Description
Il Castello di Terranova è il Palazzo della Leonessa già abbandonato
Terranova era un piccolo borgo, la metà di Pietrastornina, e Arpaise era solo un casale. Sono piccoli feudi nelle mani di pochi ricchi notai giunti al seguito del feudatario di turno o inviati dalla Curia beneventana, sebbene la maggior parte dei cittadini posseggano una casa (stanza) propria, mentre si affermano i primi mestieri divenuti man mano comuni in tutti i paesi del Regno, dai braccianti ai vaticali. Oltre alle nuove case coloniche dei vassalli (futuri casali) su singoli appezzamenti di terreno, nascono altre dimore al centro del paese appartenenti a quei professionisti che dichiarano di vivere della propria professione, cioè a chi vive del suo. Le zone abitate da questi magnifici omnibus continuano ad essere indicate come case Palazziate ma non abitano i Comprensori di case popolari, sebbene ne sono spesso proprietari sostituendosi man mano alla chiesa che sovrintendeva nel distretto parrocchiale di appartenenza.
Una casa Palazziata diventa Palazzo se appartiene al feudatario o se è possente. E’ il caso delle 60 stanze, camere o membri, del Palazzo del Principe Lottiero d’Aquino situato nella Piazza di Pietrastornina, appartenenti ad un solo proprietario, poi divise fra i discendenti del dottore de Luca, imparentatisi coi Campobasso, cedendo anche i sottani o fondachi per far bottega. Il raggruppamento di case a volte veniva già chiamato edificio oppure ospizio, se amministrato dalla chiesa che ospita i poveri per dormire, che diviene Ospedale se è di patronato dell’Università comunale.
Come è il caso del diruto Castello di Terranova trasformato in Palazzo baronale e poi abbandonato ugualmente dal nuovo feudatario. Così leggiamo a tergo dell’Onciario di Terranovafossaceca: L’Eccellentissimo Signor Don Giuseppe Maria della Leonessa Principe di Supino ed utile Principe di questa Terra possiede il Palazzo Baronale sito nel Distretto della Terra Corpo a modo di Castello quale sta diruto per l’antichità e alcuni territori e numerosi canoni. Cioè nel 1753 il paese era infeudato dal napoletano Principe di Sepino possessore del feudo e del Castello trasformato in Palazzo e sito nel Corpo della Terra, cioè nel cuore del feudo murato. Un Palazzo già decaduto dai tempi antichi, prima che Don Giuseppe Maria (San Martino, 1699 – Napoli, 1772), IV Principe di Sepino, poi anche IV Duca di San Martino e Barone di Roccabascerana (1730) e Patrizio Napoletano, sposasse in Napoli (1726), dove già si era trasferito, Donna Giovanna di Somma (1705-1747), figlia di Don Francesco Domenico VI Principe di Colle
Nel Catasto seguono quindi luoghi e chiese, ma è possibile soprattutto riscontrare i nomi di tutti i cittadini dell’epoca, delle vedove e delle vergini in capillis (fanciulle da matrimonio), degli ecclesiastici, dei forestieri abitanti e non, e di tutte le altre presenze, oltre l’effettivo contributo pagato allo stato per il possesso dei beni e per i servizi (macellazioni, vendite al dettaglio, etc).4
Il Catasto di Terranova, come altri della provincia di Principato Ultra (più o meno le attuali province di Avellino e Benevento insieme), è stato riprodotto su nastro fotografico. Per ovviare a qualche imprecisione riscontrate nelle fotocopie, in questo caso, si è preferito trascrivere i dati direttamente dal tomo originale, riducendo al minimo il margine di errore. Il librone si conserva in maniera egregia presso l’Archivio di Stato di Napoli, benchè copia di esso doveva esistere anche presso il Comune di Arpaise.
Gli originali delle Università finirono nel Grande Archivio Napoletano perchè erano in possesso della Regia Camera della Sommaria (da dove pervennero), ufficio del Regno incaricato a partire dal 1741 alla riscossione diretta delle tasse. Altre informazioni si ricavano sui componenti dei nuclei familiari, indicandosene il numero, l’età, l’attività svolta e il rapporto di parentela con il capofamiglia. Curiosità che aiutano a capire la vita condotta in paese mentre veniva redatto questo grande inventario (che resterà in vita fino ad essere sostituito da quello napoleonico imposto con la dominazione francese dopo il 1806) consegnato 12 anni dopo l’entrata in vigore della legge. Per le grandi città del Regno fu necessario dividere il Catasto in più tomi, uno per ogni quartiere in quanto le schede erano voluminose: il Catasto Generale della Città di Caserta diviso in sei Quartieri fu stilato in sette tomi e consegnato nel 1745; quello di Santa Maria C.V. nel 1754 e risulta di un migliaio di pagine; ben oltre le mille risultano solo le famiglie di Salerno. I nostri comuni sono invece piccoli, a cominciare dalla stessa Avellino e per finire con Torrioni, il cui Onciario fu fatto in soli pochi mesi dall’emanazione della legge nel 1741. Quello di Terranovafossaceca fu inglobato in un solo tomo che sarà consegnato nel 1753, come si legge sul frontespizio originale, redatto dai deputati eletti dall’assemblea comunale dei cittadini chiamata “a parlamento”: Catasto dell’Università della terra di Terranovafossaceca / Provincia di Principato Ultra / formato a tenore delle Regal Istruzioni in questo anno 1753 coll’assistenza de’ Magnifici Deputati Tommaso Covino, Tommaso Cafasso, Felice Rosso, Francesco Rosso del fu Lorenzo, Giambattista Forno e Giovanni Porcaro, e dagli estimatori cioè Giovanni Rosso e Carmino Rosso del fu Vincenzo Cittadini e Donato Cafasso e Giacomo Forte della Terra della Pietra Stornina eletti in Pubblico Parlamento.
Il Catasto di una città, in genere, è enorme, perciò viene classificato a volumi: Ecclesiastici (beni di chiesa, nomi dei religiosi, cappelle e congregazioni, benefici); Bonatenenti forastieri; Vedove e zitelle (monache bizzoche e vergini in capillis); Fuochi e figli de’ fuochi [che] abitano altrove (nomi dei capifamiglia e loro congiunti residenti e momentaneamente assenti); Bonatenenti ecclesiastici forastieri (con i nomi dei possessori religiosi forestieri, uomini e istituzioni, che hanno beni in loco); Bonatenenti laici (forestieri ricchi possessori laici); Ecclesiastici bonatenenti forestieri (uomini di chiesa ed istituti religiosi forestieri che avevano beni in loco). Per Terranova come per Pietrastornina o Montemiletto, Apice o Montaperto, bastò dividere i tomi in sezioni, sempre con lo stesso sistema, dagli Ecclesiastici ai Forestieri, a cura delle commissioni scelte dagli eletti dell’Università, cioè dei deputati alla trascrizione delle rivele fatte dai cittadini, dopo aver accertato la veridicità del dichiarato, e perciò chiamati deputati et estimatori. Lo stesso sistema fu utilizzato per città grandi come Caserta, dove i deputati erano otto, fra ricchi, possessori di pecore, braccianti, e massari benestanti, che danno il buon esempio stilando per primi le proprie dichiarazioni.5
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