NAPOLI – «Sono vicino alla verità storica». Così il giornalista Arturo Bascetta, prestato alla storia, ha commentato la sua ultima ricostruzione, di una lunga impresa nata 30 anni fa.
Fra le tante novità che saranno ricostruite nel volume – BARLETTA, STORIA DI UNA CAPITALE IMPERIALE- all’autore piace anticipare quello che è stato l’effetto dello studio che volge al termine: a re’, la redda napoletana, il re, il colosso di Barletta.
«Ho cercato di dare un nome al volto che mi tampina da quando, appena sbarbatello, visitavo Barletta alla ricerca del Santo Graal, ignaro che quel sepolcro fu invece dei martiri cristiani, vittime della spada di Roma, di cui Barletta, prima di chiamarsi Barletta, fu vicaria latina prima e greca poi. Ecco perché posso già affermare che la presunta ricostruzione originaria della statua sia quella di un Re-Imperatore che inizialmente, al posto della croce, ebbe fra le dita una spada sguainata e rivolta al cielo, che affacciava nel mare dei calcidesi. Nell’altra mano, l’imperatore avrebbe retto il simbolo della vittoria e non il solo globetto, che sta a significare la sua incoronazione a titolare del Regno di Puglia».
Insomma il colosso di Barletta [di cui Bascetta non rivela il nome] non sarebbe altro che un Re, padrone del consolato del Sud, fuori la porta del suo tempio. Quello che nei secoli, conquistato dai Beneventani, divenne di rito misto, latino e greco, nel luogo ove ora si veneravano tanto San Mercurio quanto San Marciano.
La chiesa principale, sebbene appena fuori le mura si giungesse a Civitate Canne dell’Episcopio, ab origine fu dedicata a lei, Maria Vergine di Nazareth, madre di tutti martiri che persero la vita su quel santo sepolcro.
Bascetta non si sbottona, sebbene mentre parli scarabocchi una nuvoletta con la scritta «San Felice», ma stupisce ugualmente, ancora una volta i suoi lettori e annuncia un libro di svolta, dopo 30 anni di studi. [E.SPI]