NAPOLI- Torna di attualità il pensiero-Lombroso. A torto o a ragione, il nuovo libro pubblicato da ABE sta facendo discutere l’Italia. «Quando occorre di giudicare un compagno colpevole, i camorristi, se in libertà, si radunano in luogo di campagna poco frequentato – scriveva Lombroso -; se in carcere, si riuniscono in un angolo del camerone, approfittando di un momento in cui la sorveglianza è meno attiva. Azione riprovevolissima è pel camorrista il far commercio del proprio corpo; al cinedo è applicata la massima delle pene, l’espulsione dalla società. Vengono in seconda linea i reati di indisciplinatezza verso la società, i ferimenti tra i soci, ecc. Le pene che in genere vengono inflitte sono corporali: coltellate, schiaffi e calci; per una coltellata inferta ad un compagno se ne fanno distribuire quattro o cinque al colpevole, coll’appendice di una ventina di schiaffi e buona dose di calci. Come pena disciplinare può essere applicata la sospensione temporanea dagli uffici di camorrista ed il punito in tal guisa non ha diritto a far camorra, nè a dividere quella fatta dai compagni. Si fanno pei soci in punizione speciali grazie in occasione dell’iniziazione di qualche neofita che ne fa formale preghiera (vedi sopra). Il perdonato, presentandosi, dietro invito ricevuto, alla società riunita, in un cerimoniale che sommariamente ricorda quello della iniziazione, ridomanda la sua riabilitazione, e quando questa gli è accordata, torna ad occupare l’antico suo posto. Quando è il caso di procedere contro un compagno, i camorristi si riuniscono nel modo solito ed in luogo appropriato per la circostanza, cioè più che è possibile appartato. Il Capo, cominciando col suo solito intercalare: « Col permesso, ecc. », racconta alla società riunita, nei suoi dettagli, la mancanza del socio colpevole, e lo in vita ad allontanarsi ed attendere in disparte la propria condanna. Allora vien passato il parere; comincia il capo col proporre la penalità che si converrebbe pel reato che si sta giudicando, e così uno dopo l’altro, in ordine di grado, ogni socio propone, come meglio gli talenta, la pena da infliggersi al compagno colpevole. Il Capo, sentito l’avviso dei compagni, enuncia il genere di pena che ha raccolto il maggior numero di voti, e si passa ad una seconda votazione, e se questa è riuscita conforme alla prima, si fa avvicinare il colpevole e gli si comunica la sentenza. Ciò fatto, gli si ingiunge ancora di allontanarsi onde addivenire alla determinazione di quello tra i compagni che dovrà farsi esecutore della pronunciata condanna. I camorristi, stando sempre disposti in cerchio, fanno il tocco: sporgendo la destra con alcune dita spiegate come quando si giuoca alla morra. Il Capo conta tante volte intorno intorno i compagni quanto è il numero delle dita spiegate, e l’ultimo sul quale si arresta è quello designato dalla sorte per eseguire materialmente la volontà del consesso, il che si fa subito, senza interporre indugio alcuno. Sarebbe somma vigliaccheria pel percosso o ferito denunciare a chicchessia chi gli ha usato violenza, ed ove gli agenti di pubblica sicurezza o le guardie del carcere gli chiedano del feritore, è obbligo suo di far credere, ove sia possibile, anche ad un tentativo di suicidio». Ma lasciamo al lettore tutte le considerazioni più disparate che possono venire. Intanto ringraziamo e ospitiamo la recensione di Dario Noascone, riportata qui di seguito.
Spicca il volo il libro di Giusio prodotto dall’editore ABE
Si ringrazia DARIO NOASCONE per la recensione che segue.
TORINO – L’impresentabile Lombroso a volte ritorna. Nella storia della scienza italiana è forse la figura più difficile da sostenere, con le sue teorie così maledettamente scorrette, così in contrasto con la nostra epoca ipersensibile, in cui chiunque può sentirsi offeso da qualsivoglia affermazione. ”Figlio di altri tempi”, si dirà… Certamente, ma la storia e gli studi di Cesare Lombroso – medico, antropologo, giurista, criminologo… – non si liquidano così facilmente: oggigiorno l’atteggiamento del mondo culturale nei confronti del “padre della criminologia” è il paradigma di quella diffusa – e dannosa – abitudine a interpretare la Storia attraverso le categorie del presente, cuore malsano della cosiddetta “cancel culture”. E così, quasi in contemporanea con l’ennesimo tentativo di estromettere la figura di Lombroso dalla storia scientifica nazionale, con la richiesta da parte di pochi maestrini di chiudere il museo a lui dedicato a Torino, ecco comparire un interessante ritratto ad opera di uno dei più eccellenti studiosi e ricercatori della città subalpina, l’antropologo e criminologo Massimo Giusio. Intellettuale a tutto campo, attento indagatore delle vicende umane con un occhio particolare alle dinamiche religiose e simboliche, l’autore ci offre un nuovo ritratto del controverso personaggio, regalandoci nuovi spunti, portando l’attenzione su aspetti poco indagati e ponendo nella giusta prospettiva la tanto contestata teoria del “criminale per nascita”, vista da molti come negazione del libero arbitrio, che nel testo di Giusio trova non tanto fumose teorie giustificatorie, quanto piuttosto una dettagliata ed approfondita contestualizzazione che chiama in causa tutta la galassia criminale italiana. Brigantaggio, mafia, camorra, ma anche la mala piemontese, vengono qui ripresi nei loro principali passaggi storico-evolutivi, dando al lettore la possibilità di chiarire molti aspetti di solito trattati in modo ambiguo (non ultima la definizione di brigantaggio e di briganti), il tutto attraverso curatissime appendici documentali con testi d’epoca e – fiore all’occhiello di questa intrigante pubblicazione – glossari dedicati al gergo della malavita in diverse realtà geografiche. L’abbondanza e la cura del materiale di riferimento, unitamente all’approccio eclettico dell’autore che non trascura gli aspetti più insoliti della biografia lombrosiana – non ultimo il discusso tardivo interesse di Lombroso per lo spiritismo, in netto contrasto con la sua formazione positivista -, consente di ricostruire il mondo culturale e scientifico nel quale prendono forma le teorie lombrosiane, la cui eredità – taciuta e sottintesa, ma mai assente – si ritrova in numerosi dettagli del nostro sistema giuridico. Un esempio per tutti, la definizione di “criminale per tendenza”, a tutt’oggi mai rimossa dal nostro Codice.
Massimo Giusio ci conduce poi in un altro territorio “scivoloso”, quello dell’eterna diatriba su un Lombroso presunto “antimeridionalista”, e su questo aspetto è d’obbligo sottolineare come l’editore del saggio sia niente meno che un intellettuale napoletano tutto d’un pezzo, Arturo Bascetta, egli stesso storico e scrittore di rara eleganza e spirito critico. E qui emerge il Giusio “direttore d’orchestra”, che con maestria coordina voci differenti: dagli apporti di Valentina Ciappina, direttrice del celebrato Torino Crime Festival, abile nel ricostruire in brillante sintesi storia ed evoluzione della mafia, ai già citati glossari curati da Lorenzo Ciravegna, per non tacere della prefazione ad opera del colto saggista Luigi Berzano e degli arguti inviti alla lettura.
Una presenza ingombrante, difficile da difendere, ma ancora troppo influente perché si possa accantonare con becere e decontestualizzate accuse di razzismo e quant’altro. Molta, troppa cronaca attuale richiama inquirenti e criminologi a confrontarsi, piaccia o no, con l’eredità del brutto, cattivo e imprescindibile Lombroso: il coraggio intellettuale e l’elegante audacia di Massimo Giusio sono qui oggi a ricordarci quanto sia più arricchente confrontarsi a viso aperto con certe figure controverse, piuttosto che nascondere la polvere sotto il tappeto…
[Da: https://culturaidentita.it/la-scienza-di-lombroso-dal-crimine-agli-spiriti]
[Il libro è disponibile in tutte le librerie che lo richiedono ai distributori nazionali, oppure con spedizione gratuita direttamente al sito ufficiale www.abenapoli.it]