16. ENRICO CARUSO da Napoli e New York. Figlio di operai del cotone emigranti di Piedimonte d’Alife (ed.light)

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CARUSO E LA CANZONE NAPOLETANA

Il più sentito ringraziamento non può che andare ai miei primi maestri: Gino Tino che mi aprì la mente al canto in napoletano e mi fece scoprire un mondo dei valori, il senso di una civiltà millenaria, che nella canzone estrinseca tutta la sua anima; e l’avvocato Paolo Ventriglia, che mi insegnò la tecnica del bel canto lirico per poi affidarmi nelle mani sicure di Lidia Banditelli e in seguito di Edoardo Bochicchio.
Un altro ringraziamento va a tutti i valorosi e coltissimi docenti che ho incontrato al Conservatorio Statale di Musica “Nicola Sala” di Benevento. Essi mi hanno fatto venire la voglia di approfondire una cultura, di imparare una lingua, di esprimere l’anima partenopea attraverso il canto. Napoli, che a noi della provincia, nonostante la vicinanza ed una logistica sempre più rapida, a volte sembra un mondo lontano, attraverso le loro lezioni – conferenze, mi è sembrata la mia civiltà, il mio mondo, un cosmo culturale in continua evoluzione, pregno di idee, ricco di manifestazioni artistiche incomparabili. Lo riconosco, devo molto a loro.
Ecco perché ringrazio col cuore il professore Antonio Sciotti che mi ha avviato alla ricerca e il professor Luigi Ottaiano che è stato il relatore della mia tesi. Infine ringrazio gli studiosi locali, gli amici di Piedimonte Matese che mi hanno parlato, a volte in modo leggendario, del grande tenore che continua ad essere per noi piedimontesi una gloria mondiale di cui possiamo vantarci.
La lista delle persone e degli studiosi locali è lunghissima, perciò non li nomino, anche se essi meriterebbero di essere citati e ricordati, ma nelle note di questa tesi a volte compare qualche nome, e queste citazioni costituiscono il segno della mia gratitudine perenne.

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Il legame tra Caruso e la canzone napoletana è una componente essenziale della cultura di Napoli da più di un secolo, tanto è vero che il tenore continua ad essere ascoltato e celebrato ancora, specie quando la sua voce si lega alle canzoni in lingua napoletana. Preferisco parlare, come ormai fanno tutti gli studiosi seri, del “napoletano” come di una lingua, non solo perché è stata parlata ed è ancora parlata da un intero popolo, quello che molti storici fino all’Unità d’Italia indicavano con le parole «nazione napolitana», non solo perché è stata lingua di una corte e di un regno, perché fu adoperata da scrittori, ma perché essa ha i connotati di una vera lingua, con una sua grammatica ed una sua sintassi, con una varietà lessicale sterminata; e, infine, perché è capace di assimilare e riproporre termini di ogni settore del sapere.
Scrivere di questo legame, significa approfondire il profilo umano e professionale del grande tenore e cogliere, nel suo canto e nella sua ispirazione, visto che fu anche compositore nella lingua napoletana, la presenza dell’essenza, dell’anima e della vita napoletana. Ma significa anche cercare di scoprire le interconnessioni segrete tra l’artista e il mondo in cui è nato e si è formato, fare il bilancio di quei lasciti che, a volte, non si possono documentare ma che fanno parte del patrimonio spirituale e culturale di ciascuna persona. Vi è anche una curiosità affettiva in questa scelta. Mia madre è una lontana parente del maestro, di cui porta il cognome.
Di Caruso si è sempre parlato nella mia famiglia e se ne parla in tutta la città di Piedimonte. La città ha cambiato nome nel corso dei secoli per ben tre volte: dapprima si chiamava semplicemente Piedimonte fino all’Unificazione d’Italia, si chiamò poi Piedimonte d’Alife fino agli anni Settanta del Novecento; si chiama oggi Piedimonte Matese, e congiunge così il suo nome al massiccio che la circonda. La indicherò, d’ora in poi con il suo primo nome.
Piedimontesi erano i genitori di Caruso, e a Piedimonte fu concepito anche se poi la famiglia si trasferì a Napoli, tre mesi prima della sua nascita. Napoli è stata per secoli tra le grandi capitali della cultura europea e, soprattutto, nella musica ha detenuto un primato, oserei dire, assoluto. Fin dal ’500 nella città si contava un considerevole numero di conservatori: Santa Maria di Loreto, la Pietà dei Turchini, i Poveri di Gesù Cristo e infine il conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana. Questi conservatorii, nel corso dei secoli, si fusero tra loro, fino ad unificarsi, il 1826, nel Conservatorio statale di musica di San Pietro a Maiella. Nel corso dell’Ottocento non solo Napoli continua a primeggiare sulla scena operistica, ma dà vita a un’incredibile produzione di canzoni in lingua napoletana. Essa diventa la capitale di quella musica che verrà poi detta leggera. Si può dire che nella città si canta in ogni occasione, come ha dimostrato Rossella Del Prete nel suo volume Le forme sonore di un’economia creativa.
La capitale del regno borbonico, nato nel 1734 per assicurare un trono all’elegante rampollo del re di Spagna e di Elisabetta Farnese, Carlo, noto a Napoli col nome di Carlo III, diventa la citta del loisir specialmente sul finire del XVIII secolo quando viene scelta come meta preferita, segnatamente dagli uomini di cultura di quasi tutta l’Europa. L’Italia è al centro del Gran Tour, che sviluppa lungo la penisola alla ricerca delle vestigia del mondo classico e poi dei luoghi caratteristici del Bel Paese che richiamano i temi della letteratura romantica. Napoli, il suo golfo, le sue isole rappresentano un perfetto sincretismo di siti classici e di borghi medievali; testimoniano le forme del sublime inseguito da artisti e scrittori tra Settecento e Ottocento. L’immagine di una Napoli “jentile”, gentile, trasmessa dagli storici umanistici, che guardano alla città quattrocentesca degli Aragonesi, si muta in una “cartolina” di luci e di colore, di entusiasmo e di gioia ma anche di arretratezza e di ritardi, di sofferenza e nostalgia, di gioia e di dolore, di slanci e di abbattimenti, caratteri che riverberano nella canzone.
La svolta ottocentesca della produzione musicale porta a una lenta trasformazione nei gusti del pubblico, che, da raffinato ed elitario, si va aprendo a soluzioni di divertimento più popolare che tuttavia non avrebbero mai perso una loro alta peculiarità di scrittura.
Caruso impersona questo cambiamento e diviene, in effetti, la saldatura tra il teatro colto e operistico e la canzone di più immediata ricezione. Si verifica uno scambio tra il tenore e la canzone napoletana: questa aumenta il suo prestigio grazie alle esecuzioni internazionali del maestro, mentre dal contesto cittadino mosso, piacevole e vitale Caruso prende una smagliante vivacità che conferisce al suo canto sprezzature moderne e varie tra il nostalgico, il patetico e il sentimentale.
L’ambiente dei produttori di musica della città offre prove artistiche che migliorano nel tempo e crescono di numero grazie all’editoria musicale. La nascita dell’imponente industria culturale, fondata sulla canzone napoletana, si spiega col fatto che il canto a Napoli, nel corso dei secoli, segnò, come ha scritto, nella Fabbrica della festa, Maria Luisa Stazio:
…l’esplosione di un grande mito collettivo in cui Napoli ha messo in scena, spettacolarizzato, pianto e venduto il suo eterno declino, i fasti e le miserie di una capitale nobilissima e stracciona.
Ascoltando Caruso, che canta la città, i suoi luoghi, la sua gente, si percepisce un’interazione perfetta tra la tradizione musicale partenopea e la modernità di una voce che sfrutta timbri sonori pieni di colori e di sapidità. Sembra che l’anima di Napoli prenda forma nell’interpretazione di un artista senza tempo. I dischi graffiati, che ancora si ascoltano nelle case di Napoli e di Piedimonte, nei salotti di coloro che in Italia e all’estero amano il tenore, testimoniano uno spirito moderno, una vocalità sensibile all’eredità culturale della sua terra.

Description

CARUSO, LA STORIA E IL RACCONTO

NOTA DEGLI AUTORI

Questo libro è nato dalla collaborazione di due studiosi: Enzo Altieri e Giuseppe Castrillo. Il primo ha rivisto e rimaneggiato la sua tesi di laurea in “Canto” Canzone Classica Napoletana e ha voluto riproporla in un volumetto di agile lettura, che avvicinasse il grande tenore Enrico Caruso ad un pubblico più vasto. Il secondo riprende due racconti “fantasiosi” che rinnovano il mito del “re del canto lirico”.
In realtà le due parti del libro sono contigue. Si passa dalla vicenda storica di Caruso, alla ricostruzione del rapporto affettivo tra il tenore e la sua terra d’origine. I fatti narrati nei racconti sono di pura invenzione. L’autore ha semplicemente voluto riproporre un ambiente culturale, la dimensione di un paese nel passaggio tra Ottocento e Novecento, e ha cercato di immaginarsi la nostalgia del tenore per la terra d’origine dei genitori.
Si diceva “parti contigue”, e giustamente perché anche la ricostruzione storica, curata da Enzo Altieri, non si chiude senza lanciare uno sguardo sui racconti popolari che provvidero ad arricchire il mito di un tenore che Piedimonte ha sentito sempre come un suo figlio.
Enzo Altieri è autore di Caruso e la Canzone Napoletana. Giuseppe Castrillo è autore della Carusiana: appendice di racconti.
I disegni e gli acquerelli sono di Armando Altieri.

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