12A. SANT’AGATA DI SOTTO CASALE DI SERINO NEL 1744 – (AV)

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Case e terre di sacerdoti e chierici dei di Majo e dei d’Arienzo

A S.Agata abitavano diversi sacerdoti. Non per questo esercitavano sul territorio, in quanto potevano essere stati anche assegnati a parrocchie o chiese di altri casali, o all’arcipretura di Serino, che riuniva le diverse parrocchie dei Casali del proprio territorio. Vivono quasi tutti in maniera soddisfacente, anche perchè, oltre ad essere appartenenti alle famiglie di Majo, posseggono discrete rendite. Si tratta del sacerdote Don Francesco di Majo di 40 anni, che possiede un sedile di case a le Cortine, territori a le Casate, 1/4 parte di congiarìa. Segue il sacerdote Don Gaetano di Majo di 35 anni, che possiede due case con giardino e cortile e territorio detto il Boscetto dove si dice le Cesine; del sacerdote Don Giandomenico de Majo di 37 anni, beneficiato di S.Antonio, possiede casa propria e vari territori. Non è dato sapere cosa fosse S.Antonio, probabilmente si tratta di un altare sul quale aveva diritto di dire messa o di seppellirvi i morti. Il sacerdote Don Giuseppe de Majo di 30 anni che possiede sedile di case e la terza parte di un territorio a le Cortimarange; il sacerdote Don Nunziante di Majo di 75 anni che possiede territorio a li Laurielli e Visciglito e territorio a la Conciarìa.
Oltre ai sacerdoti della famiglia di Majo ve n’è solo un altro che appare benestante. Si tratta del sacerdote Don Michele d’Arienzo di 47 anni, il quale possiede un comprensorio di case tutto suo, oltre ad un boschetto di castagni a Selvapiana e una vigna a Basso il Vallone dei Grangi.
Oltre a sacerdoti, in S.Agata, dimoravano anche dei chierici. Si tratta di clerici accoliti. Sono tre della famiglia di Majo: il clerico accolito Nicola di Majo che possiede casa propria alle Cortine e territori a S.Marco e le Cortine; il clerico accolito Pietro Paolo di Majo possiede territorio a Tofole; il clerico accolito Salvatore di Majo possiede casa propria a le Cortine e territori a Campocastello e le Casate.
L’altro clerico accolito è Vincenzo d’Arienzo, il quale, come l’omonimo sacerdote, possiede anch’egli un comprensorio di case proprie, sebbene dichiari appena una rendita da 5 once.1

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Description

 

 

 

 

 

 

Le tele del Guarino con S.Agata e il Principe di Avellino

Raramente si ha la menzione del Casale di S.Agata di Serino in altri documenti di una certa importanza riportati dagli scrittori nei secoli scorsi. Fra le frammentarie notizie si coglie solo quella relativa alla quadreria della Chiesa. La riporta Francesco Abbate nel suo ultimo libro sulla Storia dell’arte nell’Italia meridionale. In esso si fa menzione alle opere di Francesco Guarino (1611-1651) ricordate nell’intervento del 1955 di Ferdinando Bologna, quando fece riferimento al pittore dalla scuola tutta napoletana, autore delle tele della Collegiata di San Michele in Solofra, realizzate in momenti diversi: la Liberazione di san Pietro dal carcere, il Sogno di san Giuseppe, l’Annuncio della fuga in Egitto, l’Annuncio ai pastori, la Disputa di Gesù nel tempio. In esse si legge la turbolenza della Napoli del quarto decennio del secolo, dove resisteva la radice del naturalismo, sebbene cominciava ad intravedersi un tono più acceso. Francesco non si lasciò scappare nulla delle emozioni del suo tempo, osservando e migliorando le tonalità utilizzate dal padre Giovan Tommaso, rientrato a Solofra, impegnato nella decorazione del soffitto della navata della Collegiata di San Michele, forse condizionato dalle stesse idee del figlio.
Un’opera come la Madonna del Rosario sita nella parrocchiale di S.Andrea di Serino del 1634, siglata con le lettere gtf, appare del padre e non del 23enne Francesco, ma forse da lui condizionato. Nel marzo del 1636 comincerà a portare avanti la bottega, già prima della morte del genitore, quando riceve dalla vicina Università comunale di Solofra un’altra commissione per realizzare le 21 tele del soffitto del transetto entro 18 mesi per 10 ducati l’uno, sempre di quella Collegiata di S.Michele, dove il padre l’aveva fatta da padrone realizzando quasi tutte le opere presenti. I tempi si allungheranno per più di un motivo, visto che l’Annunciazione è datata 1642, forse impegnato su altri fronti, ma comunque già cominciate agli inizi degli anni 1630 sotto la mano del padre, titolare della Ditta Guarino. L’Annuncio a Zaccaria della nascita del Battista, sul soffitto della Collegiata sarà datato 1637.
Francesco Guarino erano impegnatissimo. Teneva aperti diversi cantieri solo fra Solofra, Serino e altri comuni limitrofi, apprestandosi a passare al servizio degli Orsini che ne monopolizzeranno la produzione per abbellire i loro palazzi di Gravina di Puglia, dove Francesco si trasferirà, prima di morire, nel novembre del 1651. Ma la bottega era ancora tutta sua quando eseguì le tele del soffitto nella chiesa parrocchiale di S.Andrea di Serino, comune natale, nel decennio che precede il 1642, firmando uno solo dei dipinti, impegnandovi i suoi collaboratori. Forse perchè dovette recarsi in prima persona a S.Agata di Serino, alias S.Agata Irpina, fra il 1634 e il 1642, dove lavorarono ad un altro complesso pittorico.
I dipinti di S.Agata, forse 17, furono quindi eseguiti prima che si recasse a Campobasso per affrescare le pale d’altare, nella chiesa di S.Antonio Abate (1642-43), cioè i retabli su legno di S.Antonino e S.Benedetto. Fu poi richiamato dagli Orsini a Solofra, per dipingere la pala della Madonna del Rosario nella Chiesa di San Domenico, che raffigura il committente, Dorotea Orsini, nonna del futuro papa Benedetto XIII (1724-1730), suo pupillo, nato di lì a poco, in quel di Gravina, col nome di Pietro Francesco Orsini (1649-1730).6
In una delle tele è raffigurato il Principe Caracciolo di Avellino che fa il suo ingresso in S.Agata.

C’è da dire che la Chiesa parrocchiale di S.Agata non è mai stata una chiesa pregna di rendite, sebbene si fosse arricchita degli stupendi affreschi del Guarino. Nel Catasto Onciario dichiara più o meno le stesse once di un esercente. In effetti i possedimenti sono scarni, ma il forte legame con i pochi possedimenti attesta il legame con diversi luoghi più o meno antichi. I beni della Parrocchia vanno dalla selva alla Scoccata a quella del Vesciglito. Nè mancano i territori posseduti alla Toppola, al Cannelone, al Termine e alla Congiarìa. Fra le rendite vi sono anche i proventi dei frutti maturati da capitali dati a prestito.
All’interno della stessa Chiesa erano state erette due Cappelle: una dedicata alla madonna del Carmine, l’altra a quella del Rosario. La Cappella di S.Maria del Carmine dichiatava appena 18 once, ancora meno quella del SS.Rosario (12) che però possedeva, quale beneficio, di una propria selva da cui percepiva le rendite. Da una selva si ricavavano castagne, legname, pascolo o anche il fitto. Nel caso della Cappella del Rosario, la selva posseduta, era nell’antica località di Casa Caruso.7
E’ piaciuto al compilatore del Catasto elencare a parte, e quindi non come beni posseduti dalla Chiesa, bensì dalla Mensa Parrocchiale, intendendola forse come arcipretura, cioè beni di proprietà non solo della sola chiesa di S.Agata, ma di tutte le chiese della zona che dipendevano dall’arcipretura. In ogni caso nel Catasto v’è questa rubrica chiamata della Mensa Parrocchiale di S.Agata di Serino che possiede diversi beni. Sono quindi della Mensa: il Bosco a il Fossato, la Selva all’Airella, la Selva a la Costa di S.Agata, la Selva detta dei Morti a Vesciglito, alcuni territori a le Corticelle, altri territori Dietro la Chiesa e l’intero Orto.8

Come un altro luogo religioso del Casale di S.Agata, oltre la Chiesa parrocchiale con le sue Cappelle site all’interno, viene anche indicata un’altra Cappella detta dell’Immacolata Concezione. In questo caso si tratta di una edicola costruita extra perimetro della parrocchiale. Essa era di proprietà della Congregazione laicale dell’Immacolata, il cui organismo provvedeva alla cura delle anime, cioè alla questua per festeggiare le ricorrenze e alla colletta per seppellire i morti, cioè per provvedere al necessario occorrente per il rito funebre.9
In un solo caso compare anche un beneficio. E’ riferito al Sacerdote Giandomenico de Majo (l’unico ad avere il ‘de’ nel cognome e non il solito ‘di’), detto beneficiato di S.Antonio, che parrebbe un altare. Ma non è dato conoscere ove fosse collocato; forse in qualche altra chiesa del territorio di Serino, visto che non è specificato, tantomeno compare come luogo pio, benchè sia anche un terreno di S.Agata.
7. Case e terre di sacerdoti e chierici dei di Majo e dei d’Arienzo
A S.Agata abitavano diversi sacerdoti. Non per questo esercitavano sul territorio, in quanto potevano essere stati anche assegnati a parrocchie o chiese di altri casali, o all’arcipretura di Serino, che riuniva le diverse parrocchie dei Casali del proprio territorio. Vivono quasi tutti in maniera soddisfacente, anche perchè, oltre ad essere appartenenti alle famiglie di Majo, posseggono discrete rendite. Si tratta del sacerdote Don Francesco di Majo di 40 anni, che possiede un sedile di case a le Cortine, territori a le Casate, 1/4 parte di congiarìa. Segue il sacerdote Don Gaetano di Majo di 35 anni, che possiede due case con giardino e cortile e territorio detto il Boscetto dove si dice le Cesine; del sacerdote Don Giandomenico de Majo di 37 anni, beneficiato di S.Antonio, possiede casa propria e vari territori. Non è dato sapere cosa fosse S.Antonio, probabilmente si tratta di un altare sul quale aveva diritto di dire messa o di seppellirvi i morti. Il sacerdote Don Giuseppe de Majo di 30 anni che possiede sedile di case e la terza parte di un territorio a le Cortimarange; il sacerdote Don Nunziante di Majo di 75 anni che possiede territorio a li Laurielli e Visciglito e territorio a la Conciarìa.
Oltre ai sacerdoti della famiglia di Majo ve n’è solo un altro che appare benestante. Si tratta del sacerdote Don Michele d’Arienzo di 47 anni, il quale possiede un comprensorio di case tutto suo, oltre ad un boschetto di castagni a Selvapiana e una vigna a Basso il Vallone dei Grangi.
Oltre a sacerdoti, in S.Agata, dimoravano anche dei chierici. Si tratta di clerici accoliti. Sono tre della famiglia di Majo: il clerico accolito Nicola di Majo che possiede casa propria alle Cortine e territori a S.Marco e le Cortine; il clerico accolito Pietro Paolo di Majo possiede territorio a Tofole; il clerico accolito Salvatore di Majo possiede casa propria a le Cortine e territori a Campocastello e le Casate.
L’altro clerico accolito è Vincenzo d’Arienzo, il quale, come l’omonimo sacerdote, possiede anch’egli un comprensorio di case proprie, sebbene dichiari appena una rendita da 5 once.10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Editorial Review

Un piccolo borgo come Casale di Serino

S.Agata era un piccolo borgo, sebbene risultasse un Casale di Serino. Sono feudi nelle mani di pochi, sebbene la maggior parte dei cittadini posseggano una casa (stanza) propria, mentre si affermano i primi mestieri divenuti man mano comuni in tutti i paesi del Regno, dai braccianti ai vaticali. Oltre alle nuove case coloniche dei vassalli (futuri casali) su singoli appezzamenti di terreno, nascono altre dimore al centro del paese appartenenti a quei professionisti che dichiarano di vivere della propria professione, cioè a chi vive del suo. Le zone abitate da questi magnifici omnibus continuano ad essere indicate come case Palazziate ma non abitano i Comprensori di case popolari, sebbene ne sono spesso proprietari sostituendosi man mano alla chiesa che sovrintendeva nel distretto parrocchiale di appartenenza. Una casa Palazziata diventa Palazzo se appartiene al feudatario o se è possente. E’ il caso delle 60 stanze, camere o membri, del Palazzo del Principe Lottiero d’Aquino situato nella Piazza di Pietrastornina, appartenenti ad un solo proprietario, poi divise fra i discendenti del dottore de Luca, imparentatisi coi Campobasso, cedendo anche i sottani o fondachi per far bottega. Il raggruppamento di case a volte veniva già chiamato edificio oppure ospizio, se amministrato dalla chiesa che ospita i poveri per dormire, che diviene Ospedale se è di patronato dell’Università comunale. Presso l’Archivio di Stato di Napoli, dove si trova il tomo dell’Onciario di Serino riferito al Casale di S.Agata, così leggiamo sul frontespizio del volume n.4757: Catasto Onciario di Serino in Principato Ulteriore. Distretto di Avellino. 1744.

4. Sant’Agata consegna il Catasto nel 1744
Nel Catasto seguono quindi luoghi e chiese, ma è possibile soprattutto riscontrare i nomi di tutti i cittadini dell’epoca, delle vedove e delle vergini in capillis (fanciulle da matrimonio), degli ecclesiastici, dei forestieri abitanti e non, e di tutte le altre presenze, oltre l’effettivo contributo pagato allo stato per il possesso dei beni e per i servizi (macellazioni, vendite al dettaglio, etc).4
Il Catasto di Serino, come altri della provincia di Principato Ultra (più o meno le attuali province di Avellino e Benevento insieme), è stato riprodotto, ma per ovviare a qualche imprecisione riscontrate nelle fotocopie, in questo caso, si è preferito trascrivere i dati direttamente dal tomo originale, riducendo al minimo il margine di errore. Il librone si conserva in maniera egregia presso l’Archivio di Stato di Napoli, benchè copia di esso doveva esistere anche presso il Comune di Serino. Gli originali delle Università finirono nel Grande Archivio Napoletano perchè erano in possesso della Regia Camera della Sommaria (da dove pervennero), ufficio del Regno incaricato a partire dal 1741 alla riscossione diretta delle tasse. Altre informazioni si ricavano sui componenti dei nuclei familiari, indicandosene il numero, l’età, l’attività svolta e il rapporto di parentela con il capofamiglia. Curiosità che aiutano a capire la vita condotta in paese mentre veniva redatto questo grande inventario (che resterà in vita fino ad essere sostituito da quello napoleonico imposto con la dominazione francese dopo il 1806) consegnato 12 anni dopo l’entrata in vigore della legge. Per le grandi città del Regno fu necessario dividere il Catasto in più tomi, uno per ogni quartiere in quanto le schede erano voluminose: il Catasto Generale della Città di Caserta diviso in sei Quartieri fu stilato in sette tomi e consegnato nel 1745; quello di Santa Maria C.V. nel 1754 e risulta di un migliaio di pagine; ben oltre le mille risultano solo le famiglie di Salerno. I nostri comuni sono invece piccoli, a cominciare dalla stessa Avellino e per finire con Torrioni, il cui Onciario fu fatto in soli pochi mesi dall’emanazione della legge nel 1741.
Quello di S.Agata fu inglobato al tomo di Serino che sarà consegnato nel 1744, come si legge sul frontespizio originale, redatto dai deputati eletti dall’assemblea comunale dei cittadini chiamata “a parlamento” per deliberare circa la nomina dei redattori per la redazione del Catasto dell’Università. Il Catasto di una città, in genere, è enorme, perciò viene classificato a volumi: Ecclesiastici (beni di chiesa, nomi dei religiosi, cappelle e congregazioni, benefici); Bonatenenti forastieri; Vedove e zitelle (monache bizzoche e vergini in capillis); Fuochi e figli de’ fuochi [che] abitano altrove (nomi dei capifamiglia e loro congiunti residenti e momentaneamente assenti); Bonatenenti ecclesiastici forastieri (con i nomi dei possessori religiosi forestieri, uomini e istituzioni, che hanno beni in loco); Bonatenenti laici (forestieri ricchi possessori laici); Ecclesiastici bonatenenti forestieri (uomini di chiesa ed istituti religiosi forestieri che avevano beni in loco). Per S.Agata Casale di Serino, come per Pietrastornina o Montemiletto, Apice e Montaperto o qualsivoglia altro paese della provincia di Principato Ultra, bastò dividere i tomi in sezioni, sempre con lo stesso sistema, dagli Ecclesiastici ai Forestieri, a cura delle commissioni scelte dagli eletti dell’Università, cioè dei deputati alla trascrizione delle rivele fatte dai cittadini, dopo aver accertato la veridicità del dichiarato, e perciò chiamati deputati et estimatori. Lo stesso sistema fu utilizzato per città grandi come Caserta, dove i deputati erano otto, fra ricchi, possessori di pecore, braccianti, e massari benestanti, che danno il buon esempio stilando per primi le proprie dichiarazioni.5
5. Sono 115 i nuclei familiari descritti nell’Onciario
Ma quante erano le famiglie, anzi gli abitanti di S.Agata nella seconda metà del 1700? Per rispondere a questa domanda basta sfogliare il Catasto Onciario di Serino, la sezione relativa al Casale di S.Agata di Serino, sommare i fuochi residenti, cioè i nuclei familiari guidati dal capofamiglia, a quelli delle poche donne rimaste vedove, qualche zitella che abitava da sola e una manciata di sacerdoti e chierici accoliti e si ha il numero definitivo pari a 115 famiglie.
Contrariamente a quanto si possa immaginare 115 famiglie non sono poche se si pensa ai tanti paesi del Principato Ulteriore che si reggevano in forma autonoma anche con un minore numero di nuclei familiari. Ma va ricordato che il Casale di S.Agata non era un comune a sè, bensì parte integrante dell’Università comunale di Serino, in quanto suo principale Casale per un numero così elevato di abitanti. Va anche detto che pur essendo Casali, altri luoghi, erano già autonomi, divenendo comuni anche prima di quella data. Per quel che riguarda S.Agata, come accenneremo poi, diverrà comune a sè di lì a qualche anno con il nome di S.Agata di Sotto prima e di S.Agata Irpina poi. Una distinzione che avverrà quando il feudo si rese autonomo e divenne una Universits comunale a sè, con tanto di sindaco e consiglieri comunali per l’amministrazione della cosa pubblica.
Nella seconda metà del 1700, invece, il Casale di S.Agata dipendeva dalla sede comunale di Serino perchè parte integrante di quella Università Comunale, ben distinta da Solofra, sebbene la vicinanza possa indurre in confusione.

6. Metà delle famiglie lavora i campi: i braccianti
Una buona fetta delle famiglie del Casale di Sant’Agata vivevano lavorando la terra, fatta eccenzione dell’agricoltore Alessio Figliola, che pare proprio titolare di una masseria presso cui lavoravano i braccianti. Va stralciata dai braccianti anche la posizione del massaro Carmine Arciuolo che sta al servizio della Corte Ducale di Solofra e fa lavorare le terre del Duca dai braccianti.
Nel Catasto, i capifamiglia braccianti, vengono indicati con il toponimo di bracciale. Spesso anche i loro figli, se non hanno migliorato la condizione sociale andando a scuola o imparando l’arte, finiscono col fare il mestiere del bracciale, cioè coltivando la terra dove i genitori hanno spesso anche la casa, oppure spostandosi ogni mattina all’alba e facendo rientro a sera dai campi situati quasi del tutto in territorio di S.Agata.
Si tratta di 51 famiglie, quasi la metà, anzi proprio la metà, se si escludono vedove e preti, sparsi nei loro campi o al servizio giornaliero di chi li ‘chiamava’ stagionalmente per dissodare, potare, raccogliere castagne, olive o altro, specie presso le masserie.6

7. L’altra metà che vive intorno alle concerie site a Congiaria
Una restante fetta delle famiglie del Casale di Sant’Agata, diremmo un quarto della popolazione lavorativa, dipendeva dalle concerie. Vi era chi stava ad un gradino più alto e non lavorava perchè viveva da possidente e quindi era senza impiego come il Magnifico Donato di Majo, seguito dal senza impiego Giovannantonio di Majo e dal senza impiego Lorenzo di Majo, Taddeo di Majo. E chi, pur essendo possidente, continuava ad arricchirsi negoziando, cioè commercializzava il prodotto acquistato e rivenduto dai mercanti, come il mercadante magnifico Gennaro di Majo, e quindi negoziavano il prodotto finito (scarpe, selle, etc), come il negoziante Andrea di Majo e il negoziante Biaso di Majo, il negoziante Don Felice Antonio Guarino, il negoziante Magnifico Felice di Majo, il negoziante Giuliano di Majo, il negoziante magnifico Michele di Majo, il negoziante Tomaschino di Majo, il negoziante Magnifico Onofrio di Majo. Vi è anche un fondachiero, il Magnifico Stefano di Majo, per la vendita delle stoffe che, forse, egli stesso faceva colorare.
Sono i benestanti del Casale, praticamente i borghesi che gestivano il mercato passato nelle mani del mastro calzolaro e mercadante Carmine di Majo e del mastro calzolaro Cherubbino di Majo, il mastro calzolaro Gaetano Caruso presso i quali lavoravano i calzolaj: Carmine di Majo, calzolajo Gennaro di Majo. Nella fase intermedia c’er chi lavorava in conceria presso un luogo detto proprio la Conceria. Questa attività fece sì che si creassero devi veri e propri operai specializzati di tal mestiere sulla lavorazione delle pelli. Erano maestri della loro arte: mastro coiraro Benedetto d’Arienzo, il mastro coiraro Serafino d’Arienzo, il mastro coiraro Stefano di Majo, il mastro coiraro Salvadore d’Arienzo, con il coiraro Vito di Majo, e i vari lavoratori che apprendevano l’arte vera e propria, come il lavorante coiraro Saverio d’Urso, il lavorante di congiarìa Gabriele d’Urso, il lavorante di congiarìa Giuliano d’Arienzo, il lavorante di congiarìa Giuseppe Guarino, il lavorante di congiarìa Michele d’Urso.7

8. Battargenti, pizzicaroli e macellari che vivono il borgo
Fra lavoratori della terra e lavoratori della concia, dai ricchi agli aprendisti, si fa largo uno spicchio di popolazione che vive intorno ai lavori del borgo vero e proprio. Diffuso anche a S.Agata, alla stregua di solofra, il lavoro del battargento, più che del battioro. Si tratta del batt’argento Domenico d’Arienzo, del battargento Gennaro di Majo, del lavorante argentiero Carlantonio di Majo, del lavorante battargente Carmine Arienzo. Ma che tipo di lavoro fanno?
In verità non è difficile dare una spiegazione, perchè anche questo lavoro di battere le lamine d’argento aveva a che fare, almeno in origine, con la concia delle pelli. Vale la pena di ricordare che il famoso Botticelli da Firenze (alias Alessandro Filipepi) ereditò tal soprannome perchè il fratello faceva il lavoro di battiloro e battiargento (ossia battigello), ma ch’essi erano figli di un conciatore di pelli, avviati all’apprendistato di bottega, dove svolgevano, nella sostanza, il lavoro di indoratore, che, in fiorentino, era detto battiloro e battiargento o battigello.
Siamo quindi in presenza di indoratori che, attraverso l’arte, indoravano, cioè ricoprivano d’argento o d’oro qualsiasi cosa, a cominciare dagli oggetti legati al coiro: parti di selle, briglie, spade, lance, cornici, maniglie, oggetti. Una citazione del secolo successivo descrive che, in Solofra e S.Agata, trovavasi concerie di pelli e di cuoij e fabbriche da battere in lamine l’oro e l’argento.8
Legati alla bottega, sempre al confezionamento di un qualcosa, sono il corredatore Francesco di Majo, il corredatore Giovanni di Majo, il corredatore Orazio di Majo, il corredatore Vito di Majo. Altre presenze nel Casale erano quelle del viaticale Carmine Guarino che vendeva prodotti come ambulante, del macellaro Basilio d’Urso che produceva carne e di rivendeva altri prodotti di necessità nelle prime botteghe: il pizzicarolo Cirieco d’Urso e il pizzicarolo Donato d’Urso. Non manca il mastro barbiero Giovanni Nigro, il sarto Michele di Majo, il venditore di tabacco Pietrogiacomo d’Arienzo, ma forse più all’ingrosso. Chiude la lista dei pochi borghesi, il benestante avvocato, anzi, il professiere di Legge magnifico Don Pietrantonio di Majo. Un solo capofamiglia pare non avesse proprio voglia di lavorare, Niccolò di Majo che viene detto senz’arte, mentre non è proprio più capace di lavorare, perchè impedito (vecchio, mutilato o altro), l’impotente Ciriaco di Majo.9

9. Una manciata di vedove, vergini ed ecclesiastici
C’è da dire, per quel che riguarda le vedove, che qualora non siano state già inserite come membri delle famiglie rette dai capifamiglia, non ve ne sono. L’unica eccezione è rappresentata da quattro donne rimaste a vivere da sole: la vedova Agata Balsamo, la vedova Catarina Caruso, la vedova Caterina d’Urso, la vedova Maria d’Urso. Pagano una tassa di peso diverso (quasi nulla) ma rapprentano una famiglia a se stante, cioè residenti in una propria casa. Idem per l’unica donna rimasta senza marito in tutta S.Agata, cioè la vergine in capillis Fortunata d’Arienzo. Senza moglie, ovviamente, sono gli ecclesiastici abitanti. Si tratta dei sacerdoti: Don Francesco di Majo, Don Gaetano di Majo, Don Giandomenico de Majo, Don Giuseppe de Majo, Don Michele d’Arienzo, Don Nunziante di Majo; e dei clerici accoliti: Nicola di Majo, Pietro Paolo di Majo, Salvatore di Majo, Vincenzo d’Arienzo. Ognuno di essi abita in una propria casa (o chiesa), in quanto non vengono inseriti nelle famiglie di appartenenza.10
10. Luoghi antichi: Morti di Vesciglito, Campocastello, Recupido, Marangi
Fra i toponimi che vale la pena di ricordare i sono quelli riferiti ad alcuni luoghi che in altro studio potrebbero essere utili per ondividuare più precise origini di S.Agata, rispetto ad altri studi già effettuati, confrontandoli con i documenti esistenti presso le abbazie.
Andrebbero per esempio meglio analizzati i luoghi rupestri come la Selva dei Morti a Vesciglito o Visciglito, la località detta Dietro la Chiesa e il Bosco di Mezacapo che possono nascondere riferimenti utili. Andrebbero altresì individuati con precisione i confini con Solofra e l’attuale S.Andrea, visto che rientrano nella nostra S.Agata residenti con beni a località come S.Marco, la conceria di Tofole dei de Majo, Cortine, Campocastello, Casate, Corti Marangi, Recupido, Campopiano o Campochiano, Boschi Vecchi, Stengone, Cardolle, Lucarelli, Selva Piana, Vallone delli Grangi, i frutteti di Cesinelli o Cesinelle, Cigliano, Serroni o Serrone, Bosco lontano, Cerreto, Airella, Satrano, Castagnito, Laurielli. Abbiamo visto che Campopiano è territorio quasi tutto di proprietà della Camera del Duca di Solofra affidato a censo agli Urciuolo; come alcuni beni sono anche Sopra S.Andrea.
Località abitate sono Casa Caruso, lo stesso Visciglito e le Cortine dove abitano i de Majo, vigne e case a Scoccata e Campocastiello, Corti Marangi, Arnetale, l’Orto di S.Andrea dei Guarino.
Altre località del Casale sono: Sotto S.Agata, Mattiuccio, Fontana, Fornace, con orti e terre a Cioppolo, la Terra delle Casate. E poi v’è la località detta Congiaria dove ha sede la primaria attività conciaria del Casale e quella detta le Palate, forse per la presenza di un molino, o forse per le stesse pale di una conceria sita lungo un corso d’acqua mai nominato, se non si tratta del Vallone delli Grangi.

11. Da Casale di Serino a comune dopo 100 anni: S.Agata di Sotto
Un’ultima annotazione va fatta su S.Agata Casale di Serino che diverrà presto comune a sè, così come lo ritroveremo prima dell’Unità d’Italia, con il nome di S.Agata di Sotto in Principato Ulteriore, fra il 1856 e il 1866, distaccandosi definitivamente da Serino. S.Agata è detta di Sotto nel 1856.11
L’Annuario Statistico della provincia di Milano del 1862, riporta S.Agata di Sotto del Circondario di Avellino nella provincia di Principato Ultra: al 1 gennaio resistevano 814 abitanti sotto il sindaco Remigio De Majo. De Majo, eletto il 6 aprile 1864, compare nell’elenco dei Sindaci della Provincia di Avellino, per il triennio 1864-1866, riferito al Circondario di Avellino, indi al Comune di S.Agata di Sotto. Il Comune di S.Agata di Sotto era ancora in vita quando partecipò alle elezioni del 1865.12