18. VENOSA E LE MEMORIE VESCOVILI. Nel Regno di Napoli di Borgo d’Autore

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UN LIBRO MODERNO, RICCO DI SPUNTI SULLA STORIA DELLA DIOCESI DI VENOSA

Alcuni non dubitano che l’origine di questa Città si fondi su Venilia moglie di Dauno e madre di Turno; da qui deriva che le genti di questa regione siano state chiamate Dauni, come attesta il Bergamasco (1). Inoltre Varrone (2) la mette a capo e la fa città principale dell’Apulia con queste parole:” tu chiedi perché il farro è prodotto dai Campani, perché il grano dagli Apuli, perché il vino da Falerno, perché l’olio da Venafro, di questa regione di Apulia la capitale è Venosa”. E il Cluverio (3) nella sua Italia antica così dice:” Da Canosa 15 mila passi ad occidente del sole in primavera è distante l’oppido di Venosa al confine degli Apuli, dei Lucani, dei Sanniti cioè degli Irpini. Patria del poeta Orazio, ora dalla gente del posto è detta Venosa ed è menzionata da molti Autori etc.”; e il medesimo Ughelli (4), che è solito non avere particolari attenzioni per essa, anche la ricorda.
Per questo motivo abbastanza, e anche di più, conosciamo molti uomini importanti, che a questa Città hanno dato molti servigi e ricordi, sicuramente alla sua fama, recando prestigio al suo onore in ogni tempo. Furono questi Caio Sempronio Romano e, tra gli altri, quando si parla della parte Italiana, Plinio, Livio e Appiano,(5) che annoverano Venosa tra le città italiche più importanti; e anche Servio (6), che per scherzo ne fa derivare il nome da Venere. Ma Plutarco (7) nelle imprese di Annibale, e Collenuccio (8) la pongono di gran lunga per importanza tra le città del Regno di Napoli, e ad essa attribuiscono la derivazione del nome per essere stata eretta sopra un tempio di Venere; e Giulio Cesare Scaligero (9) così ciancia:
Pur piccola e quasi umile, una terra senza nome
O uguale o più grande di Te fu Roma.
Strabone (10) sembra assegnare questo Oppido ai Sanniti, poiché si trova situato negli antichi territori dei Sanniti e dei Lucani. Plinio tuttavia e Tolomeo (11) la assegnano all’Apulia. La città è detta da Orazio con nome di genere neutro Venusium.
E’ incerto se, quando vi furono mandati i coloni, Venosa sia rimasta la stessa dell’ oppidum del Sanniti, o dai Romani sia stata nuovamente edificata. In verità alcuni vogliono che il nome derivi dai corsi d’acqua, da cui è irrigata, altri poi la chiamarono Venosa per l’abbondanza di vini. Ma poiché questa, quando fioriva Roma, era celebre per il fasto e l’abbondanza e la potenza, dominatrice delle città confinanti, e Regina era detta, ebbe la propria autorità sovrana e lo stato di Repubblica fino al consolato di Caio Cosconio, il quale nell’anno di Roma 463 (come scrive Appiano) tentò di raderla al suolo. Non viene abbandonato per questo motivo, anche in quel momento di incertezza, lo stemma della città: il basilisco e le parole dipinte: Repubblica Venusina.
Dal momento che essa (Venosa), sulla testimonianza di Livio, in quel tempo si trovava in questa condizione, avvenne che Terenzio Varrone console romano fuggendo con cinquanta Cavalieri dalla strage fatta dai Cartaginesi a Canne, e anche quattromila cavalieri e soldati, di quello che rimaneva dell’esercito Romano, non solamente ricevessero straordinaria ospitalità, ma ad ognuno di essi, specialmente ai nobili e ai comandanti, venne donata toga e tunica, venticinque nummi d’argento col conio della quadriga, e a ciascun soldato dieci nummi e le armi.
E successivamente come amica e alleata della Repubblica Romana non pochi aiuti prestò contro Annibale. Paolo Emilio perciò, quando cercò di sconfiggere il comandante dei Cartaginesi, sebbene avesse visto le sue schiere di soldati trovarsi in grandissime difficoltà ed essere in moltissime altre difficoltà, questi, infatti, con incerto combattimento e aspramente erano a lungo incalzati presso la suddetta Canne, ritenne che non altra città ben difesa e più fedele tra gli Apuli fosse per lui più accogliente di Venosa. Ancora Livio, con i suoi scritti, testimoniò che molte cose furono fatte dal console Ostilio Claudio e da moltissimi altri in quel frangente per mantenere nella fedeltà il municipio e nella grandezza che aveva. Inoltre, venuto a morte il console Marco Marcello tra Banzia, adesso ricca abbazia del famosissimo ed egregio Cardinale Vincenzo Petra, e Venosa, Annibale portò qui le sue ceneri, come scrive il Tarchagnota (12).
Suppergiù nello stesso tempo o prima, Venosa, come attesta Patercolo (13), nell’anno di Roma 460, prima della nascita di Gesù il 292, sotto il consolato di Lucio Papirio Cursore e Spurio Cornelio Massimo divenne la trentasettesima colonia romana. Anche nel periodo successivo gli storici molto trattarono di questa Città: a questo proposito dice l’Ughelli:” Venosa città degli Apuli, non lontano dai confini della Lucania, che adesso si attribuisce un posto non infimo etc. antichissima e amena” e poco più avanti aggiunge:
Questa Città non solamente per la eccellente fecondità della terra, e produce in grande quantità abbondanza di ogni cosa etc. e deve essere ritenuta illustre per i natali di altri famosissimi uomini, e in ogni tempo ne generò di cospicui e illustri. Dopo la divisione dell’Italia, al tempo dei Goti e del Vandali e delle altre genti barbare, questi (barbari) talvolta presso il vallo Venusino si accamparono, e la Città patì questa sciagura; ed è ignoto per quale altro infortunio sia decaduta dal suo splendore. Sappiamo tuttavia che i Normanni, in seguito, tennero il Regno di Napoli per trecento anni, come attestano gli storici; volendo occupare Venosa ebbero timore di mettersi in situazioni pericolose; vedendo al suo interno rovine, si preoccuparono di rifare le case dell’Oppido, e far crescere il numero degli abitanti e la loro fortuna. Portarono avanti questo disegno, e da quel territorio spesso trassero schiere di soldati.
Successivamente ebbero il potere gli Angioini, e tranquillamente governarono Napoli; di essi Carlo (14) re di Napoli, che aveva provato più volte la fede dei Venusini e la loro opulenza, nell’anno 1381 si trattenne presso di loro e anche per un tempo prolungato. Una sola cosa mi sembra degna di memoria, e non ho intenzione di tralasciare come un decreto di poco conto: Carlo, che abbondava con le lodi, emanò una disposizione penale contro coloro che occupavano i beni demaniali, e ai Cittadini vennero elargiti alcuni benefici. Perciò dalle molte motivazioni che si possono addurre per comprendere il suo atteggiamento, riteniamo che la più importante di esse, fosse il fatto che i Venosini rendevano al Re grandissimi onori.
Allora aveva la città una rocca inespugnabile, era cinta di trincee e fossati, e di altre fortificazioni, di cui rimangono fino ai nostri giorni i resti, munita e adorna per custodire la maestà del Re e la sicurezza dei cittadini. Riteniamo che questo sia stato fatto anche perché si sono comportati allo stesso modo quelli che si sono succeduti nel governo del regno. infatti Ludovico Primo (15) nell’anno del Signore 1343 introdusse l’elezione, come la chiamano, del Mastro Giurato, riservata soltanto ai cittadini nobili, e volle che questa Città rimanesse nella regia potestà, affinché da Baroni non potesse essere infeudata in qualsiasi tempo. La Regina Giovanna Prima nell’anno 1389 (16) concesse che vi si tenesse il mercato libero nei giorni stabiliti.
La Regina Margherita madre di Ladislao (17), nell’anno 1392 e nel 1400 per la fiducia degli abitanti dell’Oppido e mossa da un compito singolare, istituì a Venosa un proprio Decurione per alcuni delitti, con una sala di riunioni per questa magistratura. Il suddetto Ladislao questa fece ampliare nell’anno 1412 allo stesso modo, e per la Festa della Santissima Trinità e della Madonna detta della Scala ordinò che si facesse per più giorni mercati propriamente secondo l’usanza. Quel famoso Alfonso Primo re di Aragona nell’anno 1422 stabilì che i Venosini fossero esenti da quasi tutte le imposte; e Ferdinando Primo nell’anno 1459 fece distribuire il sale ai cittadini in perpetuo, e ogni tanto si recava a Venosa.

Description

VENOSA: SPIGOLATURE EDITE E INEDITE SULLA CITTA’ DI ORAZIO


Traduzioni dal latino del preside Iandiorio e commenti sugli scritti di Corsignani

Mi accingo ad illustrare, con una sintetica narrazione, questa Chiesa ricca per antichità e celebrità, dopo questa Sinodo da Noi portata a termine con l’aiuto di Dio. E’ sufficiente come motivazione per questa esposizione, che si creda che fin dalle origini questa Chiesa ha professato una incorrotta fede verso la Santa Sede Apostolica Romana. Certamente nessuno, mosso da colpa o da ingiuria, l’accuserà o la criticherà di essersi allontanata dalle istituzioni cattoliche e non abbia rispettato le disposizioni dei Pontefici. Infatti fino a quando sarà consentito vivere, se ben consideriamo, a tutti è chiaro che essa è limpida. In verità ogni cosa risalterà di più agli occhi di chi legge, se per prima io faccio le lodi della Cattedra di Venosa, che attualmente è suffraganea dell’arcivescovo di Acerenza e di Matera. Tratterò dell’origine della città di Venosa, del suo progresso e delle sue avversità, e metterò in evidenza alcuni suoi uomini illustri, e benemeriti della loro patria.
Era stato nominato Vescovo di Venosa il 25 marzo del 1727 e subito l’anno successivo indice la Sinodo della diocesi, cioè l’ assemblea dei sacerdoti e di altri fedeli, con il compito di prendere in esame ciò che concerne la cura pastorale e la vita della Chiesa.
Gli atti della sinodo venosina del 1728 si chiudono con un opuscolo, che funge quasi da allegato, con una sua numerazione delle pagine. Il titolo “Historica monumenta selecta Petri Antonii Corsignani Antistitis Venusini de Ecclesia et Civitate Venusiae eiusdemque Episcopis” ci dice subito che è una storia degli edifici di culto della città, dei santi venerati, ma anche dei personaggi più significativi, in termini di attività professionale e culturale, che sono esistiti fino a quel tempo. Questa aggiunta alla raccolta degli atti della sinodo, ha fatto pensare che si trattasse di un’opera composta a parte e posteriormente inserita nella pubblicazione degli stessi (1).
Ma chi era Pietro Antonio Corsignani e perché quell’appendice, contemporanea o posteriore che fosse alla pubblicazione degli atti della Synodo?
L’appendice “Historica monumenta” contiene anche una cronotassi dei vescovi di Venosa, che si conclude con questa nota biografica del nostro:
“Pietro Antonio Corsignani, è stato Vicario Generale Tiburtino, ma anche del Cardinale di specchiata memoria Fulvio Astalli, Decano del Sacro Collegio. Un tempo è stato amico familiare dei Vescovi della Sabina, di Ostia e di Velletri; ha ricoperto la carica di Uditore (2) e con l’incarico di Uditore per le suddette diocesi era estensore delle relazioni nelle sacre visite. Poi è stato Uditore nell’Alma Urbe (Roma), segretario della Santa Inquisizione del cardinale Giuseppe Sacripante (1642-1727) di degna memoria. Ben visto dal Santissimo Nostro Signore Benedetto XIII, da lui fu nominato Prevosto Celanense (3) (di Celano), un tempo diocesi nullius. Morto il Cardinale Sacripante il 4 gennaio 1727, dallo stesso Sommo Pontefice il seguente 12 marzo fu nominato vescovo venosino, nel giorno della ricorrenza della dedicazione di questa chiesa. Dall’eminentissimo Cardinale Vincenzo Petra patrizio napoletano, di ottimi costumi, di grande erudizione e di singolare dottrina, ovunque stimatissimo, il giorno 25 del suddetto mese nella festività della Santissima Annunziata, nella chiesa di San Rocco venne consacrato. Per la solenne presa di possesso il 18 maggio del suddetto anno venne accolto a Venosa. Poco dopo pubblicò le presenti Costituzioni sinodali, e anche la storia dei monumenti della città di Venosa; venne anche nominato Conservatore dei privilegi del Serafico Ordine dei Padri Riformati di S. Francesco in questa provincia di Basilicata”.
Il Vescovo Corsignani nacque a Celano (in provincia de L’Aquila) il 15 gennaio 1686 ed ivi mori il 17 ottobre 1751. Studiò a Roma ove si laureò in giurisprudenza, soggiornò alcuni anni a Napoli. Trasferitosi a Roma divenne familiare del Cardinale Fulvio Astalli (1655-1721). Ricopri molte cariche importanti sotto vari Pontefici. Storico e letterato, fece parte di molte Accademie. Fu Vescovo di Venosa fino all’anno 1738. Il 23 luglio di quell’ anno, infatti, venne trasferito alla diocesi di Valva e Sulmona.
La Diocesi di Sulmona – Valva è in provincia dell’Aquila e comprende anche territori delle Province di Pescara e di Chieti. Trae origine da due antichissime Diocesi, quella di Valva, con sede a Corfinio, e quella di Sulmona. Sotto Papa Gregorio I (pontefice dal 590 al 604) le due Diocesi vennero riunite sotto la giurisdizione di un solo valvensis et sulmonensis episcopus.
Prima di ricevere la nomina di vescovo di Venosa. Mons. Corsignani aveva dato prova delle sue qualità di storico avendo pubblicato un’opera apprezzata molto dai suoi contemporanei:
De Viris illustribus Marsorum Liber singularis cui etiam Sanctorum ac Venerabilium Vitae nec non Marsicanas inscriptiones accesserunt, Typis et sumptibus A. De Rubeis in Platea Cerensi, Roma 1712, in 4° “L’opera fa parte della produzione giovanile di Corsignani e, all’epoca, ne suggellò l’ammissione all’Arcadia di Roma. Nel 1724 Corsignani si rivolse a Ludovico Antonio Muratori ( Vignola 1672, Modena 1750) affinché inserisse il testo nei Rerum Italicarum Scriptores, insieme all’ Historia Marsorum di Febonio, già prevista nel palinsesto muratoriano. Tuttavia il progetto sfumò perché l’opera seicentesca era stata pubblicata l’anno prima nel nono volume del Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae; per questo il Modenese suggerì al giovane prelato abruzzese di presentare il proprio contributo a Pietro Burmann (filologo olandese,1668-1741)” (4).
L’attenzione del vescovo venosino alla storia e alla conservazione della documentazione, la si ritrova negli atti sinodali del 1728. Infatti, il titolo XX delle costituzioni sinodali è dedicato alla “biblioteca dell’episcopio venosino”:” Come alla biblioteca dell’episcopio venne riservata diligente e scrupolosa cura dai nostri predecessori, sia per quanto riguarda i libri sacri e i volumi dei Patri della Chiesa e di altri Ecclesiastici raccolti in buon numero; così per la loro conservazione, non ci deve essere minore passione e cura di quelli che si sono succeduti. Questa biblioteca in un luogo stabilito del palazzo vescovile, sistemata nei suoi armadi dipinti, non a casaccio ma con ordine disposti (i libri) , stabiliamo che per niente debba essere rimossa dal posto dove si trova. Inoltre i volumi, in essa contenuti, affinché non invecchino con la sporcizia, vengano puliti; quelli male incollati e consunti, e privi di copertina, siano rilegati con aggiunte o cuoio; quelli danneggiati in altro modo, siano ricomposti e restaurati con nuove copertine perché possano durare in perpetuo. Alcuni volumi raccolti dai nostri dotti predecessori e i manoscritti nostri, che potranno essere utili talvolta a questa chiesa, separatamente e diligentemente da noi in ordine collocati, siano custoditi nello stesso posto in cui li abbiamo collocati con le nostri mani, a meno che non ricorra in futuro qualche necessità. Inoltre pensiamo, su consiglio del Capitolo, di scegliere un Canonico molto esperto, studioso di lettere secondo l’ammonimento di San Carlo Borromeo, che si prenda cura di essa con assiduità. Deve inoltre essere compito nostro visitarla spesso, affinché sia disponibile del tutto per la consultazione. Perciò si commina la scomunica o sospensione a quelli che a nostra conoscenza si trattengano libri o li vendano, alienino, se ne approprino e fraudolentemente li portino a casa loro… Per questo nominiamo l’ Abbate Giovanni Felice Corsignani chierico, studente di filosofia e nostro secondo fratello germano, qui residente, custode e bibliotecario della Biblioteca dell’episcopio Venosino” (5)
Il libro, che raccoglie gli atti della Sinodo, mons. Corsignani lo dedica al Papa Benedetto XIII (1649-1730, pontefice dal 1724) che lo aveva eletto vescovo. Attraverso questa dedica (6), il nostro vescovo ribadiva la propria immutata fedeltà nei confronti del Pontefice, che conosceva, esprimendogli la propria gratitudine e riconosceva, nonché ottenendo la protezione che derivava alla sua opera posta sotto tanto patrocinio. La celebrazione delle virtù e del prestigio del Pontefice dedicatario, accresceva il valore dell’opera a lui dedicata:” Chi può contare le stelle? Mi sento obbligato alla lingua di Arpocrate, spargo per te preghiere semplici, affinché questo piccolo dono, quale che sia il suo valore, benevolmente come segno di un animo ossequiosissimo e sempre grato, tu riceva con volto sereno, e con la clemenza e l’umanità di cui sei solito”(7).
C’era un motivo in più, nella dedica di mons. Corsignani: la volontà di dare un contributo alla nuova Patria. Non a caso, l’appendice alla Synodo, si spiega con questa volontà di essere utile alla città. E come alcune storie locali dell’ età moderna, indirizzate alla città di cui si narravano le vicende, l’Appendice corsiniana è rivolta ai concittadini e ai rappresentanti del potere civico, perché conoscano chi furono i loro avi. Così i concittadini si sarebbero mostrati fieri di quel passato glorioso che tornava alla luce grazie alle fatiche degli uomini di lettere, per tramandarne degnamente la memoria ai posteri. Veniva chiamata in causa la nobiltà locale: ecclesiastici, esponenti delle casate più antiche, professionisti affermati condividevano il messaggio di fondo, cioè l’autocelebrazione del potere cittadino.
Nell’anno in cui viene trasferito alla diocesi di Valva- Sulmona, mons. Corsignani pubblica un nuovo suo studio sulla Marsica, a dimostrazione che non aveva smesso di interessarsi alla storia della sua regione.
Reggia Marsicana ovvero Memorie topografico-storiche di varie Colonie, e città antiche e moderne della Provincia dei Marsi e di Valeria, compresa nel Vetusto Lazio, e Abruzzi, colla descrizione delle loro Chiese, e Immagini miracolose; e delle Vite de’ Santi, cogli Uomini Illustri, e la Serie de’ Vescovi Marsicani, Parino, Napoli 1738, 2 Voll., in 4°.
“Scritta in italiano, l’opera descrive la storia del popolo dei Marsi, riportando notizie di natura diversa e non sempre attendibili, da quelle di carattere storico a quelle mitiche e leggendarie, a quelle epigrafiche. Corsignani cerca di ricostruire l’origine, la storia e le tradizioni del popolo dei Marsi ed i rapporti con i Romani”. (?
Da qui siamo ripartiti per riscrivere la grande storia di Venosa in collaborazione con Borgo d’Autore del Presidente Pasquale Cappiello …

Dettagli

EAN

9788872970416

ISBN

8872970415

Pagine

112

Autore

Iandiorio

Editore

ABE Napoli

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Editorial Review

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