buona o cattiva sorte dipendere dal rincontrare il modo del nostro proceder co’ tempi; e le imprese di qualunque sorta richieder maturo consiglio. Militato avendo dalla più giovanile età sotto i comandamenti, e gli esempi del padre; dotato del vivace suo intraprendente spirito, da giovane operò, e da vero figliuolo di Federigo. L’ardire suo fu grande, grande il coraggio, grande l’impeto.1
Ma i termini passò convenevoli, e dove cautela usar dovea, non usolla. All’inimico possente, e fortunato d’uopo è farla da Fabio Massimo, il quale procedendo lentamente, e con avvedimento, tenne a bada Annibale, e la Romana sventura cangionne.
Ove pertanto d’uopo faceva reprimersi, e mutarli, non si represse, e non si mutò. Vinse il suo naturale, dal quale portato a si procedere, non gli fu possibile altramente condursi.
Grande spregiatore d’uomini, lo fu anche di Dio, e nulla curando i fulmini più tremendi del Vaticano, pregiò solo il mondano interesse, e il sodisfare l’altiero tirannico procedere del genitore.
Male perciò glie ne venne, come a quello venuto glie n’era. Da quella detestevole massima regolato, di non esser virtuoso, se il bisogno sembra richiederlo, la virtù mantenne a tempo, quandoché sempre mai d’uopo è lasciarsi alle sue vedute. Ella à sollevate intere nazioni, e gli uomini à condotti alla vera grandezza: ma il vizio, presto sia, o tardi gli à precipitati e perduti. Egli provollo, ed esempio ne fu a’ tempi suoi se lo farà ne’ futuri. Amò le Scienze in certa qual maniera, a guisa del padre, nelle quali grandi progressi far poteva se ammaestrato, vivace essendo d’ingegno anzichè no. Fu riconoscente, seppu nol volle apparire, onde tanti legati fece, gli eredi gravando di que’ Regni, a’ quali sognava.
Vinto, fu in guerra dal Comune di Bologna, e lo fu in pace col mezzo di vere generose azioni. Bello e pro della persona, maestoso e appariscente, principesco nel tratto, e menieroso, il genio incontrar gli fece degli uomini, i quali n’ebbero compassione, giusta il solito, allorchè luogo più non v’era al rimore. La miseria, in cui venne, nol perdette, perchè in mano a un popolo cortese per natura, e generoso, il quale nol lasciò miserabile. Non so però se sfortuna fu per lui l’esser suo prigione, oppure felicità.
Manfredi suo fratello audace anch’egli, e fiero, fortunato nel principio delle sue imprese, malamente i giorni finì, e ad esso pure facilmente avvenuto sarebbe lo steffo.
Egli pertanto fabbro fu della sua sventura; ma nella sua sventura più degli altri suoi fratelli avventurato. Ebbe moglie, e certamente in età giovanile; e, come dal testamento, tre figliuole [comunemente reputate] naturali. Elena la quale si accasò con Guelfo di Donantico, e possiamo pensarla figliuola legittima avuta da Adelasia, chiamandola, non solo sua figliuola, [ma dandole il titolo di Eccellente in que tempi molto distinto. Di più ebbe] Maddalena e Costanza, da una delle quali [anno preteso alcuni] la nobilissima famiglia de Bentivogli, la quale per altro essendo già stabilita, deve dirsi più antica. [Lo che penso più certo.] Ma [che che ne sia], non essendo ciò della presente mia fatica, senza più ricercarne lo tralascio.
Fu egli della poesia volgare, giusta que’ tempi, alquanto amatore, onde le poesie sue nella raccolta di sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani.2

S’eo trovassi pietanza (pietà)
D’ incarnata figura
Merze la chiggeria (chiederìa)
Ch’à lo meo male desse alleggiamento.
(alleggerimento)

E ben farìa accordanza
Infra la mente pura:
Che pregar mi varrìa
Vedendo il mio humile agicchimento:
(posto, stare)

E dico: ahi lasso, spero
Di ritrovar mercede
Certo il meo cor no il crede:
Cb’ eo sono isventurato
Più d’homo innamorato.
Sol per me pietà veneria crudele.

Crudele e spietata
Verrìa per me pietate
E contra sua natura
Secondo ciò ch’era oltre al mio distino
E mercè adirata
Piena d’ impietate
O Deo cotal ventura
Ch’eo pur diferno a cui servir non fino:
(finisco)

Del meo servir non veo (vedo)
Che gio mi se n’ accresca, (gioia)
Anzi mi si rinfresca
Pena e dogliosa morte
Ciascun giorno più forte.
Laonde io sento perir lo meo sanare

Ecco pena dogliosa
Che ‘nfra lo cor m’abbonda,
E Sparge per le membra
Si ch’a ciascun ne vien soverchia parte.
Giorno non ho di posa
Si come il mare, se l’onda
Core che non ti membra? (dividi)
Esci di pene, e dal corpo ti parti:
Ch’assai val meglio un ora
Morir che pur penare,
Che non porrìa campare,
Homo che vive in pene: (incontro)
Ed à gio non s’avvene;
Ne ha pensamento che di ben s’apprende.
(impara)

Altra.

Amor mi fa sovente
Lo meo cor pensare,
Dammi pene, e sospiri,
E son fortemente
Per lungo adimorare
Cio che porrìa venire
Non ch’aggia dubitanga
Che la dolce speranza
In ver di me fallanza ne facesse
Ma mi tene in dottanza (dubbio)
La lunga dimoranza
E ciò che adivenire mi potesse.

Però n’haggio paura
E penso tuttavia
Lo suo gran valore
Se troppo è mia dimora
Eo viver non porrìa.
Cosi mi stringe amore
E hammi così priso
In tal guifa conquiso
Ch’in altra parte non ho pensamento:
Ma tutt’hora m’aviso
Di veder lo bel viso
E tengolomi in gran confortamento.

Confortemi, e non haggio bene
Tanto è lo meo pensare
Ch’ eo gioia non posso havere.
Speranza mi mantene,
E fammi confortare,
E spero tosto a gire
La v’è la più avenente
L’amorosa piacente
Quella che m’have,
e tiene in fua balia.
Non fallerò niente
Per altra al mio vivente (vivere)
Ch’io la terrò per donna in vita mia.

Trasferite furono le di lui ossa dalla singolar vigilanza dell’eccelso Senato di Bologna da un luogo all’altro nella Chiesa medesima di S.Domenico, e fattane particolar memoria, 314 anni dopo che morto, a perpetua ricordanza di tanto celebre avvenimento, d’un Re cotanto illustre, e d’una gloria cotanto speziale di Bologna. Ove in prima data gli fu sepoltura il seguente epitaffio vi fu scolpito, giusta il comporre di que’ tempi, rozzo alquanto.3

Tempora currebant Christi nativa potentis,
Tunc duo cum deciesseptem cum milleducentis,
Dum pia Casarei proles cineratur in Arca
Ista Federici, malvit quem sternere Parca.
Rex erat, & comptos pressit diademate crines
Hentius,inquam,Celi mervit mens tendere fines.

Altro ne riferisce Celso Faleoni, nelle Memorie Istoriche della Chiesa Bolognese.

Felsina majorum sum gloria magna tuorum
Hentius, & vestri nobile mancipium.
Hac dixiße fatis secerit, nam catera norunt
Germani, atq. Itali,& quidquid orbis habet.

Più volte ristorato fu d’Enzo il sepolcro, e con più amplo e nobile monumento fatta perpetua sua memoria. Di presente esposto si legge a mano destra dell’Altar maggiore nella predetta Chiesa dell’insigne Ordine di S.Domenico, ed è il seguente.

D.O.M.

Ella è dessa d’Enzo la vita, per quanto al debolissimo mio talento, e all’angutiimo mio potere è venuto di ritrovarne.
Re celebre la buona mercè di Bologna, perciocchè se le à recata inarrivabil gloria colla di lui prigionia, ben Ella gli à renduto largamente il contracambio, fatto il nome suo immortale.
Così à dato, e dà a conoscere d’essersi mantenuta patria d’eroi; nè di cotal pregio averne fatta luttuosissima perdita.
Non come di tante città d’Italia, delle quali si avvera purtroppo, che:

La gola, e il sonno, e le oziose piume
Anno dal mondo ogni virtù sbandita.
Avverato anzi di Lei si ravvisa
Che ne ferro nè foco a virtù nuoce.
[Petrarca]

Potrei qui assai distendermi ricordando tanti e tanti, ed in ispezie i viventi suoi padri eccelsi; ma troppo da riprender sarei, aspirar dovendo all’impossibile, Ella essendo, la quale non già solamente ne’ vetusti, ma in tutti i secoli, uomini à prodotti in ogni qualunque virtù distintissimi, i quali renduta l’anno la più illustre, fioritevi le scienze, eziandio in quel fesso, in cui per mancanza d’istruzione, d’ordinario non fioriscono.
Non è però d’uopo maravigliarsi, se fra le tante Città gite anzi smancando, Ella è sempre mai cresciuta: onde a paragone di tante altre, anche in questi malvagi tempi può dirsi beata, verissimo essendo l’ osservato da Cicerone nel divino Platone, allora esserlo le città, che i reggitori di esse o dotti e saputi, o delle scienze amatori.
Tum denique: fore beatas Respublicas putavi, si aut docti aut sapientes homines eas regere cæpissent: aut qui regerent suum omne studium in doctrina ac sapientia collocassent.
[Platone]

La qual cosa in Bologna avverata per lo passato, in oggi ancora si avvera, i padri tuoi eccelsi le scienze amando e intrattenendo, o come a cotali uomini sta bene, favoreggiando. E vaglia per un esempio d’ogn’invidia maggiore, e d’ogni ricordanza, quello del regnante sommo pontefice Benedetto XIV, di cui la dottrina omai è sì celebrata, che luogo non evvi tanto rimoto, non abituro tanto spregie vole dove sua gran fama giunta non sia.
Fiorisce egli in tutte quelle dottrine d’un ecclesiastico proprie, dotto nella canonica, e nella teologale, nella storia della Chiesa, e nella scienza de’ padri; ammirandosi in lui un rettissimo pensare, e un vivissimo giusto discernimento alla più soda, giudiziosa, e lodevole critica unito.
Il vero però gli è palese a un rifletter di mente, quanto agli altri dopo vari sforzi.
Uomo da compararsi non solo nello zelo veramente apostolico, ma eziandio nella dottrina a’ medesimi Lioni, e ai Gregorj, onde crescerà sempre sua rinomanza; e allora in ispezie, che cessata l’invidia, coll’occhio di cui riguardano per lo più i viventi i loro contemporanei, sapranne ognuno sue geste considerare, e le tante sue laboriose non mai tralasciate applicazioni, avvegnachè del gravissimo peso del sommo pontificato onusto, e con verità non bisognosa di critica saprà sinceramente lodarlo.
Ma non è del mio assunto le lodi sue pienamente ridire, per lo quale tanto celebre non per Alessandro Pella, nè per Ciro la Persia, quanto Bologna per contare tra suoi Benedetto XIV, cui appropriar si può con verità quello detto fu di Luigi il grande.

Ut similem cudant fudabunt saecula regem.
Nec potior, nec par effaeto furget in orbe.4
[Flamin. Lupo]

Quello pertanto a lode somma di Roma felice, detto fù già che i di lei cittadini combattevan tra loro per la virtù, tal ardore ne dimostravano, in ogni tempo ripeter si può di Bologna, la quale anche ne’ presenti la saviezza e virtù à conservata in ispezie nei padri suoi.5
Quindi se alcuno vi è in neghittosa vita passandola, alle geste gloriose riflettendo e de’ moderni, e de vetusti eroi della patria sua, di seguitarle s’invaghisca, e cuore mostri, e mente a lor somigilante.
Egli è questo il frutto da ogni storico sperato; poichè così gli esempj durano, ove i costumi, finiscono: e ove muoiono gli uomini non muore in cotal guisa loro virtu.
Ponga dunque gli occhi ogni vero cittadino di Bologna sopra i risplendentissimi esempi de’ famosissimi suoi antenati, e le virtuose azioni loro prendendo a cuore, egli ancora delle somiglianti ne compia. Cotal frutto se avrà questa mia faticuccia, ma veridica storia, il pregio avrò riportato dell’opera.6

Description

MAGO MERLINO PREDISSE CHE SAREBBE NATO un FIGLIO Re biondo, con occhi azzurri

Bologna era in festa per la sconfitta del Re svevo e il carroccio metteva allegria per il bottino reale. Tutti esultavano lungo il percorso fatto fare ael prezioso prigioniero e già sfoggiavano il vestito a festa. «Terminava la si decorosa entrata il pretore lieto e giolivo, un bel palafreno bianco cavalcando, rivestito di porpora, onorato da’ suoni, e canti. La moltitudine del popolo fuor di città uscito per esser a parte di tanta festa, la non si può ridire, prendendo tutti oggetto, e di stupore, e di allegrezza. Fissavano gli occhi in ispezie sopra il Re Enzo, il quale d’anni intorno a’ venticinque, bello della persona, tutti attirava a sè i riguardanti».
Il biografo: — I suoi capelli biondi lunghi quasi fin a cintola, e il complesso tutto della di lui corporatura alta e gioconda, muovevano ancora a tenerezza, e pietà, compassionando alcuni, come nelle disgrazie intervenir suole, in ispezie i bolognesi dolcissimi e gentilissimi, tanta sua disgrazia. Tanto è vero, che anche ne’ nimici la sfortuna di persone di merito muove a compassione.
Bologna era diventato il simbolo della libertà per i Guelfi di tutte le nazioni.
«Può ognuno immaginarli quanto andò per le lingue tutte di Europa la sorte felicissima di Bologna, non potendo che recare stupore, come una sola città giunta fosse a tal altezza di fortuna e gloria. Egli è questo il tanto strepitoso avvenimento alquanto diversamente narrato da Matteo Paris, volendo che Enzo unito a cremonesi e reggiani scorresse i confini de bolognesi a loro danno, onde questi posti in agguato, mentr’egli incautamente n’andava, al Ponte di S.Ambrogio l’attaccassero, che fatto prigione con incirca ducento soldati e molti reggiani, e cremonesi fosse con essi condotto a Bologna, dove all’arbitrio de loro nimici crudelmente assai essendo trattati per ottenere qualche alleviamento, diedero diciottomila lire imperiali. Sia quei ch’egli vuole, certo è non potersi ciò accordare per quello Enzo riguarda, note essendo le tante spese, con principesca liberalità, fatte dal Comune per trattarlo da suo pari».43
Al Re, insomma, non sarebbe mancato il necessario e fu vera neppure la storiella allegorica che era stato tradotto in una vera e propria gabbia. Bologna e Modena, città confinanti, «quando l’Italia tutta era in fazioni divisa, di contrario partito, ebbero insieme in varj tempi pertinacissime guerre».44
Certo è che stupiscono il fatto che sia toccato ai Bolognesi far prigioniero Re Enzo, quando la guerra era fatta da collegati, e principalmente voluta dai Bresciani. Questa non curanza dei collegati è dovuta all’interesse più per le grosse spese e ai forti impegni che prevenir dovevano. Ma se Enzo fu fatto prigioniero dal Pretore, e la guerra era a nome e nei confini dei Bolognesi, «e principalmente contra di essi, loro toccava la forte di averlo. Che se gli altri collegati nol curarono tanto più cresce la gloria de Bolognesi, i quali non si fermarono al vile pensiero dell’interesse, nè si atterriron dall’altro della forza che poteva esser fatta loro. Ebbero dunque i prigioni, e tra questi Enzo, e condottolo a Bologna il collocarono in una prigione degna di lui. Ce ne dà contezza il monaco Patavino, e lo dice ritenuto in un palazzo vicino alla casa de Lambertini, dopo il Palazzo del Comune di Bologna, poco lungi da quello, detto del Podestà», risultando errata la ricostruzione del Sommonte.
Tantomeno il Villani: — I Bolognesi in una gabbia di ferro il racchiusero, facendol ivi morire come uccello.
E il Bosio: — Fu posto in gabbia di ferro, dove miseramente finì sua vita.
Per cui anche Federico II, come padre, «prese tanto cordoglio, e dispiacere, che in breve anch’egli se ne morì. Ora nulla v’è di più falso, e costa dall’esser morto Federigo nel 1250 ed Enzo nel 1272»
Per cui si dirà: — Tal ferigno cuore, e tanta viltà non regna in verun Bolognese.
«Errano però all’ ingrosso, e il trattamento crudele fatto dagli Alessandrini a Guglielmo Marchese di Monferrato, a Enzo ascrivono. Lo sgraziato Marchese, levatosi il popolo a romore contra di lui fu imprigionato a dì 8 settembre 1289, e in gabbia di ferro racchiuso, da buone guardie custodito, e con inaudita barbarie ritenuto fin a morte».
Ma su Enzo valse il detto: — Guardati di non annegarti, que che si annegano soccorrer volendo.45

Dettagli

EAN

9788872970133

ISBN

887297013X

Pagine

96

Autore

Barbato,

Cuttrera

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Editorial Review

 

LE TRENTA TERRE DI MEZZO DEI TEMPLARI SONO NELLA LUCANIA, DALL'ADRIATICO AL GOLFO DI POLICASTRO

testamento.

oggi, domenica 6 marzo 1272,
io, «enrico», faccio testamento

Nel nome della Santissima e individua Trinità nell'anno del nascer del Signore nostro, Cristo Gesù 1272, nell’indizione quintadecima nel giorno di Domenica sesto nell’entrar di Marzo.1
Enrico per la Iddio grazia Re di Sardegna. Mentre andiamo rivolgendo per la nostra mente la memoria della virtù gloriosa, e virtuosa potenza del Serenissimo padre nostro Federigo invittissimo Imperadore de' Romani, e andiamo ripensando l'altezza degli illustri Re, e Principi nostri fratelli più gravemente ne danno passione i desiderj della carne, quanto più siamo afflitti dalla nimica fortuna.
Ma non potiamo per questo per alcuna via fuggire il giudizio dell’eterno Iddio, al quale soggiace la fragilità umana, pur dalla sua mano sperando misericordia, c’andiamo consolando.
E finchè godemo la integrità della discrizione che in noi nacque, benchè il capo sia oppresso da durissimo male, che n’attira al fine nostro per il presente testamento nominato senza scritto diamo ai nostri posteri sopra le ragioni de' Regni, e cose nostre la disposizione il documento sottoscritto. E primieramente scaricando le nostre spalle da un grave peso liberiamo il Comun di Bologna da ogni aggravio, e offesa, che per il tempo che non conoscevamo le nostre colpe, e bene ce la meritavamo fatto ci avesse rimettendo a detto comune tutto quello che per ogni tempo n'avesse levato poco lecitamente, e tutti insieme e ogni particolare assolviamo da tutte le ingiurie, che n'avessero fatto, ritornando loro alla pace, e benevolenza nostra.
Supplicando esso Comune di Bologna che avendo compassione alla povertà nostra, non guardi alla gravezza delle spese e che rallegri con onesta rimunerazione li descritti uomini Máestri Taddeo, Paolo, Bartolo, Pellegrino, Amadeo, & Alessio medici nostri per le loro fatiche.2
Inoltre vogliamo fermamente, e comandiamo che il miserabile nostro corpo, qual la Città di Bologna ha tenuto chiuso in carcere vivendo, dopo morto sia dato a perpetua sepoltura all’arbitrio del Venerabile Padre Ottaviano per Dio grazia Vescovo di Bologna, e appresso a qual Chiesa sia a lui in piacimento, che noi fino ad ora tal luogo eleggiamo, e desideriamo per sepoltura nostra. Per salute dell’anima nostra e in rimedio deI peccati per noi commessi, lasciamo quattrocento oncie d'oro da dispensarsi per l'illustre Sig. Alfonso per Dio grazia Re di Castilia nostro carissimo Parente, e per il Sig. Federigo Terzo Langravio di Turringia nipote nostro carissimo a' luoghi pii e persone miserabili a lor arbitrie, non computando in queste spefe, la spefa della sepoltura nostra. Pregando l'uno e l'altro di questi che non manchino a ciò per l'amor nostro, e della notra Casa, e per falute dell'anima nostra.3
Per ragion di Legato lasciamo al commendabile uomo nostro Guglielmo da S.Giorgio cittadino di Bologna famigliare e fedele nostro mille lib. di Bolognini, in questi computando tutti i denari che fin quì ha prestati a noi, e alla Corte nostra per sovvenzione nostra, e per i bisogni nostri, e della nostra famiglia.
Comandando ad Enrico e Ugolino nipoti e eredi nostri infrascritti che dopo la morte nostra per sei mesi paghino a detto Guglielmo tal quantità, altrimenti li priviamo della nostra infrascritta eredità, e ordiniamo che non la possino godere; ma che sia devoluta, e venga a detto Guglielmo, in tal caso avendo considerazione a quanto vien lasciato a ciascheduno degli infrascritti Jacomo, Niccolò e Pietro, e ciò è che venghi a detto Guglielmo la parte della eredità per mezzo della divisione per la ratta delle dette quantità da farsi allora.
Item lasciamo al descritto Jacomo dell’Abate nostro fedele e famigliare mercante, Cittadino di Bologna per ragione di Legato libre due milla è settecento di Bolognini, in tal somma comprese libre mille e settecento di Bolognini, quali ha prestati a noi, e alla nostra Corte per fare le spese necessarie, comandando agli infrascritti Enrico e Ugolino nipoti ed eredi nostri, che fra il tempo di sei mesi prossimi dall’uscir nostro di vita, debbano tal quantità pagare altrimenti li priviamo della nostra eredità, e vogliamo che non possino goderla, ma che prevenga a detto Giacomo avuto riguardo a quello ch'è stato per noi lasciato a Guglielmino suddetto, e alli infrascritti Niccolò e Pietro come sopra è detto.4
Assolviamo di più il discreto uomo Boncivenne dell'Abate e suoi figliuoli da tutte e ciascuna delle cose che da noi anno prese e avute in nome di usura non volendo che perciò abbiano alcuna gravezza di peccato.
Similmente a Niccolò figliuolo di Benvenuto cittadino di Bologna nostro famigliare e amato cameriere, qual mai abbiam trovato tepido nel servire per ragion di legato lasciamo cinquecento libre di bolognini, comandando agli infrascritti Enrico e Ugolino nipoti e eredi nostri, che tal quantità paghino à detto Niccolò dopo tre mesi prossimi dal morir nostro altrimenti li priviamo della nostra eredità come sopra.
Similmente lasciamo per ragion di legato alli sopradetti Guglielmo e Niccolò tutte le ragioni nostre che contro Albertino Spavaldo, e suoi beni che per qualsivoglia occasione ci appartengono.
Similmente a Pietro Armanino fedel nostro lasciamo per ragion di legato cinquanta libre di Bolognini comandando agli infrascritti Enrico e Ugolino nipoti e eredi nostri che paghino tal quantità per 6 mesi dopo la morte nostra a detto Pietro altrimenti li priviamo della nostra eredità come sopra.
Similmente a mastro Eliseo medico lasciamo per ragion di legato cento libre di Bolognini.
Similmente a Guglielmino da Parma nostro Donzello servitore e famigliare nostro per ragion di legato lasciamo cento libre di Bolognini.
Similmente a maftro Matteo, e mastro Giovanni Cuochi nostri a Benedetto Pugliese, ea Bernardo da Milano nostri servitori per rimunerazione dei servigi che ci anno fatto fedelmente venticinque libre di Bolognini per ciascun di loro.
Similmente al nobil uomo Guido Tandi amico nostro per ragion di legato lasciamo libre venticinque di bolognini.
Similmente à Giacubine Favia mastro sarto nostro venticinque libre per legato. Similmente a Pietro da Reggio nostro calzolaro venticinque libre di bolognini.
Similmente a Bonacosso lasciamo per ragion di legato libre dieci di bolognini.
Ma considerando i devoti servigj che pure la fedeltà con le quali per molto tempo ci sono piaciuti Guglielmino, Giacomo, e Niccolò sopradetti, e anco Tommasino sottoscritto fedele notaro, e famigliar nostro, poichè non potiamo far loro i beneficj che dovremo per rimunerarli mancandone le forze, questi raccomandiamo teneramente a tutti i nostri eredi e a tutti i Re Principi, e altri ch'anno amato i seggi del padre e fratelli nostri; e preghiamo gli altri fupplichevolmen. te che talmente moftrandogli allegro volto li rallegrino con favori e grazie tali, che a tale efempio fieno le menti di ciascheduno incitate.
Similmente vogliamo, e fermamente comandiamo, che tutte le lettere, instromenti, privilegj, e libri de' romanzi nostri, e altre cose, e robe che si trovano in Bologna in qualsivoglia luogo vengano sotto la custodia dei predetti Guglielmino da S.Giorgio, Giacomo dell'Abate, e Niccolò, quali abbiano a salvarle, ordinando a lora e gravandoli a restituire tali cose agli infrascritti Enrico e Ugolino e quali per ragion d'eredità si conoscerà apertamente tali cose: ma che prima a costoro e a ciascun di loro e a Pietro Armanno sa satisfatto intieramente di quella quantità di danari che a loro lasciamo.
Di più facciamo nostra erede Elena figliuola del Frassen in libre 200 di bolognini, comandando agli infrascritti Enrico e Ugolino nostri eredi che paghino a lei tal somma quallor vorrà pigliar l'abito di religione.
Facciamo nostri eredi il carissimo nipote nostro l'Illustre Signore Corrado d'Antiochia, e lo instituiamo erede nella Contea di Molisio, e in tutte le ragioni a noi pertinenti in quella.5
Similmente la Illustre Signora nostra Catterina di Marano carissima nostra sorella, e figliuola del serenissimo signor Federigo Imperatore Romano, facciamo nostra erede in duemilla libre di bolognini, supplicando gli Illuftrissimi Signori Alfonso Re di Castiglia e parente nostro, e Federigo terzo Langravio di Turringia nipote nostro che si degnino far a lor pagare tal quantità fra un anno prossimo dal giorno della morte nostra e se ciò non faranno, vogliamo che non possino godere la nostra eredità, ma che ricadda a detta nostra Sorella, alla quale di più concediamo facoltà di riscuotere, e anche di far liberazione ad ogni persona che da noi avesse tolto indebitamente cosa alcuna in nome d'usura.
Similmente Maddalena e Costanza carissime figliuole nostre instituiamo nostre eredi in mille oncie d'oro per ciascheduna delle quali vogliamo e comandiamo che si contentino regando l'Illustre Signor Alfonso Re di Castiglia a noi di sangue congiunto che si ontenti e degni maritarle con tali dote nel modo che esso giudicherà convenirsi al suo onore e al nostro.
Similmente Enrico e Ugolino carissimi nostri nipoti nati della eccellente Elena nostra figliuola, e del magnifico Guelfo di Donantico nostro Genero.6
E tutti gli altri figliuoli maschi che di lei nasceranno facciamo nostri eredi per parti uguali nel Regno nostro di Sardegna, e in tutte le ragioni a noi spettanti in detto Regno, come nel Castello di Sassari e similmente in tutta la Lunigiana, Carfagnana, Versiglia, e tutta quella Terra che Varesio si domanda.7
E in ogni altra noftra ragione che abbiamo nel Caftello di Trebbiano distretto di Genova comandando a loro che sodisfacciano a' detti Guglielmino, Giacobo Niccolò, e Pietro della quantità che a loro abbiamo lasciata, e nelli termini sopradetti, altrimenti li priviamo della presente nostra eredità, e vogliamo quella dover venire, come di sopra abbiamo ordinato.
Ordinando ancora a loro che paghino le altre quantità di denari che abbiamo commessi esser pagati, come di sopra. Ancoraché, inviino le nostre figliuole Maddalena e Costanza al detto Re di Castiglia perchè le mariti.
Di più vogliamo che detti eredi nostri abbino per raccomandati Niccolò figliuolo di Corrado Ponzio, e a quello sovvenghino abbondantemente in ogni cosa che vedranno lui aver bisogno per il viver suo.
E in fine a loro raccomandiamo fortemente Guglielmino da Parma nostro fedel Donzello.
Nel Regno poi di Gérusalemme, nel Regno di Sicilia, nel Regno Arelatense, nella Duchea di Svevia, e in tutte le nostre ragioni dignità e onori che a noi s' aspettano nel Romano Imperio e in tutti gli altri nostri beni e robe, ragioni, e azioni presenti, ed a venire istituiamo eredi nostri gli Illustri Signori Alfonso Re di Castilia nostro parente per sangue e Federigo terzo Langravio di Turringia nostro nipote.8
E ordiniamo che questi egualmente abbino a godere la nostra eredità, ordinando ancora che fra lo Spazio d'un anno dal giorno che usciremo di questa vita non manchino pagare alla signora Catterina sorella nostra duemila di libre Bolognesi, nella qual somma la facciamo nostra erede mancando loro a tal pagamento ordiniamo perdano questa eredità nostra e ne sieno privi, e non la godano ma che pervenghi alla detta nostra sorella per piena ragione, e vogliamo che questa ultima volontà nostra e giudicio abbia forza e fermezza nonostante alcun altro testamento o codicillo per noi fatti, quali tutti per certa nostra scienza, e per pura discrezione cassiamo e priviamo di forza.9
E se non valesse come testamento, vaglia almeno come codicillo, o in altro modo che gli potemo far forza.10
[«Oltre il recato Testamento si riferiscono i seguenti Codicilli», del 7 marzo 1272].
Nell’anno della natività del medesimo 1272, nella indizione quintadecima il settimo giorno entrante marzo Enrico per Dio grazia Re di Sardegna.
Avendo noi fatto scrivere un Testamento formato per mano di Tommasino de Pedrizolo Armenini notaro nostro sopra la disposizione de' nostri regni, beni, ragioni, e avendo mutato parere circa alcune cose che in detto Testamento si contengono, pochè ci è lecito di farlo insino all’ultima partita dello Spirito, vogliamo e ordiniamo pr i presenti Codicilli che il prefato Testameno abbia pienissima forza, aggiugnendone però quanto che per questi Codicilli per ragion di Legato laaciamo al nobil uomo Amore Soldato alla Corte cento libre di Bolognini, parimenti che sieno restituite a Graziadeo orefice quindici lib. de Bolognini, le quali ci ha libermente imprestate.
Item per ragion di Legato lasciamo ad Azolino amico nostro chiamato Cella cento lib. di Bolognini, supplicando i nostri illustri eredi il Signor Alfonso Re i Castiglia, e Federigo terzo Langravio di Turingia, che sieno pagate le dette quantità a denari e vogliamo e comandiamo che il presente giudizio dell'ultima volontà noatra abbia pienissima forza e fermezza di Codicillo, e caso che per ragion di Codicillo non valesse, vaglia almeno per vigore di qualsivoglia altra ultima volontà per la quale più pienamen te possa valere, e tenere comandando all'infrascritto Tommasino notaro nostro che scrivendo questo di propria mano, lo riduca in pubblica forma, e lo corobori col suo proprio segno.11
Pregando i medefimi che in questa parte non vogliano schifare la falute dell'anima nostra. Parimente lasciamo per l'anima nostra al Convento delle Monache della Misericordia, e perchè sono state assistenti alla illustre Madonna Catterina nostra Sorella con onori e grati servigj cinquecento libre di Bolognini da pagare e dare al medesimo Monastero per gli illustri Signori Alfonso e Federigo suddetti.
Parimente per ragion di Legato lasciamo a suor Guida Magna serva della detta signora madonna cento libre di Bolognini da pagare e da dare alla medesima per gli illusri signori Alfonso e Federigo predetti.
Item per ragion di Legato lasciamo ad Amore Soldato della Corte, che ne fa fede, ne di volere ha mancato nelli nostri servigj, trecento libre di Bolognini computando con questo cento libre di Bolognini i quali abbiamo lasciato al medesimo nell'altro codicillo da pagare e da dare al medesimo per gli illustri signori Alfonso, e Federigo predetti. Onde di questi perchè non potiamo con li presenti debitamente sodisfarli, lo raccomandiamo alli predetti nostri eredi, che si degnano di non mancarli delli debiti ajuti, favori e onori. Lasciamo parimenti per ragion di legato al signor Spagnuolo dell'Abate dottore di legge, ad Antonio e Bolognino suoi fratelli mille libre di Bolognini da pagare e da dare alli medesimi per i suddetti illuftri dignori Alfonso e Federigo.
Medesimamente lasciamo per ragion di legato all'infrascritto Tommasino notaro nostro che di propria mano faccia lettere di raccomandazione alli Re, principi, baroni in favore delli nostri amici e famigliari fedeli, che gliele domanderanno sigillandole col nostro sigillo.
E vogliamo, e comandiamo che il presente giudizio della ultima volontà nostra ottenga forza di codicillo e pienissima fermezza.
Caso che non vaglia per ragione di codicillo, vaglia almeno per ragione di qualunque altra ultima volontà, per la qua possa più pienamente valere e tenere, comandando all'infrascritto Tommasino notaro nostro, che scrivendo questo di propria mano lo riduca in forma pubblica, e lo corrobori col proprio suo segno.
Fatto nel Palazzo nuovo del Comune. di Bologna presenti il discreto uomo sacerdote Benvignai rettore della chiesa di S.Michele del Mercato di mezzo, il quale affermo di conoscere il prefato Signor Re, M.Ugolini Riccardi, M.Guglielmino di S.Giorgio, M.Giacomo dell'Abate, Niccolò di M.Bonvenuti Primerano, di M.Pellegrino, di M.Eliseo da Siena medico, e Azolino chiamato Cella, testimoni chiamati e pregati.
— Io Tommasino già di Pedrizuolo Armanino d'Imperiale autorità notaro, ed ora dal medesimo Signor Re notaro fui presente alle predette cose, e di fua commiffione le riduffi in pubblica forma, le scrissi.12

 

note bibliografiche
1. Ipotesi messa su a dire del Sigonio, de Reg., Jo. 18. In: Don Celestino Petracchi, Vita di Arrigo di Svevia re di Sardegna, volgarmente Enzo chiamato, Eredi di Costantino Pisarri e Giacomo Filippo Primodì, Bologna 1756. «Ebbe il suo nascimento in Jesi Città nella Marca d'Ancona l'anno 1194, nel mese di Dicembre, il giorno di Santo Stefano. Appena d'anni due, e non peranche avuto il fanto battefimo, eletto fu Re di Germania. Morti i suoi Genitori e dalla ben avveduta madre alla guardia e tutoria lasciato del gran Pontefice Innocenzo III, non folo con ogni cura, e benignità fu cuftodito, ma con paterno sviscerato amore, investito da lui del Regno di Sicilia l'anno 1198. Nel 1212. la corona ottenne di Germania, e per mano di Papa Onorio III. la Imperiale nel 1220. a' 22. Novembre con la maggior magnificenza nella Bafilica di S. Pietro di Roma. Fece le prime nozze con Coftanza di Aragona nel 1209, e quefta morta con Jolanta di Brienna unica figliuola di Giovanni Re di Gerusalemme nel 1225. e finalmente nel 1235. alle terze passò con ifabella Sorella di ARRIGO, Rê d Inghilterra, le quali belle e magnifiche in Vormazia celebrate furono. Principe quanto di virtù altrettanto di vizzi doviziofo. Quindi è che dagli Storici, e commendato viene affai, e affai vituperato. Fu fua vita di fuperbe e nobili azioni mefcolata, e d' altre malvagie e difdicevoli. Apprese i linguaggi Tofcano e Latino, Tedesco e Francefe, e il Greco ancora e Saracinefco. Di molto valore fu e fenno, largo e cortefe, e pro della perfona. Delle Scienze, e delle arti liberali amatore, pregio fi fe' d'introdurle nel Regno di Sicilia, da ogni parte chiamativi uomini dotti, assegnati loro dal fuo erario i Salarj, acciocchè anche i meno facoltofi apprenderle poteffono. Studiofo della natural Filofofia, attribuito gli viene un libro de natura & cura avium. Fondò nel Regno, e nella Sicilia, ficcome nella Toscana Città e Caftella, benchè continue afpriffime guerre fofteneffe. Nel governo de' Sudditi commendato fu per la molta fua. giustizia, la quale con raro esempio con. tra lui medefimo efattamente voleva ufata a niuno volendo impedito contender feco in giudicio. Egli però avvegnachè sì lode. vole, e di tante fingolari virtudi, vitupe. revole fu anzichè no, per i molti vizzi, a i quali bruttamente lafcioffi. Reo del più nero e biafimevole, qual è la Ingratitudine, contra la Romana Chiefa, cui tanto do. vea, lo fu fin all' ecceffo, e guerra facendole oftinata e dura, e ogni mezzo tentando per abbattere sconciamente l'autorità del Papa, e de' primi Prelati. Cagione di grandiffime difcordie, e di afpriffime guer. re e difficili, neceffitato, ed entrato in grandi fpefe, il fangue fucchiò de' fudditi, e con ecceffive avanie gli Ecclefiaftici affliffe, e le Chiefe. Vefsò tutta Italia, abbatter volendo la libertà di cui godeva, senza che la pace di Costanza ammetter volesse mai.
2. Ivi. Cfr. Rer. Ibal. fcrip. n. 13.
3. A.Bascetta, Manfredi di Svevia, ABE Napoli 2023.
4. Abate Troyli, Ip. Nap., t. 4. p. t. et p.192.
5. V.Bastian Biancardi (Domenico Lalli), nella Vite de Rè di Napoli. Ipotesi messa su a dire del Sigonio, de Reg., Jo. 18. In: Don Celestino Petracchi, Vita di Arrigo di Svevia re di Sardegna, volgarmente Enzo chiamato, Eredi di Costantino Pifarri e Giacomo Filippo Primodì, Bologna 1756.
6. Raffaello Morghen, da: https://www.treccani.it/enciclopedia/enzo-re-di-sardegna_(Enciclopedia-Italiana). Cfr. Acta imperii (ed. Bohmer e Winkelmann); Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici secundi; Les régistres d'Innocent IV; gli Annales Regini.
7. Don Celestino Petracchi, Vita di Arrigo di Svevia re di Sardegna, volgarmente Enzo chiamato, Eredi di Costantino Pifarri e Giacomo Filippo Primodì, Bologna 1756.
8. Ivi. V. «Baron T. 9. n. 27. an. 755. T. 11.n. 68. an. 1073. Nel Supplemento del Corpo Diplomatico del Rousset, p. 1. an. 817. Loduici Pii Imperatoris pactum confirmationis de Civitate Roma cum Ducatu fuo &c.comincia. In nomine Domini . Ego Ludovicus &c. De Vico T.2.p.2.c.1.a. 1. 2. 1. Dimos fin alla terfera parte ec. y demos principio a efta quarta parte, y progreffos de Carlo Magno de que fue, e que hizo Donacione del Reyno de Sardeña, y otras provincias a la Sede Apo ftolica, y Padrimonio de San Pedro, que la confirmò defpuens fu hijo Ludovico, come luego verremos ec. N. 14. n. 18. an. 817. Lodovico los Reynos de Sicilia, Sardeña, Corcega ec.ne riporta l'atto: Ego Lodovicus Covico confermata.
9. Ivi. «Dando Egli quel braccio, di cui abbisognerebbe all'Arcivescovo di Cagliari; in cotale occafione l' eforta, a perfifter fedele fuddito di S. Pietro, perciocchè il dominio della Sardegna era della Romana Chiefa. Il gran Pontefice Innocenzo III, fcrivendo nel 1200, al Giudice di Cagliari, fi efprime, la Sardegna con certo qual particolare legittimo diritto alla Appoftolica Sede appartenere. Lo fteffo afferma, quando che nel 1203. egli a i Giudici fcrive di Torri, Cagliari, e d' Arborea, in quefti tempi Oriftagni, ingiugnendo loro di obbedire al Vefcovo di Torri, affermando effer la Sardegna, sì in temporal, come nello Spirituale, alla Apoftolica Sede foggetta. Nel 1204. fcrivendo all' Arcivescovo di Pifa, Primate della Sardegna fin da Innocenzo II. efpreffamente) gli proibifce di non impedire che il Marchese di Cagliari fedeltà giuraffe alla S. Sede recandone ragione dall' effer l' Isola di Sarde. gna di proprietà e diritto della Sede Apostolica, dovendo i Giudici alla Chiefa Romana il giuramento di fedeltà, ed eßendo foliti dar lo. Nel 1205. I' Arcivescovo predetto riprende, il quale ricevuto n' avea il giuramento di fedeltà, dato a lui, e alla fua. Chiesa dal Marchese di Massa, Giudice di Cagliari, e nel 1206. questo appunto corregge, e con minaccevoli lettere gli comanda che tra un mese, o da sè, o per Procuratore, all' Apostolica Sede si presenti.
Assalita dai Pisani la Marchesana di Massa, Giudice di Cagliari e d' Arborea, tan tosto a Papa Onorio III ricorse, suddita protestandosegli in perpetuo. Quindi il Papa fe' sì per mezzo di Ugolino Legato, e di sue lettere, che i Pisani la Sardegna lasciarono.
Nel 1218, invasa essendo da Ubaldo e Lamberto fratelli, nobilissimi tra que' di Pisa, Papa Onorio con giusta scomunicagione gli colpì; ma non giovando per raffrenar loro egolata cupidigia, i premj proposti delle adulgenze, i Milanesi eccitonne a prendere parti della Romana Chiesa, e andaratte contra di essi, scomunicati pure da Greprio IX, nel 1229.
Eglino bisogna rientrasro nel lor dovere, senza che la forza ve conducesse, poichè nel 1237, Ubaldo, il quale spofata Adelasia Principessa di Galluri e di Torri, era divenuto posseditore di essi due Giudicati, protestò di tenerli dal Romana Chiesa, e da lì avanti d' esser fedele e obbediente a S.Pietro, alla S. R.C. a Papa Gregorio IX, e fuoi legittimi successori.
Adelasia medesima mostrar volendo quanta lasua pietà, volle eziandio conservarne l'Apostolico Dominio, e mentre vivea, l'anno 1237, donazione fece alla S. Sede de' predetti due Giudicati, o Principati.
L' accettò Gregorio IX, e per lui il Leito, e contento fu che Adelasia n'avesse utile dominio, ritenendone la suprema padronanza, confessando ella di tener que' principati da' Romani Pontefici con diritto fiduciario, la di cui mercè, mancando di legittimi figliuoli, alla Romana Chiesa ritornar dovessero, obbligando sè stessa, e i medefimi eredi a pagar ogni anno libre quattro di argento alla Apostolica Sede.
Tanto ancora egli fece Ubaldo di lei marito per lo Principato di Torri. Ricercato di compier lo stesso per quello di Galluri, d'averlo disse con dipendenza dal Pisano Dominio, cui con giuramento si era obbligato; laonde altrui giurar non poteva, senza esserne prima dall' Apostolico Donno disciolto. Il fece appunto il Legato, e irrito, e vano dichiarollo, siccome contrario a' diritti della Romana Chiesa.
Ottene pertanto e da Ubaldo, e dalla Marchesana Adelasia solenne giuramento di fedeltà per lo Principato di Galluri, protestandosi eglino di tenerlo per parte di essa, e dando cominciamento il Legato a mostrarvi Dominio, sotto pena di scomunicagione vietò, che nessuno in que' Principati pubblico stromento stendesse, senza l'autorità di quella..
Tanto ancora compiè Pietro Giudice, o Principe d' Arborea. Egli fedeltà giuronne alla Chiesa di Roma, e riconoscendo di tener quello Stato da' Romani Pontefici, concessonne il supremo loro Dominio.
Lo stendardo ricevette dal Legato, in cui le due Chiavi con una Croce erano espresse, e per ragione di Censo mille, e cento Bizanti moneta d'allora, del valore d' un Unghero, o Sultanino, moneta d'oro coniata dagl'Imperadori di Costantinopoli chiamata Bizantium, detti ancora solidi aurei costantiniani, o costantinati.
Questi sono mentovati dagli autori toscani, tra quali correva in proverbio: aver buoni bifanti cioè buoni tornesi, dalla moneta turnenfis o di Tours.
Così i saracenati ossieno sultanini coniati da sultani d'Iconio, e i Fiorentini coniarono i primi i Fiorini d'oro, osieno gigliati o ruspi. Dopo i Veneziani i Docati d' oro, detti ora zecchini, e come il Muratori, t. 2. Antiq. Medii Evi diff. 28, furon coniati anche i bizanti albi, cioè gli scudi, che valevano due terzi del bizante, e vale a dire, dieci paoli, valendone quelli quindici. Tanto si obbligò di pagar ogni anno alla Chiesa Romana il giorno di S Pietro.
10. Codex Ital. Diplom., Jo. Chriftian. Lunig. T-4.an.1379, Bulla Bonifacii Pp. VIII.qua Jacobum Sardiniæ & Cor ficæ Regem S. R. E. Signiferi titulo atque honoribus condecoravit d. d. 13 Kal. Febr. 1297. comincia. Ad futuram rei mem. Red. Mundi.
11. Ivi. «Ecco le di lui parole Tom. 2. p. 4. cap. 27.a.60. n. 1. Murio cerca deftos años de 1230. el Juez Turritano, y Galli. nense Baldo en la Provincia Turri tana donde refidia, y fue fepultado en la jglefia mayor de la villa de Siligo, y por fu muerte quedò Señora y Reyna des entrambos Reynos y judicadas Alafia, o Elifa fu mogher, la qual como quedava fin hijos, ni heredero en los Estados, por ruego de fus vassallos huno de trattar de casarse segunda vez, y sabiendo esto Federigo, y Manuelle de Oria, y otros principales de Genova, que vivian in Sacer, y eran feñores de algunas encontradas, baronias y caftillos particulares in el Capo de Logoduro, la persuadieron a che casasse con Henrico, o Hencio, hijgo natural dell’Emperador Federigo Segundo.... Que luogo fe hizo el cafamiento por los annos de 1234. y tuno HENCIO en dote ambos judicados.
12. Cronica di Riccardo da San Germano.
13. WWolfgang Stürner, da: https://www.treccani.it/enciclopedia/re-di-sicilia-e-di-germania-enrico_(Federiciana), traduzione di Maria Paola Arena. Cfr. Cronica Reinhardsbrunnensis, ibid., Scriptores, XXX, 1, a cura di O. Holder-Egger, 1896, pp. 490-656; M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896.
14. WWolfgang Stürner, da: https://www.treccani.it/enciclopedia/re-di-sicilia-e-di-germania-enrico_(Federiciana), traduzione di Maria Paola Arena. Cfr. Rainerus, Annales, in M.G.H., Scriptores, XVI, a cura di G.H.Pertz, 1859; Goffredo di Viterbo, Continuatio Funiacensis et Eberbacensis, ibid., XXII, a cura di G.Waitz, 1872, pp. 342-349; Corrado de Fabaria, Continuatio Casuum S. Galli, a cura di G. Meyer von Knonau, Mitteilungen zur Vaterländischen Geschichte, 17, 1879, pp. 133-252.
15. Bepi Vigna-Daniele Coppi, L'amore e il potere. Adelasia di Torres, L'Unione Sarda, Ghiani, Monastir (CA) 2013; Alessandra Cioppi, Enzo Re di Sardegna, Sassari, Carlo Delfino, 1995; Antonietta Uras, L'ultima regina di Torres, Armando Curcio, Roma 2014. Cfr. Wikipedia. Fonte: E.Blasius, König Enzio, Breslavia 1884.
16. Antonietta Uras, L'ultima regina di Torres, Armando Curcio, Roma 2014.
17. Ivi.
18. Ivi.
19. Ivi. «Era il fodero, quello che ora si chiama, con nome militare, tappa (per il passaggio dei Re).
La parata, l'obbligo di accomodar le Strade, e i Ponti venendo il Re in Italia coll' esercito, o senza; e il Mansionatico la sverna importava, e l'alloggio per le truppe.
Gelosissime vivevano di cotale libertà, e con ogni ragione, quel bene pregiando ch'è il pregio singolarissimo dell'Uomo di cui egli con pazzia da compiagnerfi tanto, che secche ne divengano le più abbondanti pupille, molte volte alla cieca, fenza nè tampoco faper che fia, fa luttuo fo getto. Elleno pertanto giudicarono bene non effer da una tefta fola governate, laonde vollero più Confoli, e quefti da tre ordini fcelfero, da' Capitani, da' Valvasori (Erano i vaffalli feudali, e quefti Maggiori, o Minori. I Maggiori quelli che avevano il feudo dall'Imperadore, dal Re, dal Marchefe ec. I minori de' quali il Feudo da' Valvasori Maggiori) e dalla Plebe. Quefti Valvaforio Vavaffori erano Feudatarj minori de Baroni ed erano maggiori, o minori. I primi rilevavano il Feudo a dirittura dal Principe; gli altri dai Valvafori maggiori. Il Signor Muratori non accenna che di paffaggio i Valvafori della Graffagnana; ma Gioanni Calvino nel fuo Lexicon juris, il Dugange, e il P. d' Aquino, a lungo ne parlano. In Toscana per burla furon detti Barbassori come da una novella del Boccaccio. Così ftando la cofa, imperando Ottone il grande nel 962. alcune Città del regno d'Italia. lasciate furono libere, e tutte tributarie, e la libertà di quelle a quefto ftendeafi, ad aver in loro balìa e leggi, e confuetudini, e giurifdizioni, e magiftrati, e gabelle, obbligate effendo a giurargli fedeltà. Aveva il Re i fuoi miniftri, e gli avevano le Città.
A que' del Re toccava di render ragio. ne a ciascuno, e i popoli mantener fedeli al loro Signore. Chiamavanfi Meffi, o Nunzj, ovvero Legati.
Que' delle Città erano due o più Confoli, imitato avendo la prudente faviezza degli antichi Romani; i quali Confoli in mano del Vefcovo davano il lor giuramento, del Legato Imperiale, o del Pretore, detto comunemente Podestà».
41. Ivi, cfr. Barottic. 7, 67.
42. Ivi.
43. Ivi, Matteo Paris, Historia major, anno 1249.
44. Ivi. Dell’avvenimento si interessò anche Tassoni, nel suo Eroicomico Poema della Secchias Rapita, «ristampato in Modena nel 1744, benchè con ben pensato anacronismo, come avverte il celebre Sig.Barotti nelle veramente dotte annotazioni al medesimo. Giova però recar qui le proprie parole del ben avveduto critico, notatore, C. 1.1... Due ne scelse, principalmente il Taßoni per argomento del suo Poema, ma per dare al medesimo, e filo, e unità, dovette prendersi due licenze (oltre le alterazioni de luoghi, e gli anacronismi ne personaggi, e ne' fatti) le quali in piacevole poesia di cose antiche, nè molto note non pajono da riprendersi, o almeno con tanta grazia se ne valse il Tassoni, che senza sconvenir punto, dilettano egualmente, e chi non sa il vero, e chi lo sa. La prima di fingere una guerra fosse dell'altra occasione, e l'una all'altra immediatamente fuccedesse, quando nacquero veramente da diverso principio, e quando da questa a quella trascorsero settantasei anni. La seconda di porre come prima accaduta quella delle due guerre, la quale accadè assai dopo. Cominciò la più antica dell'anno 1248, dopo la rotta di Federigo II, sotto le mura di Parma, e venutosi nel seguente a battaglia in un luogo di Modena detto Fossalta, vi restarono i Modenesi disfatti, ed Enzo Re di Sardegna prigione. La più moderna avvenne nel 1325, in cui seguita battaglia, a Zappolino con perdita e fuga de' Bolognesi, vennero questi inseguiti da vincitori con tale precipizio, che allo scrivere di alcuni cronisti, entrarono gli uni, e gli altri in Bologna, e fu allora che in segno di loro vittoria rapirono i Modenesi la catena della porta della città (come dal Morani Rer. It: Script. T. 11. e dal Ghirardacci bist. di Bologna l. 20. fu detto) e nel esser respinti fuori, recaron seco una secchia di legno, che tolsero a un pozzo, come fu la fede di Croniche antiche fu scritto dal Vedriani bift. di Mod. 1. 15. Quest'ultimo conflitto narrato a suo modo dal poeta nel Canto I ma principalmente il rapimento della secchia, lo finse il Tassoni come occasione del grande armamento, e della fiera battaglia del 1249, a fine che la primaria azione del suo poema, non fosse priva di quel carattere, che si prefisse, e mantenne per tutta l'opera, di mescolare con graziosi capricci, il grave e il burlesco.
45. Ivi. «Male perciò la pensa il Sommonte, forse appigliato a quello narrano, ricordano Malaspini, C. 140. e Giovanni Villani libro 9». Monachus Patavinus, Chronicon ex editione Felicis Ofi a Muratorio emendatum, & auttum ex Codice Bibl. Ambrofiana. Rer. Ital. t. 8. Col. 684. 1249. Eodem anno in principio Junii bellicofus Rex Encius filius Federici captus eft a Bononienfibus cum militia copiofa. Quapropter Bononienfes funt ufque ad fidera elevati, & in Bononia in carceribus tenuerunt, in uno Palatio rotundo quod eft prope domus illorum de Lambertinis poft Palatium Communis Bononia, donec a rebus bumanis fuit exemptus, & fepultus eft in Ecclefia S. Dominici prope altare magnum, ubi funt imagines fculpta. Unde Mutinenfes neceffitate compulfi fe Bononienfium Dominio fubdiderunt.
«Anche il Bosio, Storia di Malta, libro 19, è di tal sentimento... Il Briezio pure, nel 6° tomo de suoi Annali, anno 1249, tiene lo stesso.
46. Ivi,- De ordine Cuftodiæ Regis Entij.
Pro honore & utilitate comunis Bononiæ. Statuimus & ordinamus quod circa custodiam Regis Entiis bene faciendam, talis ordo præcife & inviolabiliter debeat obfervari, videlicet quod ad certum fonum campane, ordinatum a Poteftate & Antianis & Confulibus, debeat dictus Res Entius cum alijs captivis morantibus fecum in camera Plutij ubi retinetur claudi & firmari, & ferrari per unum ex militibus five Judicibus Poteftatis Bononie qui debeat ire ad prædicta facienda. Ire ibi ad predictum fonum Campane pro Poteftate Bononiæ antian's & confulibus habendo, & retinendo femper unam de clavibus dicte Camere, Poteftas fimmer & custodes dicti Regis habeant aliam clavem & quolibet mane ptás miles five Judex ire teneatur & effe, ad aperiendum hoftium dicte camere ad fonum. campanelle Communis Bononiæ & quod nullus de prædictis militibus, five judicibus poffit vel debeat Ludere ad azardum, vel ad aliquod Ludum fuper dicto Palatio, & hoc ftatutum fit precifum in omnibus fuis partibus & ponatur in Libro ftatutorum communis Bononiæ & quod predicti judices vel milites non poffint vel debeant cum dicto domino Rege vel cum alijs fecum carceratis parlamentare vel colloquium habere fine pñtia majoris partis de cuftodibus aftantibus.
47. Ivi. - In volumine ftatutorum Com. Bononia foris obfignato 1262. fol. 89.
De custodia regis Hentii.
Quoniam credimus expedire ut cuftodia Domini regis Henti tenenda, tantum fiat per probos homines, & divites, & legales, & ne poffit aliqua fraus fieri circa dictam custodiam, nec fupraftantes nec alios, & ne Comu ne aggravetur expenfis inutilibus & debitis, ftatuimus & ordinamus quod electio cuflodum Domi. Regis Hentij, fieri debeat ficut actenus facta eft, & fieri confuevit, & illi qui ele&ti fuerint ad dittam cuftodiam dicta forma per Potekatem & militem Poteftas, & fupraftantes dicti cuftodes electi, infirmi vel abfentes, vel alia neceffaria caufa approbata per Poteftatem, & fupraftantes, impediti; qua caufa legi debeat in confilio, & fint etiam majores viginti quinque annis, & fcilicet faciant fine aliquo falario &remuneratione alicujus, & non obftante aliquo fta. tuto facto vel faciendo, speciali vel generali, quod buic in aliquo cbviaret, vel contradiceret, quod ft a. tutum fublatum fit, ipfo jure, & pro non ftatuto babeatur, & non obftante aliqua reformatione Communis, vel Populi facta vel facienda, & boe fta. tutum ponatur fingulis annis de Statutis Civitatis Communis Bononia, & Statutarij qui pro tempore fuerint, pracije teneantur ponere dictum Statutum in Statutis, & Poteftas qui pro tempore fuerit eos compellere teneatur ut hoc ftatutum ponatur in Libris Statutorum Communis Bononiæ, & omnia & fingula fint pracifa. Item quod cuftodes ipfius habeant viginti quinque annos & nullus vadat fibi locuturus fine voluntate confilii & nifiibi cuftodes omnes vel major pars eorum, exceptis fervitoribus fuis affignatis & datis a fupraftantibus, qui pro tempore fuerint que ad tres.
48. Ivi.
49. Ivi. «E anche se creder devesi al Campanacci (De bello mutinensi, p. 66.) prevenuto dalla morte mentre apparecchiava grand'oste contra i Bolognesi. Ma non pertanto tralasciò di adoperarsi per la di lui libertà. Volendo alcuni,e il Briezio medesimo, benché straniero, l'afferma, aver offerto a Bolognesi un cerchio d'oro si grande, quanto l'era l'estensione delle mura della loro Città, purche il ponessero in libertà».

56. Ivi. v. Barotti, note (c. 12, 42).
57. Ivi.
58. «Per conoscer dunque il calo della lira, e il suo valore nel Secolo XIII, ragguagliato alla lira presente, bisogna ritrovare una moneta antica che sia ancora in uso e riferirvi la lira antica, e la moderna. Il gigliato di Firenze, e il zecchino Veneto sono antichissime. La prima chiamavasi fiorino di oro, e l’altra docato di oro. Nel 1200 una di queste monete valeva venti bolognini doppi, cioè 30 soldi, che fanno lire una e mezzo. Ora vale 210 soldi. Il valore dunque della lira antica, ragguagliato alla moderna era di lire sette e mezzo, o sieno paoli 15 in circa. Si conferma ciò ancora dalle compere, le quali tornano al prezzo d'oggi. Quanto qui si nota è ricavato dai bandi della zecca, e da altri monumenti presso il Signore Ubaldo Zanetti il quale da buon Cittadino e da uomo d'ottimo gusto anne adunato quanto può contribuire a render taluno erudito nelle cose della sua patria sia in manoscritti, sia in libri stampati, monete, medaglie &c.
In Dei Nomine Amen.
Noverint universi &c. qualiter in Libro Memorialium Jacobi Ugolini Guizzardini Not. Anni 1272. existente & conservato in Camera Actorum Archivoque publico hujus Civitatis Bononia inter catera in eodem libro adnotata, & maxime fub foleo 40. al funt ac leguntur ea qua fequuntur videlicet. Millefimo Ducentefimo feptuagefimo f cundo, Indictione quinta decima die Veneris Sexto exeunte Novembri.
Dnus Guillielmus de Sancto Georgio fr miliaris, & fidelis olim Illuftris Dni Hens Dei Gratia Regis Sardinie filij quondam Dni Federici Romanorum Imperatoris. Dius Jacobus Abbati Civis Bononia item fidelis, familiaris dicti Dni Regis. Džus Nicho laus quondam Dni Benvenuti Domizell. f miliaris, fidelis dicti Dni Regis. Dius Petrus Armanini fidelis etiam predicti Dui Henrizi vendiderunt &quafi traddide runt Brocullo quondam pratens. Procuratori, & certo Nuncio Dni Comitis Ugolini quondam Dni Guelfi Comitis de Donoratico Jefte partis Regni Calaritani Domini legiti mi Adminiftratoris Henrizi, & Ugolini Di ti Neni, & Jacobi dicti Laffi filiorum excellentis Due Ellene filie olim predicti Di Henrizi, & uxoris Mag. Viri Guelfi Comitis de Donoratico Patris dictorum germanorum, & ipforum germanorum ad bec & alia ut patet de procuratione fcripta per D. Jacobum de filigno Notarium procuratorio nomine pro eis recipienti, & ementi hereditatem & bona, jura & actiones, & rationes eis & cuique eorum competentia, & competitura in regno Sardie Castro Saffari tota Lunifana Verfillia Garfagnana & tota terra que Varefia dicitur & in caftro Terbiani diftrictus Janue ex Testamento five ultima voluntate & ejus occafione vel caufa prefati Illuftris Dui Henrizi Regis Sardinie fcript. manu Tomaxini quondam Petrizoli Armanini Notarij pro pretio in fumma quatuor Millium du centarum quinquaginta librarum Bonenorum; Item dictus Brocholus quondam Pratens : : procurator predictorum procuratorio pro eis promifit predictis Dnis Guillielmo Jacobo Nicolao & Petro folvere & dare videlicet dicto Dão Guillielmo Libras Septingentas dicto Dio Jacobo Libras Mille feptingentas bon. di&to Nicholao Libras Quadringentas bonenorum, &dicto Petro Libras Trecentas tres & folidos decem bonenorum infra annum poftquam acci derit dictos germanos vel aliquem pro eis habere possessionem Corporalem pacificam Castri dicti Saffari vel maiori parte regni Turitani non computata dicta majori parte quam die tenet in regno Turitano Jud. Alboree aut abbit. &c.de Caftro Tribiani quattuor millia librarum dennariorum infra annum, & idem requifiti fuerunt difti germani, & eorum heredes ex Inftrumentis unius eiufdemque tenoris feript.&c.manu Dni Jacobi de Lignano Notarij de Pifis & Tomaxini predicti Notarij beri factis in domo dicti Dži Guillielmi prefentibus Dno Bozio de Pizochotis Dão Michele Dno Ugolino de Marano Mattheo Blanchitti Dno Guidocto de Berofat. Alle Dni Angellelli de.... &Guillielmo de Parma familiare olim dicti Dži Regis Teftibus &c.
Ita eft, & affirmo ego Cafimirus Nicolaus Patritius,ol. D. Petri Pauli Minelli filius, ac pub. Bononia Not. Colleg. Aplicus, & Imperialis &c.unufque ex d. Archivo pub. Prapofitis, In premifforum fidem &c. bac die vigefima quinta Menfis Junij 1756.
59. Celestino Petracchi, Vita di Arrigo di Svevia re di Sardegna, volgarmente Enzo chiamato, Per gli Eredi di Costantino Pisarri, e Giacomo Filippo Primod, Bologna 1756.
60. Alessandra Cioppi, Enzo Re di Sardegna, Carlo Delfino, Sassari 1995.
1. Celestino Petracchi, Vita di Arrigo di Svevia re di Sardegna, volgarmente Enzo chiamato, Per gli Eredi di Costantino Pisarri, e Giacomo Filippo Primod, Bologna 1756. «Onde da Riccobaldo viene distinto come in armis strenuus, & nobilis indolis. E nella Cronica Estense, Rer. It. Ser., t. 15, Bellicofus Rex Entius, viene chiamato».
2. «In XI libri dagli Eredi di Filippo di Giunta, nel 1527 in 8° stampate, si leggono».
3. «E leggesi presso il Ghir, Historia, 1, 7».
4. Flamin. Lupo, in Ludov. magno, p.124-125.
5. Sallustio, Catilina, cives cum civibus de virtute pugnabant.
6. Cap.XII. Carattere del Re Enzo, sua figliuolanza; poesie a lui attribuite; translazione del suo cadavere; ed epitaffio.

1. Celestino Petracchi, cit. [Cap. Enzo fa testamento, muore, ed è sepolto.] Così Petracchi: - Morto nel 1250, Federigo padre d’Enzo e morti gli altri della di lui schiatta, egli anche dalla lunghezza di sua prigionia infiacchito, e consumato dal tedio e dal continuo rammarico di sua dolorosa forte, venne a conoscersi vicino a pagare l’ordinario comune tributo alla natura. Quindi l'animo rivolse a disporre per quanto poteva de' beni, e a riconoscere gli attenenti non solo, ma eziandio quei dai quali alcun servigio ricevuto avea, mostrando così animo grato, e quale al di lui presente stato, e alla sua grandezza si conveniva. Fece pertanto testamento: e bene ò pensato per compimento di questa picciola opera di riferirlo tal quale è recato.»
2. Ivi. «Taddeo Fisico nato in Firenze, il quale d'anni trenta in circa cominciò a studiare; perciò si portò a Bologna e la mercè d' una fmifurata continua fatica, divenne folenniffimo Dottore in Medicina, e COIL pubblico Salario la infegnò. Fu riputato un altro Ippocrate Soprannomato Ipocratista eziandio da! Dante nel Convito. Chiamato era da Signori d'Italia infermi, e anche da Onorio IV. da cui n' ebbe cento Ducati d'oro il giorno finchè fu malato, e guarito n' ebbe dieci mila in regalo, e tutto questo peculio con altro che dovette guadagnare, giufta il Tortelli afcendente a Scudi d' Oro ducento mila, il buon Taddeo, ritornato a Bologna lo fpefe a edificar Chiefe, e Spedali Morì d'anni ottanta, fecondo alcuni nel 1303., fecondo l' Alidofio nel 1199. e fecondo il Bifcioni nel 1296. Comunque fia fi verifica d' aver egli potuto affiftere il Re Enzo nella fua malattia, effendo già di pieno credito, e in cir ca gli anni so. Le Opere fue notate fono dal Conte Giammaria Mazzuchelli nelle vite d' uomini illu. ftri Fiorentini di Filippo Villani date in luce in Venezia presso Giambatista Pasquali pag. 44».
3. Ivi . «Alfonso X. Re di Castiglia, fopranominato il Savie el' Aftronomo. Succede a Ferdinando III. nel zasa e morì a 21. Aprile 1184. Federigo».
4. Ivi. «Enrico ed Ugolino nati di Elena di lui figliuola Conteffa di Donoratico, come in appreffo. Si offer. vi trovarfi nominato il figlio del predetto Ugolino Conte Matteo, per fignore della fefta parte del Regno di Cagliari, affi me con Machinardo Lazari da Lucca, e amendue Nipoti del Conte Ugolino di Panico, certamente figli di due forelle, i quali a pea tizione fua furono afcritti tra Cittadini Bologne fi. Tal che apparifce in quanto pregio tenessero la detta Cittadinanza quando sì la domandarono, intereffando perciò il ricordato Conte in que tempi poffente e poffeditore di molti beni ful Bologne fe.
Costa dal trovarsi nell'Archivio pubblico registrato 1296, Comes Matheus quondam Comitis Ugolini de Honoratico, fexta parti: Regni Calaritani dominus Civis Pifanus, Machinardus Lazari de Luca Nepotes Domini Cemitis Ugolini de Panico, eodem petente admittuntur in Civitatem».
5. «Corrado intitolato Principe d' Antiochia figlio di Federigo figliuolo naturale di Federigo II. Egli per ajutare Corradino fuo Cugino contra Carlo d' Angio, fatta rivoltar la Sicilia fu prefo, accecato e ftrangolato, e fecondo altri lafciato vivo alle preghiere di Clemente IV. ma rivoltatofi contro il fuo legittimo Principe fu profcritto, e Scomunicato da Martino V».
Molisio: «Provincia del Regno di Napoli col titolo di Contea. Confina coll' Abruzzo citeriore, la Capitanata, e la Terra di Lavoro».
6. Ivi. Turringia: «Picciola parte dell' Alemagna tra l' Hartz e il bofco di Turinga oggidì partita in più Principi, e fpento il nome di Principato».
7. Ivi.«Donantico, o come altri legge Donoratico. Questo era un Castello comprefo nella Contea della nobiliffima, e antichiffima Cafa de Conti della Gherardesca, da cui tragge la denominazione il ramo iore principale, intitolandofi Conti di Donoratico, sì denominati fino d'avanti al mille di noftra falute. Nobile e forte era già il detto Caftello, di che fanno bastevole prova gli avanzi delle fue rovine le quali apparifcono a noftri giorni, di non spregievole ftruttura e for. tezza: E' fituato quafi nel centro della detta Contea poffeduta tutt'ora da Conti della Gherardefca. Quefta ne tempi andati era più eftefa di quello fia di prefente, e prendeva il nome da fuoi fignori, tutta la provincia, come apparifce da alcune carte Geografiche. Si ftende fu la marina delle Maremme tra Pifa e Piombino, e precisamente era la medefima Contea tra la diftrutta Populonia e la Cecina. A Guelfo di Donoratico fu fpofata Elena, non potendofi additare il tenpo precife di tale fpofalizio; ma fi comprova da uno illuftre monumento. Questo mariaggio fi vede rap. prefentato in uno fpartimento della Sala de predetti Conti della Gherardefca, in cui è dipinte, collefeguenti parole. Welpho Comiti Donoratici Helena Aencii Sardinia Regis filia Regio conubio juncta, 1262. Il che avvenir dovette effendo egli da tredici anni prigione».
7. «Varese è un Borgo nel Ducato di Milano sul fiume Olona: Altro Varese, Borgo all' Oriente di Genova, di cui pare più ragionevole s'intenda Enzo».
8. Ivi. «Arles in Francia di confentimento di Federigo II. fi pofe in libertà, e fu Repubblica. Accordò egli quefta grazia a Michele di Morienne Arcivescovo di quefta Città, deputatogli da i Confoli della medefima, allorchè era a Bafilea nel 1212. Era governata dal Podeftà, dal Borgomaftro, e da i predetti Confoli. Capo della Repubblica era il Podeftà, il quale giurava fedeltà all' Imperadore nelle mani dell'Arcivefcovo, che in abito Pontificale l' afpettava alla porta della Chiefa di S. Trofimo. Principiava la. fua carica il giorno fecondo di Pafqua. Durò questa Repubblica anni 37. e fu in sì poco tempo affai felice. Carlo I. Duca d' Angiò fratello di S. Luigi la foggiogò. Non fi sà comprendere qual regno, è qual dominio vi pretendeffe ENZO, quando non fosse per ragione di Feudo».
9. Ivi «Comandando a Tommasino infrascritto notaro e fedele nostro che questa volontà scrivendo di sua mano la ridúca in pubblica forma, e la renda valida col segno suo.
Fatto in Bologna, nel Palazzo nostro del Comun di detta Città, in presenza del venerabile frate Bonanno, Prior del Convento delli frati Predicatori di Bologna che disse conoscere detto Re, Frate Tommasino da Matelica, e Frate Filippino da Vercelli del detto ordine, il nobil uomo Signor Luchetto Gatalugio cittadino di Genova podestà di Bologna, Marco Accursio Lanzaveglia cittadino Alessandrino, capitano del popolo di Bologna, M.Raimondo da Casale Genovese, M. Danielle de' Tofelli, M. Guglielmi di Rodofredo giudici del detto podestà, M. Viano cittadino alessandrino giudice del detto capitano, M. Anfelmo Milano, e M. Perviono, e M. Faccino compagni, e soldati del sudetto signor podeftà, M.Amadeo d'Ugone Alberti, e M. Pellegrino di Cristiano medico, testimonj chiamati, e pregati.
Io Tommasino già di Petrezolo Armenino notaro per autorità imperiale, e al presente di detto Sig. Re notaro e famigliare di suo comandamento, il presente à scritto, e ridotto in pubblica forma.
[Per prova bene autentica del riferito testamento si reca quanto segue].
Universis etc. qualiter in Libro Memorialium Anni 1272. Ser Ugonis de Bambagliolis Notarij existen. & conser. vat. in Camera Actorum Archivoque publico hujus Civitatis Bononiæ inter cetera in eodem Libro registrata & maxime sub foleo 46. adfunt, & reperiuntur ea que sequuntur videlicet».
Ivi. «Nel Palazzo nuovo del Comune di Bologna, prefente Fra Tommafino dell'ordine de' Predicatori, Fra Filippino da Vercelli del detto ordine, li quali affirmarono di conoscere il suddetto Re: Giacomo dell'Abate Guglielmino di S. Giorgio, Guglielmo degli Alberti Rubei da Parma, mastro Elifeo medico Senese, e Bernardo Parmesano testimonj chiamati e pregati. Io Tommasino già di Pedrizuolo Armanini d'Imperiale autorità notaro, e al presente notaro di detto Re, sono stato presente alle suddette cose, e di sua commissione le ridussi in pubblica forma e scrissi. Die septimo intrante Martie Lune
9. Ivi. «Nel Palazzo nuovo del Comune di Bologna, presente Fra Tommafino dell'ordine de' Predicatori, Fra Filippino da Vercelli del detto ordine, li quali affirmarono di conoscere il suddetto Re: Giacomo dell'Abate Guglielmino di S. Giorgio, Guglielmo degli Alberti Rubei da Parma, mastro Elifeo medico Senese, e Bernardo Parmesano testimonj chiamati e pregati.
Io Tommasino già di Pedrizuolo Armanini d'Imperiale autorità notaro, e al presente notaro di detto Re, sono stato presente alle suddette cose, e di sua commissione le ridussi in pubblica forma e scrissi. Die septimo intrante Martie Lune
10. Ivi. Così tutto il testamento (senza codicilli) in originale: - In nomine Sanctæ & individuæ Trinitatis. Anno a Nativitate Domini nostri Jesu Christi millesimo Ducentesfimo septuagesimo secundo, indictione quintadecima, Die sexto Dominico, intrantis Martij.
Henricus Dei gratia Rex Sardinia. Dum Sereniffimi, Dive memoria, genitoris noftri Friderici Ro manorum Imperatorij invictiffimi, virtuofam potentiam, & gloriofam virtutem recolimus dum Illuftriffimorum fratrum noftrorum Regum, & Principum fublimitatem penfamus, eo gra vius defideriorum carnalium motu angustia rum imminentium molem patimur, quo fubmif fins & acerbius inimicantis fortuna ictibus agitamur. Verum quoniam regis aterni judicium, cui fragilitas bumana fubijcitur, ali quo fuga remedio devitare non poffumus, de manu ejus fperantes mifericordiam, confola. tioni debita adharemus, & dum difcretionis integritate potimur, licet corpus languore prematur duriffimo, pofteris noftris nuncupativo Testamento prafenti, fine fcriptis fuper regnorum, jurium, & rerum noftrarum difpofitio. ne tradimus documentum. In primis fiquidem onus gravofum ejcientes ex humoris, Commune Bononia ab omnibus gravaminibus, & la suris que nobis tamquam benemeritis, dum. noftros reatus agnofceremus per tempora intulit, & favente gratia liberamus, remittentes eidem quacumque a nobis illicite per tempora extorfiffet, nec non univerfos, & fingulos devota & pa liberatione ab omnibus injurijs nobis illatis abfolvimus, & eos ad pacem, &noftram benevolentiam revocamus: fupplicantes Communi Bononia, quod paupertatis noftræ miferta gravia expenfarum onera non expavit, quatenus viros difcretos Magiftros Thadeum, Paulum, Bartolum, Peregrinum, Amadeum, & Alexium medicos noftros fui laboris decenti remuneratione latificet. Praterea ftatuimus, volumus, & mandamus, quod miferandum corpus noftrum, quod Bononia carcere inclufit in vita, poft mortem carceri & fepultura tra. datur perpetuo, arbitrio venerabilis Patris Domini Octaviani, Dei gratia Bononienfis Epifcopi, apud Ecclefiam quam decrevit, quam ex nunc nobis eligimus & optamus. Et pró falute anima noftra & in peccatorum noftrorum remedium Quadringentes uncias auri dimittimus per Illuftres Dominum Alfonfum.. Dei gratia Regem Caftella, cariffimum Confanguineum noftrum, & Dominum Federicum Tertium Lanthegravium Turingia cariffimum nepotem noftrum pijs locis, citra fepulturam noftram, & perfonis miferabilibus ipforum ar bitrio erogandas. Supplicantes prafatis, quod ob amorem noftrum, & domus noftra in boc parte nostra falutem anima non evitent. Item jure Legati viro Commendabili Gulielmino de Sancto Georgio civi Bononienfi familiari, & fideli noftro relinquimus mille lib. Bono. computatis in his omnibus denarijs, & pecunia quam nobis hactenus & Curia noftra muta vit pro fubventione noftra, & rebus nobis, & noftra familia opportunis. Mandantes infra fcriptis Henrico, & Ugolino nepotibus beredibus noftris, quod eidem Guglielminoin dictam quantitatem ad fex menfes proximos poft exitum vita noftra perfolvant, alioquin ipfos infrafcripta hareditate priva mus noftra, & decrevimus non gaudere quam hæreditatem ad eumdem Guilielminum tunc volumus devenire habita ratione, quanti plus relictum eft cuilibet infrafcriptorum Jacobi, Nicolai, & Petri, ut pro ea parte ad ipfum Guilielminum dicta hareditas de volvatur divifione bareditatis facienda pro rata dictarum quantitatum tunc temporis inter eos. Item viro difcreto Jacobo Abatis fi deli, & familiari mercatori noftro Civi. Bonon. jure legati relinquimus duo millia & Jeptingentas lib. Bonon. computatis in his mille & feptingentis lib. Bonon. quas nobis, noftra Curia pro expenfis neceffarijs munavit. Mandantes infrafcriptis Henrico, & Ugolino nepotibus, & hæredibus noftris, quod eidem Jacobo in dictam quantitatem ad fex menfes proximos poft exitum vita noftra per folvant alioquin ipfos infrafcripta bereditate noftra privamus & decernimus non gaudere, quam bareditatem ad eumdem Jacobum devolvi volumus evenire, habita ratione quanti plus relictum eft dicto Guilielmino, & infrafcriptis Nicolao & Petro &c. ut fupra. Abfolvimus infuper difcretum virum Bencevene Abatis, & filios ejus ab omnibus, & fingulis que a nobis perceperunt, vel habuerunt nomine ufurarum & eos exinde nullo volumus peccati onore aggravari. Item Nicolao filio Benvenuti civi Bonon. dilecto domicello,& familiari noftro,quem nunquam in exhibitione obfequiorum tepentem reperimus, jure Flegati relinquimus quingentas libras Bonon. mandantes infrafcriptis Henrico, & Ugolino nepotibus, baredibus nostris quod eidem Nicolao jam dictam quantitatem ad fex menfes proximos poft exitum vita noftra perfolvant, Falioquin ipfos infrafcripta hareditate noftra privamur &c. fupra. Item memoratis Guilielmino, Jacobo, & Nicolao jure legati relinquimus omnia jura, qua ad nos pertinent in bonis Albertini Spavaldi, & contra ipsum Albertinum Spavaldum quacumque occafione. Item Petro Armanini fideli noftro, relinquimus jure Legati quinquaginta lib. Bonon. mandantes infrafcriptis Henrico, & Ugolino haredibus noftris quod eidem Petro jam dictam quantitatem ad fex menfes poximos poft exitum vita noftra perfolvant alioquin ipfos infrafcripta hareditate priva mus &c. ut fupra. Item Magiftro Elifeo Medico noftro jure Legati relinquimus Cen tum lib. Bonon. Item Guglielmino de Parma domicello, & fervitori noftro & familiari jure Legati relinquimus Centam lib. Bonon. Item Magiftro Marco, Magiftro Joanni Coquis noftris, Benedicto Apulien. Bernardo & Millano fervientibus noftris, in remuneratione obfequiorum, qua nobis fideliter contulerunt, videlicet cuilibet ipforum. viginti quinque lib. Bonon. Item nobili viro Gnidoni Tantidenari amico noftro jure Lega ti relinquimus vigintiquinque lib. Bonon. I tem jacobino Favia Magiftro Sartori noftro jure Legati relinquimus viginti quinque lib: Bonon. Item Petro de Regio Calzolario noftro jure Legati relinquimus viginti quinque lib. Bonon. Item Bonacurfio jure Legati relinquimus Decem lik. Bonon. Verum fiquidem confderantes devota obfequia, puram fidelitatem &c quibus nobis a multis temporibus placuerint prafati Guilielminus, Jacobus, & Nicolaus, & etiam Themaxinus infrafcriptus fidelis notarius & familiaris nofter, quoniam debitis beneficis eos remunerare non poffumus: nobis deficiente potentia, ipfos cunctis baredi bus noftris, & univerfis Regibus, Princibus & cunctis qui patris & fratrum noftrorum solia dilexerunt tenerrime commendamus, cateros exorantes fuppliciter, quatenus prafatos ea vifus alacritate, ac gratiarum favore letificent qua cunctorum mentes acuat per exem plum. Item ftatuimus volumus, & mandamus quod omnes Littera, & Inftrumenta, & omnia Privilegia, Libri noftri Romantiorum ubicumque fint, & catera res & bona noftra, qua Junt in Civitate Bonon. apud dictum Guiliel minum de Sancto Georgio, Jacobinum Abbatis, & Nicolaum cuftodienda deveniant, Ò* falvanda, iniungentes eifdem quod ipfas res & bona cum Privilegijs, litteris feu Inftrumentis infrafcriptis Henrico & Ugolino reftituant, que ad jura hæreditatis ipforum pertinere nofcuntur, tamen prius, & cuilibet eorum, & Petro Armanini prafato, de quanti tatibus pecunia quam eis relinquimus integre satisfacto.
Infuper Helenam filiam Frafcha nobis haredem inftituimus in Ducentis lib. Bonon. mandantes infrafcriptis Henrico & Ugolino nostris baredibus, quod eidem jam dictam quantitatem perfolvant quoties religionis habitum duxerint fubeundum. Item virum illufrem Dominum Corradum de Antiochia cariffimum Nepotem nostrum nobis baredem inftituimus in Comitatu de Mollefio, & in omnibus & fingulis juribus ad nos pertinentibus in eodem. Item illuftrem Dominam noftram Catherinam de Marano cariffimam fororem noftram, ferenifs. Domini Federici Romanorum Imperatoris filiam nobis baredem inftituimus in duo. bus millibus Lib. Bonon. fupplicantes illustribus Dominis Alfonfo Regi Caftella confanguineo noftro,& Federico Tertio Lantgravio Turing. Nepoti noftro, quatenus dicta Domina ipfam pecunia quantitatem dignentur persolvi facere, infra anni proximi fpatium ab exitu vita noftra, quod fi non fecerint, ipfos ab hareditate infrafcripta privamus, & ipfos ea dem volumus non gaudere, fed ad prafatam fororem noftram bæreditatem ipfam devolvi volumus evenire, & infuper jure Legati prafa. ta domina plenam tribuimus poteftatem exigendi, & liberandi ab omnibus eis, qui a nobis umquam quidquam extorfiffent nomine ufurarum. Item Magdalenam, & Constantiam ca riffimas filias nostras nobis haredes inftituimus, videlicet quamlibet ipfarum in mille. uncijs auri, quas exinde contentas effe volu mus, & mandamus, fupplicantes Illuftri Domino Alfonfo Regi Caftella confanguineo noftro, quatenus ipfas cum dote quantitatis iam dicta nuptui tradere dignetur, quemadmodum fuis, & noftris honoribus crediderit convenire. Item Henricum & Ugolinum cariffimos nepotes noftros ex Excellenti filia noftra Helena, & viro Mag. Guelfo de Donnoratico genero nostro natos, & ceteros mafculos nafcituros ex ea dum tamen in lucem perveniant nobis baredes equalibus portionibus inftituimus in Re gno noftro Sardinia, & omnibus juribus ad nos, tam in difto Regno quam in Caftro Saf fari fpectantibus. Item in tota Lunifana, Carfagnana, Verfilia, & tota terra qua Vareffum dicitur, & in omnibus juribus ad nos spectantibus in Caftro Tribiniani diftrictus Janua, mandantes eis quod dictis Guilielmino, Jacobo, Nicolao, & Petro de quantitatibus eis per nos relictis in prafato termino fatisfaciant, alioquin ipfos a dicta bareditate privamus, & illam fecundum quod fuperius`continetur, devolvi volumus ad prafatos: ftatuentes quod alias pecunia quantitates, quas eis solvendas commifimus perfolvant, ut fuperius continetur. Item Magdalenam, & Constan tiam filias noftras prafatas ad Regem Caftella deftinent, maritandas. Item quod ipfi beredes noftri Nicolam filium quondam Corradi Gontrij reccomandatum habeant, eique abun de fubveniant, que ad vitam fuam viderint expedire. Denique Guillelminum de Parma, fidelem Domixellum noftrum ftricte dictis nostris hæredibus commendamus.
In Regno au tem Hierufalem, Regno Sicilia, Regno Are latenfi, Ducatu Svevia, & in omnibus ju ribus, dignitatibus & honoribus ad nos in Imperio Romano Spectantibus, & generaliter in omnibus aliis bonis noftris, juribus & actioni bus præfentibus & futuris Illuftr. Dominum Alfonsum Regem Caftella confanguineum nofrum, & Dominum Federicum Tertium Lanthegravium Turring. nepotem noftrum, nobis haredes inftituimus, & ipfos aqualibus portionibus eadem hareditate noftra decernimus potituros. Statuentes quod Domina Catherina sorori noftra ufque ad anni proximi Spa. tium ab exitu vita nostra, Duomillia lib. Bonon. in quibus nobis eam hæredem inftituimus; perfolvere non ommittant, quod fi obmiferint, ipfos ab hæreditate noftra privamus, ipfos eadem volumus non gaudere, fed ad ipfam fororem noftram pleniore jure ditta bæreditas devolvatur. Præfens autem ultima voluntatis noftra juditium Teftamenti robur,& firmitatem pleniffimam, nullis alijs Teftamentis, vel Codicillis, bactenus per nos factis, obftantibus, qua certa fcientia, & pura difcretione caffamus & irritamus, & jubemus & volumus obtinere, quod fi Testamenti jure non valet, faltem Codicillorum jure vel alio, qua melius valere poteft roboramus Mandantes infrafcripto Thomaxino fideli Notar.noftro quod hac propria manu fcribens in publicam formam redigat, & muniat proprio suo signo.
Actum Bononia in Palatio novo Communis ejufdem. Prafentibus Venerab. viro Fratre Bonnano Priore Conventus fratrum Pradicatorum de Bonon. qui afferuit fe dictum Dominum regem cognofcere, Fratre Thomaxino de Matelica, e Fratre Filippino de Vercelli He dicto Ordine. Nobili viro Doncino Luchirto de Gatalufiis Cive Januenfi Bonon. Pretoe. Domino Accurxio Langaveglia Cive Alexandrino Cap. Populi Bonon. Domino Raimun do de Cafali Januen. Domino Danielle de TaTell. Domino Guilielmino de Rodofredo Judicius Poteftatis prafati. Domino Viano Cive Alexandrino Judice dicti Cap. Domino Anfel 20 Millan. Domino Pizzota & Domino Facino Socijs,& militibus dicti Domini Pot. Domino Amadeo Ugonis Alberti, & Domino Peregrino Christiani Medicis, Teftibus vocatis & rogatis.
Ego Thomaxinus quondam Petrixoli Armanini Imperiali auctoritate Not. & nunc ejufdem Domini Regis Not & familiaris, prædieta de ipfius mandato fcripfi, & in publicam formam redegi &c.

[Copia del primo Codicillo.]
In nomine Domini Amen.
Anno a Nati vitate ejusdem Millesimo Ducentesimo Septuagesimo secundo. Indictione Quinta Decims, die feptimo, intrante Martio. Henricus Dei gratia rex Sardinia. Cum fuper regno rum, bonorum & jurium noftrorum difpofitione fcribi mandaverimus Teftamentum ma nu Thomaxini quondam Petrizoli Armanini Notarij nostri confectum. Quia circa quadam qua in ipfo Teftamento continentur, propofitum mutavimus, quod ufque ad ultimam Spiritus emiffionem nobis licitum eft immuta. re, Codicillis prafentibus jam dictum Tefta mentum gaudere decernimus pleniffima firmitate boc tamen addito, quod his Codicillis jure Legati relinquimus nobili viro Amori militi de Curia, Centum libras Bonon. Item quod reftituantur Gratia Deo Aurifici Quindecim lib. Bonon. quas nobis liberaliter mutuavit. Item jure Legati relinquimus Azolino vocato Cella familiari nostro Centum. lib. Bonon. fupplicantes haredibus noftris Il luftribus Domino Alfonfo Regi Caftelle, & Federigo Tertio Lantgravio Turingia quod pradictas folvant pecunia quantitates. PraJens autem ultima voluntatis noftra judicium, Codicilli robur, & firmitatem pleniffimam obtinere volumus, & jubemus, quod fi Codicilli jure non valet, faltem valeat cujufcumque alterius ultima voluntatis per quam valere potuerit plenius, & tenere. Mandantes infrafcripto Thomaxino Not. noftro quod har propria manu fcribens in pubblicam formam reducat, & muniat proprio fuo figno. In Palatio novo Communis Bonon. Prafentibus Fratre Thomaxino de Ordine Fratrum. Pradicatorum, Fratre Philippino de Vercell de difto Ordine qui affervit fe dictum dominum regem cognofcere, Jacobo Abbatis, Guilielmino de Sancto Georgio, Guilielmo de Albertis Rubeis de Perma, Magistro Elifeo Medico Senenfi, & Bernardo Permense, Testibus vocatis & rogatis. Ego Thomaxinus quondam Petrizoli Ar. manini Imperiali Auct. Not. & nunc ejusdem Domini Regis Not. pradictis interfui & de ipfius mandato in publicam formam redegi, & fcripfi.

[Copia dell' altro Codicillo.]

Nomine Domini Amen.
Anno a nativitate ejusdem Millesimo Ducentesimo Septuagesimo secundo, Indictione quintadecima, die feptimo intrante Martio. Henricus Dei gratia Rex Sardinia. Cum fuper Regnorum, bonorum & jurium noftrorum difpofitione fcribi mandaverimus Testamentum &Codicillum manu Thomaxini Not. noftri infrafcripti confectos; quia circa quadam, qua in ipfo Testamento & Codicillo notantur propofitum mutavimus, quod ufque ad ultimam fpiritus emiffionem nobis licitum eft immutare Codicillis prafentibus jam. dictum Teftamentum & Codicillum decernimus gaudere pleniffima firmitate, hoc tamen muta. & addito, quod ijs Codicillis fepultura noftram nobis eligimus apud Ecclefiam Beati Dominici Bonon. arbitrio venerabilis Patris Domini Octaviani Bonon. Epifcopi Teftamen. to prafato nullatenus inhibente, quod arbitrium penitus revocamus. Relinquimus infuper pra anima nostra Ecclefia prafata, ac etiam circa funus & fepulturam eandem fexcentas uncias auri folvendas & dandas per Illuftres Dominum Alfonfum Caftella Regem, & confanguineum, & hæredem noftrum & Dominum Federicum. Tertium Lantgravium Cariffimum nepotem nostrum. Rogantes eofdem quod in bac parte nostra falutem anima non evitent. Item pro anima noftra relinquimus Conventui Dominarum de mifericordia, eo quia Illuftri Domina Chaterina Sorori noftra aftiterunt honoribus, & gratis obfequijs Quingentas libr. Bon. fol. vendas & dandas eidem Monaft. per Illuftres Dominos Alfonfum & Federicum præfatos. Item jure Legati relinquimus Sorori Guida Magna dicta Domina fervienti Centum lib. Bono. folvendas & dandas eidem per Illuftres Dominos Alfonfum & Federicum prafatos. Item Jure Legati relinquimus Amori militi de Curia, cujus fides & poffe in obfequijs nostris non defuit Trecentas lib. Bon. computatis in ijs Centum libris Bon. quas eidem legavimus altero Codicillo folvendas & dandas per Illuftres Dominos Alfonfum & Federicum prafatos. Praterea quoniam eum non poffumus debitis latificare muneribus, ipfum prafatis noftris bæredibus commendamus, quatenus ei dignetur affiftere debitis gratiarum impendijs,& honore. Item jure Legati relinquimus Domino Spagnolo Abbatis Legum Doctori, Antonio & Bolognino fuis fratribus mille lib. Bon. Jolvendas & dandas eis per Illuftres Dominos Alfonfum, & Federicum præfatos. Damus infuper in mandatis infrafcripto Thomaxino Not. nostro, quod manu propria familiaribus amicis, &fidelibus noftris qui ab eo petierint commen dationis literas ad Reges, Principes & Barones conficiat noftro figillo munitas. Prafens autem ultima voluntatis noftra judicium Codicilli robur, & firmitatem plenissimam obtinere volumus & jubemus. Quod fi Codicilli jure non valet, faltem valeat cujufcumque alterius ultima voluntatis, per quam valere poterit plenius & tenere. Mandantes infra. fcripto Thomaxino not. noftro, quod has pria manu fcribens in publicam formam reducat, & muniat proprio fuo figno. Actum in Palatio novo Communis Bonon. prefentibus viro difcreto presbitero Benvignai Rectore Ecclefia Beati Michaelis de Mercato medij qui fibi prafatum Dominum Regem notum af feruit, Domino Ugolino Ricardi, Domino Guilielmino de S. Georgio, Domino Jacobo Abba. tis, Nicolao Domini Benvenuti, Parmirano Domini Peregrini, Magiftro Elifeo de Sen. Medico, & Azolino qui dicitur Cella, Teft. vocatis & Rogatis.
Ego Thomaxinus quondam Petrizoli Armanini Imperiali auctoritate Not. & nunc ejufdem Domini Regis Not. pradictis interfui, de ipfius mandato in publicam formam redegi, & fcripfi.
[Si veggono pure comprovati i predetti Codicilli dal ritrovarsi nell' Archivio pubblico quanto qui si trascrive.]

In Dei Nomine Amen.
Universis &c. qualiter in libro Memorialium anni 1272. Ser Ugonis de Bamba. gliolis Notarij exiften., & confervat. in Ca mera Actorum Archivoque publico hujus Ci vitatis Bononia, inter catera in eodem libro registrata, & maxime fub foleo 46. adeunt & reperiuntur ea quæ fequuntur videlicet.
Die feptimo intrante Martio Lune. Dominus Henricus Rex prefatus fecit Codicillum fcriptum manu Thomaxini Petrixoli Armanini Notarij hodie facto Bononia in Pal. latio prefentibus fratre Thomaxino de Mathelica Fratre Philippino de Verzellis Domino Ja cobo Abbatis Domino Guillielmino de Sancto Georgio Guillielmo Abbatis de Parma, Mag. Elifeo Medico, & Bernardo Parmenfe Teftibus &c. ut idem Jacobus dixit cum difto fratre Thomaxino Procuratore dicti Domini regis, & fcribi fecerunt, & dixerunt fcriptum eße ma nu dicti Thomaxini Not.
Item fol. 49. V. Die tertio decimo exeunte Martio Sa... Dominus Henricus Rex Sardinia fecit Codicillum fcriptum manu Thomaxini Petrizoli Armanini Notarij hodie facto Bononie in Palatio Communis Bononie prefentibus Presbitero Borvignais Rectore Ecclefie fancti Michaelis de Foro medij Domino Ugolino Ricardi, Domino Guillelmino de S. Georgio, Jaco bo Abbatis Domino Nicolao Domini Benvenuti Parmirano, Domini Pellegrini, Mag. Elixeo Medico, & Azolino cui dicitur Zella Teftibus &c. ut dictus Presbiter cum dicto Nicholao fuo Procuratore dixerunt, & fcribi fecerunt, & dixerunt ipsum infirmum esse &c.
11. Ivi. Così l’autore: - Dopo d' aver trascritto il Testamento d'Enzo con i due codicilli ò pensato ben fatto sodisfare alla comune curiosità recandolo nella sua medesima lingua, siccome si ritrova nel pubblico Archivio ed è riferito dal Campanacci, De bello Mutinensi, il quale lo cavò dall'Archivio de Padri di S.Domenico, benchè confiderata la frase, possa taluno dubitarne.
12. Così il codicillo in latino [Addì 7 marzo, lunedì]. In Dei Nomine Amen. Illuftris Dñus Henricus Sardinie Rex filius Dive memorie Dñi Federici Romani Imperatoris suum fecit Testamentum scriptum manu Thomasini quondam Petrizoli Armanini Notarij in quo sibi heredes instituit universales Dñum Alfonsum Regem Castelle, Dñum Federicum tunc Lantgravium Turing. in palatio Communis Bononie heri facto in presentia Fratris Bonanni Priore Fratrum Predicatorum Fratris Thomasini de Mathelica & Fratris Filippi de Verzellis de ordine Fratrum Predicatorum Dñi Luchiti de Gataluxiis potestatis Bononiæ, Dñi Accurxij Lanzaveg. capitanei populi Bononie Dni Raymundi de Cafellis Dni Daniellis de Cafellis Dñi Guillielgravio nostro legittimo nipote;
Così l’autore: - Portato il Testamento, e i Codicilli, si aggiugne una evidente prova del medesimo portando la vendita delle loro ragioni per i Legati a loro favore fatta al Procuratore del Conte Ugolino di Guelfo Conte di Donoratico, amministratore de beni de figli di Elena di Enzo, fatta da Guglielmo cui promifero dare lire 1700 di Bolognini, da Niccolò in prezzo di lire 400 Bolognini, da Pietro in conto di lire 303 e foldi dieci Bolognini, e quefto nel decorfo di un anno &c. Comprarono ancora i detti figliuoli per lo Conte Ugolino tutta la eredità, beni e diritti e ragioni a qualsivoglia competenti, e da competere nel regno di Sardegna, e Caftello di Saffari, nella Lunigiana, Verfillia, Garfagnana, Varefe &c. per lo prezzo di lire 4250. di Bolognini. Dalle quali cose apparisce non esser finto il recato Testamento &c. e semprepiù confermata la verità di cui si tratta.
Per dare qualche notizia circa queste lire, dal ritrovato nell' Archivio pubblico ricavo, qualmente in Bologna fi cominciò a batter Moneta nel 1191, avutone il Privilegio da Enrico III Imperadore. A fei Maggio la battè di lega e in ogni libbra di rame vi entravano oncie due e tre quarti di argento. Nel contorno di detta moneta da una parte vi era il no me di Enrico e dall' altra Bononia. Dodici di queste Monete facevano un foldo, e 240, una lira, e si chiamavano Bolognini piccoli, o o fieno danari, che pefavano grana fei l' uno.
Nel 1200 usava certa lira, la quale andò calando fino al 1650. In quell'anno i Soldi, e i danari contenendo argento, il Danaro ne conteneva grani due e mezzo, e fi chiamava Bolognino femplice: il folde, chiamato Bolognino doppio ne conteneva trenta. ll Soldot Sempre stato di dodici danari, e la lira di venti Soldi, e per aver la lira del 1200. vi volevano 600. grani d' Argento, cioè un oncia e 44. grani”. Era quefta l'antica lira di Bologna, la quale a poco a poco andò calando di valore, avendo la Zecca in. cominciato a calare l'argento ne Bolognini, non coniando la lira in un pezzo, effendo anzi moneta di nome. Lo calò ne Bolognini femplici e doppi, e tan to che alla metà del secolo XVII. non ve ne lasciò in alcun modo. Il danaro più non si battè, e la più piccola moneta era di due danarj, era chiamatà il Quattrino. Nel 1236 si cominciò a coniare moneta d'Argento fino, e fi chiamava Bolognino groffo d'argento, ed era il Soldo effettivo della lira di Bologni ni, e ve n' andavano venti In tal tempo conta vano anche la lira groffa, nella quale i Bolognini groffi d' argento, fi contavano come danarj ne andavano 240 a far una lira. Per conoscer dunque il calo della lira, e il suo valore nel Secolo XIII. Ragguagliato alla lira presente, bifogna ritrovare una moneta antica che fia ancora in ufo e riferirvi la lira antica, e la moderna. Il Gigliato di Firenze, e il Zecchino Veneto fono antichiffime. La pri ma chiamavafi Fiorino di Oro, e l' altra Docato di Oro. Nel 1200 una di queste monete valeva venti Bolognini doppi, cioè 30 soldi, che fanno lire una e mezzo. Ora vale 210 soldi. Il valore dunque della lira antica, ragguagliato alla moderna. era di lire fette e mezzo, o fieno paoli 15 in circa. Si conferma ciò ancora dalle compere, le quali tors nano al prezzo d'oggi. Quanto qui si nota è ricavato da i Bandi della Zecca, e da altri monumenti presso il Signore Ubaldo Zanetti il quale da buon Cittadino e da uomo d'ottimo gusto anne adunato quanto può contribuire a render taluno eru. dito nelle cose della sua patria sia in manoscritti, sia in Libri stampati, monete, medaglie &c.