La ricerca storica e genealogica è una materia che mi ha sempre affascinato. Credo non ci sia cosa più appagante che scavare, come un archeologo fa con il territorio, nelle proprie radici familiari e, spesso, non mancano sorprese, ritrovamenti inaspettati, persone e storie che raffiorano in superficie. Non sempre, però, si riesce ad andare a ritroso e, come un sentiero irto di rovi, possono esserci ostacoli lungo il percorso: ostacoli burocratici, documenti andati perduti, danneggiati, omonimie o errori anagrafici che, ahimè, un tempo erano molto frequenti. Ma posso affermare che la pazienza e la sagacia, nel tempo, ripagano sempre come, peraltro, mi è spesso successo nelle mie ricerche genealogiche. Come rivela il cognome che porto, e come scoprirete leggendo le pagine di questo libro, ho origini atranesi da parte paterna. Il cognome Proto era, ed è ancora oggi, se non il primo tra i primi tre cognomi più diffusi nella piccola Atrani. Mio padre nacque ad Atrani, così come suo padre e il padre di suo padre sino ad arrivare al mio avo Crescenzo Proto, citato nel Catasto Onciario del 1754, un marinaio di 45 anni. Da ciò che ho potuto scoprire nelle mie ricerche, tutti i miei avi atranesi, giungendo fino al mio bisnonno (vissuto nei primi decenni del ‘900), furono marinai o “barcaioli”. Io che sono nato in città, Salerno, ricordo con piacere quando da bambino, durante le stagioni estive, i miei familiari mi portavano a trascorrere del tempo, in villeggiatura, ad Atrani. E ho sempre sentito, e sento tutt’oggi, che quel borgo un pò mi appartiene. Ed Atrani è sempre rimasta la stessa, così com’era nel 1754 così è oggi, un piccolo borgo marinaro adiacente la ben più famosa Amalfi. Le storie di entrambi i borghi si intersecano tra loro sin dal primo Medioevo e, per un breve periodo (tra il 1929 e il 1945), Atrani fu accorpata al Comune di Amalfi per poi ritornare comune autonomo qual è ancora oggi. Altra materia che mi affascina è la ricerca toponomastica: i nomi antichi dei luoghi, delle vie, viuzze e vicoli, che nel corso del tempo hanno cambiato denominazione. E nel catasto onciario, oltre ai nomi ed i cognomi, i soprannomi se presenti, i mestieri e le rendite delle varie famiglie, si possono trovare anche le vecchie denominazioni di strade e luoghi. Leggere un’onciario è come un viaggio nel tempo: nomi di famiglie, di luoghi, di mestieri impressi sulla carta. Una fotografia del tempo, utile sia per la ricerca genealogica sia quella toponomastica. Ringrazio l’Editore Arturo Bascetta al quale inviai, qualche mese addietro la pubblicazione di questo libro, la copia digitalizzata, in mio possesso, del Catasto Onciario di Atrani e ringrazio l’Autore, il Professor Fabio Paolucci, per avermi chiesto di farne una breve introduzione che, con lieto piacere, ho accettato conscio del fatto che, tra le pagine di questo libro, c’è anche un pezzo delle mie radici familiari. Luca Proto
ContinuaMIGLIAIA DI NOMI PER LE RICERCHE GENEALOGICHE
A chiudere la lista sono gli ecclesiastici, cioè primiceri, sacerdoti e canonici in quanto il loro nome è preceduto da un Prim°, un Sace i da un Can°. Si tratta degli ecclesiastici del paese col titolo di Don, che, ovviamente, si dava anche ai Magnifici, ai Dottori e al possessore che viveva del suo (Speziali, Notai, etc.). 56Si tengono lontano da Eboli i ricchi forestieri, non mancano gli abili maestri di particolari arti, come il tintore di panni, per tingere le stoffe dei lanieri, come accadeva a Palena, in Abruzzo, descritto nella cronaca del Bindi, dove si obbligavano i vassalli a tingere i panni nella tintoria del Duca.57
Lì il livello non era neppure competitivo con l’Europa in quanto necessitava acquistare per la migliorazione delle tinturiere, qualche ottimo tintore, straniero onde sulle di costui istruzioni ed insegnamenti d’intelligenza co’ migliori de’ nostri chimici si possa stabilire e distendere nelle fabriche tutte del Regno il buon gusto, la delicatezza e la perfezione delle tinte.58 Resta inteso che, anche in comuni non lontani, come Piedimonte d’Alife, esisteva una tintoria privata, con 13 tintori, e la Tinta grande, dietro il Mercato.59 Diciamo che il paese è molto legato alle tradizioni popolari. Siamo in pieno periodo di scoperta del corpo umano, grazie agli speziali per gli unguenti medicamentosi, e ai ricercatori di cosmetici, ciarlatani e non, che propongono prodotti di bellezza tratti da piante naturali. La rosa di Gerico si apre tra le undici e mezzanotte, si espone alla rugiada e si mette sui capelli: il tal modo si è liberi dal mal di testa e crescono i capelli. Si va quindi alla ricerca del rimedio naturale, della cura per forza, del prodotto che liberi da piccoli fastidi e da dolori tormentosi. Addirittura si utilizzano gli stessi medicamenti nella magia popolare, volendo anche per tenere lontani i fulmini e altre calamità dalla casa in cui essa è custodita.60
E’ un secolo in cui ci si impone il rimedio attraverso libri, vademecum e consigli. Decine di manoscritti diffusi in tutta europa, fra cui il più antico del 1200, oggi ad Oxford alla Bodeleian Library, poi riuniti nel Thesaurus Pauperum, una raccolta di ricette per ogni specie di malattia o di disturbo, ordinate a capite usque ad pedas secondo la visione della scuola salernitana nella quale confluivano la tradizione medica greca, latina, araba e giudaica. Il Thesaurus rappresenta un significativo manuale di medicina medievale scritto soprattutto per beneficio degli studenti poveri che non potevano permettersi molti libri. Si tratta di raccolte di ricette, fra il Viaticus di Costantino l’Africano e il Thesaurus del 1250 circa, secondo l’ordine della medicina salernitana, dalla caduta dei capelli, de casu capillorum, alle malattie dei piedi, de gutta arthetica et podagra, rinvenute nell’edizione siciliana.61
Forse sono quelli letti dai nostri speziali, o anche dal fioraio, che proviene da Benevento. Ad Eboli v’è il prattico nell’officio di Speziale di medicina, cioè il praticante farmacista come lo speziale di medicina vero e proprio: gli speziali spadroneggiano un po’ ovunque. I nobili hanno per abitudine quella di mandare i loro figli a divenire speziali manuali in una delle tante botteghe, fra le piazze e le viuzze, quasi fosse un praticantato come per gli scolari per diventare studenti.62
Medicina popolare che si incontra con il folclore, sebbene le annotazioni demo-antropologiche sono spesso dimenticate da storici locali animati da vuoto campanilismo, in Campania come in Terra di Lavoro.63 Aspetti di cultura agro-pastorale spesso impossibili da ricostruire per quella maledetta voglia, per dirla con Lutzenkirchen, di rimuovere, di proposito e in tempi molto brevi, quanto potesse ricordare una epoca pur non lontanissima di disagi, di difficoltà e di miseria. Così, al tempo stesso, si è inteso (soprattutto dall’alto) cancellare la coscienza delle proprie origini, nella prospettiva di una vita soltanto economicamente migliore.64
La crescita di grandi paesi è dovuta anche alla presenza di uno stampatore, cioè una stamperia nei capoluoghi,65 purtroppo assenti in provincia, nè è difficile incorrere in sviste ed episodi di omonimia…..
Secondo una teoria tutta nostra, la prima chiesetta nella zona del monte Vergine, intitolata a Santa Maria Vergine e Genitrice di Dio, nacque con un preposto insediatosi ora a Campora di Rotondi, ora in una non meglio identificata Submonte che palleggia l’antichità lombarda della Valle di Avellino con il luogo detto Trasmonte.
Prima di ogni altra ipotesi che accomuna i paesi della Valle Caudina con quelli della Valle di Campobasso sarà preferibile analizzare meglio i toponimi. Non a caso il Catalogo dei Baroni, retrodatato finalmente al 1096, parla di una Valle Gauda e di una Valle Gaudina in un altro luogo del medesimo territorio.
Moltre sciocchezze infatti potrebbero cadere studiando meglio la rivoluzione migratoria avvenuta dopo il sisma, la peste e l’invasione ungherese del 1348, quando molti paesi vennero ricostruiti e ben 29 dei circa 36 furono proprio quelli del Partenio, come risulta da una bolla del 1348, quando l’inviato del papa di Avignore, Bernardo Deucio, rifondò l’arcidiocesi di Benevento e questi 29 paesi che non estevano più nei luoghi originari e furono riedificati dove li vediamo, da Montesarchio a Sant’Angelo a Scala.
Il 28 e 30 aprile 1348 Papa Clemente VI scrisse subito all’arcivescovo Balduino Treverense dell’Oppido Aquensi, Aquensis o Aquense, che rappresentava la Leodiensis Diocesis, dopo la vacazio dell’Imperio Romano per la morte di Enrico Imperatore e la seguente discordia con Ludovico di Baviera, eretico e manifesto scismatico. Lo fece poi sapere anche agli elettori imperiali: l’Arcivescovo Gerlaco di Civitate Maguntina, nelle vicinanze della Parte Incolis al vescovo Diaconense, al vescovo Coloniense che sono i quattro grandi elettori dell’Imperio Romano. Poi avvisa Re Carlo nella sua sede di Civitate Argentinensis il 4 agosto 1346 dell’invasione del Regno Romano super Alveo Reni, facendo Carlo, primogenito di Giovanni Re di Boemia divenuto cieco, da marchione della Moravia a Re dei Romani. Facendo pace il 23 agosto con il Re di Francia ed Inghilterra.
Dilectis filiis nostri, si-abiiiis, consilio ot communi ojiidi .\i|uensis Leodiensis diocosis. 25 novembre Clemente VI scrive a Betrando.
Nel 1350, Clemente VI, quando Bertrando Decio fu Cardinale e Legato apostolico, la sua Metropolia si ridusse al Girone di Benevento, quando si fa nascere la nuova Regione di Benevento, con 27 Oppidi che si dicono essere quelli antichi. Al Cardinale della Regione di Benevento appartenne il vescovo di Nola e la vecchia Diaconia, ma la Capitale fu Stabia.
Nel 1350/51 era nata la Regione Beneventana dell’antipapa Clemente VI, come ebbe modo di confermare il cardinale legato apostolico Bertrandum di Deucio, il quale, su diligenti informazioni, rimise gli antichi limiti al territorio che comprese 27 Castrum, cioè Oppidi, e relativi casali. Si tratta di un circondario che gira intorno a Benevento come un “Girone” in cui rientrano quasi tutti i palazzi a suo tempo costruiti da Federico II di Svevia e comunque sono tutte abbazie feudali amministrate dal Cardinale e alle dirette dipendenze dell’antipapa. Johann Jacob Hofmann (1635-1706), nella Lexicon Universale, dice che «Clemens Papa VI, legatum misit Bertrandum Cardinalem Deucium, a quo habitâ omnium diligenti informatione et antiquorum limitum, terminos Territorii Beneventani sic definivit diplomate Pontificiôm quod servatur in Archivo civitatis; estque huius tenoris: Urget nos Apostolicae servitutis etc. ex certa scientia limitamus per modum et terminos infrascriptes, In primis Castrum Pontis inhabitatum, et inde ascendere Castrum Casaldoni, Castrum Campi lattari, Castrum montis Leonis, Castrum Sancti Severi, Castrum Fragneti Monfortis, Castrum Fragneti Abbatis, Castrum Sancti Georgii Molendinaria, Castrum Sancti Andreae de Molinaria, Castrum petrae maioris, Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli, Castrum montis mali, Casale Templani, Castrum Apicii cum casalibus, Castrum Moroni, Castrum Venticani, Castrum montis Militum, Castrum montis aperti, Castrum montis Fuscoli cum casalibus, Castrum Tufii, Castrum Altavillae, Castrum Cepalloni, Castrum Petrae Strumierae, Castrum S. Martini, Castrum Cervinariae, Castrum montis Sarveli, Castrum Tocci cum casalibus, Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus. Volumus itaque etc.
Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350.
«Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra S.Angli de Cupola, Mottam, Panellam, Montem Orsi, Maccolum, Sciarram, Pastenam, Balnearam, S.marci a montibus, S. Lucii, S. Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento».
Le rocche feudali rifondate sono quindi:
1. In primis Castrum Pontis inhabitatum,
2. et inde ascendere Castrum Casaldoni,
3. Castrum Campi lattari,
4. Castrum montis Leonis,
5. Castrum Sancti Severi,
6. Castrum Fragneti Monfortis,
7. Castrum Fragneti Abbatis,
8. Castrum Sancti Georgii Molendinaria,
9. Castrum Sancti Andreae de Molinaria,
10. Castrum petrae maioris,
11. Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli,
12. Castrum montis mali, Casale Templani,
13. Castrum Apicii cum casalibus,
14. Castrum Moroni,
15. Castrum Venticani,
16. Castrum montis Militum,
17. Castrum montis aperti,
18. Castrum montis Fuscoli cum casalibus,
19. Castrum Tufii,
20. Castrum Altavillae,
21. Castrum Cepalloni,
22. Castrum Petrae Strumierae,
23. Castrum S. Martini,
24. Castrum Cervinariae,
25. Castrum montis Sarveli,
26. Castrum Tocci cum casalibus,
27. Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus.
Volumus itaque etc. Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350.
«Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra»…
(28) S. Angli de Cupola,
(29) Mottam,
(30) Panellam,
(31) Montem Orsi,
(32) Maccolum,
(33) Sciarram,
(34) Pastenam,
(35) Balnearam,
(36) S.Marci a montibus, S.Lucii, S.Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento.
Un privilegio di papa Lucio III morto nel 1185 già citava l’antico eremo della Croce sito nella Marca papalina di Francavilla.
E’ locum Sancte Crucis in Marchia iuxta Francam villam, que antiquitus Eremus vocabatur, cum omnibus pertinentiis suis, terris, pratis, vineis et molendinis. Altrove è detta Crucis in Marcia, qui antiquitus Heremus. vocabatur.
Per studi futuri alla ricerca della originaria Mensa di San Martino non lungi dalle catacombre in San Giovanni (a ridosso della futura Prata Principato Ultra) sarà meglio seguire l’originario Castello detto dei Tocco di Montemiletto, che era una Civitate collocata già prima del sisma, lungo la Via di Tufo, stando al geografo Muhammad al-Idrisi.
Questo senza più confonderla con il casale Tocco di Montesarchio, come diversi altri campanari medievali, perché soltanto uno di essi fu la Mensa dell’ex città dei beneventani.
Fin dal tempo di Federico II, il suffeudo di Saffota Vetere al confine con San Martino Valle Caudina e posseduto dalla famiglia Santarcangelo di Montesarchio, è spesso confuso con la mensa arcipretale detta S.Martino di Pietrastornina, risultandone in comune il confine presso la mediana Roccabascerana.
Questo lembo ricade storicamente su un feudo detto San Martino, che si estendeva fino alla contrada Toro, e che confina con l’altro feudo della Mensa, già antica proprietà dei Del Balzo di Pietrastornina.
In quei luoghi c’erano redditi con terziaria, fittati cioè ai contadini in cambio della terza parte del raccolto, con diritto di patronato della Chiesa, cioè cum jus patronato seu presentandi del beneficio dell’Culegia di S.Bartolomeo de Saffota ius patronato di detti feudi.
Ciò, insomma, confermerebbe che la collegiata arcipretura di Pietrastornina dedicata a S.Bartolomeo ne fosse proprietaria, ma la similitudine con Terranova Fossaceca, e il feudo a Ciardelli di Pietrastornina, ex luoghi della medesima arcipretura, lasciano a chiunque il dubbio.
In uno studio recente è stata affrontata per la prima volta la questione della Mensa di San Martino con nuovi documenti alla mano, provenienti dall’archivio dei Della Leonessa, antichi padroni feudali di San Martino Valle Caudina come di Pietrastornina e feudi intermedi
SANTA MARIA MAGGIORE: IL CASALE GRANDE QUANTO UNA CITTA’ RISCOPERTO DAGLI INGLESI XX. Capifamiglia analizzati nel libro a
ContinuaUn mini albero genealogico di tutti i cognomi di questo comune in provincia di Benevento Fino al 1861 Colle
ContinuaCaracciolo vara le regole: obbligo di Croce turchina
Ed eccoci all’obbligo per i Cavalieri di S.Giorgio della Croce Turchina, così come si evince dal mandato fatto dal «Prencipe di Avellino, & suo consiglio intimato à tutti li Cavalieri Costantiniani, & di S.Giorgio, che debbano portar la Croce turchina giusto alla forma quì sotto &c.
Per Marinus Caracciolus, che della Sacra Religione, S.Giorgio, si dichiara Umile Amministratore, da Principe a Gran Cancelliere del Regno, e Cavaliere del Toson d’Oro, fu dovere del buon legislatore anteporre la virtù ai suoi sudditi, perché non si dovrà combattere per i colori, ma per la pietà cristiana dei nostri soldati.
E poiché solo allora «i fratelli cercano quell’antico e antichissimo colore cercano nel Regno dei cieli, proponiamo per noi stessi la Croce celeste, che è anche nell’ordine del Cielo, dove chi tocca la croce diviene più bianco e puro dell’argento».
Si userà quindi «un panno più sottile, che il volgo chiama panno rasato, rallegrandoci dell’immutata antica fortuna, la quale, promessa al gran Principe dalla sede apostolica per consenso del degnissimo antenato di un’altra Sacra Religione, si conserva nel cattolico, nella mia forma della Croce.
Nessuno dei nostri cavalieri, quindi, nelle generazioni future, osi portare una croce dei colori e del materiale sopra espressi, affinché non venga aborrito dal nostro corpo contro ciò che ha fatto. Per giudizio del nostro Senato supremo e dei nostri potenti magistrati, abbiamo emesso l’approvazione di una forza perpetua di grande potere.
Fu dato in Avellino, nel Concilio del 15 maggio 1624, per mano dei «nostri Magistrati del Primo Anno» e sottoscritto da Marino, col Sigillo della Sacra Religione di San Giorgio, siglato da Maiolinus Bisaccionus Cancelliere Supremo e Giovanni Arrighettus di Prato, Segretario.
Ecco il testo per intero.
Marini Caraccioli
Nel procedere in ordine cronologico alla lettura degli atti, si riportano i documenti letti in Archivio, cominciando dalla copia tratta dall’Instrumento fatto sotto dì 10 Maggio 1624, con l’illustriss. & Eccellentiss. Sig. Don Gio. Andrea Angelo Flavio Prencipe di Macedonia, che include gli atti di nascita dei giovani eredi della dinastia degli Angeli Comnena registrati a Villa Briana, vicino Venezia, in modo da ufficializzare la cessione al Principe Caracciolo e procedere alla nomina del nuovo Gran Maestro.
I rogiti sono stati «volgarmente letti, & notificati, per me infrascritto publico nodaro alla preferenza del detto illustrissimo Sig.Conte Andrea al presente habitante nella villa di Briana, & delli Signori Conte Pietro primogenito, & Giovanni delli Angeli suoi legitimi figliuoli, de quali padri, & figliuoli he nahho fatto fede à me nodaro gli illustrissimi Sign, Domenego Zane q.Illustriss.Sig.Andrea, Gio:Mattio Bembo dell’Illustrs.Sig.Dardi Patricij Veneti, & l’ullustre Sig.Andrea Soncino del q. illustre Sig.Splandiano nob: di Padova, & certificati tutti del tenore di detti instrumenti di detta cessione, patti, renontie, & clausolule contenute in detti instrumenti li predetti Signori Conti padre, & figliuoli dechiarano, & publicamente confessano a me predetto nodaro, & infrascritti testimonij di havere molto bene inteso, & esser certi dell’importanza, & valore di detti instrumenti. Doppo le quali cose immediatamente personalmente constituiti li predetti Signori Conti Andrea Pietro, & Giovanni della famiglia Angela Flavia Comnena respettivamente padre, e& figli li quali sono emancipati, & liberati dalla patria potestà, per instrumento rogato nelli atti di me nodaro il dì dieci del corrente, che farà in piedi di questo registrata di lor mera, & spontanea volontà rissolutamente, & in ogni miglior modo, & forma ratificano, lodano, & approvano detti Instrumenti di cessioni, renontie, & patti, & clausole contenute in detti Instrumenti, come se essi stessi l’havessero principalmente, & insolidum fatti con detto Sign.Prencipe di Macedonia, anco si dechiarano, che se non fosse fatto essi medesimi per ogni, & qualunque modo, & loro interesse, che habbiano, ò possano havere mai in qual si voglia tempo in detta sacra Religione di S.Giorgio sarebbono, & cederebbono ad esso, & da qui hora sanno, & cedono al predetto Sign.Marino Caracciolo Prencipe di Avellino, & successori contenuti in detti Instrumenti di cessione, & me notaro predetto stupulante, & accettante ogni loro pretensione, attione, ius, & interesse, che li comprete, ò di ragione lor può, ò potesse in qual si voglia tempo competere, & appartenere, & così hanno rati, grati, & fermi detti Instrumenti, & si obligano per se, suoi heredi, & successori in infinito di non contrafare, é contravenire à detti Instrumenti, & conventioni, & questo sotto obligatione de tutti li suoi beni presenti, & futuri; volendo, & dechiarando li predetti Signori padre, & figliuoli delli Angeli, che né uno, né più di essi contrahenti, & suoi heredi, & successori in infinito possano essere uditi in giuditio, né fuori, senza prima pagare ofni danno spesa, & interesse di detto Eccellentissimo Sig.Prencipe Marino, & gran Maestro li quali danni, spese, & interessi pagati, ò non pagati nondimento non s’intenda disobligato, né disciolto il vincolo del presente Instrumento, rinontiando à qual si voglia attione, cosi de fatto, come di ragione, che potesse competere ad essi Signori delli Angeli; sopra delle quali cose fui pregato Io nodaro infrascritto, &c.
In Cristi nomine Amen.
Anno Nativitatis Eiusdem millesimo sexcentesimo vigesimo quarto indictione septima Die vero Veneris decima mensis Maij:
In mei notarij publici, testiumq; infrascriptorum ad haec spetialiter vocatorum, & rogatorum sententia illustrissimus Comes Andreas Angelus Comne. filius legitimus, & naturalis q. Illustrissimi Domini Comitis Hieronymi Principis, ut dixit Thessaliae, & audita instantia, & requisitione siba facta per illustrissimos DD.Petrum, & Ioanne sius filios legitimiso, & naturales in etate legitima prout constat ex fide hic inferius registrata, petents, & requirentes ab eius patria potestate, & ammexibus paternis emancipari ad effectum infrascriptum tantummodo omni quo potuit meliori modo dictos eius filios praesentes, & acceptantes ad eius patria potestate, & annexibus paternis ad hoc tantum, & non aliter, nec alio modo, quod uti filij emancipati, & liberi à potestate paterna possit, & valeat laudare approbare, & ratificare Bina Instrumenta innita, & secuta interillustrissimun, & excellentissumum Dominum Ioannem Andream Angelo Flavio Comneno Principem Macedonia, & Muldavia ex una, & Illustrissimum, & Eccellentiss. Dominum Marinum Caracciolo Principem Avellini, Ducem Atripaldi, Marchionem Sancti Severini, Comitem Torella, & Gallerate Regni Neapolitani Magnum Cancellarium partibus ex altera, ex causis ut in ipsis instrumentis rogatis in actis alterius Domini Petri Trotta Monti Fortis publici apostolica autorita notarij, sub die 21. iulij proxime evoluti, & non aliter alias ultra, nec alio modo emancipavit, & ab aius patria potestate, & annexibus paternis liberavit, emancupavit, emancipatosque, & liberatos fose, & esse declaravit. Dans & c. promittens & c.c saub obligatione & c. super quibus & c.
Faccio fece il Don Antonio Roncato economo nella Chiesa Parochiale di S.Gio.Batttista de Briana, che l’Illustre Sig.Pietro Maria figliuolo di legitimo matrimonio nato dell’illustrissimo Sg.Conte Andrea Angeli, & dell’illustrissima Signora Maria sua moglie fu battezato in detta Chiesa l’anno 1603 sotto dì 10 di marzo dal Rever.Monsign.Alessandro Bonmercati, all’hora piovano di detta Chiesa.
Item l’illustre Sig.Zuane figliuolo legitimo delli sopradetti illustr. fu battezato l’anno 1606. sotto li 22. di Decembre dal sopradetto Piovano di detta Chiesa, in quorum fidem, & c.
IN ESCLUSIVA ELEMENTI DI MODA SULLA GONNELLA SCARLATTA DI SAIA IMPERIALE
VESTE DELLA SPOSA E ALTRE CHICCHE SU AVELLINO E I PAESI DEL PARTENIO
TRATTI DAI ROGITI DELL’ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO E NAPOLI
Risalire ai vestiti femminili per antonomasia che le donne della Valle Beneventana si tramandavano di madre in figlia attraverso la dote non è impresa facile. Possiamo però dire, alla luce delle ricerche effettuate presso hli Archivi di Stato di Napoli e di Avellino, di aver reperito, fra i volumi notarili conservati, sebbene spesso illegibili, la raccolta di alcuni atti che si sono rivelati utili per il paragone fra i paesi della Montagna di Montefusco e del Partenio, prendendo a campione la centralità di Torrioni e di Pietrastornina, sedi di primari notai del Principato Ultra.36
Ricerca che potrebbe risultare non vana in un confronto fra i paesi di sopra e di sotto le due Montagne che dividono Avellino da Benevento e che frenano un’idea iniziale di similitudini storiche che non accompagnano le due valli. Stando a questi pochi, ma preziosi fogli, è stato quindi possibile capire come fossero fatti gli abiti, quelli che oggi chiameremmo costumi tradizionali, che le donne da marito, quelle definite vergini in capillis dopo i dodici anni, poi chiamate “zite” se i tempi si allungavano, portavano in dote nel giorno del matrimonio.
Fin dal 1674 si conosceva il secreto del Signor Principe della Pietra Sturnina acciò partorisca subito una donna, svelato e ramandato dal notaio Gaita di Montefusco alle popolazioni della Montagna. Egli stesso suggerisce: se scrive il seguente; et potendosile la donna inghiuttire sarebbe meglio, ò vero si la lega così la donna, et vi la ponghi sopra del ventre che partorirà; et a Deus.
Questa la filastrocca da recitare al momento opportuno:
Anna peperit Mariam, Maria peperit
Salvearem creature exi foras, quia
Christy te vocat, Christy veghat,
Christy venit, Christi imperat,
Christi xe ab omni molo defendat.
Amem.
Ma il notaio aveva sperimentato anche un rimedio contro il freddo, quello che stavolta chiama secreto per la quartena Deus. Bastava bere un ottimo bicchiere di vino greco con della polvere di ventricello di gallina essiccato. Se l’esperimento falliva una prima e seconda volta lo si poteva ripetere una terza volta che sicuramente sarebbe riuscito. Garantito dal notaio Giordano di Montefusco: Dal ventre della gallina la pelle di dentro lo ventricello si secca, et si ne fà polve pestata, et poi se ne dà quanto copre un’ tre cavalli al patiente dentro d’un bicchiero di greco perfetto, et si la dà all’hora quando il patiente sa conosce che sta per venire il freddo seu patere; et sì conoscendo che habbia colpito alla prima; seguiti per tre volte, è exeperimentato.37
Però non tutti i notai della Montagna furono così creduloni. Anzi, dagli rogiti dei notai della famiglia Leo stanziati in Torrioni, non traspare nessun commento, solo atti. Ma andiamo per ordine e vediamo, al di là del parto, quali fossero le condizioni per prender moglie e come vestiva la sposa nel distretto della Valle Beneventana e della Montagna di Montefusco.
C’è da dire, aprendo una parentesi, che è stato possibile decifrare qualche pagina anche alla fine del 1400, ma è evidente che i vestiti sono di gran lunga precedenti, in quanto si ripetono ugualmete da donna in donna, da madre in figlia, sebbene solo gli ornamenti siano di diversa fattura in base al ceto sociale. Seguiamo, a titolo di esempio, qualche passo dei Capitoli Matrimoniali del notaio di Apice, paese di confine, dove la provincia di Principato Ultra e lo stesso Regno lasciavano il confine allo Stato della Chiesa di Benevento.
Il primo è del 1741 e si riferisce alla zita in capillis Teresa Verucci figlia legittima di Biaso Verucci e Barbara Galiarde, i quali, si abbiano di dotare à Andonio Cociniello, della altra parte, [in quanto prossimo marito e] figlio di Cirijaco Cociniello è Cecilia Laurito; e il predetto Andonio si contenta di pigliarsi per sua cara e ligittima sposa alla detta Teresa seconno comanna il rito della Santa Madre Chiesa Cattolica, che si sono convenuti, dalla una è dalla altra parte, cioè detta Teresa, di pigliarsi al predetto detto Andonijo per sua cara e legittima sposa alla predetta Teresa, e dalla aldra parte il detto Bijaso e Barbara, i quali, si obbligano di dotare sua figlia seconno Iddio li spira e non facenno crede che sia detta robba di detto Biaso: in primis promette di darli di contanti Docati 40,0 con annui cinque di tempo, con pagarne ogni anni Docati 8 e Carlini spari; item anna tre di panni di tutte sorte; item [per] rama e ferro, Carlini 3.2.10; più un letto fornito solamente il materazzo mangante; più una gonnella di saia imperjale con maniche di saia scarlatina; più cassa di noce di tomola 3.
Dal citato documento veniamo a sapere che ad Apice, quando si maritava una vergine, i genitori avevano diversi anni di tempo per pagare la dote al marito. Soldi che serviranno alla famiglia (danaro, asciugamani, lenzuola, rame e ferro per il letto). Mentre fin da subito avviene la dotazione del materasso, regali vari ma, principalmente la veste. Essa è rappresentata da una gonnella di saia imperjale con maniche di saia scarlatina. A Valle di Mercogliano si parla sempre di una gonna con goverdina di seta semplice verde. E’ un atto del 1790 del notaio Zigarelli in cui si tratta della concessione a causa di matrimonio di Gennaro della Pia in causa con gli eredi della futura sua sposa Angiola, figlia di Raimondo, avendo avuto questa due scotonazze di lana con veste, quattro coscine di lana anco con veste, una cosolina di rame, una gonna con goverdona di seta semplice verde, dodici libbre di seta, una croce d’oro per uso di donna consistente in pietre rosse, ed verdi, un paio di fioccagli d’oro, e tutti gli altri mobili esistenti in detta sua casa tanto di rame, biancherie, un sumarro c r e tutto quanto acquista esso Gennaro s’intende donato alla detta Angiola sua futura sposa. I mercoglianesi Paolo dello Russo, nel 1746, accompagnato dal padre Angelo, dovendo sposare Rachele Vecchiarelli, figlia della vedova Teresa di Ruggiero, si reca dal notaio Salvatore de Leo, per dare seguito ai Capitoli Matrimoniali contratti, secondo cui la promessa la dote del valore di 35 ducati, cioè la robba s’avesse da consegnare a padre e figlio dello Russo prima della consagrazione del matrimonio. Si trattava di 15 ducati, già ricavati dalla vendita del legname, e di altri 20 riferiti al valore della sua robba consistente in una gonna di drappo di colore di feccia con fiori d’oro e d’argento apprezzata, estimata e valutata per il prezzo di ducati 16, una filza di sennacoli d’oro al numero di 54, apprizzata, stimata e valutata per il prezzo di ducati 9, tre lenzaola nuove di tela di casa per carlini 30, due camicie di donna, una tovaglia e mocaturo di donna con pezzilli attorno per carlini 30, ed un mantesino di tela di cassetta nuovo, un saccone di tela per carlini 15, e 25 braccia di tela nova per carlini 24, che in tutta fanno la somma di ducati 34 e carlini 9. Nel confronto con l’area prettamente avellinese, a Valle di Mercogliano, si parla invece di una gonna con goverdina di seta semplice verde. E’ un atto del 1790 del notaio Zigarelli sulla concessione a causa di matrimonio di Gennaro della Pia in causa con gli eredi della futura sua sposa Angiola, figlia di Raimondo, avendo avuto questa due scotonazze di lana con veste, quattro coscine di lana anco con veste, una cosolina di rame, una gonna con goverdona di seta semplice verde, dodici libbre di seta, una croce d’oro per uso di donna consistente in pietre rosse, ed verdi, un paio di fioccagli d’oro, e tutti gli altri mobili esistenti in detta sua casa tanto di rame, biancherie, un sumarro c r e tutto quanto acquista esso Gennaro s’intende donato alla detta Angiola sua futura sposa.38
Il mercoglianese Paolo dello Russo, nel 1746, accompagnato dal padre Angelo, dovendo sposare Rachele Vecchiarelli, figlia della vedova Teresa di Ruggiero, si reca dal notaio Salvatore de Leo, per dare seguito ai capitoli matrimoniali contratti, secondo cui la promessa la dote del valore di 35 ducati, cioè la robba s’avesse da consegnare a padre e figlio dello Russo prima della consagrazione del matrimonio. Si trattava di 15 ducati, già ricavati dalla vendita del legname, e di altri 20 riferiti al valore della sua robba consistente in una gonna di drappo di colore di feccia con fiori d’oro e d’argento apprezzata, estimata e valutata per il prezzo di ducati 16, una filza di sennacoli d’oro al numero di 54, apprizzata, stimata e valutata per il prezzo di ducati 9, tre lenzuola nuove di tela di casa per carlini 30, due camicie di donna, una tovaglia e mocaturo di donna con pezzilli attorno per carlini 30, ed un mantesino di tela di cassetta nuovo, un saccone di tela per carlini 15, e 25 braccia di tela nova per carlini 24, che in tutta fanno la somma di ducati 34 e carlini 9.
In un altro documento preso in esame, quello del matrimonio fra Rosaria Paragone e Domenico Altiero di Apice, fra i beni dotali, vi sono il letto fornito, consistente in un saccone, un materazzo con rotoli venti di lana, con due coscine, una manta di lana di libre venti, una co[pe]rtina di straccia in pezzi 24 con pontilli in mezzo, due lenzuola di panno… In questo caso il genitore ha quattro anni di panni secondo l’uso e consuetudine di questa Terra [all’in]fuori delle due lenzole. Item Docati cinque di rame e ferro. L’atto notarile non facilemente decifrabile e non ci viene incontro nella ricerca. Ma la curiosità è subito soddisfatta da un capitolo successivo, del 1742, relativo al matrimonio fra Vittoria di Sunno e Gennaro Vetere. In questo caso il genitore per parte femminile deve soddisfare tre anni di pannamenti secondo l’uso di questa Terra fra il termine di anni 3. Item carlini 30 di rame e ferro per il termine di anni 2. Si citano quindi altri beni: il solito materazzo con rotole di lana, il saccone [di foglie di pannocchia altrove dette preglie], una manta cardata di lana di Ducati 4,50. Finalmente ricompare, fra le cose dotali, una gonnella di sai[a] imperiale con maniche guarnita con trame [o trene=lacci?] di seta. Questo tipo di gonna, quindi, è un elemento preciso, sempre presente, che si tramanda di madre in figlia, insieme alle lenzuola e al materasso.
E’ come se le doti fossero un bene delle moglie che però era amministrato dai mariti, come risulta da un atto del 1801. Un paio di fioccagli d’oro da 6 ducati, quattro cuscini di lana, una manta di lana, un telaio di legno da 3 ducati per far tele, un covertino di bambace, quattro lenzole di canapa e stoppa, una guancia di borattino, un sacconte di tela di stoppa e una veste di matarazzo di finiello e altro ancora sono la dote che Aniello Napolitano della Terra di Summonte attesta come marito ed amministratore legittimo di Saveria di Grezia di Ospedaletto.39
Un altro documento, sempre del 1742, riguarda il matrimonio fra Teresa Pagliuso e Bartolomeo Carchietta di Apice. Teresa porta in dote un saccone, un materazzo con rotoli di lana [che] è proprio quello tale e quale che fu di detta quondam sua moglie con le cuscine, una manta cardata di Ducati 4, una co[pe]rtina di braccia 24, un tornaletto. Ma eccoci, come tradizione (ormai appare scontato) al vestito della festa: una gonnella di saia con maniche di saia scarlattina. E’ proprio simile alla dote precedente, ma appare più signorile, quella che Rosa Pagliuso porta allo sposo Giovanni Chiucchiuso, nel 1742: una gonna di saia imperiale di saia scarlatta guarnita però le maniche con trame di seta.
Altri due documenti del 1742, quello relativo al matrimonio fra Vittoria Pagano e Alessandro Barrasso, e fra Vittoria Cacciatora e Angelo Capone, sempre di Apice, ci danno altri elementi. Il primo, quasi indecifrabile, fra le altre cose, annovera sicuramente quattro camicie a ccannatora di tela e pizzilli, due mesali di bambacie fine, due sarvietti in tela a coppetiello e due mesali pure a coppetiello. La Cacciatora, invece, ben più ricca, porterà in dote una gonnella di saia imperiale con maniche anche di saia, guarnite solamente le maniche e il busto di trame d’argento da darola in die sposalitij.
Ed è proprio quest’ultimo documento la vera ciliegina sulla torta: quella che sancisce il giorno del matrimonio come il momento in cui, come da prassi e come da rito in molte Terre della Provincia di Principato Ultra, viene consegnata la gonna che rappresenta una sorta di testimone. Ma non solo. In questo caso particolare, la gonna lunga, nella parte del busto e delle maniche, si impreziosisce di trame d’argento. Abbiamo quindi rinvenuto in ben cinque casi su sette una dote che si caratterizza dalla donazione, nel giorno del matrimonio, di una gonna scarlatta con fregi diversi a seconda dello stato sociale delle donne: gonnella scarlatta di saio imperiale con maniche in saio; gonnella scarlatta di saio imperiale con maniche in frene di seta; gonnella scarlatta di saio [imperiale] con maniche in saio; una gonn[ell]a scarlatta di saio imperiale con maniche in frene di seta; una gonnella [scarlatta] di saio imperiale con maniche maniche e busto in trame d’argento. I costumi ufficiali maschili sono rappresentati dall’uomo in pantalone e camicia bianca e dalla donna in abito lungo scarlatto con fregi ai polsi dello stesso tessuto, seta o anche d’argento. Presumibilmente si tratta quindi di una gonnella di panno scarlatto tagliato a guisa di toga o stola fino al tallone e lavorata a mano. E’ ornata nel lembo da varie fasce sempre di scarlatto o vellutino in seta uguale o diverso da quello della toga. Le cuciture delle maniche sarebbero quindi ornate di liste di scarlattino o vellutino forse ad interlaccio che può ornare anche il busto.
Il caso dell’argento è forse propriamente della chiusura della pettina, così come in alcuni usi, con bottoni d’argento o lacci di seta. L’abito a gonnella si completerebbe quindi, nella parte sottostante, con la vera tunica senza maniche, una sorta di casacca, mentre le gambe, a questo punto, sarebbero coperte da calzette ricamate in seta con ai piedi i classici pianelli ma anch’essi ricamati. Non resta che rovistare nelle soffitte alla ricerca della veste scarlatta.40
Abbiamo quindi rinvenuto in ben cinque casi su sette una dote che si caratterizza dalla donazione, nel giorno del matrimonio, di una gonna scarlatta con fregi diversi a seconda dello stato sociale delle donne di Apice:
1. gonnella scarlatta di saio imperiale con maniche in saio.
2. gonnella scarlatta di saio imperiale con maniche in frene di seta.
3. gonnella scarlatta di saio [imperiale] con maniche in saio.
4. una gonn[ell]a scarlatta di saio imperiale con maniche in frene di seta.
5. una gonnella [scarlatta] di saio imperiale con maniche maniche e busto in trame d’argento.
I costumi ufficiali di Apice sono rappresentati dall’uomo in pantalone e camicia bianca e dalla donna in abito lungo scarlatto con fregi ai polsi dello stesso tessuto, seta o anche d’argento. Presumibilmente si tratta quindi di una gonnella di panno scarlatto tagliato a guisa di toga o stola fino al tallone e lavorata a mano. E’ ornata nel lembo da varie fasce sempre di scarlatto o vellutino in seta uguale o diverso da quello della toga. Le cuciture delle maniche sarebbero quindi ornate di liste di scarlattino o vellutino forse ad interlaccio che può ornare anche il busto. Il caso dell’argento è forse propriamente della chiusura della pettina, così come in alcuni usi, con bottoni d’argento o lacci di seta. L’abito a gonnella si completerebbe quindi, nella parte sottostante, con la vera tunica senza maniche, una sorta di casacca, mentre le gambe, a questo punto, sarebbero coperte da calzette ricamate in seta con ai piedi i classici pianelli ma anch’essi ricamati.
Consuetudine ancora diversa per Altavilla Irpina, secondo i dettami dell’antica consuetudine che pare richiamarsi ai governatore feudali locali. Vale la pena citare la ricca dote che il notaio Antonio Cajfassi annuncia nel 1576 e stipula nel 1579, portatosi dal notaio Crescitiello di Altavilla, in favore della figlia damigella. Si tratta della domicella Angelella Criscitello citata in presenza del governatore del feudo di Altavilla, cioé dell’agente generale Francesco Bruno. Il notaio Cafasso redige quindi l’impegno della dote da farsi dall’onorabilis Berardino de Criscitello alla figlia Angelella il 12 luglio 1579, in un capitolo matrimoniale che ricorda la bona mobilia del valore di 27 ducati da restituire in caso di morte della sposa, secundum istrumento, e antiqua consuetudinem G[overnator]i Terre Altaville, cioè il detto G.i Altaville.
Questa la nota della sposa:
– 1 saccone novo ad braccia venti, Ducati 1.0.0.
– 1 coltra nova di braccia 20 co lo piomazzo, 4.2.0.
– 20 tomola di penne, 4
– 1 paro di lenzola co’ Lenole torchine de 24 braccia nove, 4
– 1 altro paro di lenzola nove, uno di essi co Lenole torchine e l’altro bianco, 4
[Subtotale D.17.20]
– 1 lenzuolo nuovo braccia 12 molence di raso, 2.0
– 1 coperta nova bianca, 3.1.10
– 1 paro di cammise con riticella bianche di filo bianco n(u)ove, 2
– 1 altro paro di cammise non lavorate de intagliato ma alle maniche e l’altra scheotta increspata alle maniche, 2.1.0
– 1 mesale novo calabrese di una canda e mezza, 0.4
– 3 tovaglie intocchi lavorate tutte de intaglio, 1.4.10
– 1 torclo di tovagli braccia dieci, 1.1.0
– 1 coscino lavorato a sete carmosino, 0.2.10
– 1 altro coscino lavorato di seta negra, 0.1.10
– 1 tovaglia lavorata di seta carmosina e reticelle del medesimo, 0.4.0
– 1 vantesino lavorato de intaglio bianco ed reticelle del medesimo, 0.4.0
Anche in questo caso, dunque, quell’antica consuetudine, diremmo del feudo altavillese della famiglia Di Capua, cambia completamente, senza gonnella e fornitura annuale di biancheria, se non unatantum. Insomma la consuetudine è diversa da luogo a luogo, per non parlare delle influenze che ancora pervengono dalla Puglia nel 1587, quando è ancora stretto il legame di Monte Rotario di Foggia con Casalbore. Per questo confronto abbiamo scelto come sempio il notaio Ferdinando Lombardo, sive Terre Montis Rotari, et Casalis Novi, et eorum castro, habitat ione fortellitio dominus vassallis, mediante istrumento rogato in Curia del Magnifico Anelli de Martino de Neapoli. Qui si costituiscono il magnifico Angelo de Ruvio o Ruccio della Terre Casearboris, cioè Casalbore, e l’Illustrissima Donna Lucretia Pignatella de Neapoli juere romano rum utilis padrona Terre Montis Rotari, et Casalis Novi. In dicta Terra Montis Rotari, et Casali Novo proprio di statiaj loci. Ciliegina sulla torta spetta a Benevento, dove, come si ricava dall’atto della Magnifica Cassandra Schinosa di Benevento chità per il matrimonio con Giacomo Masone, si dice che questi, per le nozze, guadagna et s’intende guadagnare la quarta seguendo l’uso di Terra ipsa, cioè 40 ducati, in qualità di sposo…….
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Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Capua – 1754
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Mugnano – 1754
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Martina – 1755
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Avigliano – 1743
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Crotone – 1783
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Mercogliano – 1754
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Cardito – 1755
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Vico Equense – 1754
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Pietrastornina – 1749
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Camposano – 1754
Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di Roccasecca
Archivio di Stato di Sondrio, Querela di Remigio… Anno 1725, segnatura B, Decreti, n. 94.
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Archivio di Stato di Avellino, Atti notarili
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U.R.P. Comune di S.M.C.V. (a cura di), Toponomastica della Città di S. Maria Capua Vetere, S.M.C.V. 1997.
Venturi F., Illuminismo italiano e illuminismo delle idee, in: Cultura illuministica in Italia, Torino 1957.
Winkelmann E., Acta imperii inedita saeculi XIII et XIV, Aalem 1964.
Calendario e Notiziario della Corte per l’anno 1793, Nella Stamperia Reale, Napoli 1790.
Notiziario, Nella Stamperia Reale, Napoli 1790.
Assessorato Cultura della Città di Caserta (a cura di), Caserta: I casali st
per i testi non compresi nella bibliografia si rimanda alle note bibliografiche
Note Bibliograficheto di Avellino, Notai di Apice, anno 1742. Per la dote di Altavilla Irpina v. ASAV, Notai di Avellino, Altavilla, Busta 7718, fascicolo anno 1576. Per l’esempio col feudatario di Casalbore, v. notaio Busta 4999, fascicolo 16388, f.146, datato 23 marzo, alla 15esima indizione, nel 1587, in Napoli. Per il matrimonio di Benevento, v.Busta 4999, fascio 16388, f.184, anno 1587.
42. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3226, Regio Notaio Antonio Zigarelli del Casale di Valle, anno 1789.
43. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3218, Notaio Rossi di Mercogliano, anno 1780.
44. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Pietrastornina, Notaio Ragucci, Busta 5200, pag.298.
45. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Pietrastornina, Notaio Ragucci, Busta 5200, pag.298.
46. Ivi, Busta 5201, pag.42.
47. Ivi, Busta 5204, pag.8.
48. Ivi, Busta 5204, pag.253.
49. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3219, Notaio Rossi di Mercogliano, anno 1785.
50. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3218, Notaio Salvatore Jacenna di Mercogliano, anno 1807.
51. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenna di Mercogliano, anno 1786/87.
52. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
53. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
54. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
55. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
56. ASAV, Catasti Onciari, Fotocopia dell’originale in 4 tomi, come da Archivio della Regia Camera della Sommaria, Serie Catasti Onciari, Provincia di Principato Ulteriore, [Distretto di Avellino], Mercogliano, pag.590 e segg. dell’originale, Rubrica Stato dell’Università. ASAV, Notai di Avellino, anno 1788, Torrioni, notaio Donato Leo, Busta 7389. f.116.
57. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, f.22, anno 1794.
58. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7372, fascio 6679, Notaio Pasquale Leo di Torrioni, anno 1798. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, f.22, anno 1794.
61. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1796.
62. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Busta 4069, Anno 1829. Atti del Notaio Pasquale Leo di Torrioni, atto n.54.
63. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 3562, anno 1841, il matrimonio è al f.22.
64. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 1842, anno 1842. ASAV, Notai di Avellino, Busta 3257, Notaio Salvatore Jacenda o Jacenna di Mercogliano, anno 1789.
65. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Pietrastornina, Notaio Ragucci, Busta 5200, pag.298.
66. ASAV, Notai del Distretto di Avellino, Notai di Apice, anno 1742.
67. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., fascicolo 3562, anno 1841, il matrimonio è al f.22.
68. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., cit.
69. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., cit.
70. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta …., cit.
71. ASAV, Notai di Avellino, notaio Carlo Ciampi di Santa Paolina, anno 1740, riguardante l’impegno di matrimonio. Per l’atto sui territori v.ASAV, Notai di Avellino, Notaio Carlo Ciampi di Santa Paolina, B.5972, fascio relativo all’anno 1739, inserto al f.216.
72. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797.
73. Ibidem.
74. Ibidem.
75. Ibidem.
76. Per il feudatario di Pagliara v. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, vol.7374, anno 1806, fol.64; per l’atto della Marchesa v. vol.7379, Busta 4050. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.63, 1831.
77. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Busta 4050, f.64. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1831.
78. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794.
79. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794. Cfr. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, Notai di Prata, anno 1760, pag.38. Nei suoi rogiti si trovano soprattutto documenti riguardanti il bosco di San Martino feodo A.G.P. (f.22), della contrada di San Giovanni a Morcopio, jurisditione Pheudi A.G.P.; et proprie in Aure Francesco Soricelli dicti Feudi A.G.P. (f.43), o materiale di notevole interesse sulla Chiesa Arcipretale di S.Agnesa e Margherita della Terra di S.Agnesa e Calvi con riferimento anche ad antichi Istrumenti di Montevergine, nonchè sul Casale di San Giacomo detto A.G.P. (f.83). Cfr. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, Volume 7361, Notaio Donato Leo, pag.3. Cfr. ASAV, Protocolli notarili di Avellino, B.223, fasc.7993; in seguito cfr.B.227-228, anni 1706/1714, notai di Apice, notaio Onofrio Pappone. Cfr. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797, f.105; ivi, Busta 7351, fascicolo 7894; ivi, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1821, f.63 et altri. L’atto del Duca Sambiasi e arciprete Majatico è il n.30 al f.14. Cfr. ASAV, Notai Avellino, notaio Girolamo Pappone di Apice, Busta 227, anni 1750-52; Ivi, busta 1761, Notai di Pietrelcina, f.51v.
80. ASAV, Fondo Notai di Avellino, Busta 226, Notaio Onofrio Pappone di Anno 1723.
81. Ibidem.
82. Ibidem.
83. ASAV, Fondo Notai di Avellino, Busta 226, f.7, Notaio Onofrio Pappone di Anno 1737.
84. Ibidem.
85. Ibidem.
86. Ibidem.
87. Ibidem.
88. ASAV, Notai di Avellino, notaio Carlo Ciampi di Santa Paolina, anno 1740, riguardante l’impegno di matrimonio. Per l’atto sui territori v.ASAV, Notai di Avellino, Notaio Carlo Ciampi di Santa Paolina, B.5972, fascio relativo all’anno 1739, inserto al f.216.
89. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797.
90. Per il feudatario di Pagliara v. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, vol.7374, anno 1806, fol.64; per l’atto della Marchesa v. vol.7379, Busta 4050. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.63, 1831.
91. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7379, Busta 4050, f.64. Atti del Notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1831.
92. Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794.
93. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7869, anno 1794.
94. ASAV, Protocolli Notarili di Avellino, Vol.7360, Busta 7829, Anno 1757. Atti del Notaio Domenico Leo di Torrioni. Per l’albero genealogico della famiglia di Vito e di altre famiglie di Torrioni si rimanda al testo A.Bascetta, Torrioni nel Regno di Napoli, ABEdizioni, Avellino.
95. ASAV, Notai di Avellino, Altavilla, Busta 7718, fascicolo anno 1734, f.286.
96. Ivi.
97. Ivi.
98. Ivi.
99. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7363, fascicolo 7872 anno 1763, f.94.
100. Ivi.
101. ASAV, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Anno 1742 (sic!). Capifamiglia per nome: lettera A [primi 20].
102. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettera B.
103. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettera C.
104. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettera D – E.
105. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettera F.
106. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettera G.
107. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettere I-L.
108. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettere M.
109. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettere N.
110. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettere O-P-Q-R-S.
111. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Capifamiglia per nome: lettere T/V.
112. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Vedove e vergini, pag.917.
113. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Fuochi assenti, pag.972.
114. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Cittadini assenti per i quali v’è in padria chi sopporta il peso de’ fuochi e non sono fuochi aquistati altrove, pag.987.
115. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Forastieri Abitanti Ecclesiastici, pag.1285 [ASAV, Nell’indice collettivo sono detti Ecclesiastici Secolari Forestieri Abitanti].
116. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Ecclesiastici Secolari Cittadini.
117. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Forastieri bonatenenti, pag.1987 [Nella Collettiva sono detti Forastieri non abitanti laici].
118. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Forestieri Bonatententi, ultima voce n.322, pag.1468-71.
119. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Collettiva Generale dell’Oncie, pag.1564.
120. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Forastieri abitanti laici.
121. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Chiese, Monisteri, Luoghi Pij cittadini, pag.1051 [nell’indice le once dichiarate verranno tagliate della metà, come per legge, ma solo nella somma finale della Collettiva].
122. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Chiese, Monisteri, Luoghi Pij di diversi luoghi pag.1486.
123. ASNA, Principato Ultra, Distretto di Avellino, Avellino, Onciario, Vol. n.4542, Anno 1745. Forastieri Non Abitanti Ecclesiastici Secolari, pag. 1754.
ESTRATTO DALLE NOTE
FONTE ARCHIVIO DI STATO ASAV ASABN ASNA E NOTE BIBLIOGRAFICHE
1. Asav, Notai di Avellino, I versamento, Atti notarili ignoti, busta 5845.
2. Ivi, busta 5846, anno 1516-26, anno 1516.
3. asav, Notai di Avellino, I Versamento, notaio Gabriele de Soricello di Montefusco, B.5798, anno 1538.
4. Ivi.
5. Asav, Notai di Avellino, I versamento, Atti notarili ignoti, busta 6028, f.15 e segg.
6. Ibidem, f.50 e segg.
7. Ivi, f.53v e f.76v.
8. Ivi, f.63, f.92, f.79.
9. Ivi, segg.
10. Ivi, f.111 e segg.
11. Asav, Notai di Avellino, I versamento, Atti notarili ignoti, busta 6028, f.126.
12. Ivi, f.115 e seg.
13. Ivi, b.6028, anno Notai ignoti, anno 1550, f.143.
14. Ivi, f.152.
15. Ivi, f.111.
16. Ivi, f.85.
17. Ivi, f.79 e segg.
18. Ivi, f.121 e f.143 e segg.
19. Ivi, f .150, f.157 e segg.
20. Ivi, f.162 e f.164-5.
21 Ivi, f.188.
22. ASAV, Notai di Avellino, Notaio Donato Danza di Montefusco, Busta 7708, fascio 230, f.87, anno 1592.
23. Ivi, f.100.
24. Ivi, Busta 7708, fascio 230, al f.47.
25. Ivi, f.87.
26. Ivi, Busta 7708, fascio 230, al f.93 e segg.
27. Ivi, f.120.
28. Ivi, f.130v.
29. Ivi, f.133.
30. Ivi, f.169v.
31. Ivi, f.178v.
32. Ivi, f.180.
32. Ivi, B.7708, fascio 230, f.185v.
33. Ivi, B.7708, fascio 230, f.187v.
34. Ivi, f.227.
35. Ivi, B.7708, fascio 230, f.172.
36. Ivi, B.7361, Notaio Donato Leo di Torrioni, f.3. Fatto ricordato da Napolillo che cita una Relazione anonima, consultata da Salvatore Pescatori e conservata nella Biblioteca Provinciale di Avellino.
38. Ivi, B.7366, fasc. anno 1780, inserto al f.69.
39. ASAV, Protocolli notarili mdi Avellino, B.223, fasc.7993; in seguito cfr.B.227-228, anni 1706/1714, notai di Apice, notaio Onofrio Pappone.
40. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7371, fascicolo 7894, anno 1797, f.105.
41. Ivi.
42. Ivi.
43. ASAV, Notai di Avellino, Pasquale Leo notaio in Torrioni, Busta 7351, fascicolo 7894.
44. Ivi, istrumento di Don Raffaele Ciardone in Napoli, 1820.
45. ASAV, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1821, f.63 et altri. L’atto del Duca Sambiasi e arciprete Majatico è il n.30 al f.14.
46. Ivi
47. Ivi.
48. Pietro Giannone, Opere postume, Vol.3, pag.431. Cfr. De Lellis, Discorsi sulle Famiglie Nobili, Napoli 1664 Cfr. Giulio Cesare Capaccio, Il forastiero, Rocagliolo, Napoli 1635, pagg.396-397; 403. Cfr. DIODATO N., in Rivista storica del Sannio, Febb. 1999. In Pascucci, Pietradefusi, cit. Cfr. Opera di Enrico Bacco Alemanno, ampliata da Cesare d’Engenio Caracciolo con un nuovo discorso di Gioseffo Mormile. Nuova, e perfettissima descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici provincie, Lazzaro Scoriggio, Napoli 1629. L’aggiunta di Cesare d’Engenio è del 1622, la numerazione dei fuochi e anime è riferita anche al 1614.
49. DIODATO N., in Rivista storica del Sannio, Febb. 1999. In Pascucci, Pietradefusi, cit. “Francesco Scandone, nella sua Storia di Avellino, riporta una lettera datata 30 dicembre 1631 in cui il Viceré esprimeva al Vescovo di Cirene il dispiacere prodotto dalla notizia del danno che avevano ricevuto i luoghi della comarca di Avellino per i lapilli caduti per l’incendio della Montagna di Somma. Nella stessa lettera si ordinava anche di far macinare tutto il grano esistente nei magazzini per il bisogno del pubblico finché si apra il cammino per il commercio, cioé la via di comunicazione verso la Puglia.
50. Ivi. Cfr. Opera di Enrico Bacco Alemanno, ampliata da Cesare d’Engenio Caracciolo con un nuovo discorso di Gioseffo Mormile. Nuova, e perfettissima descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici provincie, Lazzaro Scoriggio, Napoli 1629. L’aggiunta di Cesare d’Engenio è del 1622, la numerazione dei fuochi e anime è riferita anche al 1614.
51. ASAV, cit., Notaio Pasquale Leo, B.7381, al f.787 c’è Cotoli di Toccanisi. Cfr. V.Donnarumma, Torrioni-Avellino: Storia Antropologia Immagini Dialetto, cit.
52. Ibidem.
53. ASAV, B.7384, fasc.anno 1824, notaio Pompeo Rivello di Tufo, anno 1591.
54. Dionisio Pascucci, Pietradefusi, cit.
55. ASAV, B.7384, fasc.anno 1824, notaio Pompeo Rivello di Tufo, anno 1591. Castro Preturi, 8 dicembre 1591.
56. ASN, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.69. Napoli, 8 settembre 1732. D.Sabato Curio Paroco=Locus Sigilli. Il Casale Castrum è uno solo ed è unito a Tufo: Terra del Tufo e suo Casale di Torrioni ut in Rel.82 N.173. / _199.9
57. ASNA, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.70, f.367.
58. ASNA, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.70, f.367. Come dalla fede fattane dal Reverendo Parroco di S.Maria del Soccorso all’Arenella in pertinenza di Napoli, dove abitava. Prò Terra Tufi et duabus Tertij partibus Casalis Torrejuni Don Pasquale paga ducati 16.4.5. e, 2.4.12 e 1/6, così per la Iurisditione 2da p’te Terre, et dua tertia parti Casalis p’eti. ASN, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.70, Pag.367.
59. ASNA, Cedolari, Torrioni, Bobina 37, Vol.68. E’ invece del 1754, seguendo la bobina Serie Cedolari, dei Volumi 68 (da ff.662), 69 e 70 (fino ff.532), la citazione su Pasquale Piatti / Pro / Terra Tufi et duabus partibus Casalis Torrejuni. Cfr. Bascetta A., 23.Torrioni, cit. Cfr. ASA, Catasti Onciari, Torrioni (fotocopia anastatica). Cfr. A.Bascetta, Comune di Torrioni, paesi della Campania, n.26, Abedizioni, Avellino 2003.
60. ASN, Cedolari, Torrioni, Bobina 36, Vol.65. Altro riferimento viene da pagina 5.
61. ASNA, Catasti Onciari, Toccanisi, Frontespizio, Vol.4779. Pr.[rinci]pato Ulteriore [/] Toccanisi [/] Onciario non meno di Citt.[ad]ini, chè d’estri posse[ss]ori [/] pubblicato à 20 mag.[gio] 1753.
62. ASNA, Catasti Onciari, Toccanisi, Possessori, Vol.4779. Pr.[rinci]pato Ulteriore [/] Toccanisi [/] Onciario non meno di Citt.[ad]ini, chè d’estri posse[ss]ori [/] pubblicato à 20 mag.[gio] 1753.
63. ASNA, Catasti Onciari, Toccanisi, Giurisdizione di Toccanisi, Vol.4779, pag.68. La Giurisdi.[zio]ne di Toccanisi confina con Torraioni, Bagnara, S.Giacomo, Mont’Orzo, Monti Rocchetto, Montefuscoli, S.Pietro Intellicato, S.Maria a Tuoro, S.Marco à Monti, Casale nuovo.
64. ASNA, Catasti Onciari, Toccanisi, Abitanti forestieri [oppure detti] possessori e’stri, Vol.4779.
65. ASNA, Catasti Onciari, Toccanisi, Sezione Rivele, Vol.4779.
66. Die 19. m[es]e Maij 1661 / Super permutatione taxe 16.4.5. in quibus – 112 – taxabat Marius Antonius di Tufo pro Tufo et duobus Terrij Torrajuni ut notatur d.° d.112. In: A.Bascetta, Catasto Onciario, Torrioni nel 1744, ABE, Avellino 2010. . V. A.Bascetta, Matrimoni di Torrioni nel 1700, Ave 2011; ASNA, Catasto Onciario di Tufo; P. Di Caterina, La Cappella di Torrioni, Abedizioni 1999; ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.25; Ivi, Fasc.4140, anno 1826, Pasquale Leo; ASAV, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.36; ASNA, Cedolari, Torrioni, Bobina 36, Vol.65. ASNA, Cedolari, Torrioni, Bobina 36, Vol.65.
67. Ivi.
68. Ivi
69. Ivi
70. ASAV, Notai di Avellino, notaio de Vito di Sanseverino, Busta 5845, f.1.
71. Ivi.
72. ASAV, Notai di Avellino, Busta 7420, Nuntio Cerulus di Vitulano, vari anni dal 1554 in poi.
73. Ivi.
74. Ibidem.
75. Ivi.
76. Busta 7420, Nuntio Cerulus, vari anni dal 1554 in poi. Al f.3v di questo Nunzio Cerulo si cita Filippo Dei di grazia Rex in suo regno anni primi feliciter.
77. Ivi, anno 1578. Del mese di novembre in dì de Santa Catterina l’Illustro Signor Marchese di Pescara come procuratore di detto Rej, pigliò la possessione in Napoli di detto Regno di Sicilia nell’anno 1554.
78. Ibidem. Anno 1578 a seguire.
79. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus, anno delli 1583, alla xi indizione
80. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus. Nel 1585 xiii indizione .
81. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus. Nel 1585 xiii indizione
82. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus, anno 1585.
83. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus, anno 1585.
84. Ibidem, Busta 7420, Nuntio Cerulus, anno 1585.
85. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni, B.7360, f.7889, anno 1756
86. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni, B.7360, f.7855, anno 1756
87. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni, B.7360, f.7829, anno 1757
88. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni,B.7361, f.6400.
89. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni, B.7362, f.7867.
90. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni, B.7362, f.6660
91. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni,B.7362, f.6660
92. ASAV, Notai di Av, Leo di Torrioni,B.7362, f.7904.
93. ASAV, Notai di Avellino, I versamento, Notai Torrioni, A.1760.
94. ASAV, Notai di Avellino, fra gli atti del notaio Giordano Festa di Montefredane, f.43, compare un atto sulle processioni di Atripalda.
95. Lo stemma del Casale di S.Michele Terre Sereni è nel protocollo del notaio Renzullo del 1 gennaio 1764 sotto Filippo IV d’Austria.
96. ASAV, B.7377, fasc.anno 1822, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.58, f.46.
97. ASAV, B.7377, fasc.anno 1822, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.76, in Chianchetelle.
98. ASAV, B.7384, fasc.anno 1824, notaio Pompeo Rivello di Tufo, anno 1591.
99. ASAV, B.7377, fasc.anno 1823, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.90.
100. ASAV, B.7377, fasc.anno 1822, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.77.
101. ASAV, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.36.
102. ASAV, B.7377, fasc.8491, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, anno 1821, atto n.38.
103. ASAV, B.4093, fasc.anno 1824, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni.
104. ASAV, Notai di Av, Notaio Pasquale Leo, B.7381, al f.787.
105. ASAV, Notai di Av, Notaio Pasquale Leo, B.7381, al f.787.
106. ASAV, B.7377, fasc.anno 1822, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.78
107. ASAV, B.7377, fasc.anno 1823, notaio Pasquale Leo fu Donato di Torrioni, atto n.35
108. ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.102, 1830
109. ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.39
110. ASAV, Notai di Av, Notaio Pasquale Leo, B.7381, al f.787.
111. ASAV, Notai di Av, Notaio Pasquale Leo, Busta 7378, Pasquale Leo, anno 1828.
112. ASAV, Notai di Av, Notaio Pasquale Leo, Busta 7378, Pasquale Leo, anno 1828 Fasc.4140, anno 1826.
113. ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.67 e n.69, 1830
114. ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.72 e n.96, 1830
115.ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.107 e n.109, 1830
116. ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.35
117. ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.27
118. ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.136, 1830
119. ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.138, 1830
120. ASAV, B.7379, fasc. n.4034, 1830, atto n.86
121. ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.16
122. ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.24
123. ASAV, B.7379, fasc. n.4050, 1812, atto n.25
124. ASAV, B.7379, fasc. n.4069, notaio Pasquale Leo, n.1, 1830
125. ASAV, B.7384, fasc.anno 1824, notaio Pompeo Rivello di Tufo, anno 1591.
126. ASAV, Notai di Avellino, I versamento, Montefredane, 31/12/1773, Die Tricesimo primo mese decembrii, undecima indizione, Millesimosettecentesimo73, Atripaldis. Caroli Fuscaldi olim Principis Venusii
127. ASAV, Notai di Avellino, Busta 4999, anno 1572, Filippo d’Austria, rege anglie, france, utriusque sicilie ..petre pulcina, prov. principato ultra.
128. ASAV, Notai di Avellino, B.4999, ivi, f.230.
129. ASAV, Notai di Avellino, B. 4999, f.14
130. Busta 5179, per lo stemma di Pietrelcina, ivi, v. f.16458.
131. ASAV, Notai di Avellino, I versamento, notaio Giordano Gaita di Monte Fusco, B.3703, f.165, anno 1674/1675.
132. Ibidem.
133. ASAV, Notai di Avellino, I versamento, notaio Giordano Gaita di Monte Fusco, B.3703, f.27, anno 1721.
134. ASAV, Notai di Avellino, B. 7136, f.40
135. ASAV, Notai di Avellino, B. 7136, f.49
136. ASAV, Notai di Avellino, B. 7136, f.108
137. ASAV, Notai di Avellino, B. 7136, f.134
indice
1. fra i notai dell’Archivio di Stato
2. IL VIR DI CASTRO S.ANGELO A SCALA
3. LAVERDE DELLA PIETRa E i quattro ASINI COI NOMI
4. IL DOMINO DEL SANGRO DI FOGGIA
5. il comune di Montemiletto
adotta lo jus forno e scannaggi
6. Cutillo e il Molino
della torre di oppido Pago
7. Il notaio De Vivo di sanseverino
si sposta a tramonti a montefusco
8. pascuccio e pepe di san nazzaro
9. I Casali della montagna
si staccano da san giorgio
10. LA DOMUS PALAZZO
DELL’ABATE DI CASTRO ALTAVILLA
11. i melisci dELLA pietra
e LE PEZZE DI tela di cava
12. don diomede e l’icona sul calore
E IL REVERENDO DI TORRE LE NOCELLE
13. i pizzi e le vesti di scottino,
di raso fiorito e i sottanelli
14. I PAPPONE DI APICE ACQUISTANO
IL PALAZZO DA SAVERO BARTOLI
15. il testamento del principe
di castiglione e conte di martirano
16. L’EREDITA’ DEI D’AQUINO
DI UOMINI E TERRE DI ISCHIA
17. I beni della Dogana di Foggia
in dote di Donna Carlino
18. enza Bonito monaca a S.Giorgio
PER DISPETTO DEL MARCHESINO
19. le chiese del principato ultra
e il vicerè del carcere di M.fusco
20. I tre torrioni sul confine
della Montagna beneventana
21. i territori della nobile
donna ippolita del tufo
22. terra juli del 1591 e’ veramente torrioni?
23. il casale dei conte molto vicino a toccanise
24. toccanise castello del sindaco ferraro
25. i bambini di vitulano morti per le «cicciole»
26. I Ferraro di Pietrastornina
parroci dei Piatti di Torrioni
27. processioni prestabilite
di atripalda e stemma a s.michele
28. Il matrimonio del notaio Leo,
con i Severino di stanza a varva
29. Casale Capo a Terre Juli
e Casale Torrioni, il Cimitero
30. Petruro e i Capobianco di Carife
a Pontone in S.Pietro Indelicato
31. le contrade abitate
da Tufo a Monte Rocchetta
32. i Marchesi Petrillo e il SS. Corpo di Petruro
33. le Donne di Montefredane
e lo jus del Principe di Venosa
34. I NOBILI SPARSI PER IL PRINCIPATO
AI TEMPI DI DON FILIPPO D’AUSTRIA
35. SUMMONTE, s.angelo E LE Alchimie
del Principe di Pietrastornina
FONTE ARCHIVIO DI STATO ASAV E NOTE BIBLIOGRAFICHE
Continuail castello scomparso
Se diversi forestieri possederono terre in territorio di Torrioni è anche vero il contrario, cioè che molte famiglie di Torrioni possedevano beni, specie a Tufo. Questo perchè, come vedremo, fu lo stesso Barone di Torrioni, Don Pasquale, Conte Piatti e Marchese del Tufo, a concederglieli in cambio di un annuo reddito, cioè a censo. Un nobile che si definisce Ecc[ellentissi]mo Sig[no]r D[on] Pasquale Conte Piatti Marchese del Tufo Barone di Torrejoni, patrizio beneventano privileggiato napolitano Ill[ustr]e possessore di questa T[err]ra del Tufo, e Castello di Torrejoni.
Il documento fu stilato, evidentemente, soprattutto per assegnare ai cittadini di Torrioni delle terre più fertili, sebbene in territorio di Tufo, altro feudo di proprietà dello stesso Barone, in quanto l’intestazione precisa è: Censi seu annui redditi si esiggono da particolari di Torrejoni per concessione di territori in pertinenza del Tufo, come distintamente si descrivono ut infra.
In questo caso si tratta quindi di beni del feudatario. Vale la pena di ricordare che i forestieri censuari dei beni posseduti in Tufo dal Barone, quasi tutti di Torrioni, su territorio del Piatti, producono un reddito imponibile pari a once 2.140.11 e 5/12. Fra essi si distinguono un Lepore, un dell’Abbate ed un Centrella, i quali, essendo benestanti e non dovendo pagare tassa alcuna, non superano le 15 once ciascuno.
Si tratta di terre date dal barone a Giuseppe Lepere a Piano, Giacchino Lepere a Piano, Angiolo Oliviero a Piano, Francesco dell’Abbate a S.Stefano, seu Vallo dell’Asino, Andrea dell’Abbate a S.Stefano seu Vallo dell’Asino, Domenico Lepere a S.Stefano, Michele Di Vito a Capanaro, Matteo di Vito a Torre de Lento, Pietro di Vito a S.Stefano, Giovanni di Vito a Torre de Lenti, Nicolò di Vito a S.Stefano. Vi sono poi altri piccoli fondi che Piatti ha assegnato a censo ad altri forestieri come Giuseppe Sarracino di S.Angiolo à Scala a S.Stefano, Felice Barone di Ceppaloni a S.Stefano, Crescenzo Zoina a Capo Nero e Vallo dell’Asino, Giovanni Centrella a Vallo dell’Asino, Francesco Zoina a Vallo dell’Asino, Pietro Zoina di Monte Rocchetto a S.Stefano, Pietro Oliviero a La Pagana a La Pantana, Sabbato Oliviero a La Pantana e a La Pagana, Crescenzo Oliviero a La Pagana e a La Pantana, Bernardino Avella a La Pantana, Angelo Garofalo a Li Marianielli, a S.Stefano e a Capanaro, Antonio Cennerazzo a La Pagana, Donato Oliviero a S.Stefano, Carmine Oliviero a S.Stefano, gli eredi di Nicola Sabbato a S.Stefano, Lorenzo Centrella a Li Manganielli, Simone Iommazzo a Capanaro, Nicola Oliviero a La Pantana, Nicola Saracino a Piano.
In Giurisdizione di Tufo ha chiesto beni al Barone perfino la Chiesa Parrocchiale di Torrejoni per un territorio seminatorio a La Pagana, oltre Lorenzo Lepere che lo tiene a Li Pellegrini.
Nello stesso documento vengono quindi elencati l’infrascritti Corpi Feudali, ch’esso Signor Conte D.Pasquale Piatti Marchese del Tufo, e Barone del Castello di Torrejoni, possiede in q.[ue]sta sud.[dett]a T.[err]a [del Tufo].
E’ interessante notare che i cittadini di Tufo, oltre i torrionesi forestieri ivi presenti, hanno da pagare, oltre quelle conosiute, un’infinità di tasse, come il Molino, le Prime e seconde cause, lo Jus Scannagi (macellazione), quella sulla Taverna con Passo (almeno in un luogo del territorio), il Forno, la Mastrodattìa civile, criminale e bagliva.
Il Barone di Torrioni, dal canto suo, in Tufo possiede numerosi beni, fra cui il Palazzo Marchesale, col suo rivellino, e giardino attorno, con magazzino, dove si ripongono le vittovaglie che si raccolgono nel feudo, che gli servono per uso proprio; e i territori di: Li Limiti, S.Lucia, e Bosco del Serrone, La Mela, e S.Paolo, A Chiaviniano, la Corte di Giovan farina per uso del Molino. Si aggiungano inoltre la Fida delle Capre e Pecore ed altri animali forastieri fiscali in d.a Terra, Grani sei per ogni fuoco nella medesima Terra, il Giardino sopra La Taverna, e perfino il cappone il giorno di Capo d’anno tenuto dare l’Università all’Illustre Signor Marchese.
Breve parentesi storica su Sant’Agnese
[caption id="attachment_6764" align="alignnone" width="300"] OLYMPUS DIGITAL CAMERA[/caption]Il casale di Sant’Agnese, oggi frazione di San Giorgio del Sannio, in passato fu uno dei molti casali di Montefusco <>40 , apprendiamo dal Ricca41 che già in epoca angioina era presente il casale di Sant’Agnese <> che viene definito feudo il cui possesso è antico <>.
Sempre dal Ricca veniamo a conoscenza che nel Cedolario del 1500 si tassò Marino di Sant’Agnese per detto casale di S. Agnese, da Marino il feudo passò al figlio Ferdinando, la cui madre Maria de Mari come tutrice pagò il rilevio alla Regia Corte. Ferdinando trapassò senza eredi e la sorella Ippolita ereditò il feudo di Sant’Agnese sui cui pagò il rilevio al fisco nel 1529.
Ippolita Sant’ Agnese portò in dote il feudo a Pietro Sellaroli , patrizio beneventano e così il feudo passò alla famiglia Sellaroli di generazione in generazione pagandone ogni volta il rilevio da Giovan Camillo, poi al figlio Tommaso fino a Fabrizio Sellaroli che ne pagò il rilevio nel 1609, successivamente per istanza dei creditori, il Tribunale del Sacro Regio Consiglio vendette il feudo di Sant’ Agnese a Camilla Griffo della città di Benevento, alla morte di quest’ultima nel 22 ottobre del 1656, il feudo passò a suo figlio primogenito Giovan Battista Sellaroli che soddisfece il rilevio del castello di Sant’Agnese. Il 1656 sarà ricordato come l’anno in cui si verificò una grave epidemia di peste che ebbe conseguenze devastanti sulla demografia e sull’economia, non solo nel Regno di Napoli ma anche in gran parte dell’Europa. Concentrandoci sul Principato Ultra, si registrò un significativo calo demografico stimato intorno al 40%. Sant’Agnese, ad esempio, vide una diminuzione dei fuochi da 24 a 17, mentre altri comuni più grandi come Apice subirono una riduzione del numero dei fuochi da 450 a 20942.
Ritornando alla storia del feudo di Sant’Agnese, Don Giovan Battista Sellaroli sposò Donna Giovanna Ventimiglia e dalla loro unione nacque Tommaso che ereditò il feudo nel 1658 ed aggiunse al suo cognome quello materno Ventimiglia. Il suddetto Tommaso acquistò da Giovan Battista Ludovisi Principe di Piombino erede dei Gesualdo antichi feudatari, i diritti di giurisdizione, lo scannaggio e la bagliva del casale di Sant’Agnese, l’atto di cessione fu stipulato dal notaio napoletano Domenico de Vivo, nel documento si menzionava la generosa donazione effettuata dal re Ferdinando il Cattolico al grande Capitano Consalvo di Cordova, comprendente Montefusco e i suoi casali, tra cui quello di Sant’Agnese. Con questa donazione, furono trasferiti anche tutti i diritti di giurisdizione pervenuti poi al principe Ludovisi.
Il figlio di Tommaso, Carlo Ventimiglia Sellaroli divenne primo barone di Sant’Agnese in forza di un decreto della Gran Corte della Vicaria del 22 ottobre del 1691, dopo di lui il feudo passò al primogenito Cesare nel 1723 e poi a Carlo II nel 1752 fino alla figlia Livia nel 1787 <>.
Dopo l’eversione della feudalità fu incorporata a Calvi fino al 1811, successivamente come ci dice il Meomartini43 <>.
PICCOLO DIZIONARIO DELL’ONCIARIO
Vengono qui chiariti alcuni termini che vengono citati nel libro, ovviamente per approfondimenti si rimanda alla letteratura specialistica di cui ho inserito qualche riferimento bibliografico.
Bagliva, Mastrodattia: con tutti questi termini si indicano dei corpi feudali ben precisi
relativi i diritti amministrativi del feudatario.
La “Bagliva” è un istituto feudale destinato all’amministrazione dei diritti del signore, comprendendo la riscossione di svariati tributi come quelli legati al macello, alla molitura e alla tintoria. Inizialmente, la gestione della Bagliva era affidata alla Regia Corte, ma successivamente fu concessa alle Università e ai feudatari. Secondo quanto afferma Raccioppi44 nei primi anni del XVII secolo, “quasi tutte le baglive sono già cedute o alle Università o ai baroni; i quali a libito loro concedono o affittano l’ufficio della bagliva ad uno o più affittatori”.
Nelle terre demaniali, la Bagliva era sotto il controllo dell’Università, mentre nelle terre infeudate veniva assegnata al barone. Quest’ultimo aveva la facoltà di appaltare la Bagliva, dietro compenso, sia all’Università che a terzi.
All’interno della Bagliva, troviamo l’istituto della mastrodattia, che consisteva nell’ufficio del mastrodatti o maestro di atti. Questa figura svolgeva il ruolo di funzionario responsabile della registrazione degli atti sia dell’Università che dei cittadini.
Adoa: L’imposta di carattere feudale, nota come “adohamentum”, rappresentava un tributo pagato al sovrano per gli aiuti militari, fissato come una percentuale fissa del reddito dell’Università. Nel caso specifico di Sant’Agnese, questa tassa era versata a Montefusco. In origine, il termine “adohamentum” indicava il pagamento in denaro richiesto al sovrano come alternativa all’invio di militi, offrendo quindi un’opzione per sottrarsi dall’obbligo di fornire soldati.
Censo enfiteutico: Molti istituti religiosi, come Chiese e Monasteri, detenevano estesi possedimenti che, essendo difficili da gestire direttamente, venivano concessi a privati in cambio di un affitto annuo. Approfittando dei vantaggi fiscali di cui godevano, questi istituti religiosi erano in grado di stabilire canoni molto favorevoli per i beneficiari che decidevano di prendere a censo tali terreni. Inoltre, grazie alla considerevole liquidità derivante dagli affitti, la Chiesa poteva offrire prestiti a tassi contenuti, consentendo ai censuari di investire in attrezzature, bestiame e attività commerciali45.
Prammatica: decreto con cui il sovrano di suo moto proprio o sentito il parere di un’adunanza di ministri regola l’amministrazione
Zita in capillis: ragazza in età da marito, probabilmente il termine era legato al modo con cui queste ragazze portavano i capelli
Rilevio: Il “rilevio feudale” è un termine che si riferisce al pagamento periodico che un vassallo o un feudatario doveva effettuare al signore feudale in cambio dell’uso e della protezione della terra o di altri privilegi concessi dal signore. In questo contesto si riferisce l’imposta pagata al Fisco per il subentro nel feudo.
Continua