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L’amministrazione del feudo
Le prime notizie più attendibili storicamente su Lapio si hanno solo a partire dal XII° secolo, quando si parla di un borgo cinto da mura e tra i signori del paese viene nominato un certo “Rogerius”, sicuramente uomo d’armi, padrone del castello, figlio del normanno Angeri e per questo chiamato Filangieri, venuto in Italia al seguito di alcune tribù normanne alla conquista del Sud. Da questi abili e coraggiosi guerrieri si originarono i feudatari di Lapio e Candida. Nel 1239, a Guido Filangieri venne affidato dall’Imperatore Federico II° il compito di custodire, nelle segrete del castello di Lapio, il prigioniero lombardo Giacomo de Rizola.
Dal XII° secolo, con la conquista normanna del Sud fu introdotto il sistema feudale, di origine franca, che affidava ad ufficiali, per le benemerenze acquisite durante le campagne militari al servizio del sovrano, l’amministrazione di un territorio, ovvero di un feudo, con diritto di amministrare la giustizia, imporre tributi e pedaggi, e con il privilegio di essere esentato dalle imposte, in cambio di fedeltà e di alcune prestazioni, in particolare di natura militare. Il feudo costituiva quasi un patrimonio privato; alla morta del feudatario subentrava nel possesso del feudo il figlio primogenito. Con il passare del tempo, il popolo, prendendo coscienza dei propri diritti, chiedeva di partecipare e di contare di pìù nelle decisioni e nelle scelte più importanti della vita del borgo. Nel Sud, lo Stato, nei territori della corona, concedeva qualche autonomia con l’istituzione delle Università (Comuni), ma in effetti, a ben vedere, si trattava di un potere delegato.
Nei comuni, periodicamente, si tenevano infatti i pubblici parlamenti, cioè comizi popolari, che solevano convocarsi per deliberare provvedimenti di qualche rilevanza, mentre per problemi meno importanti la decisione era delegata ai sindaci o agli eletti. Questi consessi venivano convocati dal Sindaco o da chi ne faceva le veci; ed erano indetti per pubblico banditore o al suono delle campane. Nei tempi nei quali ebbero vigore i pubblici parlamenti, questi per essere validi, richiedevano la partecipazione dei due terzi dell’intera cittadinanza.
Gli intervenuti nei pubblici parlamenti avevano diritto al voto sulle questioni proposte; erano esclusi dal pronunziarsi i figli di famiglia, i sordomuti, i mentecatti, i furiosi e le donne, alle quali non era consentito né il diritto di voto, né di ricoprire cariche pubbliche. I deliberati, poi, dovevano essere presi all’unanimità e successivamente approvati dal feudatario. I pubblici Parlamenti rimasero in carica sino ai primi dell’ottocento
Il borgo di Lapio per un lungo periodo fece parte del feudo di Candida e. solo molti anni più tardi acquistò l’autonomia. Agli inizi del XVI secolo il castello di Lapio fu trasformato in palazzo-residenza comprensivo di 16 vani soprani e 20 sottani, alcuni dei quali erano adibiti a prigione. Nella rocca avvenivano solenni e fastosi festeggiamenti in occasione di festività religiose e civili, a cui partecipavano i Filangieri dei rami diversi, venendo da Napoli, Palermo e da altri centri. La storia del paese è legata strettamente al castello ed alla nobile ed illustre famiglia di origine normanna dei Filangieri di Napoli. Molti di questi scelsero la via del chiostro o delle armi.
Nel 1740, Re Carlo di Borbone, sia per evitare che i sudditi sfuggissero al pagamento dei tributi, sia per riordinare tale prelievo, ordinò il Catasto Onciario, un tabulato che era una specie di anagrafe tributaria; in essa erano ordinatamente iscritti tutti i cittadini capi-famiglia e le proprietà mobili e immobili possedute, la professione o mestiere esercitato, nonchè l’indicazione delle rendite e pesi in once. Uno di questi elenchi restava nell’archivio comunale mentre la copia andava alla Sommaria per i controlli.
Questo sistema sostituiva quello più antico dei fuochi o tassa focatica, imposta diretta e personale riscossa per fuoco o famiglia, in misura uguale qualunque fosse il numero dei componenti e il loro reddito. Questa legislazione prelude ai tempi moderni. I Borboni tendono di abbassare la potenza dei baroni e del clero facendo pagare le imposte sui beni feudali ed ecclesiastici.
Dall’Archivio di Stato di Napoli, riportiamo il Catasto Onciario di Lapio del 1747, riferito a Don Giovanni Gaetano Filangieri: Sezione Cittadini assenti e fuochi dipendenti da fuochi numerati. Al primo posto compare il Principe.
L’Eccellentissimo Don Giovan Gaetano Filangieri, nato il 1682, Principe di Arianiello ed utile padrone e possessore di questa terra di Lapio nativo e fuoco dipendente da fuoco numerato della stessa terra, ed abitante nella città di Napoli, di anni 68, (il Filangieri fu aggregato al Sedile Capuana della città di Napoli nell’anno 1865. I sedili corrispondevano alle circoscrizioni in cui i nobili stavano raggruppati e organizzati per la salvaguardia dei propri interessi. Nel 1700 sposò Anna Maria de Ponte, figlia unica dei duchi di Flumeri.
La famiglia è così composta:
– Donna Anna Maria de Ponte (moglie) di anni 61
– Don Nicolò, (figlio) di anni 43 prete
– Donna Ippolita, (figlia) di anni 39, Monica di Santo Gregorio d’Armenia
– Donna Caterina, figlia di anni 36, Monica di Santo Gregorio d’Armenia
– Donna Maria Elisabetta, figlia di anni 35, monaca nel Monastero di Santo Francesco a Napoli
– Don Serafino, figlio di anni 32 Monaco Benedettino in Santo Severino in Napoli (Versatile nelle lettere, matematica e teologia. Nel 1752 gli fu affidata la cattedra di fisica sperimentale nella Università Agli Studi di Napoli. Nel 1773 fu nominato Viceré di Sicilia)
– Don Agnello figlio di anni 27 ( Nel 1766 venne nominato Aio (istruttore) dell’Infante di Spagna da Filippo di Borbone)
– Don Cesare, figlio di anni 41 (sposò nel 1740 Marianna Montalto dei Marchesi di Latiano
– Donna Francesca Maria (figlia) di anni 2, (nel 1760 andò sposa il Duca Giovan Battista Capace Piscitelli)
– Donna Maria Maddalena (figlia) di 3 mesi (si fece monaca)
– Donna Zenobia Caracciolo Vedova del quodam Don Nicolò Filangieri padre di Don Giovan Gaetano Filangieri.
Servitù alta e bassa per la signora Zenobia madre:
– Don Ascanio Padula, Cappellano e confessore, Magnifico Gregorio Negri Gentil uomo, Magnifico Faiella Paggio, Domenico Caprio Lacchè, Tomasi Iuliano Volante, Felice Cortese Cameriera, Teresa Carbone Serva,
Servitù per il Sig. Principe Don Giovan Gaetano sua moglie e figli:
– Don Domenico Colladino Cappellano, Mgnifico Angilo Mandosio Gentiluomo, Magnifico Gianbattista Brusco Paggio, Magnifico Gennaro Pignalosa Paggio, Mandato Giardullo Depositiere, Domenico della Torella Decano, Giovanni Montelatici Servitore, Francesco Cuttenaur Servitore, Andrea Abate Servitore, Cristofaro Abate Servitore, Michele Nigri Volante, Francesco d’Amato cuoco, Giuseppe Nigri Sottocuoco, Agostino d’Ambrosio Agiutante di riposto, Francesca Bruna Cameriera, Petronilla Mele sotto Cameriera, Grazia del Grosso serva.
Per il Signore Don Cesare e signora sua moglie:
– Magnifico Lorenzo Bernabei Gentiluomo, Magnifico Domenico di Valerio Paggio, Magnifico Francesco Cavizzari Paggio, Matteo Buroli Volante, Nicolina Staffetta Volante, Giuseppe Fiorentino Decano, Francesco Barbario Lacchè, Gennaro Pasca Lacchè, Ippolita Porcaro Cameriera, Maria Palombo Nutrice, Petronilla Pasquale altra Nutrice, Madama Maria Dente Soprabalia,Teresa Indico Serva, Giuseppe Pasquale guardagarzone per le scuderie. Cocchieri N°4, Cavalcanti 2, Famigli 2.
Il suddetto Signore Don Giovan Gaetano possiede li seguenti beni Burgensatici: (terre possedute in proprietà libera in contrapposizione a quelle che provengono da concessione regia).
Giardino murato e le torri seu fosso. Molino in tre stanze inferiori e una superiore a fiume Calore, Molino a due ruote e terreno innanzi al boschetto, giusta li beni feudali. Taverna dentro l’abitato e lo sterpaio e due canalini diruti. Taverna a cerro,. Terreni e selve a Arianiello, Santa Lucia, Perrazza, Convenigra, vigne d’ogniche, Santo Arcangelo, Matarola, Starza detta del Molino giusta l’Acquedotto del Molino e Beni della Camera. Taverna diruta a Scafa. Altri terreni a Scarpone, Fontanavecchia, Piano seu Fornavecchi e Creti (con casa di fabbrica), Fratta, Croce più casa, Prato, Ponticelli, Santo Nicola, Palazzo (con casa e orto), orto d’ognico (con casa). Un giardiniello a Pianello avanti il Palazzo per comodo e spasso, un casino alla sponda del fiume Calore a Starza. Altri beni Burgensatici della signora Donna Zenobia Caracciolo sua madre e sono: selve castagnali a Santa Lucia, Santo Ercolano, Ferrame, Fontana vecchia, Bosco e Forchia. Case date in affitto ad tempus et iuppetum: 4 quattro case a Porta de Piedi di cui una seu Carcere e tre case a Fornavecchia.
Esigenze:
Per censo sopra la casa all’Arenella da Antonio Iannino e Nicola de Simone. Censo per la casa all’Arenella da Sabbato Mottola per altri censi dall’Università e da diversi e particolari cittadini. Sono in tutto ducati 4.217, 6 e mezzo detratti i Pesi sono 3.517, 6 e mezzo.
L’illustri possessori dei Beni Feudali (Facenti parte del feudo):
L’eccellentissimo Signore Don Giov.Gaetano Filangieri utile padrone e possessore di questa terra di Lapio e Principe d’Arianiello, possiede nel Tenimento e Territorio di questa predetta Terra di Lapio li seguenti beni Feudali: La Giurisdizione Civile, Criminale e mista, col mero e misto imperio colle quattro lettere arbitrarie nelle prime istanze tanto nella Terra di Lapio e suo tenimento. Il titolo di Principe appoggiato del Casale di Arianiello, quale al presente diruto.
Il Palazzo Baronale di più e diversi membri superiori ed inferiori con cortigli, sito e posto nel Ristretto di questa Terra nel luogo detto Pianello, che serve per uso proprio. Il Jus Padronato della Chiesa Madre sotto il titolo di Santa Caterina, col jus di nominare e presentare l’Arciprete quando vi mancherà, come altresì il jus di nominare e presentare il Beneficato sotto il titolo della Santissima Annunciata nella terra di Fontanarosa, sempre che mancherà. Mastrodattia Civile e Criminale colle prime cause jus della piazza da quelle persone che non sono franche esigersi di quello li tocca. Bagliva 10 ducati dall’Università di Lapio e per essa dall’affittatore del jus proibendi del forno, deu pane al carcere (…) jus dello scannaggio degl’Animali che si fanno nella macelleria, Toccandoli un mezzo rotolo di granone per ogni pezzo d’Animale, grande o piccolo che sia.Boschetti di Cerri a Campo Larino e Santa Lucia Trreni a Prato di sopra, Coppola, Verzara, e Villani .oliveto e orto d’ognico, Cantina Vecchia e Prati., Casa più orto e cantina.
Il Principe aveva infine lo jus del forno “o panatica”, sul macello, sulla bottega, sulle taverne. Lo jus del forno consisteva nell’obbligo per tutti i cittadini di cuocere il pane nel forno comunale, dietro pagamento di una certa somma per ogni pezzo di pane; lo jus delle taverne consisteva nel privilegio per il principe prima ed i Comuni dopo di aprire e gestire taverne in regime di monopolio. Dopo l’avvento della Repubblica Partenopea il diritto esclusivo di gestire forno e taverna passò al Comune.
Nell’epoca feudale le delibere per essere valide erano soggette all’approvazione del feudatario. I vassalli dovevano condividere il carico finanziario quando il figlio maggiore del Signore veniva nominato cavaliere e la figlia si sposava, mentre se il vassallo moriva lasciando una vedova o figli minori ad essi provvedeva il Signore, che si occupava del mantenimento, dell’educazione e del matrimonio. Ogni attività era fonte di guadagno per il barone, solo una minima parte rimaneva per opere di pubbliche necessità che, erano trascurate al punto che le strade carrozzabilierano pochissime. I paesi nella quasi totalità erano accessibili a piedi o a dorso di animali. Inesistenti erano i pubblici servizi scolastici e sanitari.
La vita, all’epoca, non era dura solo per i contadini isolati dal mondo e privati di tutto, rivali l’uno dell’altro e sempre soggetti alle prepotenze dei più forti,.ma anche per le autorità ed i nobili per le continue guerre e rivolte. Questo difficile mestiere di vivere ce lo conferma un documento del 1419, tratto dalla Storia dei Comuni dell’Irpinia di Francesco Scandone, documento che si riporta: “1419 luglio, 20 Reg. Ang. 372 fol.162 …Filippo Filangieri lo preite, Giovanni Filangieri, detto “de Lapio”, insieme ad Algiasio de Tocco, e con più quattrocento armati si portarono a Momtemiletto ove miseri a sacco questa Terra; entrati nel castello, lo saccheggiarono asportando 1.200 ducati in contanti e vasi di argenti, gioelli ed armi, dissero ai loro partigiani: Prendete messer Andrea Francisco sotto chesta torre maestra, se non si arrende occidetelo. …Nella torre vi entrò Algiasio con alcuni seguaci del Filangieri, i quali condussero il Caracciolo e la moglie nel castello di Candida, e vi li tennero prigionieri più di un mese: La Regina (Giovanna) mandò un suo familiare a chiedere la loro liberazione. Il Caracciolo fu liberato solo quando la regina minacciò di mandare contro il Filangieri un esercito. La regina ordinò di processare i Filangieri e il de Tocco per lesa maestà.”
Il ramo della illustre famiglia dei Filangieri di Lapio è notevole. Da essa sovente emergono figure autorevoli e rappresentative, come Riccardo (1235), nominato da Federico II° maresciallo di Corte.
E ancora: Riccardo, nato a Lapio il 1716, fu nominato Arcivescovo di Napoli; Gaetano (1752-1788), fu filosofo e politico, autore di un’opera di più volumi inerenti lo studio sulla scienza della legislazione, in cui traccia una teoria dello Stato, del diritto delle leggi e dell’economia; i due figliuoli Carlo e Roberto furono ammessi per interessamento di Napoleone ed a spese della Repubblica nel Paritano Francese che, all’epoca, era il primo collegio di Francia; Antonio servì con grande distinzione le armi in Spagna, e giunse ad essere Capitano Generale del Regno di Galizia, fu ammazzato nel giugno 1808, dalle truppe di Napoleone.
Nel 1806, nell’Italia Meridionale, con l’avvento dei Francesi, vi fu la soppressione della feudalità; la quale produsse sconvolgimenti epocali nella società e portò a far giustizia delle superstiti ed anacronistiche sopravvivenze del passato. Con la morte nel 1866 di Teresa, chiamata la Signora, dama della Real Corte, rifugiatesi nel Monastero di S. Gregorio Armeno di Napoli, figlia di Carlo Tenente Generale, Principe di Satriano e Duca di Taormina, inizia il declino dei Filangieri di Lapio.
Nel 1813, la suprema commissione feudale, pronunzia le seguente sentenza sulla causa tra il Comune di Lapio e la Principessa d’Arianiello Donna Teresa.
La principessa d’Arianiello deve astenersi dall’esazione di alcuni redditi e deve rilasciare i seguenti fondi, perché estesi sopra i demani comunali e sui quali la principessa non ha alcun titolo di proprietà,. Fondi sottratti ai Filangieri: Villani di tomoli 156 – Verzare di tomoli 215 – Patronisi di tomoli 49 – Perazze di tomoli 15 – Campomarino di sopra e sotto di tomoli 12 – Coppole di tomoli 29 – Molinella di Tomoli 15- Bosco e Forchia di tomoli 52.
Così finisce, dopo molti secoli, il dominio della casata Filangieri su Lapio, con l’abbandono anche del castello che era stato da sempre punto di riferimento e memoria storica della cittadinanza….
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