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Inigo de Guevara, da Conte di Apice a Gran Siniscalco del Regno (1444)
Gli Aragonesi avevano annesso il Regno di Sicilia a quello angioino di Napoli nel 1442, grazie a volorosi capitani giunti al loro seguito dalla Spagna. Fra essi vi erano i fidati Don Pedro e Don Indico de Guevara, padre e figlio, i quali strapparono agli Angioini molti feudi importanti, come Potenza, Ariano, Montecalvo e Apice.
Qui ancora non si era spenta l’eco della distruzione subita dopo “l’assassinio di Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna I d’Angiò, e l’arrivo in Benevento e nel Regno del fratello del defunto re, Ludovico, la cui presenza non mancò di apportare danni alla Città e alla Provincia: un quartiere di Benevento fu incendiato e il 7 settembre 1348, Apice, assediata dalle forze del secondo marito di Giovanni, Luigi di Taranto, venne saccheggiata e data alle fiamme, mentre dal canto loro gli Ungheresi saccheggiavano Arpaia nella loro marcia verso Napoli”.
La liberazione dagli Angioini appariva davvero attesa dopo anni di usurpazioni e vessazioni. “Benevento che in questo periodo (1378) si era mostrata ostile al legittimo pontefice Urbano VI, fu governata da funzionari angioini che non mancarono di fare le loro vendette contro gli avversari dell’antipapa ed espulsero l’arcivescovo Ugone Guidardi. Con le lotte che poi imperverseranno fra i pretendenti al trono di Sicilia, durazzeschi e angioini, non senza gravi ripercussioni nella città pontificia, con l’avvicendarsi di instabili governi e domini, con la distruzione di beni e l’anemia degli esili, si chiude in Benevento il XIV secolo e con esso la florida vita economica di un cinquantennio. Nella Provincia assistiamo all’esodo di abitanti per sfuggire non solo ai pericoli delle guerre, ma anche alle gravezze fiscali: terre divenute vacue e incolte, decadenza di feudi, malaria e desolazione un po’ dovunque. Telese vide discendere la sua popolazione, che aveva raggiunto circa trecento famiglie, a soli sedici abitanti, propter intemperiem aeris… et pestes alias subsecutas”.1
Con l’avvento aragonese, Apice, appartenente al Distretto di Ariano. Da San Giorgio verso la Montagna di Montefusco vi erano invece i feudi del Distretto di Avellino ricadenti nel Principato Ultra, fra cui Morroni, Bonito e Melito, ex suffeudi della Contea di Apice.
In realtà, i de Guevara, erano nella zona già prima della data ufficiale dell’insediamento aragonese in Napoli del 1442, impegnati ad annettere i feudi angioini al futuro regno aragonese. Don Pedro Vélez de Guevara, Signore di Onate, il quale sposa Costanza, figlia di Sancho Fernandez de Tovar e di Teresa de Toledo, era ad asserragliare proprio il castello di Apice già nel 1435, risultando il Capitano militare più potente di quest’area distrettuale.
Al de Guevara, però, il feudo di Apice fu donato ufficialmente da Alfonso I d’Aragona solo negli anni a venire, dopo, evidentemente, la salita al trono del 1442. A Don Pedro de Guevara seguì Inico, il quale morì per le ferite riportate in uno scontro vicino Troia (1462) e fu sepolto nel monastero degli Zoccolanti di Ariano. Apice ed Ariano erano feudi consolidati della nobile famiglia spagnola che li abitava da decenni.
Nella sostanza Pedro ed Inigo erano venuti in Italia al servizio militare di Alfonso V d’Aragona, già dal 1438, distinguendosi subito come migliori Capitani generali per la conquista del Regno di Napoli.
In particolare, Inigo, ebbe per certo il titolo di Primo Marchese del Vasto, Conte di Potenza, Conte di Ariano e Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra per investitura del 20 agosto 1444, seguito nello stesso anno dal più impotante titolo ereditario di Gran Siniscalco del Regno di Napoli, divenendo Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro insignito dal Duca di Borgogna nel 1451 con brevetto n.49.
Ad Inigo de Guevara, I Marchese del Vasto e Potenza, sposo di Covella o Cubella Sanseverino, seguirà nei feudi dell’arianese il figlio Pietro II de Guevara (+1487), definito II Marchese del Vasto, Conte di Ariano, Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra e Gran Siniscalco del Regno di Napoli dal 1462.
A Don Indico (o Innigo) seguirono invece nei feudi del potentino Don Antonio e quindi Don Giovanni che, quale terzo Conte di Potenza, partecipò dalla parte degli Aragonesi alle guerre contro Carlo VIII e Luigi XII, fino a Don Alfoso, la figlia del quale sposerà un Loffredo Marchese di S.Agata e Trevico.2
Re Alfonso I d’Aragona aveva dunque donato il feudo di Apice ai nobili de Guevara, i quali ebbero, fra gli altri, proprio i titoli di Conte di Ariano e Conte di Apice, fino alla Congiura dei Baroni, quando gli vennero ritirati i feudi.
Ciò non accadde dunque con il padre di Indico, Pietro I, ma con il figlio, cioè Pietro II Guevara il quale partecipò alla Congiura dei Baroni e gli vennero confiscati i feudi.
Fu Pietro quindi il traditore che, nel 1452, perse anche il feudo di Vibo Valentia, conquistato da Inigo de Guevara Conte di Ariano e Apice e Gran Siniscalco del Regno.
Il Gran Siniscalco era la settima carica del Regno di Napoli. Il suo ufficio aveva come compito quello di provvedere ai bisogni primari della Corte Regia, come ad esempio il vettovagliamento. Divenne ereditario proprio dopo l’investitura ad Inigo de Guevara che lo portò in successione, di padre in figlio, ad ogni membro della famiglia.
Tale incarico, già nato ai tempi di Riccardo del Conte Drogone, sotto il Regno di Ruggero II, indi ad Ugolino di Tocco che l’ebbe nel 1195. A partire dunque dal 1444, fu di Inigo de Guevara, Marchese di Vasto e Conte di Apice, a cui seguirono Pietro de Guevara (1470), Etienne de Vec Signore di Beaucaire (1501), Carlo de Guevara Conte di Potenza (1535), Alfonso de Guevara, passato con gli Austriaci nel Regno di Carlo V e a tutti gli altri discendenti, fino a Carlo Guevara Suardo Duca di Bovino, quando arrivarono i Francesi nel 1799.3
Il sogno dei Catalani d’Aragona, ai quali andava il merito di aver annesso al Regno di Sicilia quello angioino di Napoli (1442), s’infranse poco dopo la scoperta dell’America (1492), per il tradimento continuato proprio del Gran Siniscalco de Guerava, Conte di Apice, a cui apparteneva la settima massima carica del Regno. Carica che mantennero, proprio in virtù del tradimento, con il sopraggiungere di Re Carlo VIII di Francia.
Occupata Benevento nel 1440, la città, a dire di Zazo, aveva ottenuto da Eugenio IV il vicariato. Col successore di Alfonso sul trono di Napoli, Ferrante I d’Aragona, scoppiata l’altra guerra contro il pretendente Giovanni d’Angiò, in Benevento, continuarono le provocazioni dei fautori angioini. Anzi, alcune di esse, si erano mutate in vere lotte civili con fazioni della Rosa rossa e della Rosa bianca, della Parte di sopra e di bascio: “Il 13 agosto 1482, una congiura favoriva, sia pure per breve tempo, la capitolazione della Città nelle mani di Ferrante che non mancò di concedere ai cittadini privilegi e grazie. La ribellione della città dell’Aquila (1485), incitata per convulso spirito di conquista da Innocenzo VIII, e le sue trame con i baroni del Regno, trascinarono il Pontefice a una sconsigliata guerra contro Ferrante, che pur si ripercosse nella Città e nella sua provincia. Non vi era più pace nell’Italia meridionale”.
Alla morte di Ferdinando I d’Aragona detto Ferrante (1431-1494), Re dal 1458, gli successe (1494) il figlio Alfonso II, il quale, essendo stato l’artefice della repressione per la Congiura dei Baroni, non riscosse alcun consenso, ancor meno verso il Conte de Guevara di Apice che s’alleò con in Principe Sanseverino di Salerno per una nuova ribellione dopo la confisca dei feudi.
Il Principe di Salerno Antonello Sanseverino fu il primo a convincere Carlo VIII di Francia che fosse giunto il momento di agire. Oltrepassato lo Stato Pontificio, Carlo giunse alle porte di Napoli (1494) con 3.600 fanti, 10.000 arcieri e 1.000 artiglieri seguiti da 140 cannoni. Gennaio non era ancora entrato quando Alfonso II abdicò (1495) lasciando le sorti del regno nelle mani del fratello Ferdinando II detto Ferrandino (1467-1496), scappato ad Ischia al solo rumore dei cannoni, il quale non mancherà di vendicarsi imprigionando i figli del Principe di Salerno e di Rossano e il Conte Gesualdo di Conza. Con l’aiuto del traditore aragonese, il Gran Siniscalco de Guevara, nel 1492, seguendo la tradizione, fu Carlo VIII in persona ad entrare nel Castello di Apice, recandosi poi a pregare nella chiesa della Madonna della Neve di Morroni. In realtà la visita potrebbe essere avvenuta in un secondo momento (forse la figura di Carlo VIII si confonde con quella di Carlo III). Di certo Apice venne distrutta dai filofrancesi dal Principe di Salerno, Antonello Sanseverino, deciso ad abbattere quelle mure appartenute a de Guevara e confiscategli da Ferrante.
“L’avvento al trono di Carlo VIII (1483) aveva infatti dato nuovo impulso alle pretese francesi sul Regno. Il 3 settembre 1494 quel re varcava il confine franco-savoiardo; il 31 dicembre giungeva a Roma e di là moveva su Napoli che gli aprì le porte. Alfonso II d’Aragona abdicò al trono e il figlio Ferrandino passo ben presto alla vittoriosa riscossa durante la quale egli disperse in Benevento la fazione favorevole ai Francesi. E questa, ingrossate le schiere di uno dei fautori di Carlo VIII, Antonello Sanseverino Principe di Salerno, assalì e devastò Apice; gravi danni alle sue fabbriche di cuoio ebbe poi a soffrire Guardia Sanframondi. Morto precocemente Ferrandino e successo a lui lo zio Federico, questi non mancò, concedendo esenzioni fiscali, di venire incontro al desolato paese impoverito di abitanti per numerosi fuggiaschi. Danni ebbero pure Morcone e Cusano Mutri dove esistevano fabbriche di pannilana e così Cerretto Sannita che aveva esperti tintori fin dal periodo romano, come si rileva da un’iscrizione del tempo”.4
In ogni caso, il 22 febbraio, Carlo VIII entrò in Napoli dove fece più rumore il diffondersi del morbo portato dagli invasori che l’assedio. Castelnuovo cadde il 7 marzo 1495, quasi tutto il Regno cedette nella metà di maggio alla volontà dei Francesi e alle ambizioni del Principe di Salerno, spalleggiato dallo spodestato Conte di Apice…
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