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UN LAVORO IMMANE CON NOMI, FATTI E CIRCOSTANZE STORICHE DETTAGLIATI
Nel 1880 la canzone dialettale non è ancora diffusa o, comunque, non ha ancora un suo palcoscenico, per cui la si può ascoltare raramente e soltanto in occasioni ben precise, per esempio durante la festa di Piedigrotta o durante l’esibizione della banda municipale in Villa Nazionale o, ancora, nei teatrini minori dove recitano gli attori dialettali. Questo perché la musica è, in generale, una prerogativa dell’aristocrazia partenopea, nella quale essa identifica l’ornamento e il fondamento della propria identità. Al contrario, la canzone dialettale, è una prerogativa del popolo, che la inventa, la improvvisa e la rende orecchiabile attraverso le esecuzioni durante i festeggiamenti piedigrotteschi. Ovviamente la sua diffusione è circoscritta ai pochi giorni di settembre, durante i quali si festeggiano i miti religiosi napoletani.
La canzone Funiculì funiculà, nata proprio nel 1880, viene considerata la composizione regina dell’industrializzazione e del rinnovamento della canzone dialettale, che inizia ad avviarsi, dunque, effettivamente da questa data. Essa, rispetto a tutte le composizioni dialettali che l’hanno preceduta, presenta un rinnovamento nel testo e nella musica, che la rendono unica ed inimitabile.
Tuttavia non le si può assegnare il primato o il privilegio di essere stata la prima canzone che ha dato il via all’industrializzazione della melodia napoletana, in quanto lo straordinario successo di Te voglio bene assaie, avvenuto circa quarant’anni prima, ha dato una spinta determinante alla primitiva industrializzazione della canzone.
Si parla di primitiva industrializzazione in quanto la commercialità della canzone Te voglio bene assaie, primo vero appuntamento tra popolo e canzone nella seconda metà dell’Ottocento, non porta alcun beneficio economico. Il suo spartito, diffuso in circa 180.000 esemplari, con versi di Raffaele Sacco e musica di ignoto, rimbalza di strada in strada, senza nessun tipo di protezione, soprattutto editoriale. Cosicché, su questo grande successo, nessuno degli interessati, e cioè autori, editori, tipografi e distributori, guadagnano, mentre la vera speculazione va a vantaggio di personaggi estranei alla canzone stessa (anche i vinai e i salumieri stampavano e vendevano nelle loro botteghe lo spartito della canzone).
E’ però pur vero, che dagli anni Trenta agli anni Ottanta dell’Ottocento la canzone napoletana vive un’evoluzione costante, che permette l’affermazione di un’editoria musicale solida, capace di avvalersi di precisi apparati di produzione-consumo nell’ambito di una più ampia industria culturale, ancorata alla tradizione, ma, allo stesso tempo, estremamente sensibile alle esigenze di rinnovamento. L’enorme successo popolare di Te voglio bene assaie, nel 1835, spinge molti tipografi a improvvisarsi editori. All’epoca, Napoli vanta una considerevole tradizione in materia di copisteria e stampa musicale; in città i più antichi impresari di stampe musicali sono Tramer, Cali, Fabbricatore e, soprattutto, Guglielmo Cottrau, figlio di Giuseppe, un nobile francese inviato a Napoli da Napoleone come consigliere di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Nel primo quarto di secolo dell’Ottocento, con l’appoggio di Girard, Guglielmo Cottrau fonda una rivista dal titolo Passatempi Musicali, in cui pubblica canzonette e canti popolari. Per un pregiudizio da aristocratico, però, non assegna il proprio nome alla Casa Editrice Girard, che ha acquistato. Nei suoi locali si riuniscono i musicisti partenopei e quelli stranieri di passaggio; inoltre, pagando un canone annuo al Teatro San Carlo, il più importante teatro lirico del tempo, ne acquista la proprietà di tutte le nuove opere. Alla morte di Guglielmo, nel 1847, la ditta Girard, con un catalogo che conta ben duecentodieci pagine, è la principale casa editrice musicale d’Europa. Gli spartiti di Beethoven, di Thalberg e di Mendelsson, con incisioni di Pasinati e litografìe di Richter, non sfigurano affatto nei confronti della inattaccabile produzione della casa editrice Ricordi di Milano, cui passerà il primato nella seconda metà del secolo.
Un impulso determinante allo sviluppo dell’industria della canzone viene da Teodoro Cottrau, figlio di Guglielmo, che assume la direzione della Girard appena ventenne, alla morte del padre. Teodoro fonda una rivista intitolata L’Eco del Vesuvio, sulla quale stampa canzoni vecchie e nuove, riuscendo anche ad accordarsi con alcuni editori francesi per diffondere all’estero la canzone napoletana, e tutto ciò in un’epoca in cui il diritto d’autore non è ancora tutelato.
A metà Ottocento la città brulica di editori musicali, che, dapprima incaricano alcuni scrivani di raccogliere dalla voce del popolino le canzoni più diffuse, tra il nucleo urbano e le campagne circostanti, per trascriverle, per poi cominciare a commissionarne di nuove.
In questa nuova fase, svincolatasi da una dimensione popolaresca, la canzone napoletana interessa sempre più le imprese editoriali.
Con la canzone Funiculì funiculà, l’industrializzazione della canzone prende piede nel migliore dei modi, grazie alla strategia di mercato dell’editore Tito Ricordi, proprietario del copyright, il quale crea una vera squadra di lavoro intorno alla canzone stessa, facendo in modo che il guadagno ricavato dalla vendita di oltre un milione di spartiti, sia diviso soltanto tra i diretti interessati.
Ma non è solo l’industrializzazione della canzone napoletana che ne favorisce il suo rinnovamento. Altri meccanismi, infatti, si affiancano in questa grande ascesa.
Innanzitutto viene rilanciata la Festa di Piedigrotta, che fino al 1880 è stata dormiente e che diventa, ora, il maggior palcoscenico per il lancio di nuove canzoni. Probabilmente l’interesse verso questo appuntamento si è perso in seguito all’epidemia di colera del 1866, che ne ha impedito lo svolgimento per circa un lustro.
Inoltre, con Funiculì funiculà, nasce un nuovo genere musicale, cioè quello della canzone-attualità, molto gradito sia dall’aristocrazia che dal popolino e che lo storico Ettore De Mura, nella sua Enciclopedia della Canzone Napoletana, chiama erroneamente canzone-occasionale.
Ovviamente dalla sua definizione si capisce anche l’argomento che tratta il nuovo genere: la canzone-attualità Funiculì funiculà nasce in occasione dell’inaugurazione della funicolare del Vesuvio, avvenuta il 6 maggio 1880. Successivamente all’inaugurazione non si verifica l’affollamento tanto atteso e pronosticato dalle autorità interessate: pochi sono i turisti incuriositi dall’innovazione e pochi anche i napoletani, forse intimiditi dal nuovo marchingegno. Poi, qualche mese dopo, in seguito al lancio di Funiculì funiculà, presentata durante il periodo della Festa di Piedigrotta, gli affari sul Vesuvio iniziano ad andare a gonfie vele.
Peppino Turco e Luigi Denza, gli autori della celeberrima canzone, la presentano, per la prima volta, nei saloni dell’albergo Quisisana di Castellammare di Stabia, ottenendo immediatamente un rendimento propagandistico enorme.
Nello stesso periodo, anche altre canzoni sono scritte per l’evento inaugurale, tra cui la polka La funicolare di Antonio Ernesto Conte, presentata come nuova canzone per la Festa di Piedigrotta 1880 dalla banda municipale diretta da Luigi Caccavajo in Villa Nazionale.
Ma è Funiculì funiculà che il popolo gradisce, perché rappresenta un cambiamento totale nella forma della canzone. Ettore De Mura afferma che tale successo è dovuto alla musica scoppiettante e alla semplicità dei versi, due caratteristiche che la rendono storicamente un’avanguardia delle canzoni napoletane moderne, vale a dire quella che apre e indica la via a tutte le altre: con Funiculì funiculà la canzone napoletana trova la sua nuova forma di espressione in fatto di snellezza, di agilità e di movimento. Questa rinnovata relazione nello scrivere la poesia, sia pure per propaganda e nel comporre la musica, sia pure d’occasione crea un rapporto, nuovo e strettissimo, tra il poeta e il musicista.
A ciò si aggiunga la vena colta degli autori Luigi Denza e Peppino Turco, che diventa poi una costante in questa fase di decollo della canzone napoletana.
Luigi Denza, figlio di alti ceti sociali, allievo di Saverio Mercadante, si dedica, dopo il perfezionamento al Conservatorio di San Pietro a Majella, all’opera, all’operetta e alla romanza da camera, frequentando tutti quei salotti aristocratici nei quali si esibiscono i migliori autori e compositori d’arte. Dopo circa cinque anni dal lancio di Funiculì funiculà, si trasferisce definitivamente a Londra, per dirigere la London Academy Music.
Peppino Turco, l’altro autore di Funiculì funiculà, non ha una storia diversa da quella di Luigi Denza. Anch’egli figlio di alti ceti sociali, dirige, come responsabile, diversi periodici, tra cui Capitan Fracassa e Padre Rocco e il quotidiano Don Marzio. Anche per lui, la musica si rispecchia nei salotti aristocratici e nei teatri di prim’ordine.
Bisogna però precisare che il successo della canzone Funiculì funiculà non è dovuto soltanto alla vena poetica e musicale degli autori. La sua forza, soprattutto economica, la troviamo nella strategia imprenditoriale dell’editore Ricordi.
La casa editrice Ricordi, gloriosa casa milanese, inizia ad agire a Napoli già nel 1864, acquistando il negozio e la calcografia dei fratelli Pietro e Lorenzo Clausetti, sito in via Nunziatella, nei pressi del teatro San Carlo. Allo stesso Pietro Clausetti, Tito Ricordi assegna il ruolo di nuovo direttore artistico della filiale.
Nei quindici anni di attività a Napoli, l’operosità della ditta Ricordi è circoscritta, per la maggior parte, alla ristampa di vecchie melodie popolari ed altre raccolte. Poi, con la pubblicazione di Funiculì funiculà nel 1880, comincia la rivoluzione industriale che porta, come conseguenza, alle pubblicazioni delle canzoni scritte ex-novo e soprattutto firmate: da questo momento ogni canzone napoletana nuova riporta gli autori.
Ovviamente altri editori, autori e direttori di giornali, intuiscono l’enorme potenzialità dell’operazione attuata dalla ditta Ricordi. In particolare, essi identificano nella Festa di Piedigrotta il veicolo principale per propagandare e lanciare al successo la canzone di cui hanno acquistato i diritti editoriali. E così, l’operazione della Ricordi è subito imitata da nuovi editori, quali Santojanni, Fabbricatore e, a seguire, Giannini, Gherardini, Orlando e lo stesso Teodoro Cottrau che, nel frattempo, ha finalmente rinominato la casa editrice come Ditta T. Cottrau, assegnandole il suo nome.
Ma se Peppino Turco e Luigi Denza cambiano il modo di espressione della canzone napoletana e gli editori la rendono un prodotto industriale, individuandone il palcoscenico principale e ingaggiando disegnatori e tipografi per le copertine degli spartiti, da non sottovalutare l’ingegno degli impresari teatrali, sempre attenti alle esigenze della massa, che accorciano la stagione teatrale per creare la stagione della canzone, propriamente detta la stagione musicale, assente fino a questo momento, eccetto che per la settimana settembrina di Piedigrotta.
Infatti, dal 1880, la stagione teatrale non è più quella che va dal giorno di Pasqua al sabato di Passione dell’anno successivo. Questa viene ridotta in un arco di tempo che va da ottobre a maggio dell’anno successivo. E così, nei mesi privi di spettacoli teatrali, cioè da giugno a settembre, si svolge la stagione musicale, il cui culmine coincide in questo modo con la Festa di Piedigrotta, considerata sua ultima tappa.
La creazione della stagione musicale è ovviamente associata a nuovi luoghi, nei quali viene ascoltata e cantata la musica. Innanzitutto nei teatri minori, tra cui il teatro San Carlino, il regno di Pulcinella, che già con Antonio Petito ha visto nascere numerose canzoni popolari, tra il 1850 e il 1875, qualcuna delle quali addirittura trasformata in sceneggiata. Luigi Luzj, apprezzatissimo musicista e direttore d’orchestra, nonché fratello dell’impresario Giuseppe Maria Luzj, anche dopo la morte di Antonio Petito, continua il suo percorso musicale, presentando al San Carlino le proprie composizioni fino alla demolizione dello storico teatrino di Piazza Castello, avvenuta nel 1884. Anche nei teatri Partenope, Fenice e Rossini, luoghi in cui si presentano, per la maggior parte, commedie dialettali e dove regnano i vari personaggi di Chiachieppe, Cocozza, Picchio, Tartaglia ed altri, sono proposte, dopo lo spettacolo, vecchie e nuove canzoni napoletane.
Ma è soprattutto nei teatri maggiori, luoghi indiscussi di tutta l’aristocrazia napoletana, che la melodia popolare inizia la sua fase di decollo, apparendo, per la prima volta, sui palcoscenici del Fondo, del Nuovo, dei Fiorentini, del Sannazaro e del Bellini.
Ricordando che Funiculì funiculà viene cantata, alla sua prima presentazione, dai propri autori e successivamente suonata dalle bande municipali e di fanteria, la prima cantante che presenta in un teatro di prim’ordine il popolare brano napoletano è Emma Ivon, artista milanese della Compagnia Milanese Comico-Cantante diretta da Edoardo Ferravilla. La Ivon nella tournée del febbraio del 1881 recita al teatro Mercadante (già Fondo), regno indiscusso del dramma e dell’operetta, per l’occasione omaggia la città di Napoli con l’interpretazione, addirittura in dialetto milanese, della canzone. Una singolare esecuzione che dimostra il meritato successo nazionale, e presto internazionale, di Funiculì funiculà.
Diventata un prodotto industriale, la canzone napoletana crea una parallela e spietata concorrenza tra le maggiori e minori testate giornalistiche, le quali acquistano al solo scopo di lucro l’autorizzazione dagli editori per pubblicare sul proprio periodico/quotidiano il testo e la musica delle nuove canzoni di Piedigrotta.
Il primo personaggio ad accorgersi che la pubblicazione di uno spartito di una canzone napoletana porta al raddoppiamento del numero delle copie vendute, è Martino Cafiero, direttore del Corriere del Mattino, il quale vede letteralmente andare a ruba il suo quotidiano quando pubblica la canzone Funiculì funiculà. Ovviamente Cafiero è subito imitato da altri redattori per cui la stampa, anche se per proprio interesse, comincia a contribuire non poco alla propaganda e alla diffusione di una canzone. Lo stesso succede quando i quotidiani e i periodici pubblicano articoli e approfondimenti sulle canzoni partecipanti alla Festa di Piedigrotta. Questi articoli interessano così tanto e che contribuiscono notevolmente ad una maggiore vendita del periodico.
Dunque dal 1880 in poi, alla maggiore festa napoletana, sono dedicati molti e sviscerati articoli relativi allo svolgimento della stessa e alla presentazione delle nuove canzoni.
Addirittura nasce il cosiddetto Numero Unico, vale a dire un giornale pubblicato esclusivamente per la festa di Piedigrotta, spesso stampato direttamente da un tipografo, nel quale sono inclusi i testi e le musiche di alcune canzoni, foto o caricature degli autori, nonché articoli che trattano le origini della Festa di Piedigrotta e articoli relativi allo svolgimento dell’imminente celebrazione. Questi giornali sono venduti direttamente in strada da scugnizzi improvvisati o, spesso, da negozi di altri generi, quali vinai, salumieri, fruttivendoli, e così via.
In definitiva, dai giornalisti agli autori, dai quotidiani ai periodici, dagli impresari ai tipografici, dagli editori ai cantanti, ognuno riesce ad ottenere il proprio profitto economico dal lancio di un nuovo brano piedigrottesco.
A proposito dei maggiori meccanismi del rinnovamento e dell’industrializzazione, diventa molto interessante leggere un articolo del quotidiano Roma del 7 settembre 1887 che, ironizzando sulla troppa quantità di canzoni presentate per la festa di Piedigrotta, scrive:
“Le canzoni preparate per questa festa di Piedigrotta, che l’igiene ha abolita e che quindi non c’è, sono una cinquantina o poco meno. Ottimamente! Se i poeti e i musicisti non si sono ingannati nei loro calcoli, quel che avverrà in Napoli tra una dozzina di giorni è raccapricciante. Tra una dozzina di giorni, cinquanta canzoni – capite? – cinquanta canzoni saranno popolari! È un’idea che dà il capogiro, ma che inesorabilmente s’impone ad ogni cervello fornito di ragione. È chiaro. Ciascuna delle canzoni diventa popolare per conto suo, e intanto tutte e cinquanta diventano popolari simultaneamente. Sicché il popolo – senza il quale la popolarità non si capisce – essendo obbligato a cantare cinquanta canzoni, dividerà, evidentemente, la sua giornata in cinquanta parti, e a ogni canzone dedicherà un cinquantesimo di giornata.
Tutto ciò, se i poeti e i musicisti non si sono ingannati ne’ loro calcoli – e non c’è nessuna ragione per credere che si siano ingannati – tutto ciò è fatale. La canzone di Piedigrotta (con o senza festa di Piedigrotta) non sarebbe canzone di Piedigrotta se non fosse fatalmente destinata alla popolarità; tanto vero che l’aggettivo popolare è intimamente connesso al titolo d’una canzone purchessia. né ci è da meravigliarsene. Oramai è del tutto noto com’è che si fa una canzone di Piedigrotta popolare. La ricetta è semplice.
Si pigliano degli orecchi di buona volontà, vi si soffrano dentro delle note tali da non sembrare ad essi affatto nuove e insieme con le note vi si soffrano parole che paiano, così, a prima giunta, alquanto cadenzate e un tantino rimate, a guisa di versi dialettali. La canzone di Piedigrotta popolare è fatta.
Il resto va da sé. Un editore la compera o finge di comperarla; un giornale possibilmente domenicale la pubblica; un affiggitore compie l’opera e tappezza dei relativi cartelli le mura della città. I cartelli si appiccicano alle mura, in abbondanza; ma non si tratta questa volta di eleggere consiglieri o deputati, e non si fanno guerra fra loro. I cartelli questa volta si affiggono perché tutta la città canti. Infatti sorge un cartello ad ogni… canto di mura. E ora, scherzi a parte e cominciamo l’enumerazione meravigliosa …”.
In altre parole, l’articolo riepiloga quello che succede dal produttore al consumatore, dimostrando quanto la canzone napoletana, più che appassionare, interessi dal punto di vista economico.
Oltre la celeberrima Funiculì Funiculà, altre canzoni sono assai apprezzate durante la Festa di Piedigrotta del 1880, in particolare la tarantella Mascherata Napolitana di Francesco Simonetti, La funicolare di Antonio Ernesto Conte, la polka Una serenata a Posillipo di Luigi Luzj, Li pisciavinole di Pasquale Petito e Luigi Luzj.
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