01. COMUNE DI TORRIONI NEL 1742 (AV)

30,00


Non ‘quartieri’ ma ‘luoghi’ fra Cima, Mezzo e Piedi Casale


Ogni residente è obbligato a dichiarare i beni posseduti, come si legge per esempio nei volumi degli atti preliminari, dov’è allegato il singolo atto di fede di ogni cittadino, cioè l’impegno scritto, a cui spesso si rimanda, giusta la fede puntata nel volume degli atti preliminari. Ed è partendo da queste dichiarazioni, cioè dalle rivele effettuate dai cittadini (quasi sempre spontanee), che le commissioni poterono redigere i catasti in tempi brevi per l’epoca, benchè in alcuni casi furono terminati dopo molti anni. Proprio come nel caso di Torrioni che la consegna avvenne nel 1742 per un tomo che, al contrario di città come Avellino o Caserta, non ebbe bisogno neppure delle sezioni dei volumi catastali denominate Repertori.
L’Onciario di Torrioni fu denominato Catasto Onciario dell’Uni[versi]tà di Torrojoni in Principato Ultra. Sullo stesso frontespizio del librone viene aggiunto che fu terminato il quindieci del mese di Gennaro del 1742. E, a seguire: Stefano Tommaso Eletto nomina li suddetti con detto Domenico di Vito Sindaco. Vengono quindi dichiarati gli Apprezzatori, Giuseppe Lepore e Nicola Sarracino (cittadini), e i Deputati (Gennaro di Vito, Ciriaco di Vito, Lorenzo Pasquale, Giacchino Lepore, Carmine Oliviero e Ciriaco Donnarumma) con la seguente descrizione: Apprezzo de’ beni stabili infrafeudali quattro Estimatori Eletti per la Formaz[ion]e del Catasto di questo Castello di Torrioni, che si fa per noi sotto scritti due Estimatori eletti per l’Uni[versi]tà di questo Castello sudetto in pubblico Parlamento ad apprezzare i beni di detti Estimatori.
Il Catasto, per decisione del parlamento cittadino, fu quindi redatto da Giuseppe Lepore e Nicola Sorrentino, definiti cittadini del Castello di Torrioni nominati Estimatori, altrimenti detti Apprezzatori, i quali, dichiarano per prima cosa i loro beni e poi quelli degli altri dando vita alla prima pagina: Giuseppe Lepore possiede territori arbustati e seminati nei luoghi detti Bagnulo, Bosco seù Bagnulo, delle Selve (e castagni) a Vallerio, Li Ratilli, Le Guardie e La Croce; Nicola Sarracino possiede tenimenti vari a Novielli, Bosco e Nassano.16
Torrioni non risulta divisa in piccoli rioni, ma è facilmente deducibile che lo siano quelli che vengono chiamati Cima, Mezzo e Piedi Casale, oltre la più lontana Tuoro, se si escludono la Piazza e diversi altri luoghi di minore importanza. Si possono quindi distinguere i seguenti quartieri:
– Cima Casale
– Mezzo Casale
– Piedi Casale
– Tuoro o Toro.
Sono i luoghi abitati dai torrionesi che, nel 1741, sono tutti qui, dalla massa di braccianti ai rari magnifici, compresi gli inabili (non lavoratori disabili e ultra sessantenni) e i minori (eredi senza lavoro), lontani dai grandi numeri dei ricchi comuni di Terra di Lavoro.17
Viene dato quindi inizio alla redazione del Catasto nel quale compariranno soprattutto poveri, ma anche qualche ricco, sebbene sarebbe meglio parlare di benestanti, come a Lorenzo Centrella, che dichiara ben 204 once, seguito da Carlo Romano (165), Pietro Oliviero (116), Pietro Donnarumma (111), Ceriaco De Vito (110), etc. Come vedremo dal riassunto della Collettiva generale, risulterà che l’Università di Torrioni, fra cittadini, vedove e vergini, ed ecclesiastici secolari produce un reddito complessivo di 3.875,10 once che, unitamente a quello dei forestieri, pari a 2.232,11 once, fanno 6.129,21 e 1/2 once.18 Non è altro che la sommatoria di tutti i redditi imponibili, a cominciare da quelli dichiarati dal singolo capofamiglia.19

Alcuni atti notarili redatti a Torrioni dai locali notai, si conservano presso l’Archivio di Avellino. Si tratta di due notai, un padre e di un figlio, giunti in paese a partire dalla seconda metà del 1700, sulla scia del magnifico notare Donato Leo stabilitosi a Piedicasale prima del 1742. Essi ricoprivano una carica importante a quei tempi, rara e non presente in ogni Terra. Prima del loro arrivo, contadini e cittadini di Torrioni, erano costretti a recarsi a Prata, dal notaio Carlo Fasulo.
Un altro notaro decise poi di stabilirsi a Torrioni per redigere gli atti relativi alla popolazione locale e a quella di Chianche e Petruro, comuni limitrofi, dove probabilmente non si era ancora insediato stabilmente alcun collega. Il primo documento che incontriamo, infatti, riguarda proprio Chianche e parla di una località denominata La Piana sita in quel tenimento ai confini con Ceppaloni, nei pressi dei beni dei Reverendi Padri del Monastero di San Modesto di Benevento e posseduti dalla famiglia dei Frangioni di Ceppaloni, nel luogo ov’era il Vallone che divideva piana picciola di detto convento, il fiume Sabbato e via pubblica che framezza il territorio.20
Con il primo atto che riguarda invece Torrioni abbiamo la certezza che il paese fosse Università, ossia comune a sé, e si appellasse Castro Torrionum in latino, italianizzato dallo stesso notaio in Castello di Torroioni. L’istrumento parla della vendita di un Caselino diruto, poi anche detto Casalino, posto in detto Castello nel luogo dove si dice Toro. Lo comprava da Sabato Oliviero, spendendo sei ducati in carlini d’argento, Biaso Oliviero, dopo un apprezzo di mastro Gennaro d’Agostino, fabbricatore di detto Castello esperto comunemente eletto. Era il 9 settembre del 1745. Il giorno dopo sono registrati altri due abitanti di Torrioni, per la vendita di un orticello, Marco e Carlo Romano. Nello stesso dì, si parla di Domenico e Lorenzo Lepore, rispettivamente padre e figlio, che cedevano ai fratelli Cennerazzo un terreno da coltivare. Era un fondo che possedevano per titulo di cenzo enfiteutico perpetuo, ricevuto dall’illustre Don Giacomo Antonio Piatti, Marchese del Tufo e Torroioni. Più specificatamente si tratta di una selvacedua di 5 tomola, in località Montenegro, sita nelle pertinenze del Castello, confinante con i beni di Domenico D’Avella, Giovanni Romano e Carlo Romano, per un canone annuo di 21 carlini e 4 grane. L’istrumento, redatto da Carlo Fasulo, magnifico notare della Terra di Prata, registra la concessione del terreno da parte del marchese col solito sistema dell’enfiteusi.21
Il signore cioè, così come aveva fatto con gli altri contadini, cedeva la terra ai Lepore in cambio di un annuo censo con l’obbligo di coltivarla ma, evidentemente, con la possibilità di poter cedere il censo ad altri. Un fatto in veritià un po’ anomalo rispetto ad altri paesi dove il censuario era obbligato a coltivare i terreni che non erano di sua proprietà e quindi non poteva né vendere né alienare. E il motivo per il quale i Lepore si disfacevano di parte dell’obbligo di pagare il censo e di parte del terreno era proprio quello di non poter sostenere il peso del pagamento, né quello di custodire il fondo, e per questo la cessione, essendosi stata richiesta da detti fratelli Cennerazzo a cederli la metà di detta selva cedua mediante il pagamento di mezzato del canone. Dopo aver letto tutto il documento le cose appaiono più chiare: i Lepore non potevano disfarsi del fondo, ma avevano la possibilità di cedere metà del censo liberandosi dell’intero onere. Don Giacomo Antonio Piatti, da feudatario proprietario, doveva comunque essere un signore alquanto ‘liberale’.22
Di due componenti la famiglia Lepore, Giovanni e Nicola, si parla in un altro rogito di qualche giorno dopo. Il 26 settembre, infatti, i due Lepore, questa volta non censuari, ma veri signori e padroni di un territorio con 6 alberi di olive nelle pertinenze del Castello di Torrioni, nel luogo detto Piedi Casale, confinante con i beni di Lorenzo Pascale ed altri fondi dei Lepore e di Giovanni Romano, vendono liberamente la loro proprietà. Ecco uno stralcio dell’atto: Franco, libero, ed esente il territorio predetto come sopra descritto, e confinato da tutti, e qualsivogliono pesi, cenzi jussicapioni, fidejussioni, condizionali, parificari, o parificandi, debbiti, legati, l’audemio tanto al presente quanto per il passato, ed riscinsero pagamento, concessione, obbligo, ippoteca, prestazione, ed ogni e altra e loro peso che fosse se ne dovesse fare speciale menzione, ò imputarsene scienza, ò novizia, e da qualsivoglia vendita, alienazione forse fatte per il passato, con patto di ricomprare, ò senza, et alias per comodocenzire…, da qualsivoglia vingolo, prevazione, condizione, sequestro, o lite in amplissima forma eccetto però de reddito perpetuo de soli tornesi 5 che deve alla Camera Marchesale di detto Castello siccome dalla Platea. E fatta l’asserita predetta, l’anzidescritti padre e figlio di Lepore spontaneamente oggi predetto giorno non per forza, o dole alcuna, ma per ogni modo migliore, e per alcune loro necessità, ed occorrenza, e perché così li è piaciuto, e piace, liberamente, e senza patto di ricomprare hanno venduto, vendeno, et alverranno per titulo di vendita, ed alienazione predetta per fustem sue quasi iure proprio, et in perpetuem hanno dato, danno, cedeno, e ricomincino al detto Alesandro presente, accettante e bona fedelmente il detto territorio come sopra descritto, e confinato, e con tutte, e singole raggioni.23

6. Tuoro, Cimacasale di Camillo, Mezzocasale e la Via Pubblica
I nuclei abitati della Torrioni del 1700 sono diversi: Sopra Casale (o Cima Casale), Mezzo Casale (detto anche solo Casale), Sotto Casale, Sotto la Chiesa, Sagliocca, Parmolito e il Casale di Tuoro (o Toro) che fa pensare ad una etimologia diversa dell’Università di Torrojoni detta, in questo stesso Catasto del 1742, Castello di Torrione. Nel Casale di Toro, ai limiti del perimetro del Castello di Torrioni, vivevano soprattutto famiglie contadine, anche con discrete proprietà.24
Nel quartiere che viene definito Cima Casale c’è Donato Ferraro con i fratelli (Biagio, Angelo, Francesco e Petronilla) e con la madre, Antonia Romanella. E’ uno dei diversi abitanti che si fa notare perchè, per la casa propria con orto, paga il censo enfiteutico alla Camera Baronale de Camilli e alla Chiesa Arcipretale. Alla stessa Camera de Camilli paga censo per il seminato di Tuoro e per le terre alla Chiesa, per il boscoso e il seminato di la Strada, e alla Camera Baronale del Castello di Torrioni per l’arbustato alle Selvetelle e il terreno di Porcili. Possedevano infine un altro terreno a li Porcili ed un somaro. Seguono gli altri abitanti. Abitante di Cima Casale era anche Don Luca Morano, il sacerdote trentacinquenne che vive nella casa propria di più stanze con la cantina da tener vino e l’attiguo orto. Don Luca, che confina con Carlo Filoja, ha ereditato l’abitazione dal fu suo padre Geronamo Morano, assignatacila ad stibula patrimonji, e per essa paga alla Camera Baronale del Castello di Torrioni 12 carlini annui. In più possiede terreni a Limiti, Perditolo, Valle e Rosa Marina. Egli non paga molte tasse in quanto gli vengono sottratte già le spese dovute al Sacro Patrimonio della Chiesa che, secondo la tassa diocesana assorbisce la rendita suddetta. Fra le altre proprietà, Don Luca, possiede una selva castagnale alla Fossa della Neve e terreni a Pretarelle, Sorti e Piano. Anche Don Pietro Ferraro, l’altro sacerdote secolare cittadino di 35 anni, abita in una casa propria di Cima Casale, assegnatacela dal fu Luigi suo padre, confinante con Alesio Ferraro e la via pubblica. Ad titulum patrimonii possiede terreni a Piano, Bosco e Strada, oltre l’arbustato e vitato confinanti con Ciriaco Papa. A conti fatti, dedottonsi il peso del suddetto patrimonio di ducati 30, secondo la tassa diocesana, anche per Don Pietro la tassa assorbe la rendita. Con la figlia Catarina, a casa affitto, abitava invece Lucrezia Lepore fu Antonio Carrino che paga 12 carlini annui a Giacchino Lepore e tiene una selva ad Acqua Fredda.25
Nel Casale, o del Casale di Mezzo lungo la Via Pubblica, anzi a Mezzo Casale, abita Crescenzo Oliviero, con la sua casa propria. Egli è in possesso di terreni siti a Le Campore, Piedi Casale e La Fontana, di un vitato a Lo Bosco, di un bosco a Li Porcili e di seminati a Ripajonta e Parmolito. Non hanno una casa di loro proprietà Carmine Tucci e Angela di Franco che si trovano in un vano intestato al figliastro di Carmine, Crescenzo Oliviero, a cui non paga cosa alcuna. In compenso, si fa per dire, Tucci possiede un somaro di sua proprietà e coltiva un seminato a La Valle ed un terreno a Lo Iodone. Seguono altri. Casa propria con orto e cortile contiguo site in Mezzo Casale è la dimora di Giovanni Romano che vive con Cesare e la moglie Antonia Oliviero, i loro figli Nicola ed Angela e la madre Sabia di Puccio. Essi hanno, oltre al somaro per uso proprio, una pecora e due buoi aratori per coltivare il seminato arbustato sito allo Bosco, i quattro fondi di Piedi Casale e quelli di La Montagna, Montenigro, La Fontana Le Campore (3 fondi), Lo Salierno, Lo Parmolito e Grancito. Qui abita il magnifico notare Donato Leo, cioè il giovanissimo notaio del paese, appena venticinquenne, il quale vive con la madre Orsola Iomminelli nella casa propria di più stanze con orto contiguo confinante con i beni della Chiesa e quelli di Lorenzo Centrella e Mattia Ferraro. A Mezzo Casale vive sia la suora, monaca e bizoca, Maria dell’Abate di 65 anni, che l’unico forastiero abitante, uno scarparo di Mercogliano: Sabbato Chierchione il quale ha casa propria (con la moglie Catarina Lepore ed i figli Berardino, Chiara e Francesco sposato con Regina di Nisco) e un’altra abitazione e dei terreni fra Tuoro e Campore.26

Description


Intestazioni feudali sulla terza parte di Torrioni unita a Toccanise

Per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia sulle prime e seconde cause, si precisa che, dai quadernoni della conservatoria dei registri, ancora appariva negli atti di vendita fra le parti fin dal 1571. La qual cosa aveva insospettito il notaio regio nel 1661, secondo il quale il R.° Fisco si deve cautelare, che per la presente intestatione non se l’intende fatto pregiuditio ogni volta, che se vedrà d.[ett]e seconde cause non spettarli, ch’è quanto m’occorre referire a V.S. à chì bacio le mani, Napoli lì 18 Marzo 1661, notaro Bernardo Rocco. Nella continuazione del testo in latino si evince che il Fisco non aveva impedito l’intestazione in data 9 aprile 1661, unitamente alle seconde cause, con tanto di regio assenso del 9 maggio 1661, per quella parte di feudo, la terza, che era di Vincenzo Conte, venduta a Don Andrea dell’Aquila, il quale, si ritrova erede e successore della Terra di Toccanise e terza parte del Casale di Torrioni. Nei cedolari dell’Archivio di Napoli è infatti detto che Don Andrea dell’Aquila possedeva Toccanisio et tertia parte Torrioniis per 10 ducati annui, in seguito al regio assenso del 22 dicembre 1701, quali: cessione, rinuncia, e vendita fatta per il Signore Giuseppe Moscati com’erede in feudalibus del quondam Vincenzo Conte, della detta Terra di Toccanise e terza parte di Torrione a beneficio del detto D.Andrea dell’Aquila. Nella registrazione si faceva riferimento all’anno 1610 per il debito di 31 ducati contratto da Vincenzo Conte, non pagato per il rilievo seguito alla morte di Antonio Conte suo padre (11 Giugno 1609) e neppure dopo, quando alla figlia, Angela Conte, successe il menzionato D.Giuseppe Moscati. Si accorsero che il rilievo del feudo non era stato pagato ben dopo due successioni quando Don Carlo Brancaccio esibì le due cambiali a lui intestate e contratte dai defunti con il Banco del S.Monte della Pietà nel 1672: una di 70 e l’altra di 41 ducati, a compimento di docati 111.1.2 per tanti da esso esatti dal possessore delli Casali di Toccanise e Torrioni per causa del relevio per le morti delli qq.m Vincenzo ed Angela Conte, pagati alla Regia Corte. Alla morte di Don Andrea dell’Aquila, avvenuta il 26 ottobre 1744, gli successe Don Giovanni Battista dell’Aquila, suo figlio, invitato a pagare i 31 ducati annuali, sempre per detti feudi di Toccanise e terza parte di Torrioni.14
In questi anni i feudi si comprano e si vendono senza particolari interessi da parte dei signori che nemmeno li abitano più. I nobili dei paesi si erano infatti trasferiti quasi del tutto a Napoli per vivere la vita della capitale nominando delle persone fidate per la riscossione dei censi a vita solitamente da pagarsi da parte dei contadini nel giorno di Natale. Una pressione fiscale che aumentava sempre di più anche perchè i signori abbandonarono i feudi che strizzavano solo per le tasse e, laddove, rendevano poco, ne lievitava indiscriminatamente il valore e li vendevano al primo acquirente. Questi, resisi conto della “truffa” alla Totò, faceva altrettanto, finchè l’ultimo malcapitato, pur di recuperare quattrini, spremeva a più non posso i poveri contadini. E’ quello che stava per avvinite a Chianche dopo la vendita indiscriminata del feudo passato da Giovanbattista Manso nel 1593 a Beatrice de Guevara nel 1607, moglie di Enrico de Loffredo, marchese di Sant’Agata. Ritroviamo proprietario del feudo di Chianca, nel 1627, Ottavio Zunica. Con questa famiglia Chianca ebbe un assestamento restandovi il feudo per oltre un secolo, passando in successione a Carno Zunica (1634), a Francesco Zunica (1644), ad un altro Carlo Zunica (1690), a Giovanna Zunica nel 1714, ad Orazio Zunica nel 1724, a Giovanni Battista Zunica nel 1765. In questo paese, però, la tassa sull’enfiteutico, spesso riscossa con violenza, prendeva nome di Laudemio, cioè la quartame partem praedj vulgo dictam quarteria loco laudemii sive quinquagesimae, et hoc non sive violentia, ac propria autorità. Tassa a cui era soggetti i cittadini infeudati di Chianche, Bagnara, Petruro e Toccanisi sicuramente e, forse, quella parte di Torrioni in precedenza chiamata Torrione del Signor Camillo.15

11. Nel 1742 Li Camilli rendevano 10 ducati al Barone Giordano
Il Torrione di Camilli, terza parte del Casale in Giurisdizione di Torrioni, ancora nel 1742, rendeva 10 ducati annui, come si evince dal Catasto di Toccanisi [/] Onciario non meno di Citt.[ad]ini, chè d’estri posse[ss]ori che venne pubblicato à 20 mag.[gio] 1753.16
Don Domenico Giordano di Toccanisi restò quindi Barone di una parte del feudo di Torrioni, ma sempre per un terzo, in quanto esigge per la terza parte di Torrioni di Camilli annui docati 10 e possiede un trappeto di macinare olive, col Jus prohibitivo, quale…. le spese annue ducati quattro [per un totale di /] effetti feudali [pari a ] once 39.10.17
E’ assodato quindi che il Torrioni del Signor Camillo è un feudo che fa parte integrante di Torrioni, in quanto i suoi abitanti vengono considerati forestieri a Toccanisi paese che per un lato confina con Torrioni. Cioè Toccanisi confina con Torraioni, Bagnara, S.Giacomo, Mont’Orzo, Monti Rocchetto, Montefuscoli, S.Pietro Intellicato, S.Maria a Tuoro, S.Marco à Monti, Casale nuovo.18
Ma non sappiamo se I Camilli fossero esattamente sul lato di confine con Toccanise. Non solo. Possiamo anche aggiungere i nomi dei torrionesi che possedevano beni in Toccanisi, ma non c’entrano con il feudo dei Camilli perchè è un luogo di Torrioni. Infatti i territori dei torrionesi in Toccanisi hanno ben altri nomi, sono considerati abitanti forestieri oppure detti possessori e’stri, cioè esteri in quanto di oltre confine. Nell’anno del Catasto di quel comune, per fede fatta dal Sabbato Ferraro Sindaco del Castello di Toccanisi possiedono beni nel tenimento di detto Castello di Toccanisi e sua Giurisdizione questi possessori che a Toccanisi risultano forestieri: Pietro Oliviero, Donato Ferraro, Giovanni Lepore, Matteo Ferraro, Gregorio di Vito, Donato Oliviero, Carmine Fucci, Paolo Pasquale, Mattia Ferraro. Essi hanno selve castagnali e seminatori fra Campo, Campora e Arvanella, terreni boscosi a Foresti e Rossi, altri a Serrone, arbori di olive a Costa, campo in atto a sementare a Vigna, selva a Tagilaro, vastinoso a Trencamaro.19
Resta inteso però che i Camilli continuarono ad essere un feudo a parte in possesso dello stesso feudatario di Toccanisi, anche in seguito, come Don Domenico Giordano odierno Barone di questa Terra di Toccanisi, e Terza parte di Torrione di Camillo in esecuzione degli ordini regii per la formazione del nuovo catasto, quello di qualche anno dopo, Barone della Città di Monte Fusco, ove tiene casa, e vive, con sua famiglia, e gli effetti, che possiede in questa Terra suddetta, tanto Feudali, quanto Burgensatici. In effetti si tratta solo del Palazzo Baronale, il quale benchè prima fusse stato edificato di più stanze superiori ed inferiori capaci per la sua abitazione al presente è diruto per esser cascato col terremoto dell’anno 1732 non essendoci remasti che pochi sottani scoverti, ed un camerone à lamia solare di Terra non atti ad abitare… Ma anche dell’ormai famoso piccolo feudo dei Camilli. Grazie a questa ultima annotazione riusciamo infatti ad avere la certezza definitiva che per altri renditi Feudali, che da più, e diversi cittadini di Torrioni si pagano per case, selve e territorij che tengono in tenimento della terza parte di Torrioni di Camillo, e si fanno separatamente esiggere da detto Illustrissimo Signore Barone annuij docati diece. Ragione per cui, per converso, se a pagare i dieci ducati sono i torrionesi considerati cittadini di Torrioni, non v’è dubbio che questa terza parte, sebbene di proprietà privata, ricada in territorio di Torrioni, al cui comune rimase accorpata con l’abolizione della feudalità.20

Dettagli

EAN

9788872970492

ISBN

8872970490

Pagine

112

Autore

Bascetta

Editore

ABE Napoli

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Editorial Review

Piedicasale, S.Croce, Cimitero, Parmolito, Chiesa sulla Cupa

 

A Piedi Casale abitano i Romano. Antonio Iommazzo vive con la moglie Isabetta Mazza, il figlio Ignazio e la sorella Vittoria in una casa con terreno. Possiede inoltre un terreno a Bosco, una selva a Bagnulo, un bosco a Li Porcili e paga un censo alla Chiesa di detto Castello. Una casa non è l’unico bene di Antonio dell’Abbate che vive con la moglie Isabella Cennerazzo ed i figli Maddalena, Marta, Angela ed Antonio. Tiene pure una selva ed un bosco a Le Guardie, un seminato a La Costa larga ed uno alle Guardie, una vigna alle Breccelle, un arbustato a Nassano, un seminato a La Fontana, uno allo Piscero ed un altro nel luogo detto Lo Torrione. Per la prima volta veniamo così a sapere che esiste una località che si chiama proprio Torrione, confinante con i beni della Chiesa che rendeva 12 carlini annui.27
A Santa Croce (o La Croce, se sono la stessa località) vive Carlo Filoja e la moglie Alessandra Madonna con i figli Antonia, Domenico, Giuseppe e la figliastra Grazia Sabbato. Essi hanno una somarra ed una casa propria, oltre i terreni di Sagliocca, Strada, Piscero e Pretolelle, per i quali pagano censo enfiteutico alla Camera Baronale di Torrioni. Possiedono inoltre due sorti cedue a Le Sorti, un terreno a Lo Piscero ed un seminato alle Campore per il quale pagano censo alla Chiesa Arcipretale di Torrioni, oltre i pesi sborsati alla Camera di Montefuscoli. In una casa sita allo Cimiterio abita Lorenzo Centrella e la moglie Margarita dell’Abbate con i figli Pietro, Domenico e Carmine, il fratello Antonio e la moglie Ippolita dell’Abbate con i figli Antonia, Angela, Raffaele e Geltrude. E’ una casa di più stanze con orto contiguo confinante con la via pubblica e i beni della Chiesa. Centrella possiede un mulo, un somaro, due buoi e terreni a Nassano, Bosco, Paganiello, Strada, Vallario, Grancito, Acquafredda, Pretarelle, Montenigro, Valli, Campitiello, Sorti e Piedi Casale, per alcuni dei quali pagava peso alla Chiesa. Sono in suo possesso anche la casa a Lo Perditolo affittata per 15 carlini a Maddalena Cennerazzo, vedova di Domenico Arinello, che vive con i figli Pasquale, Nicola e Domenico di appena un anno e possiede solo un terreno sito a San Leo, e una di Cima Casale, confinante con Giovanni d'Agostino, affittata all'Universitas della Terra di Torrioni. Abbiamo però notizia di un’altra abitazione, di cui non conosciamo l’esatta ubicazione, affittata ad Onofrio di Vito e alla moglie Angela Avella per 10 carlini annui. Questa famiglia ha terreni ad Acqua Fredda, Parmolito, Varco, Cannelle, Pretarelle, Piedi Casale e paga alla Camera Baronale del Castello in censo enfiteutico per alcuni di essi. Una casa propria in località Cimiterio, con orto contiguo confinante con i beni di Lorenzo Centrella e con la via pubblica, ce l’ha anche Paolo Crispino con la moglie Catarina Zoina ed i figli Antonio ed Anna. I loro terreni sono a Vignali, Selvetelle, Piscero e all'Angelo. Crispino hanno contratto un debito di 50 ducati con Crescenzo Oliviero che gli rendono a 4 ducati l’anno. Alcuni abitanti di Parmolito pagavano censo alla Corte altrimenti detta Camera Baronale di Torrioni. Altri abitano nel luogo detto Sotto La Chiesa o anche davanti alla Chiesa, dietro la Cupa.28
Toponimi che ricorrono, confrontabili con quelli citati da Paolo di Caterina, nel testo su La Cappella di Torrioni,29 ma anche con altri, trascritti nei libri editati con il patrocinio del comune, a cominciare da Torrioni, curato da Virgilio Donnarumma, sia in riferimento alle località, sia al versamento annuale della tassa sul fuoco, cioè sul nucleo familiare, pagata da ogni famiglia.30

8. Solo la tassa sui beni per vedove, vergini e forestieri
Non tutti i cittadini, dunque, pagavano le tasse. I forestieri che già dichiaravano il possesso dei beni nel paese di origine, per esempio, erano esenti da altro pagamento, se non la tassa sui beni, se sono solo bonatenenti, e la jus habitationis di 15 carlini se vi abitano, venendo esentati dai contributi comunali e dai servizi locali. Non erano tenuti a versare nulla neppure i capifamiglia con oltre sessant’anni e le vedove, individuate in un elenco a parte, insieme alle vergini in capillis, cioè da matrimonio, e alle bizzoche (monache), tenuti a pagare solo la tassa sui beni se supera i 6 ducati. Questo per avere un quadro completo anche delle doti che, quasi sempre si riducono ad una casa patrimoniale, se l’eredità è appartenuta a ricchi, oppure ad una casa dotale. Rispetto alle poche vergini e bizzoche delle grandi città la situazione di Torrioni muta leggermente, facendo, i compilatori del Catasto, una differenza netta con gli appartenenti a questa categoria, stralciandone la posizione e indicandola in maniera distinta. C’è da dire che si può incorrere nella solita confusione in quanto la mano del compilatore in una sezione del Catasto tira solo le somme delle once da pagare sui beni di Vidue, vergini in capillis, e bizzoche che li posseggono. In un’altra sezione, invece, vengono in genere trascritte le Vidue, vergini in capillis e bizzoche e loro conviventi, cioè come capifamiglia di vedove, vergini e bizzoche che non contano ai fini fiscali.31 In compenso è stato rinvenuto l’elenco di tutti i debitori della Chiesa.32
A Torrioni v’erano anche dei privilegiati, completamente esentati, sebbene non compaiano padri onusti, genitori di dodici figli, poveri o ricchi, come accaduto per una manciata di famiglie nel casertano o a Mugnano del Cardinale.33
I redattori effettuano un rigoroso controllo sui forestieri bonatenenti, che posseggono cioè beni in loco, e sulle stesse vedove e zitelle, oltre che sui capifamiglia. A questa analisi finale non scappano quindi i forestieri, ma neanche le istituzioni forestiere, cioè i bonatententi religiosi. Si tratta di quelli che vengono definiti ecclesiastici residenti. Altri sacerdoti posseggono benefici con diritto di patronato. Non v’è dubbio che Torrioni è la rappresentazione del piccolo borgo così come lo immaginiamo sfogliando le pagine di storia, dove la gente si preoccupa del necessario. Tirando le somme, compaiono tre vedove e vergini forestiere, tassabili per 5 once e 19 e un forestiero abitante da 22,5 once. Da non dimenticare l’unico ecclesiastico secolare, Don Luca Morano, che viene tassato per 40,23 once.34
Le vedove e le vergini bonatenenti non abitanti si contano sulle dita di una mano: Antonia Pastore vedova di Cicciano, possidente un terreno alle Campore, Oliviero Isabella di Santa Maria a Tuoro, possidente una selva alle Campore, Iarrossa Olimpia di Montefuscoli, con la sua selva di Capo d’acqua, Lepore Vittoria vedova di Petruro, possidente una selva a Guardie. Solo tre appaiono le famiglie con vedove che pagano le tasse: quella di Angela Cennerazzo vidua del fu Tommaso Donnarumma, di Lucrezia Lepore del fu Antonio Carrino, e di Maddalena Cennerazzo del fu Domenico Aretiello. Non sempre i piccoli proprietari di Torrioni sono del posto, né sono rintracciabili per rivela (la dichiarazione formale del diretto interessato per fare il riscontro fra le proprietà possedute e quelle dichiarate), atto pressoché impossibile per quei bracciali che, pur possedendo territori a Torrioni, non vi abitano, essendo residenti soprattutto nei paesi del circondario. Si tratta di contadini che posseggono, per la maggior parte, territori di confine. Questi forastieri bonatenenti, quali non hanno fatto rivela, sono riportati uno per uno nel Catasto Onciario di Torrioni.35
A chiudere la lista di chi non ha fatto rivela sono i forestieri abitanti, per la precisione ecclesiastici, cioè sacerdoti in quanto il loro nome è seguito da un Sace. Si tratta di Don Carmine Spinelli, Don Domenico Troiano, Don Giovanni di Rienzo, Don Lorenzo Barbato, Don Pasquale de Spirito e Don Tomaso Marciano.